È inammissibile il deferimento del giuramento decisorio ove la formulazione delle circostanze non porti, in caso di ammissione dei fatti rappresentati, automaticamente all’accoglimento della domanda ma richieda una valutazione di tali fatti da parte del giudice di merito.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6817/2017 R.G. proposto da:
Z.A., e Z.A., rappresentati e difesi dall’Avv. Vincenzo Caponnetto, del foro di Agrigento, con domicilio eletto in Roma, via Etruria n. 44, presso lo studio dell’Avv. Angelisa Castronovo;
– ricorrenti –
contro
ACER FERRARA – AZIENDA CASA EMILIA-ROMAGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Paola Ramadori, e Benito Magagna, del foro di Roma e con domicilio eletto in Roma, via Marcello Prestinari n. 13, presso lo studio dei difensori;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1882 depositata il- 20 ottobre 2016.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:
– Z.A., in qualità di erede di B.E., evocava dinnanzi al Tribunale di Ferrara l’Azienda Casa Emilia Romagna – ACER Ferrara, già Istituto Autonomo Case Popolari (IACP), per sentire riconosciuto in suo favore il subentro nel diritto della de cuius ad ottenere il trasferimento della proprietà dell’immobile sito in *****, mediante la conclusione – del contratto di cessione, come da Delib. 22 ottobre 1985, n. 489, del Consiglio di Amministrazione dello IACP, domanda che, nonostante la presentazione da parte della de cuius di istanza di riscatto del bene e nonostante il versamento del corrispettivo, veniva rigettata con sentenza n. 887 del 1997 per mancanza del necessario requisito della stabile convivenza con la defunta madre richiesto dal D.P.R. n. 1035 del 1972, artt. 2,3 e 12, con condanna dell’attore, in quanto occupante privo di titolo, al rilascio dell’immobile.
Con successivi giudizi, poi riuniti, il medesimo Z.A. evocava l’Azienda Casa Emilia Romagna – ACER Ferrara avanti al Tribunale di Ferrara, proponendo opposizione di terzo avverso la sentenza n. 887 del 1997 e chiedendo una sentenza che tenesse luogo del trasferimento della proprietà dell’immobile, intervenuta nel giudizio quale litisconsorte adesiva la germana Z.A..
Dichiarata inammissibile l’opposizione di terzo con sentenza n. 446 del 2014, il Tribunale adito rigettava anche la domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, con condanna del Z. ai sensi dell’art. 96 c.p.c., a corrispondere ad ACER la somma di Euro 2.000,00 a titolo risarcitorio per aver agito con colpa grave proponendo domande manifestamente infondate;
– sul gravame interposto dai Z. avverso quest’ultima pronuncia, la Corte d’appello di Bologna, nella resistenza dell’ACER Ferrara, con sentenza n. 1882 del 2016, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, revocava la condanna dell’attore al versamento di Euro 2.000,00 a titolo risarcitorio ex art. 96 c.p.c., ritenendo non pretestuosa l’azione intentata dallo Z. in quanto la conclusione del procedimento amministrativo rendeva la madre titolare di un diritto soggettivo alla stipula del contratto di compravendita, non intervenuta in conseguenza di un inadempimento dell’Ente; confermava nel resto la sentenza impugnata e compensava le spese di lite.
A sostegno della decisione, la Corte d’appello, preliminarmente dichiarato inammissibile il giuramento decisorio deferito all’udienza del 26 febbraio 2016, per difetto di rilevanza ai fini del giudizio pendente della circostanza che B.E. avesse presentato nel termine di legge la riconferma della domanda di riscatto già formulata e dell’esistenza nel nucleo familiare Z. – B. dei requisiti reddituali di legge, dichiarava infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta da ACER, quale motivo di appello incidentale, per aver trasferito il 13/06/2005 (rogito notaio M.) al Comune di Comacchio la proprietà e il possesso dell’alloggio ***** per cui è causa, per essere avvenuto l’eventuale acquisto della proprietà in capo alla B. in epoca antecedente a detta cessione, in particolare nell’anno 1985, come da Delib. dello IACP.
Nel merito, escludeva che B.E. fosse divenuta proprietaria dell’immobile, osservando che, concluso il procedimento amministrativo di assegnazione, la cessione degli alloggi popolari non soggiaceva, come sostenuto dagli appellanti, alle regole di diritto privato, ma alle forme prescritte a pena di nullità per i contratti sottoscritti dalla P.A., poste a garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa. Nel caso di specie non si era pervenuti alla stipulazione del contratto, che a pena di nullità avrebbe richiesto la forma scritta con sottoscrizione di un unico documento;
– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Bologna ricorrono i Z. sulla base di sei motivi;
– resiste con controricorso l’Azienda Casa Emilia Romagna – ACER Ferrara, proponendo ricorso incidentale sulla base di due motivi;
– in prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie illustrative.
