LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1250-2016 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO BOCCIA NERI, CHERUBINA CIRIELLO, ELISABETTA LANZETTA, SEBASTIANO CARUSO;
– ricorrente –
contro
C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 114/B, presso lo studio degli avvocati SALVATORE COLETTA, VIRGINIA COLETTA, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2687/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/06/2015 R.G.N. 7754/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2021 dal Consigliere Dott.ssa MAROTTA CATERINA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 2687/15 del 30 giugno 2015, pronunciando sull’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di C.C. avverso la decisione emessa tra le parti dal Tribunale di Latina, confermava la pronuncia di prime cure che aveva riconosciuto in favore della Costanza medesima il diritto ad ottenere le differenze retributive per il periodo dall’1/4/2005 al 31/7/2009 in relazione alle mansioni svolte corrispondenti alla categoria C, posizione economica C3, superiori rispetto all’inquadramento formale in B;
2. la Corte territoriale, dopo aver ripercorso le declaratorie contrattuali (c.c.n.l. enti pubblici non economici 16 febbraio 1999) delle Aree B e C, e della VI e VII qualifica funzionale secondo il precedente ordinamento e dopo aver evidenziato che, a fronte di una cospicua allegazione di fatti, l’INPS non aveva, sin dal primo grado, contestato la gran parte delle significative circostanze dedotte dalla lavoratrice, osservava come la ricorrente avesse svolto l’intero procedimento preordinato al recupero crediti, con l’istruzione delle pratiche relative alle ispezioni svolte da altri enti (Ispettorato del lavoro, Guardia di finanza) e dagli ispettori dello stesso INPS presso le aziende, svolgendo attività che consistevano nell’effettuare controdeduzioni e calcoli e nella valutazione circa la possibilità di interrompere i termini prescrizionali, di accettare richieste di sgravio ovvero di provvedere al recupero dei crediti;
rilevava che, nello svolgimento di dette attività, la C. aveva mostrato una approfondita conoscenza dei contratti di lavoro ed una attitudine al problem solving, rapportata al grado di responsabilità ed alla garanzia di qualità dei risultati;
nella sostanza, la necessità di valutare le variabili di ogni posizione escludeva che si trattasse di attività eseguite sulla base di procedure rigide; né era ritenuta decisiva la necessità della sottoscrizione del responsabile per la rilevanza esterna di quanto svolto, atteso che la declaratoria di Area C comprendeva responsabilità di diversa ampiezza;
rimarcava anche l’avvenuto affidamento alla Costanza di una stagista, il che dimostrava come l’attrice fosse diventata un punto di riferimento per i colleghi e per la direzione in ordine alla lavorazione dei verbali dell’ente e delle denunce dei lavoratori;
3. per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INPS prospettando due motivi di ricorso, resistiti con controricorso dalla lavoratrice;
4. l’INPS ha anche depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. 2006-2009 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52;
espone il ricorrente che la fattispecie in esame era disciplinata da due contratti collettivi, come succedutisi nel tempo;
per il periodo dal settembre 2004 al settembre 2007, doveva trovare applicazione l’art. 24 del c.c.n.l. 1998/2001; per il periodo dall’ottobre 2007 al dicembre 2009 doveva trovare applicazione l’art. 9 del c.c.n.l. 2006/2009;
dall’esame delle suddette declaratorie emerge che per il periodo 2005/2009 vi sarebbe stata violazione del quadro negoziale di riferimento essendosi riconosciuto lo svolgimento delle mansioni superiori C3 senza tener conto che la lavoratrice apparteneva all’area B e che, pertanto, in base all’art. 24 del c.c.n.l. di riferimento (secondo cui “nell’ambito del nuovo sistema di classificazione del personale previsto dal presente contratto, si considerano mansioni immediatamente superiori le mansioni svolte dal dipendente all’interno della stessa Area in profilo appartenente alla posizione di livello economico immediatamente superiore a quella in cui egli è inquadrato”) la predetta poteva aspirare solo alle differenze retributive in ragione del passaggio da un profilo all’altro nell’Area di appartenenza;
2. il motivo non è fondato;
con giurisprudenza consolidata (v. tra le più recenti Cass. 31 ottobre 2019, n. 28112; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2102; Cass. 29 novembre 2016, n. 24266 ed in fattispecie del tutto analoghe alla presente, Cass. 33135 del 2019 cit. e Cass. 20 novembre 2019, n. 30232) dalla quale non vi è ragione di discostarsi, non fornendo il ricorrente elementi per mutare orientamento, questa Corte ha affermato che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore; tale diritto non è condizionato alla legittimità dell’assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.;
