LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17361/2015 R.G. proposto da:
F.M., rappresentata e difeso dall’Avv. Gianpaolo Alice, dall’Avv. Domenico Morabito e dall’Avv. Cinzia De Micheli, con domicilio eletto in Roma, via Tacito, n. 23, presso lo studio di quest’ultima;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, con sede in *****, in persona del Direttore pro tempore;
Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, in persona del Direttore pro tempore;
Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, Ufficio controlli, in persona del Direttore pro tempore;
Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, Ufficio territoriale *****, in persona del Direttore pro tempore;
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore;
– resistenti –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 40/1/15 depositata il 14 gennaio 2015.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17 dicembre 2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.
RILEVATO
che:
a seguito di una verifica nei confronti dell’Agriturismo Il Ciliegio Azienda Agricola Individuale F.M.”, l’INPS notificò a F.M., nella qualità di titolare, un processo verbale dal quale risultava che, alla luce dell’esame della fatturazione delle operazioni, l’attività di ristorazione esercitata non poteva considerarsi come agrituristica, in quanto i prodotti somministrati alla clientela provenivano esclusivamente da imprese di distribuzione alimentare, né l’azienda era stata in grado di dimostrare i cosiddetti “passaggi interni” dei prodotti aziendali;
a seguito di detto processo verbale dell’INPS, l’Agenzia delle entrate notificò a F.M. due avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta 2005 e 2006, con i quali, qualificata l’attività come di ristorazione e il relativo reddito come reddito d’impresa – dopo avere constatato l’antieconomicità della stessa attività (stante le perdite di Euro 4.007,00 ed Euro 2381,00 dichiarate, rispettivamente, nel 2005 e nel 2006), nonché la mancata corrispondenza degli importi dei “Costi per l’acquisto di materie prime, sussidiarie, semilavorati e merci”, di cui al rigo RG13, con quanto dichiarato ai fini dell’IVA, la mancata indicazione, nel quadro RG relativo al 2005, delle “Esistenze iniziali” e delle “Rimanenze finali”, e la mancata corrispondenza tra le “spese per lavoro dipendente e assimilato e per lavoro autonomo”, di cui al rigo RG14, con i dati rilevabili dai modelli 770/2006 e 770/2007 – ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, accertò maggiori ricavi per Euro 27.647,00 per il 2005 ed Euro 36.161,00 per il 2006, con i conseguenti maggiori reddito d’impresa, valore della produzione netta e corrispettivi, e con le correlative maggiori IRPEF, IRAP e IVA, oltre agli interessi e alle sanzioni;
i maggiori ricavi furono determinati applicando al costo del venduto l’indice di ricarico minimo (dell’1,97 per il 2005 e del 2,06 per il 2006) rilevato dagli studi di settore quale percentuale di ricarico mediamente applicata nel settore per l’attività di ristorazione;
F.M. impugnò separatamente i due avvisi di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Vercelli (hinc anche: “CTP”), che rigettò i due ricorsi della contribuente;
avverso tali pronunce, F.M. propose appelli alla Commissione tributaria regionale del Piemonte (hinc anche: “CTR”) che, riuniti i due ricorsi, li rigettò;
avverso tale decisione – depositata in segreteria il 14 gennaio 2015 e non notificata – ricorre per cassazione F.M., che affida il proprio ricorso, notificato il 9/10 luglio 2015, a cinque motivi;
l’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, ha depositato una “nota” con la quale si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione orale;
l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, Ufficio controlli, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, Ufficio territoriale *****, e il Ministero dell’economia e delle finanze non si sono costituiti;
F.M. ha depositato una memoria.