Atteso che:
– in primo luogo occorre premettere che nel giudizio di cassazione è ammissibile la produzione di documenti non allegati nelle precedenti fasi del giudizio solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità (processuale) del ricorso o del controricorso (così Cass. n. 4415 del 2020), con la conseguenza che va parzialmente disattesa l’eccezione formulata dall’ACER di inammissibilità ex art. 372 c.p.c., della produzione di documenti nuovi nel giudizio di cassazione, con riferimento al certificato di residenza storico, in quanto già prodotto in primo grado, e con riferimento alla sentenza n. 1566/05 del Tribunale di Bologna, non integrando la giurisprudenza documento nuovo.
Va, invece, accolta l’eccezione relativamente agli altri documenti, ossia quanto alla riconferma della domanda di riscatto da parte della madre con promessa di futura vendita, il documento datato 13/05/1985, al certificato di variazione toponomastica e al ricorso in cassazione di B.V. contro ACER Ferrara, che peraltro appaiono anche scarsamente rilevanti ai fini del presente giudizio;
– sempre in via preliminare, quanto all’eccezione di inammissibilità ex art. 345 c.p.c., della produzione documentale in appello, in particolare della Delib. del C.d.A. dell’IACP 11 luglio 1985, n. 292 e della dichiarazione di B.E. dal 3/09/1985, va esaminata unitamente al merito;
– passando all’esame del primo motivo di ricorso principale, i germani Z. deducono ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame del punto 1) del giuramento decisorio riguardante la riconferma da parte della B. della domanda di riscatto dell’alloggio nel termine ultimo del 31 ottobre 1978, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto inammissibile, in quanto irrilevante ai fini della decisione della causa, il deferimento del giuramento decisorio, osservando che il giudizio verteva sulla fase successiva alla Delib. con la quale lo IACP comunicava l’accettazione della domanda e indicava il prezzo di cessione, dando dunque per presupposta l’esistenza dell’oggetto del deferito giuramento. La decisività di tale fatto omesso trova conferma, a detta dei ricorrenti, nella circostanza che la L. n. 457 del 1978, modificando della L. n. 513 del 1977, art. 27, al fine di risolvere i dubbi int*****retativi sul momento in cui può considerarsi concluso il contratto ove manchi la formale stipulazione dell’atto di cessione, proroga al 31 ottobre 1978 il termine per la conferma delle domande di cessione e dispone che il contratto di compravendita si considera concluso nel momento in cui l’ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il prezzo di cessione. E’ intervenuta in seguito la L. n. 136 del 2001, il cui art. 2, comma 3, int*****retando l’art. 27 sopra citato, prevede che in caso di decesso dell’avente titolo al riscatto che abbia presentato domanda nei termini, l’Amministrazione ha l’obbligo di provvedere nei confronti degli eredi disponendo la cessione dell’alloggio, indipendentemente dalla conferma della domanda stessa.
Trattandosi, dunque, a detta dei ricorrenti, di assegnazione di un alloggio con promessa di futura vendita, il contratto di compravendita si perfezionerebbe al momento del pagamento del prezzo attraverso lo scambio delle reciproche volontà, senza la necessità della stipula notarile.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame del punto 2) del giuramento decisorio relativo alla determinazione del reddito del nucleo familiare composto anche da quello dell’odierno ricorrente Z.A., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto inammissibile la prova in quanto rilevante in un diverso giudizio, già definito con sentenza n. 887 del 1997 del Tribunale di Ferrara, confermata in appello con sentenza n. 473/2000. Parte ricorrente asserisce di aver prodotto il certificato di residenza storico dal quale risulterebbe che era residente e convivente con la madre in ***** fino al momento della morte della stessa, il che giustificherebbe il riconoscimento del titolo di legittimo assegnatario dell’alloggio.
I primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione argomentativa, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
In primo luogo, è inammissibile il deferimento del giuramento decisorio ove la formulazione delle circostanze non porti, in caso di ammissione dei fatti rappresentati, automaticamente all’accoglimento della domanda ma richieda una valutazione di tali fatti da parte del giudice di merito (così Cass. n. 39 del 2011).
