LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17207/2015 R.G. proposto da:
M.P., in proprio e nella qualità di legale rappresentante di Fratelli M. di M.P., A., G. s.n.c., rappresentato e difeso dall’Avv. G. Astorino, con domicilio eletto in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, n. 118, presso lo studio dell’Avv. Edoardo Albanese Ginammi;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 1025/01/14 depositata il 23 maggio 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre 2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.
RILEVATO
che:
a seguito di un processo verbale della Guardia di finanza, che faceva proprie le conclusioni di un processo verbale dell’Ispettorato del lavoro di Cosenza secondo cui Fratelli M. di M.P., A., G. s.n.c., esercente l’attività di panetteria, nell’anno 2004, avrebbe assunto “in nero” tre lavoratori ( Ma.Pi., F.M. e G.G.), corrispondendo loro retribuzioni per complessivi Euro 29.000,00, l’Agenzia delle entrate notificò: a) a Fratelli M. di M.P., A., G. s.n.c., un avviso di accertamento, per l’anno 2004, con il quale, sulla base dell’incidenza percentuale (pari al 15%) del costo del lavoro dichiarato sui ricavi dichiarati, accertava ricavi non dichiarati per Euro 193.333,00 (29.000,00: 15 = 1.933,33 x 100 = 193.333,00), con i corrispondenti maggiori reddito d’impresa, da imputare ai soci, IVA e IRAP; b) ai tre soci M.P., M.A. e M.G., altrettanti avvisi di accertamento, sempre per l’anno 2004, con i quali imputava loro, in proporzione alla rispettiva quota di partecipazione agli utili, il maggior reddito accertato in capo alla società;
Fratelli M. di M.P., A., G. s.n.c., M.P., M.A. e M.G. impugnarono separatamente gli avvisi di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Cosenza che, riuniti i ricorsi dei contribuenti, li accolse;
avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Calabria (hinc anche: “CTR”), la quale: a) preso atto che M.A. e M.G. avevano definito la propria lite ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39 convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, dichiarò cessata la relativa materia del contendere; b) accolse, nel resto, l’appello;
tale accoglimento si basava sulla motivazione che: a) “(p)reliminarmente, è da rigettare la sollevata questione del giudicato esterno con riferimento alla sentenza n. 268/078 del giudice del lavoro del tribunale di Cosenza. In effetti al fine di evitare un eccessivo restringimento del potere discrezionale del giudice chiamato a risolvere una questione analoga a quella precedentemente esaminata da altro magistrato, la Cassazione ha precisato che il giudicato relativo ad un periodo d’imposta è idoneo a “fare stato” per i successivi anni non in via generalizzata. I Giudici di legittimità, confermando un orientamento consolidato (Sez. Un., Sentenza n. 13916 del 16/06/2006), hanno stabilito che il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato tributario può operare solo rispetto a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. Quando invece il rapporto tributario postula l’accertamento di presupposti di fatto potenzialmente mutevoli, il Giudice non può tenere conto del giudicato formatosi precedentemente. Quanto poi al rapporto tra giudizio civile e giudizio tributario, questa Commissione non condivide la tesi della società appellante che ne ipotizza un’automatica rilevanza. La motivazione data dal Giudice del lavoro nella sentenza n. 268/98 “nel caso di specie l’INPS non ha fornito alcuna indicazione in merito ai fatti posti a fondamento del credito contributivo portato in cartella”, prevede il difetto della prova “evidente” “quale conditio sine qua non” ai fini dell’accoglimento dell’opposizione. Il giudice Tributario, pur esaminando gli elementi acquisiti in sede civile, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione”; b) “(a)ppare opportuno esaminare congiuntamente, stante la loro conseguenzialità logica, i motivi di doglianza dei due appellanti. Vi è innanzitutto da chiarire che l’accertamento impugnato fa espresso riferimento al processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di San Giovanni in Fiore il 3 aprile 2007, dal quale si evincono le violazioni fiscali scaturenti dai registri contabili. Occorre altresì chiarire che la verifica effettuata è stata “garzale” e l’indagine si è limitata al riscontro di singoli atti di gestione aziendale ai fini dell’IVA, delle Imposte Dirette e di altri tributi. Posto che nel processo verbale di constatazione in esame vengono descritte e documentate le violazioni rilevate presso i contribuenti al termine di una verifica fiscale effettuata presso la società nell’anno 2007 e non rappresenta una prosecuzione del verbale degli ispettori del lavoro