CONSIDERATO
che:
preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, poiché privo di legittimazione passiva in quanto il procedimento è stato introdotto successivamente al 1 gennaio 2001, giorno in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, alla quale, per i procedimenti introdotti dopo detta data, spetta in via esclusiva la legittimazione ad causam e ad processum (per tutte, Cass., Sez. U, 14/02/2006, n. 3118);
con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata “per mancanza di motivazione”, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4), “anche in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, con particolare riferimento al “giudizio di inaffidabilità della contabilità” e ai requisiti di gravità, precisione e concordanza delle richiamate presunzioni semplici”, “non essendovi possibilità di individuare la ratio decidendi”, atteso che la CTR, in particolare: a) “(n)on ha in alcun modo considerato gli aspetti dell’accertamento in materia di IVA”; b) “(n)on ha declinato le carenze documentali e i meccanismi presuntivi legittimi (ed i loro presupposti) idonei a fondare il procedimento di accertamento dichiarato”; c) “(n)on ha considerato in concreto gli elementi contrari opposti dalla Ricorrente se non genericamente dichiarando non assolto l’onere invertito della prova”; d) “(h)a richiamato le medie di settore in modo del tutto generico dichiarandone, senza giustificazione alcuna, la piena applicabilità”; e) “(n)on ha considerato in alcun modo il tema della sottoscrizione degli avvisi impugnati”;
con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, per non avere la CTR affermato la nullità degli avvisi di accertamento impugnati nonostante l’Agenzia delle entrate non avesse fornito la prova che il soggetto che, su delega del direttore dell’ufficio, li aveva sottoscritti, apparteneva alla carriera direttiva;
con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, per non avere la CTR affermato la nullità degli avvisi di accertamento “nel caso di omesso contraddittorio preventivo pur in situazione di verifica c.d. “a tavolino” ed in caso di mancata prova delle situazioni di particolare e motivata urgenza legittimanti la notificazione di avviso di accertamento in violazione del termine dilatorio disposto a tutela del contraddittorio”;
con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la CTR, interpretando erroneamente tali norme, applicato le stesse a delle fattispecie concrete non effettivamente ascrivibili alla fattispecie astratta, atteso, in particolare, che “il fatto certo (e noto) viene identificato in una serie di valutazioni contabili e il fatto ignoto viene estratto attraverso l’utilizzo di percentuali medie di settore” – sicché “(s)otto tale profilo la Sentenza in realtà elimina il “fatto noto” dai presupposti normativi dell’invocato procedimento di accertamento” – e che “(l)a Sentenza ha poi omesso di considerare che il fatto noto costituito dalla qualificazione di attività di ristorazione, discende da un fatto pacificamente smentito: la esistenza esclusiva di fatture di acquisto di prodotti da terzi distributori”;
con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti”, per avere la CTR omesso di esaminare i fatti decisivi, idonei a smentire la provenienza esclusiva dei prodotti somministrati alla clientela da imprese di distribuzione alimentare, risultanti, in particolare, dalla consulenza tecnica di parte elaborata nell’ambito del procedimento penale per il reato di cui all’art. 515 c.p., nonché dalla sentenza penale, passata in giudicato, di assoluzione da tale reato;
il primo motivo non è fondato;
le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che “(l)a riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054);
Cass., Sez. U., n. 8053 e n. 8054 del 2014 hanno pure statuito che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”;
le Sezioni unite hanno altresì successivamente precisato che “(l)a motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U, 03/11/2016, n. 22232);
la CTR: a) ha implicitamente considerato anche “gli aspetti dell’accertamento in materia di IVA” – che la ricorrente, peraltro, omette di indicare – atteso che “l’accertamento in materia di IVA” si fondava, in tutta evidenza, sugli stessi presupposti di quello concernente l’IRPEF, assumendo come maggiori corrispettivi, ai fini dell’IVA, i maggiori ricavi accertabili ai fini delle imposte dirette; b) ha indicato i presupposti legittimanti l’accertamento cosiddetto analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), individuandoli, da un lato, “nei fatti accertati dall’INPS” – in particolare, “circa l’assenza di fatture relative a forniture provenienti dall’azienda agricola della contribuente, che per contro risultavano fatture di generi alimentari di provenienza dalla comune distribuzione alimentare” – e, dall’altro lato, nelle “ulteriori irregolarità contabili”, costituite dalle irregolarità esposte nella motivazione degli avvisi di accertamento e, segnatamente, “(dal)la palese incongruenza dei dati esposti nella dichiarazione dei redditi rispetto ai dati IVA, (dal)la mancata indicazione delle rimanenze finali ed iniziali, (dal)l’assenza di fatture attestanti la fornitura dell’azienda agricola”; c) ha considerato gli “elementi contrari opposti dalla Ricorrente”, in particolare, la “sentenza penale resa nel procedimento avviato a seguito dell’accertamento INPS per il reato di cui all’art. 515 c.p.,” e la “relazione tecnica prodotta in tale giudizio e diretta ad accertare la sussistenza dei requisiti per l’attività di agriturismo”, ritenendo che “(s)ul piano tributario assume invece rilevanza che non vi sia traccia documentale del c.d. passaggio interno dei prodotti da somministrare che unitamente ad altre irregolarità contabili ha portato all’emissione di un avviso di accertamento induttivo emesso ricorrendo i presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39”; d) ha affermato l’applicabilità, in via presuntiva, della percentuale (minima) di ricarico risultante dagli studi di settore per l’attività di ristorazione in ragione della “presenza di sole fatture di acquisto dalla normale distribuzione alimentare”, mancando “fatture di acquisto dall’attività agricola”, e salva la prova contraria da parte della contribuente; e) ha considerato “il tema della sottoscrizione degli avvisi impugnati”, motivando al riguardo che “l’allegazione da parte dell’Ufficio documenta il potere di firma del sottoscrittore degli avvisi di accertamento per delega da parte del Direttore dell’ufficio”;