Nel caso in esame, la Corte d’appello bolognese espressamente afferma la non conferenza dell’oggetto del deferito giuramento, nei due punti in cui si articola, ai fini della decisione della causa, ritenendo non rilevante, in quanto circostanza presupposta, l’avvenuta riconferma nel termine di legge (31 ottobre 1978) della domanda di riscatto, quanto al primo punto, e rilevando, quanto al secondo punto, la non pertinenza all’oggetto della causa pendente, volta al riconoscimento dell’avvenuto trasferimento della proprietà dell’immobile, dell’esistenza dei requisiti reddituali richiesti per l’assegnazione dell’alloggio, oggetto di un diverso giudizio già definito con sentenza passata in giudicato (pagine 2-3 sentenza impugnata).
Manca dunque il carattere della decisorietà in ordine al “thema decidendum” oggetto della controversia che il giuramento deve possedere (così Cass. n. 16216 del 2019).
Al riguardo, deve, poi, ribadirsi l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale l’accertamento, in concreto, della decisorietà della formula adottata rientra nell’apprezzamento di fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esente da vizi logici e giuridici, così come è incensurabile in sede di legittimità il mancato esercizio, da parte del giudice di merito, della facoltà di modificare la formula del giuramento, facoltà peraltro consentita solo per quanto attiene ad aspetti formali della formula stessa, al fine di renderne più chiaro il contenuto (v. Cass. n. 10574 del 2012; Cass. n. 24855 del 2006, Cass. n. 12779 del 2003).
Va osservato, inoltre, che il giuramento decisorio non può vertere sull’esistenza o meno di rapporti o di situazioni giuridiche, né può deferirsi per provocare l’espressione di apprezzamenti od opinioni né, tantomeno, di valutazioni giuridiche, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con i sensi o con l’intelligenza (così Cass. n. 27086 del 2018 e Cass. n. 10184 del 2013).
Nel caso di specie, dopo la statuizione di inammissibilità del giuramento operata dalla Corte d’appello, la riproposizione della questione a mezzo dei primi due motivi di ricorso, rispettivamente riferiti ai due punti del deferito giuramento, sembra volta per lo più a sollecitare una diversa valutazione a fini istruttori delle circostanze ivi dedotte, inammissibile in sede di legittimità.
Nel senso dell’inammissibilità delle prime due censure va, altresì, rilevato che la parte che con il ricorso per cassazione sostenga che il giudice del merito ha errato nel non ammettere il deferimento del giuramento decisorio ha l’onere di indicare, specificatamente, per il principio di specificità e di autosufficienza del ricorso per cassazione, il contenuto della formula del giuramento stesso, onde consentire la valutazione delle questioni da risolvere e della decisività dello stesso (così Cass. n. 4365 del 2015), essendo invece parte ricorrente venuta meno a questo onere.
In secondo luogo, i motivi appaiono infondati nella parte in cui invocano la norma transitoria di cui della L. n. 457 del 1978, art. 52 e la norma int*****retativa di cui della L. n. 136 del 2001, art. 2, comma 3, per asserire l’immediato trasferimento della proprietà senza necessità della stipula notarile.
In tema di cessione in proprietà di alloggi residenziali pubblici, al procedimento attivato con la presentazione della domanda di riscatto che si concluda con l’accettazione e la comunicazione del prezzo da parte dell’amministrazione (determinato ai sensi della L. n. 513 del 1977, art. 28), consegue il riconoscimento definitivo del diritto dell’assegnatario al trasferimento, peraltro suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., della proprietà dell’alloggio. Per effetto della descritta sequenza procedimentale si attua, pertanto, la trasformazione irreversibile del diritto al godimento dell’alloggio assegnato, da locazione semplice, a diritto al trasferimento della proprietà del cespite (così Cass. n. 3280 del 2021).
Qualora, dunque, a seguito della domanda di riscatto vi sia stata, come nel caso in esame, accettazione della stessa e comunicazione del prezzo da parte dell’amministrazione, l’assegnatario in locazione diviene titolare di un diritto soggettivo alla stipula del contratto di compravendita (così Cass. n. 5689 del 2015), non del diritto di proprietà dell’immobile, che verrà acquistato in conseguenza della detta stipula.
Guardando più specificamente alla posizione degli eredi, odierni ricorrenti, si rileva che in tema di trasferimento in proprietà di alloggi di edilizia residenziale pubblica, qualora, dopo l’accettazione da parte dell’ente gestore dell’istanza di cessione e la comunicazione del prezzo indicato, l’assegnatario sia deceduto senza procedere alla stipula del contratto di compravendita, gli eredi dello stesso non acquisiscono a titolo derivativo il diritto alla cessione dell’alloggio, ma sono soltanto esonerati, ai sensi della L. n. 513 del 1977, art. 27, dall’onere di confermare la relativa domanda, atteso che la situazione precedente alla stipula del contratto, richiedente agli effetti della cessione la verifica di determinati requisiti, non è trasmissibile “iure haereditatis” (così Cass., Sez. Un., n. 17623 del 2017 e Cass. n. 204 del 2019).
