LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 613-2021 proposto da:
L.P.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREINA D’ORSI per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PAUPISI rappresentato e difeso dall’Avvocato AMERIGO FESTA per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 335/2020 del TRIBUNALE DI BENEVENTO, depositata il 19/2/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/11/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
Il tribunale, con la pronuncia in epigrafe, ha respinto l’appello che L.P.L. aveva proposto avverso la sentenza con la quale il giudice di pace di Benevento aveva, a sua volta, rigettato l’opposizione che lo stesso aveva proposto nei confronti del verbale di contravvenzione stradale elevato ai suoi danni dalla Polizia Stradale per eccesso di velocità nel 2015, lamentando, tra l’altro, l’irregolare e insufficiente segnalazione, anche notturna e con segnali luminosi, della postazione elettronica di accertamento utilizzata per il relativo accertamento.
Il tribunale, in particolare, dopo aver evidenziato come la Polizia Stradale avesse accertato ed attestato nello stesso verbale di contravvenzione “l’esistenza della segnalazione a norma di legge” e “della collocazione della postazione di controllo della velocità con adeguata e visibile segnalazione verticale, apposta con nulla osta del/’Anas”, ha ritenuto che tale attestazione faceva piena prova fino a querela di falso ed era, comunque, “ulteriormente confortata” in giudizio dalla documentazione prodotta dal Comune sin dal primo grado. Peraltro, ha aggiunto il tribunale, i segnali, come stabilito dalla circolare ministeriale del 14/8/2009, devono essere percepibili e leggibili di notte come di giorno e la loro visibilità notturna può essere assicurata con dispositivi di illuminazione propria per trasparenza oppure, come è accaduto nel caso in esame, con un dispositivo di “segnalazione per rifrangenza”.
L.P.L., con ricorso notificato (lunedì) 23/11/2020, ha chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza.
Il Comune di Paupisi ha resistito con controricorso e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La sentenza impugnata, che non risulta notificata, è stata depositata in data 19/2/2020. Il ricorso per cassazione, in quanto notificato su istanza del 23/11/2020, risulta, pertanto, proposto nel termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art. 327 c.p.c., comma 1, nel testo attualmente in vigore, trattandosi di processo introdotto in data successiva al 4/7/2009), a fronte tanto della sospensione tra il 9 marzo 2020 el’11 maggio 2020, pari a sessantatre’ giorni, (prevista dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, conv. con L. n. 27 del 2020, e del D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, conv. con L. n. 40 del 2020), quanto della sospensione dal 1 agosto 2020 al 31 agosto 2020, pari a trentuno giorni (L. n. 742 del 1969, art. 1 nel testo applicabile ai sensi del D.L. n. 132 del 2014, art. 16, commi 1 e 3, conv. con modif. dalla L. n. 162 del 2014, trattandosi di sentenza depositata in data successiva al 1 agosto 2015: cfr. Cass. n. 20866 del 2017; Cass. n. 30053 del 2020), ed e’, in definitiva, considerato che il 22/11/2020 è stata domenica, tempestivo.
2. Con l’unico motivo che ha articolato, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 168 del 2002, art. 4, commi 2 e 4, che ha convertito il D.L. n. 121 del 2002, e della connessa circolare del 21/7/2017, nonché del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 79, commi 5 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha rigettato l’appello che lo stesso aveva proposto avverso la sentenza di rigetto della sua opposizione al verbale di contestazione elevato ai suoi danni dalla Polizia stradale senza, tuttavia, considerare che l’opponente aveva lamentato non l’assenza della segnalazione ma, più precisamente, la mancanza di una segnalazione adeguatamente visibile durante le ore notturne, trattandosi di un accertamento avvenuto alle ore 2,34 del 16/9/2015, ovvero di una segnaletica illuminata durante la notte e collocata ad una distanza tale da consentire al conducente di essere edotto dello stesso con congruo anticipo rispetto al suo passaggio nell’area di operatività dell’apparecchio in questione. Del resto, la circolare ministeriale del 21/7/2017, sopravvenuta nel corso del giudizio e sostitutiva di quella citata dal tribunale, ha stabilito che le postazioni fisse per il rilevamento elettronico della velocità devono essere visibili durante le ore notturne e 4precedere l’apparecchio di almeno 250 metri fino ad un massimo di quattro chilometri. La segnaletica esistente sul luogo, invece, ha osservato il ricorrente, almeno al momento della contestazione, era costituita, come si evince dalle fotografie prodotte dal Comune, da un mero cartello stradale, con la scritta bianca “controllo elettronico della velocità” su sfondo azzurro, indubbiamente non rinfrangente, né illuminato durante le ore di buio, e posto a poche decine di metri dall’apparecchio di rilevamento elettronico della velocità.
3. Il motivo è manifestamente infondato. Nel giudizio di opposizione ad una sanzione amministrativa, infatti, è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti (Cass. SU n. 17355 del 2009), pur quando si deducano errori od omissioni di natura percettiva da parte dello stesso pubblico ufficiale (Cass. n. 3705 del 2013). In effetti, l’efficacia probatoria del verbale deriva dall’art. 2700 c.c., che attribuisce all’atto pubblico l’efficacia di piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Tale efficacia concerne tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alla violazione menzionati nell’atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l’obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive e oggettive dell’accertamento, giacché egli deve dare conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l’attestazione. La questione relativa all’ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione non va, conseguentemente, esaminata con riferimento alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall’accertamento, quali l’identificazione dell’autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell’elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l’atto non è suscettibile la fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra numero di targa e tipo di veicolo al quale questa è attribuita). Ogni diversa contestazione, ivi comprese quelle relative alla mancata particolareggiata esposizione delle circostanze dell’accertamento od alla non idoneità di essa a conferire certezza ai fatti attestati nel verbale, dev’essere, invece, svolta nel procedimento di querela di falso, che consente di accertare senza preclusione di alcun mezzo di prova qualsiasi alterazione nell’atto pubblico, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti o del loro effettivo svolgersi ed il cui esercizio è imposto, oltre che dalla già menzionata tutela della certezza dell’attività amministrativa, anche dall’interesse pubblico alla verifica in sede giurisdizionale della correttezza dell’operato del pubblico ufficiale che ha redatto.
4. La sentenza impugnata, pertanto, lì dove ha ritenuto che le censure relative alla esistenza di una segnaletica visibile anche di notte, così come rappresentata nel verbale di contestazione della corrispondente violazione del codice della strada, non erano ammissibili nel giudizio di opposizione proposto avverso tale verbale (che aveva accertato ed attestato “l’esistenza della segnalazione a norma di legge”, vale a dire di un dispositivo di “segnalazione per rifrangenza”) se non a seguito della proposizione di querela di falso, si e’, in sostanza, adeguata al predetto principio e si sottrae, in definitiva, alle censure svolte dal ricorrente.
5. La sentenza, del resto, con statuizione rimasta incensurata, ha rilevato come l’attestazione contenuta nel verbale di contestazione risultava, comunque, “ulteriormente confortata” dalla documentazione prodotta in giudizio dal Comune sin dal primo grado.
6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 18 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022