fatto nell’anno 2005, non è da escludere che detto PVC della Guardia di Finanza contenga autonomi e sufficienti elementi per la determinazione dell’imponibile e dell’imposta evasa. Dall’analisi della motivazione del processo verbale di constatazione deriva che nel periodo di imposta in esame vi sono state violazioni formali consistenti nella irregolare tenuta delle scritture contabili e violazioni sostanziali relative alle dichiarazioni IVA e IRAP. Ma vi è di più, al foglio n. 13 del PVC è riportato “agli effetti dell’IVA e delle imposte dirette (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 7 richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33) non si procede al ritiro di alcuna documentazione avendo, la parte, riconosciuto che i rilievi mossi sono fondati sulle risultanze delle scritture contabili e dei documenti legittimamente acquisite dai verbalizzanti nonché su dichiarazioni rese da terzi”. Nella concreta fattispecie, peraltro, gli elementi posti a base dell’accertamento sono stati ritualmente portati a conoscenza della società contribuente attraverso la notifica del verbale di constatazione formato in contraddittorio con la stessa (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6), senza che tale circostanza sia stata da quest’ultima confutata, fornendo la prova contraria che quanto asserito dall’Amministrazione non attestasse la realtà effettiva (art. 2729 c.c., comma 2). Nella specifica ipotesi sottoposta al giudizio di questa Commissione, i giudici di prima istanza non hanno tenuto in considerazione l’operato dell’ufficio che ha effettuato l’accertamento sulla base di indici legislativamente previsti atteso che la ricostruzione dei costi non poteva, peraltro, essere affidata alle risultanze di una contabilità irregolare dove si sono evidenziati: “irregolare tenuta delle scritture contabili, dei documenti e dei registri previsti dalle leggi in materia di imposte sui redditi ed IVA”. Il metodo di accertamento usato nel caso che ci occupa consente, a fronte di circostanze ed elementi certi, che evidenziano un reddito complessivo superiore a quello dichiarato o ricostruibile su base analitica, la rideterminazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione a presunzioni gravi, precise e concordanti. Pertanto, i contribuenti non avendo fornito prove idonee che giustificano i rilievi operati dalla Guardia di Finanza nel processo verbale di constatazione, quest(i) devono ritenersi fondati, sicché legittimamente l’ufficio deve provvedere a recuperare a tassazione l’imposta non versata. Questa Commissione ha avuto modo di valutare la sussistenza ed il fondamento delle ragioni esposte dall’appellante in quanto i resistenti appellati non hanno provato i loro assunti mediante il deposito di registri societari, e altra documentazione da raffrontare con i dati già in possesso, per l’emissione di una pronuncia di conferma della sentenza appellata. Gli stessi hanno fondato la loro difesa riportandosi soprattutto alle motivazioni della sentenza emess(a) dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Cosenza”;
avverso tale pronuncia – depositata in segreteria il 23 maggio 2014 e non notificata – ricorre per cassazione M.P., in proprio e nella qualità di legale rappresentante di Fratelli M. di M.P., A., G. s.n.c., che affida il proprio ricorso, notificato l’8/15 luglio 2015, a sette motivi;
L’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, resiste con controricorso, notificato il 3/8 settembre 2015.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 1, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 in considerazione della “inesistenza giuridica dell’atto impositivo ovvero (del)la nullità del medesimo”, in quanto, a seguito di Corte Cost., sentenza n. 37 del 2015, gli avvisi di accertamento impugnati risulterebbero sottoscritti in “carenza del potere dirigenziale del delegante e/o di chi ha sottoscritto” gli stessi;
con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per avere la CTR negato l’efficacia vincolante del giudicato esterno della sentenza del Tribunale di Cosenza n. 268/08 (depositata insieme con il ricorso come allegato 4), la quale – nel giudizio di opposizione contro la cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo dei contributi previdenziali non versati in relazione all’assunzione “in nero” di tre lavoratori, con corresponsione di retribuzioni per complessivi Euro 29.000,00, intercorso tra M.P. (ricorrente) e INPS ed ETR Esazione Tributi s.p.a. (resistenti) – aveva annullato la cartella di pagamento in quanto “l’INPS non (aveva) fornito alcuna indicazione in merito ai fatti posti a fondamento del credito contributivo portato in cartella”;