Ancora, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, tale disciplina non risulta derogata della L. n. 136 del 2001, richiamato art. 2, comma 3, che ha solo ribadito la non necessità di un’espressa conferma della domanda di riscatto da parte degli eredi e l’obbligo dell’amministrazione di provvedere comunque nei loro confronti in ordine alla richiesta cessione, individuando tra di essi chi sia in grado di subentrare nella posizione dell’originario assegnatario riscattante, ma non anche il necessario accoglimento della relativa domanda, a prescindere dalla valutazione di quei requisiti, di parentela e convivenza dell’erede o degli eredi, che, in quanto non espressamente abrogati, non possono ritenersi posti nel nulla da una norma meramente int*****retativa (così Cass., Sez. Un., n. 17623/2017 cit.).
E’ dirimente, dunque, nel senso della non accoglibilità della domanda degli eredi la circostanza, accertata dalla Corte d’appello, con apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che Z.A. non convivesse stabilmente con l’assegnataria dell’alloggio, non essendo sufficiente la qualità di erede per la successione “contrattuale”;
– con il terzo motivo di ricorso principale, i germani Z. deducono la violazione e la falsa applicazione della L. n. 513 del 1977, artt. 27,28 e 29, rilevando che la L. n. 457 del 1978 e la giurisprudenza delle Sezioni Unite espressasi con sentenza n. 11334/2007 sono univoche nel ritenere essenziale il termine del 31 ottobre 1978, stabilito dalla norma transitoria di cui all’art. 52 della citata Legge, ragion per cui il contratto di compravendita si considera stipulato e concluso, anche in mancanza della formale sottoscrizione dell’atto di cessione, quando l’ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il prezzo di cessione. Nel caso in esame, la riconferma della domanda di riscatto della Z. è avvenuta il 18 ottobre 1978, sicché avrebbe dovuto ritenersi già avvenuto il trasferimento della proprietà dell’immobile ***** in favore della madre.
Il motivo appare privo di pregio per le considerazioni già svolte in ordine alle prime due censure.
Ai fini dell’acquisto della proprietà degli alloggi ***** non è sufficiente l’accettazione della domanda di riscatto da parte dell’Ente e la comunicazione del prezzo di cessione, che piuttosto fanno sorgere in capo all’assegnatario dell’alloggio il diritto al trasferimento, essendo necessaria la sottoscrizione di un vero e proprio contestuale contratto di vendita.
L’invocata pronuncia delle Sezioni Unite di Cassazione n. 11334 del 2007 statuisce, con riguardo al trasferimento in proprietà agli assegnatari di alloggi di edilizia economica e popolare già assegnati in locazione semplice, che lo scambio di consensi che si verifica quando alla domanda di riscatto dell’assegnatario di alloggio sia seguita l’accettazione da parte dell’istituto, con comunicazione del prezzo di cessione, esaurisce il procedimento amministrativo, attribuendo all’assegnatario – ed agli eredi – il diritto a pretendere la valutazione della domanda e di ottenere il risarcimento del danno per la perdurante inerzia dell’amministrazione, ma non determina l’acquisizione della proprietà dell’alloggio fino alla formale stipulazione del contratto;
con il quarto motivo i ricorrenti principali deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 97 Cost., comma 2, e della L. n. 241 del 1990, lamentando l’eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione coinvolta. Ancora una volta si insiste sul disposto della norma transitoria (L. n. 457 del 1978, art. 52), che in presenza di accettazione della domanda di riscatto e comunicazione del prezzo prevede che il contratto “si considera stipulato e concluso”, sicché sorge un diritto soggettivo perfetto alla cessione dell’alloggio, trasmissibile “iure successionis” agli eredi dell’originario assegnatario, che acquisterebbero il diritto di proprietà dell’immobile. Si richiama la sentenza del Tribunale di Bologna n. 1566 del 2005 che, in un caso analogo, ha escluso che in capo agli eredi si configuri una mera aspettativa di fatto.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, il richiamo alla L. n. 241 del 1990, in generale è privo di specificità, limitandosi i ricorrenti a enunciare il disposto degli artt. 1, 21 quater e 21 octies della citata Legge, senza illustrare sotto quali profili la pronuncia impugnata contrasterebbe con essi. Ancor più generica e indeterminata è la doglianza di eccesso di potere, nella misura in cui parte ricorrente si limita ad asserire che siffatto vizio si configura ogni qualvolta l’attività amministrativa persegue un fine diverso da quello previsto dalla legge che accorda all’Amministrazione quel potere e che nel tempo la giurisprudenza ha elaborato, allo scopo di circoscriverne il campo applicativo, le figure sintomatiche di eccesso, difettando qualsivoglia pertinenza al caso di specie.
