Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1576 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21119/2018 proposto da:

T.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Venti Settembre, 3, presso lo studio dell’avvocato Rossi Donatella, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Masci Antonio, Masci Concetta Roberta;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in Roma Via Nizza, 63, presso lo studio dell’avvocato Croce Marco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato De Monte Manuel, Russo Marcello;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza nr. 22805/17 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 29/9/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 da Dott. SCARANO LUIGI ALESSANDRO;

udito l’avv. DE MONTE Manuel;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sig. T.L. propone ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., illustrato da memoria, avverso la ordinanza Cass. n. 22805 del 2017, di rigetto del ricorso proposto in relazione alla pronunzia del 9/6/2015 della Corte d’Appello di L’Aquila, di reiezione – tranne che in punto spese – del gravame interposto avverso la pronunzia Trib. Chieti 28/5/2013, di rigetto della domanda proposta nei confronti del sig. M.R. di risarcimento dei danni da diffamazione.

Resiste con controricorso il M..

Già chiamata all’udienza camerale del 22/9/2020, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza ex art. 380 bis c.p.c..

Con conclusioni scritte del 19/7/2021 il PG. Presso questa Corte ha chiesto l’accoglimento del 1 motivo di revocazione e il rigetto del 2 motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia il “rinvenimento, dopo l’ordinanza pubblicata in data 29.09.2017, di documenti decisivi ai sensi del punto 3 dell’art. 395 c.p.c..

Lamenta che “successivamente rispetto all’ordinanza pronunciata dalla Suprema Corte, e precisamente in data 15.05.2018, è pervenuta al ricorrente, a mezzo raccomandata spedita in data 11.05.2018 dall’ufficio postale di Pescara Centro con una busta intestata del Comune di Rapino, copia della ricevuta di invio, da parte dell’ufficio protocollo del Comune, della comunicazione riguardante il sig. T.L., a mezzo fax portante il numero di protocollo (n. 741 del 19.02.2009) della missiva inviata al prefetto (numero di protocollo 741 apposto sulla stessa missiva del 19.02.2009)”, recante “i dettagli della comunicazione inviata, ed in particolare il numero di protocollo, la data e l’orario di invio, qualificando la comunicazione con il n. 741 del 19.02.2009, inoltrata alle ore 13:54:44 dal sig. D.G.”.

Lamenta, ancora, che “nessuna annotazione risulta inserita sulla comunicazione anticipata a mezzo fax della missiva al fine di garantirne la riservatezza ed anzi, al contrario, l’invio a mezzo fax della missiva rende certo (rectius, certa) la conoscibilità di detta missiva ad una pluralità di persone compreso l’addetto al protocollo”, atteso che “non risulta…, nell’invio a mezzo fax, compilato lo spazio riservato ad eventuali “note al protocollo” e l’oggetto della comunicazione, evidentemente inadeguato a dare contezza della natura privata della missiva, si risolve nella generica indicazione: ” T.L., residente a Rapino, diversamente abile dalla nascita””.

Con la conseguenza che “appare…, ad oggi, evidente che le modalità con le quali è avvenuta la trasmissione delle informazioni, ovvero a mezzo fax, sono state tali da ledere certamente il bene giuridico che la norma intende tutelare”.

Lamenta che “il documento pervenuto all’esponente rappresenta un fatto certamente dotato di carattere decisivo ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’evidente trascuratezza nell’inoltro della comunicazione da parte del sig. M.R. vale a ritenere sicuramente integrato l’elemento soggettivo della colpa richiesto dall’art. 2043 c.c., autorizzandone l’applicazione (in realtà la prova dell’invio della missiva del 19.02.2009 a mezzo fax conferma la rilevanza penale dell’illecito comportamento posto in essere dal sig. M.R.)”.

Il motivo è inammissibile.

Va osservato che la revocazione delle sentenze della Corte Suprema di Cassazione ex art. 391 bis c.p.c., non è invero prevista per la denunziata ipotesi di revocazione di cui dell’art. 395 c.p.c., n. 3), (che ricorre allorquando “dopo la sentenza” siano “stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza”, presupponendo che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, atteso l’uso dell’espressione “sono stati trovati” contenuta nel citato n. 3), alla quale fa riscontro il termine “recupero” adottato nei successivi artt. 396 e 398 c.p.c., mentre è irrilevante che il documento faccia riferimento a fatti antecedenti alla sentenza stessa e sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione: v. Cass., 20/2/2015, n. 3362; Cass., 13/10/2015, n. 20587; Cass., 18/8/1997, n. 7653; Cass., 20/12/2011, n. 27832).

Ne’ al riguardo ricorre l’ipotesi ex art. 391 ter c.p.c., atteso che nella specie l’impugnata sentenza non ha deciso la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, ma ha dichiarato inammissibili il 1, il 2 (parte), il 3, il 4, il 5, l’8 e il 9 motivo nonché rigettato per infondatezza il 2 (parte), il 6 e il 7 motivo di ricorso proposti avverso la sentenza C.A. L’Aquila 9/6/2015.

Con il 2 motivo denunzia “errore di fatto ai sensi del punto 4 dell’art. 395 c.p.c.”.

Si duole che la corte di merito abbia “erroneamente valutato il tenore del diritto alla riservatezza”, atteso che “la divulgazione di vicende riconducibili alla sfera familiare, in quanto strettamente connessa alla vita intima del soggetto, è oggi considerata certamente lesiva dell’irrinunciabile diritto alla riservatezza che ha dilatato progressivamente i sui confini per poter soccorrere le istanze di tutela emergenti dalla Carta Costituzionale”.

Il motivo è inammissibile.

Emerge ictu oculi come la censura mossa dall’odierno ricorrente attenga invero non già ad un errore di fatto bensì a una dedotta violazione di legge per erronea interpretazione della nozione del diritto di riservatezza.

Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi per disporsi la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Compensa tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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