con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., “per non essersi la CTR pronunciata sulle eccepite violazioni da parte degli Ispettori del Lavoro delle disposizioni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12 e del D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 17”;
con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112 e 115 c.p.c., “per non essersi la CTR pronunciata sulla eccezione per la quale alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà a firma dei sigg.ri Ma.Pi., F.M. e G.G., regolarmente prodotte in giudizio e non contestate, doveva essere riconosciuto rango di prova” circa la “non effettuazione di lavoro a nero, il tempo, la durata dell’attività lavorativa prestata e le somme da questi percepite”;
con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e ovvero per non avere la CTR preso in esame le dichiarazioni a firma dei sigg.ri Ma.Pi., F.M. e G.G. e per avere la CTR indicato gli elementi di cui ha tratto il proprio convincimento senza compiere alcuna approfondita disamina logica”;
con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e ovvero per omesso esame del PVC della GG di FF di San Giovanni in Fiore posto a fondamento dell’accertamento e per avere la CTR indicato gli elementi di cui ha tratto il proprio convincimento senza compiere alcuna approfondita disamina logica”, stante il fatto che, come risultava dal suddetto processo verbale della Guardia di finanza, esso si basava sulle conclusioni cui erano giunti gli ispettori del lavoro;
con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 in quanto posto che “le irregolarità formali e sostanziali che l’Agenzia delle Entrate ha contestato per giustificare il ricorso all’accertamento induttivo sono state determinate solo ed esclusivamente dalla sostenuta mancata annotazione di retribuzioni a nero” – “non essendo stata provata tale circostanza” (giacché “le dichiarazioni raccolte dalla Guardia di Finanza “assumono valore probatorio di elementi indiziari i quali, da soli, (…) non sono sufficienti a costituire prova, in quanto, non essendo coniugati con altri elementi, non rivestono i caratteri di gravità, precisione e concordanza””), “o, se si vuole, essendo stata data la prova dell’infondatezza di tale assunto” (“per come dichiarato dai sigg.ri Ma.Pi., F.M. e G.G. con gli atti di notorietà a loro firma”), “deve affermarsi la non ricorrenza dei presupposti giustificanti l’accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1”;
il primo motivo è inammissibile;
le forme di invalidità degli atti tributari, anche ove indicate dal legislatore con il nomen di nullità, non sono denunciabili in ogni stato e grado del processo e non possono, quindi, essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione (tra le tante, Cass., 09/11/2015, n. 22810);
tale principio è riferibile anche all’ipotesi – che viene qui in rilievo – della nullità dell’avviso di accertamento per essere stato sottoscritto da un soggetto diverso da quelli indicati nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1 (Cass., 24/06/2016, n. 13126, 14/09/2021, n. 24669), per la quale, del resto, vale anche l’espressa previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 61, comma 2 (secondo cui “(l)a nullità dell’accertamento ai sensi dell’art. 42, comma 3 (..) deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado”);
poiché nella specie è lo stesso ricorrente ad affermare di avere prospettato l’eccezione “per la prima volta con il presente ricorso”, ogni indagine al riguardo e’, per quanto detto, ormai preclusa;
il secondo motivo non è fondato;
l’efficacia vincolante del giudicato “esterno” presuppone necessariamente l’identità, oltre che del petitum e della causa petendi, anche delle parti dei due giudizi (Cass., 25/06/2018, n. 16688, 15/07/2020, n. 15026);
nella specie, a prescindere dall’asserita comunanza di questioni controverse, tra il giudizio in cui si è formato il giudicato e quello in esame non vi è identità di parti;
infatti, al giudizio in cui si è formato il giudicato avevano partecipato, oltre a Pietro M., l’INPS, ente titolare del credito, ed ETR Esazione Tributi s.p.a., ente che esercitava lo stesso credito dell’INPS, ma non aveva partecipato l’Agenzia delle entrate;
ne consegue che l’esito del suddetto giudizio si deve considerare intervenuto inter alios e, quindi, inopponibile all’Agenzia delle entrate; il terzo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza;
quando la censura attiene all’omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si sia resa necessaria e ineludibile, e, dall’altro lato, o che tali istanze siano puntualmente trascritte nel ricorso per cassazione o che, alternativamente, sia allegato allo stesso ricorso l’atto nel quale le stesse istanze sono state formulate, con indicazione del punto di tale atto al quale ci si riferisce;