Quanto, infine, al disposto della norma transitoria si richiama quanto già illustrato nei precedenti motivi di ricorso in ordine alla non trasmissibilità iure successionis del diritto dell’assegnatario dell’alloggio in mancanza dei requisiti di legge;
– con il quinto motivo i ricorrenti principali deducono la violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2,3 e 24 Cost., ravvisando una grave responsabilità della P.A. nel non addivenire alla stipula del contratto con pregiudizio ai diritti degli odierni ricorrenti e, prima ancora, della loro dante causa.
Con il sesto motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 42 Cost., comma 2, richiamando la funzione sociale che la Costituzione riconosce alla proprietà privata.
Il quinto e il sesto motivo vanno trattati congiuntamente per il loro comune riferimento ad un’asserita violazione di norme costituzionali e dichiarati inammissibili per genericità e indeterminatezza.
La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (così Cass. n. 25573 del 2020), norma invero non individuata dai ricorrenti;
– procedendo all’esame del ricorso incidentale formulato dall’Azienda Casa Emilia Romagna – ACER Ferrara, con il primo motivo viene dedotta la violazione e la falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, L.R. Emilia Romagna n. 24 del 2001, art. 49, nonché dell’art. 2644 c.c., comma 2 e art. 2650 c.c., per avere la Corte d’appello respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata da ACER Ferrara, trascurando che, in esecuzione degli artt. 3 e 49 della sopra detta Legge Regionale, quest’ultimo aveva trasferito nel giugno 2005 al Comune di Comacchio la proprietà e il possesso dell’alloggio ***** sito in *****, restando incaricato solo della gestione del patrimonio e della fornitura di servizi tecnici e amministrativi per il settore abitativo. Dalla data di sottoscrizione dei verbali di consegna degli immobili, tra cui quello oggetto di causa, il Comune subentra in tutti i rapporti attivi e passivi inerenti ai beni trasferiti e l’avvenuta trascrizione dell’acquisto dell’immobile in favore del Comune di Comacchio impedisce ai ricorrenti principali di esperire nei confronti di ACER un’azione volta ad ottenere il trasferimento della proprietà di un bene divenuto legittimamente di proprietà di altro ente pubblico.
Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa in appello e diretto solo ad incidere sulla motivazione della sentenza impugnata è privo di un reale interesse ad agire (così Cass. n. 658 del 2015).
L’interesse ad impugnare va apprezzato, infatti, in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (così Cass. n. 15353 del 2010);
– con il secondo motivo di ricorso incidentale, è lamentata la violazione e la falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 96 c.p.c., per avere la corte d’appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, revocato la condanna di Z.A. a corrispondere ad ACER a titolo risarcitorio Euro 2.000,00, ritenendo erroneamente che la mancata stipula del contratto fosse ascrivibile alla negligenza e ai ritardi dell’Ente, laddove invece era pacifico, in quanto non contestato, né in primo grado né in appello, che vi fossero abusi edilizi realizzati dalla B., di cui l’odierno ricorrente era ben consapevole, che avevano impedito la stipula del contratto.
Premesso che la condanna ex art. 96 c.p.c., è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte, è consolidato l’orientamento secondo cui il giudice di merito deve necessariamente accertare la mala fede o la colpa grave dell’attore, risultanti ad esempio dalla pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente o dalla manifesta inconsistenza giuridica delle censure formulate (così Cass. n. 22405 del 2018).
Orbene, la statuizione di revoca della condanna da parte della Corte d’appello, che ha valutato non pretestuosa l’azione intentata da Z.A. proprio alla luce delle risultanze di causa, per quanto sopra detto non appare sindacabile in sede di legittimità, essendo rimesso al giudice di merito l’apprezzamento della condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo” (così Cass. n. 29812 del 2019).
Ne’ la circostanza, allegata dalla ricorrente incidentale, degli abusi edilizi realizzati dall’assegnataria dell’alloggio pare di per sé dirimente nel senso della mala fede degli originari attori.
Conclusivamente, vanno respinti entrambi i ricorsi, principale e incidentale.
Le spese processuali, considerata la reciproca soccombenza, vanno interamente compensate tra le parti.
Poiché i ricorsi, principale e incidentale, sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annulae e pluriannuale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte sia dei ricorrenti principali sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta entrambi i ricorsi;
dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio in cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 3 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
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