LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19786/2019 proposto da:
S.P., S.M., elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Francesco Di Luciano, in Firenze, Piazza Indipendenza n. 21, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
Venice Spa,
– intimata –
avverso la sentenza n. 2963/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 18/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/9/2021 da Dott. SCARANO LUIGI ALESSANDRO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18/12/2018 la Corte d’Appello di Firenze ha respinto il gravame interposto dai sigg. S.P. e M. in relazione alla pronunzia Trib. Prato 19/2/2014, di accoglimento della domanda nei loro confronti proposta dalla società Venice s.p.a. di inefficacia ex art. 2901 c.c., dell'”atto di compravendita del 04/12/08" dai medesimi (padre e figlia) stipulato, avente ad oggetto bene immobile.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i S. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione” dell’art. 2901 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Con il 2 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2901,2697 c.c., artt. 115,116,167 c.p.c., art. 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito non abbia considerato che l’atto di compravendita in argomento non è suscettibile di revocatoria in quanto trattasi di “atto dovuto”, quale “unico mezzo disponibile” per l'”estinzione del debito” nei confronti di MPS, avendo “dimostrato documentalmente che i denari provenienti dalla cessione dell’immobile sono stati integralmente destinati alle Banche creditrici”, non essendovi pertanto “alcun dubbio che il prezzo di vendita dell’appartamento di ***** sia stato destinato al pagamento di debiti scaduti del sig. S.P., e che detta vendita rivestiva carattere di strumentalità necessaria per il soddisfacimento di debiti bancari scaduti”.
Con il 3 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 29012697 c.c., art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerata la “situazione patrimoniale complessiva del “gruppo familiare S.” al 4.12.2008 (ossia, alla data del rogito)”, e che “con il “prezzo della vendita della nuda proprietà il sig. S.P. ha ripianato la sua esposizione debitoria, in qualità di garante di FoodItalia s.r.l. nei confronti di alcuni Istituti di credito (tra cui MPS, intervenuta volontariamente in primo grado)”, con conseguente esclusione della sussistenza dell’eventus damni in quanto “la vendita dell’immobile di ***** non poteva essere ritenuta pregiudizievole per i diritti di Venice s.p.a…. in forza del minor danno accertato dal Collegio arbitrale”, atteso che “Venice s.p.a. ha intrapreso la presente azione affermando che i residui immobili del sig. S.P. fossero insufficienti a soddisfare un credito di oltre 5 milioni di Euro” e “tuttavia, all’esito del giudizio arbitrale, il danno è stato ridotto di oltre un ventesimo, ma la Corte d’Appello ha omesso ogni valutazione circa la sussistenza – rectius la permanenza – dell’elemento del danno a seguito della riduzione del credito”, essendo “la villa di proprietà del sig. S.F., coobbligato in solido, più che capiente per fronteggiare il rischio di credito di Venice s.p.a., soprattutto alla luce del lodo” arbitrale, all’esito del quale “il danno è stato ridotto di oltre un ventesimo”.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Va anzitutto osservato che in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, i ricorrenti non riportano debitamente nel ricorso i richiamati atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, l'”atto di citazione notificato in data 30.04.2009" da controparte, l'”atto di compravendita del 04.12.2008 ai rogiti del notaio L. di *****”, la propria “comparsa di costituzione e risposta”, l'”offerta di acquisto” inviata in data 24/5/2008 dalla controparte, l’accordo quadro che avrebbe dovuto regolare l’intera operazione”, il contratto sottoscritto il 3/10/2008, il riacquisto dei “crediti scaduti per un importo pari all’85% del loro valore”, al “lodo del 10.05.2013", l'”atto di citazione in appello ritualmente notificato il 4.05.2014”, le prodotte “visure immobiliari”, la “situazione patrimoniale complessiva del “gruppo familiare S.” al 4.12.2008 (ossia alla data del rogito)”, la documentazione indicata alla nota n. 16), limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte strettamente d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso, ovvero laddove in tutto o in parte riprodotti (es., parte della “proposta di transazione avanzata dal sig. S.P. ed espressamente accettata da MPS”, l’accordo transattivo del 30/10/2008… (… doc. 21… fascicolo di primo grado), la comunicazione alla “Cassa di Risparmio di Lucca Pisa e Livorno… (doc. 23, fascicolo di primo grado)”, la comunicazione alla “CariPrato (doc. 25, fascicolo di primo grado)”) senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.
A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.
E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo anche allorquando la S.C. è (pure) “giudice del fatto” (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonché, più recentemente, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 17/2/2017, n. 4288; Cass., 28/7/2017, n. 18855; e, da ultimo, Cass., 16/3/2021, n. 7278), giacché come questa Corte ha già avuto più volte modo di precisare (cfr., con particolare riferimento all’ipotesi dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 8978), in tali ipotesi preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero pur sempre l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando questa sia stata accertata diviene possibile esaminarne la fondatezza, sicché esclusivamente nell’ambito di tale valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali.
Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
Va per altro verso posto in rilievo come al di là della formale intestazione dei motivi i ricorrenti deducano in realtà doglianze (anche) di vizi di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omissione, l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Con particolare riferimento al 2 motivo va ulteriormente posto in rilievo che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dando in realtà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio) né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v. Cass., 10/6/2016, n. 11892).
Deve per altro verso altresì sottolinearsi che le norme (art. 2697 ss. c.c.) poste dai Libro VI, Titolo II, del Codice civile regolano le materie a) dell’onere della prova, b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze e c) della forma che ciascuno di essi deve assumere, e la relativa violazione si configura ove il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni; laddove la valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova invero oggetto delle censure di cui all’odierno ricorso è viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., per dedurre la cui violazione occorre denunziare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, ha posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio) (art. 115 c.p.c.), inammissibile essendo la diversa doglianza che, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, attività valutativa invero consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass., 25/11/2021, n. 36631; Cass., Sez. Un., 30/9/2020, n. 20867; Cass., 23/10/2018, n. 26769; Cass., Sez. Un., 21/9/2018, n. 22425; Cass., Sez. Un., 5/8/2016, n. 16598; Cass., 10/6/2016, n. 11892. Cfr. altresì Cass., 28/11/2007, n. 24755; Cass., 20/6/2006, n. 14267; Cass., 12/2/2004, n. 2707).
Orbene, gli odierni ricorrenti denunziano la violazione (oltre che dell’art. 2697 c.c. e della L. Fall., art. 67, senza alcunché argomentare a relativo sostegno) degli artt. 115 e 116 c.p.c., in modo del tutto apodittico – stante la rilevata violazione del requisito ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – nonché inammissibilmente comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.
Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’eventuale ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
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