pertanto, deve essere disattesa la deduzione del ricorrente che sollecita un’interpretazione della disciplina delle mansioni superiori svolte di fatto (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5) che limiti il riconoscimento delle differenze retributive al solo svolgimento delle mansioni immediatamente superiori, facendo riferimento alla relativa nozione introdotta dall’art. 24 del c.c.n.l. enti pubblici non economici 1998/2001, in quanto ciò contrasterebbe, anche nell’ambito del rapporto di impiego pubblico privatizzato, con i principi di cui agli artt.36, 97 e 98 Cost.;
3. con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. 1998-2001 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52;
l’INPS censura la sentenza impugnata per aver fondato il diritto della ricorrente sulla base di una erronea corrispondenza tra le mansioni esercitate in concreto dalla predetta e la declaratoria contrattuale e per avere, in particolare, affermato che gli elementi istruttori deponessero per una attitudine alla “garanzia di qualità dei risultati” ed al “problem solving” impropriamente ricollegati alla posizione di C3;
l’INPS critica la statuizione della Corte d’appello anche là dove ha ritenuto che per il riconoscimento delle mansioni superiori non fosse necessario l’effettivo svolgimento di tutte le fasi del processo produttivo e l’esercizio dei relativi poteri (con correlate responsabilità), ma bastasse espletare anche soltanto una funzione purché con modalità da configurare i requisiti del superiore livello;
rileva che la C. non era la responsabile dell’intero modulo organizzativo necessario per lo svolgimento delle mansioni di C3, ma solo di una linea di prodotto rientrante nelle mansioni di B2;
4. la censura, nei vari profili in cui è articolata, non è fondata;
4.1. l’interpretazione delle declaratorie contrattuali Area B e area C, del c.c.n.l. enti pubblici economici del 1999, di cui si duole il ricorrente, ha costituito già oggetto di esame da parte di questa Corte, in relazione a fattispecie che, analogamente a quella in esame, attenevano, sia pure con riguardo ad un diverso Ente (INAIL), all’attribuzione di differenze retributive per mansioni superiori;
nella sentenza n. 8683 del 9 aprile 2018 (cui adde, Cass. sentenza n. 14204 del 4 giugno 2018) si è affermato che il c.c.n.l. 16 febbraio 1999 per i dipendenti del comparto enti pubblici non economici inserisce nell’area B il personale “strutturalmente inserito nel processo produttivo” che svolge “fasi o fasce di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate attraverso la gestione delle strumentazioni tecnologiche”, valuta i casi concreti, interpreta le istruzioni operative e “risponde dei risultati secondo la posizione rivestita”; all’area C appartiene, invece, il personale “competente a svolgere tutte le fasi del processo” che opera “a livelli di responsabilità di diversa ampiezza secondo lo sviluppo del curriculum”, e, quindi, differenziata in ragione della pluralità di ruoli organizzativi, di tipo sia gestionale (operatore di processo, facilitatore di processo, responsabile di processo, responsabile di struttura) che professionale (esperti di progettazione, specialisti di organizzazione); nella declaratoria generale dell’area si precisa che il personale nella stessa inserito “costituisce garanzia di qualità dei risultati, della qualità, di circolarita delle comunicazioni interne, di integrazione delle procedure, di consulenza specialistica”;
il suddetto orientamento è stato ripreso nelle più recenti Cass. n. 29630 del 14 novembre 2019 e Cass. n. 33231 del 2021, specificamente riguardanti l’INPS;
l’Area C, quindi, si caratterizza per il livello di conoscenze richiesto al dipendente in ragione della capacità di quest’ultimo di svolgere tutte le fasi del processo, garantendo la qualità del risultato e con assunzione di responsabilità che, seppure graduata con riferimento allo sviluppo professionale all’interno dell’Area stessa, è elemento richiamato in tutti i profili;
in particolare, la posizione C3 presuppone “la capacità di gestire e regolare i processi di produzione sulla base di una visione globale dei processi produttivi della struttura organizzativa di appartenenza; attitudini al “problem solving” rapportate al particolare livello di responsabilità; capacità di operare orientando il proprio contributo professionale all’ottimizzazione del sistema, al monitoraggio sistematico della qualità e alla circolarità delle informazioni; capacità di gestire le varianze del processo in funzione del “cliente”; attitudine alla cooperazione e all’integrazione operativa e funzionale, capacità di gestire teams di lavoro anche interfunzionali guidando e motivando gli appartenenti al gruppo”;
al contrario, il personale dell’area B, il quale esegue fasi di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, si limita a “rispondere dei risultati secondo la posizione rivestita”, circoscritta alla singola fase, nell’ambito della quale è tenuto solo ad “orientare il contributo professionale ai risultati complessivi del gruppo”;