nel caso di specie il ricorso è sommamente carente in quanto il ricorrente si limita a trascrivere, nelle parti ritenute rilevanti, le “eccezioni riproposte in sede di appello”, senza tuttavia provvedere a trascrivere o, in alternativa, allegare in copia al ricorso, i ricorsi introduttivi dei giudizi, indicando il luogo in cui le suddette eccezioni sarebbero state ritualmente e inequivocabilmente prospettate sin dal giudizio di primo grado;
inoltre, neppure dalla lettura delle “eccezioni riproposte in sede di appello” risulta alcun riferimento al vizio di violazione del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, art. 17 in ordine al quale la CTR, secondo il ricorrente, avrebbe omesso di pronunciarsi;
da ciò consegue l’inammissibilità del motivo;
il quarto motivo non è fondato;
al riguardo, occorre precisare che: a) il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., deve avere a oggetto una domanda o un’eccezione, autonomamente apprezzabili, rivolte al giudice di merito, e non concerne l’omessa pronuncia circa la (auspicata) valenza probatoria di documenti addotti a sostegno di tale domanda o eccezione; b) il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, e il correlativo onere di contestazione, riguardano i fatti storici sottesi alle domande o alle eccezioni e non i documenti prodotti al fine di provare tali fatti, né la valenza probatoria degli stessi documenti, la cui valutazione è riservata al giudice (Cass., 21/06/2016, n. 12748, 05/03/2020, n. 6172);
da ciò discende l’infondatezza del motivo atteso che, con esso, il ricorrente, nel denunciare la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. (oltre che, genericamente, dell’art. 111 Cost.), non ha in effetti contestato né l’omessa pronuncia su una domanda o un’eccezione (secondo il paradigma proprio della denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c.), né la lesione del principio di non contestazione con riguardo a fatti storici sottesi a domande o eccezioni (secondo il paradigma proprio della denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c.), bensì, del tutto al di fuori dei predetti paradigmi, la mancata pronuncia in ordine alla valenza probatoria da attribuire ai documenti costituiti dalle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sottoscritte dai tre lavoratori che sarebbero stati assunti “in nero” e la non contestazione degli stessi documenti;
il quinto e il sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente;
essi sono fondati, nei termini che seguono;
Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054, hanno chiarito che dell’art. 360 c.p.c., comma 1, il “nuovo” n. 5) come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e che, pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (nello stesso senso, successivamente, tra le tante, Cass., 27/11/2014, n. 25216, 11/04/2017, n. 9253, 29/10/2018, n. 27415);
nella specie, il ricorrente, lamenta l’omesso esame, da un lato (quinto motivo), di elementi istruttori (“le dichiarazioni a firma dei sigg.ri Ma.Pi., F.M. e G.G.”) e, dall’altro lato (sesto motivo), di un atto del procedimento (il “PVC della GG di FF di San Giovanni in Fiore”), con riguardo a un fatto storico, l’assunzione “in nero” di tre lavoratori, con la corresponsione della correlativa retribuzione, che, pur costituendo il fondamento degli avvisi di accertamento impugnati – i quali erano basati, come si è visto nella parte in fatto, proprio sull’incidenza dell’impiego della menzionata manodopera sui ricavi conseguiti – ed essendo, perciò, decisivo, non è stato preso in considerazione in nessun passaggio della motivazione della sentenza impugnata;
da ciò consegue la fondatezza, nei termini indicati, dei due motivi; l’esame del settimo motivo resta assorbito dall’accoglimento del quinto e del sesto motivo;
pertanto, il primo e il terzo motivo devono essere dichiarati inammissibili, il secondo e il quarto motivo devono essere rigettati e il quinto e il sesto motivo devono essere accolti, assorbito il settimo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione agli accolti quinto e sesto motivo, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, perché provveda, in particolare, a esaminare il fatto decisivo dell’assunzione (o no) “in nero” dei tre lavoratori, con la corresponsione della correlativa retribuzione, nonché alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
dichiara inammissibili il primo e il terzo motivo, rigetta il secondo e il quarto motivo, accoglie il quinto e il sesto motivo e dichiara assorbito il settimo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione agli accolti quinto e sesto motivo e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022