pertanto, la sentenza impugnata non presenta le sopra indicate gravi anomalie argomentative, essendo la sua motivazione chiaramente al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass., n. 8053 e n. 8054 del 2014);
il secondo motivo è fondato, nei termini che seguono;
pronunciandosi nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., questa Corte (Cass., 09/11/2015, n. 2280) ha affermato i principi che: a) in materia di imposte sui redditi e di IVA, l’avviso di accertamento, a norma, rispettivamente, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, (il quale art. 56, nel rinviare alla disciplina delle imposte sui redditi, richiama implicitamente anche il citato art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto “agenzie fiscali” applicabile ratione temporis, da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente; b) ove il contribuente contesti, anche in forma generica, la legittimazione del funzionario che ha sottoscritto l’avviso di accertamento, l’amministrazione finanziaria, in ragione dell’immediato e facile accesso ai propri dati, ha l’onere di provare il possesso dei requisiti soggettivi indicati dalla legge, sia del delegante sia del delegato, nonché l’esistenza della delega;
successivamente, si è ribadito che, in materia di imposte sui redditi, l’avviso di accertamento, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, incombendo sull’amministrazione finanziaria dimostrare, in tale ultima evenienza e in caso di contestazione, l’esistenza della delega e l’appartenenza dell’impiegato delegato alla carriera direttiva (Cass., 12/05/2016, n. 9736);
come evidenziato nel ricorso (cui sono allegati gli atti difensivi delle fasi di merito), la ricorrente – che già nei ricorsi introduttivi aveva dedotto la nullità degli avvisi di accertamento per difetto di valida sottoscrizione da parte di un soggetto legittimato -, nei ricorsi in appello, aveva eccepito che: a) “(l)’Ufficio ha solo affermato nelle sue Controdeduzioni, con allegazione di copia dell’Ordine di servizio, che “la delega da parte del Dirigente (ndr. Il direttore provinciale dell’Agenzia) era pienamente sussistente in capo al funzionario delegatario” senza specificare gli altri requisti di cui al disposto di legge e che il funzionario delegato apparteneva alla carriera direttiva ai sensi il D.P.R. n. 600 del 1973, (dell’art. 42), comma 1,” (ricorso in appello nel processo relativo all’avviso di accertamento per l’anno 2005, pag. 16); b) “”(l)a delega rilasciata dal Direttore Provinciale di ***** al Dott. B.F., all’epoca dei fatti Capo Area Accertamento, a conferma di come lo stesso fosse titolare del potere di sottoscrizione degli atti”, senza specificare gli altri requisiti di cui al disposto di legge e cioè che il funzionario delegato apparteneva o meno alla carriera direttiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, (dell’art. 42), comma 1,” (ricorso in appello nel processo relativo all’avviso di accertamento per l’anno 2006, pag. 15);
la CTR, al fine di superare tali eccezioni della ricorrente, si è limitata ad affermare l’esistenza di una delega, da parte capo dell’ufficio, all’impiegato che sottoscrisse gli atti (“l’allegazione da parte dell’Ufficio documenta il potere di firma del sottoscrittore degli avvisi di accertamento per delega da parte del Direttore dell’ufficio”);
le stesse citate eccezioni ponevano, tuttavia, un ulteriore decisivo tema di indagine, che richiedeva un esame nel merito, vale a dire la verifica dell’appartenenza alla carriera direttiva dell’impiegato delegato a sottoscrivere gli avvisi di accertamento, esame che non è consentito condurre in questa sede di legittimità (Cass., 02/12/2015, n. 24492, n. 9736 del 2016);
la sentenza impugnata va perciò cassata con rinvio, affinché si proceda a un nuovo esame della questione preliminare, sollevata dalla contribuente, in ordine alla dimostrazione dell’appartenenza alla carriera direttiva dell’impiegato delegato a sottoscrivere gli avvisi di accertamento impugnati;
l’esame del terzo, del quarto e del quinto motivo resta conseguentemente assorbito.
pertanto: il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze deve essere dichiarato inammissibile; quanto al ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, il primo motivo deve essere rigettato e il secondo motivo deve essere accolto, assorbiti il terzo, il quarto e il quinto motivo; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accolto secondo motivo, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, perché provveda anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; con riguardo al ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, accoglie il secondo motivo, rigettato il primo motivo e assorbiti il terzo, il quarto e il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto secondo motivo e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022