4.2. la lettura qui riproposta dall’Istituto ricorrente della declaratoria contrattuale dell’area C come tale da postulare una autonomia nella gestione del processo produttivo del provvedimento finale dell’ambito di competenza funzionale affidato, estesa fino al punto di essere il dipendente sottratto alla verifica del responsabile del processo e di provvedere alla sottoscrizione dell’atto finale con assunzione della relativa responsabilità, correttamente è stata ritenuta dalla Corte territoriale incongrua rispetto alla formulazione letterale della declaratoria medesima; questa si limita a richiedere al dipendente la competenza allo svolgimento di ogni fase del processo produttivo dell’atto finale, senza onerarlo dell’assunzione della relativa responsabilità;
come si rileva dalla sentenza impugnata, la lavoratrice si era sempre occupata di tutte le fasi dell’area/processo aziende con dipendenti – aree recupero crediti, interfacciandosi direttamente con il dirigente che “praticamente” recepiva tutte le sue valutazioni sottoscrivendo l’atto finale;
trattasi di accertamento in fatto, non rivedibile in questa sede di legittimità;
per quanto riguarda, poi, l’assunzione della responsabilità, il giudice di appello ha posto l’accento sulla variegata ampiezza delle funzioni svolte dalla C. e su una responsabilità connessa a tutte le problematiche inerenti alle aziende con dipendenti (area recupero crediti) a lei affidate e ciò in coerenza con la circostanza che la responsabilità che il dipendente assume all’interno dell’Area C, non è obbligatoriamente una responsabilità verso l’esterno ed essendo, dunque, sufficiente anche solo la necessità di rispondere in via diretta del proprio operato al dirigente, ciò in coerenza con i precedenti specifici di questa Corte (Cass. 21 maggio 2013, n. 12407; Cass. 28 aprile 2014, n. 9344);
inoltre, ha fatto riferimento ad una autonomia nella gestione dei vari passaggi che aveva un’accezione tutt’altro che modesta evidenziando, in particolare, “la cospicua incidenza delle relative determinazioni sul piano giuridico, in relazione al rischio di perdere il diritto ovvero di insistere nella pretesa contributiva e, sul piano finanziario, in relazione alla valutazione degli sgravi e dunque la determinazione delle entrate” (pag. 4 della sentenza impugnata), significativa di quella “capacità di gestire e regolare i processi di produzione sulla base di una visione globale dei processi produttivi della struttura organizzativa di appartenenza” ed altresì sottolineando l’assegnazione della C. alla lavorazione “delle denunzie dei lavoratori con particolari urgenze, dei contributi vicini alla prescrizione, degli avvisi bonari residuali, degli illeciti penali, delle sospensioni, degli sgravi, abbandoni insoluti, della gestione dei versamenti, degli storni, delle dilazioni, dei ricorsi amministrativi e dei rapporti con i legali dell’ente”, espressiva di una elevata professionalità e di attitudine alla cooperazione ed integrazione del gruppo, tipiche della posizione C3;
in questo contesto, diversamente da quanto opinato dall’INPS, l’affiancamento alla predetta di una stagista vieppiù valorizza il fatto che la C. fosse divenuta un punto di riferimento per i colleghi e per la direzione in ordine alla lavorazione dei verbali;
si aggiunga che, come da questa Corte già affermato (v. Cass. 11 novembre 2019, n. 29093), la responsabilità formale di conduzione di un ufficio (struttura organizzativa) e del lavoro affidato ai collaboratori, con il coordinamento delle attività e l’organizzazione delle risorse assegnate, con responsabilità del raggiungimento dei relativi risultati di produzione (che l’INPS, evidenziando quale elemento asseritamente pretermesso dalla Corte territoriale quello della capacità di gestire e regolare le risorse umane, sostanzialmente riconduce alla posizione C3) non costituiscono caratteristiche di detta posizione, ma integrano il tratto differenziale tra quest’ultima e quella C4 (v. Cass. 11 novembre 2019, n. 29093);
4.3. in definitiva la sentenza di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di cui sopra, interpretando esattamente le disposizioni contrattuali là dove ha – appunto distinto tra fasi del processo e processo nella sua integralità ed ha quindi ritenuto, sulla base di una coerente nozione di processo produttivo, che la lavoratrice avesse appunto svolto l’intera filiera del profilo produttivo ad essa affidato e ciò con pienezza di funzioni ed autonomia correlata al grado di responsabilità oltre che con attitudine alla cooperazione e all’integrazione operativa e funzionale ed alla soluzione dei problemi;
5. il ricorso va quindi rigettato;
6. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con la distrazione ex art. 93 c.p.c. a favore dei difensori della controricorrente, avv.ti Salvatore e Virginia Coletta, dichiaratisi antistari;
7. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi agli avv.ti Salvatore e Virginia Coletta, antistatari.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 21 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022
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