Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.1884 del 21/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18504-2016 proposto da:

COMUNE DI PISTOIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II N. 18, presso lo studio dell’avvocato MAURO MONTINI (STUDIO LEGALE LESSONA), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.L.M., N.I., N.A., nella loro qualità di eredi di NA.AN., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA S. MARIA MEDIATRICE n. 1, presso lo studio dell’avvocato MARIO ARPINO, rappresentati e difesi dall’avvocato DANIELA BRESCHI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 379/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 09/06/2016 R.G.N. 832/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Bologna, a seguito della sentenza di questa Corte n. 16247 del 2014, di cassazione con rinvio della sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1630 del 2006, adita in riassunzione dagli appellati eredi di Na.An. nei confronti del Comune di Pistoia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pistoia ha condannato l’appellante Comune di Pistoia a pagare in favore degli eredi di Na.An. la somma, già liquidata in suo favore, nella misura di Euro 32.080,44, comprensiva di interessi e rivalutazione fino al 31 agosto 2003, oltre – con la medesima decorrenza – la maggior somma tra rivalutazione monetaria ed interessi legali, detratte le somme corrisposte al Na. per il medesimo periodo a titolo di salario accessorio.

Il giudice di secondo grado respingeva nel resto l’appello del Comune di Pistoia.

2. La Corte di Cassazione con la suddetta sentenza n. 16247 del 2014, in accoglimento di due dei motivi proposti da Na.An. aveva cassato la sentenza della Corte di Appello di Firenze che, in riforma della pronuncia del Tribunale di Pistoia, che aveva accolto la domanda del lavoratore, aveva organizzative non dovesse essere effettuata a mezzo di valutazione comparativa dei curricula degli aspiranti, non fosse inficiata dalla mancata formulazione del parere della conferenza e direzione e non richiedesse una necessaria motivazione, trattandosi di scelte discrezionali soggette a controllo giudiziario solo con riferimento ad un’ingiusta discriminazione (che non era stata dedotta nella fattispecie).

Questa Corte ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Bologna affinché facesse applicazione del seguente principio di diritto: “la motivazione degli atti di individuazione delle posizioni organizzative da parte degli enti locali deve essere operata ed espressamente motivata anche con riferimento ad una valutazione comparativa degli aspiranti alle posizioni in contestazione”.

3. La Corte d’Appello di Bologna, escluso che fosse intervenuta tra le parti una rinuncia al giudizio, ha ritenuto che il Comune di Pistoia cercasse di disattendere il giudicato sul principio affermato dalla Suprema Corte, prospettando l’adozione di una motivazione implicita dei propri atti.

La Corte d’Appello ha poi ritenuto raggiunta la prova del danno subito dal Na. e del nesso tra lo stesso e l’inadempimento dell’Amministrazione come esaustivamente statuiva la sentenza di primo grado, richiamata sul punto quanto all’affermazione che mentre i titoli del ricorrente sul piano culturale e professionale erano ampiamente documentati e non contrastati dall’Amministrazione resistente (la quale, anzi, dava atto che il Na. aveva percorso nell’ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione una crescita professionale sempre accompagnata dalla progressione economica e contrattuale a livelli di inquadramento superiore), i titoli dei soggetti chiamati a ricoprire le posizioni organizzative erano rimasto oscuri nonostante l’ordine di esibizione della documentazione contenuta nei fascicoli personali di questi ultimi. In relazione a tali emergenze, se correttamente valutato, con ragionevole certezza il Na. avrebbe conseguito l’incarico per cui è causa.

La Corte d’Appello affermava, quindi, che i profili di indeterminatezza sul piano temporale della condanna emessa dal Tribunale di Pistoia, posti in luce con la quarta eccezione del Comune di Pistoia (con la quale si deduceva che in denegata ipotesi di accoglimento della domanda di risarcimento del danno si sarebbe dovuto limitare il periodo temporale al periodo di primo conferimento dell’incarico ai titolari di posizioni organizzative), trovavano soddisfazione nella circoscrizione della domanda operata dagli eredi in sede di riassunzione con le conclusioni (Euro 32.080,44, comprensiva di interessi e rivalutazione sino al 31 agosto 2003, ovvero minor somma ritenuta di giustizia) recepite come in dispositivo in quanto coerenti con la temporaneità della posizione organizzativa in questione.

La Corte d’Appello, infine, accoglieva la richiesta del Comune di Pistoia di contenere il risarcimento del danno commisurato alle maggiori retribuzioni spettanti in ipotesi di conferimento della posizione organizzativa, come accertato in primo grado dal consulente tecnico, mediante detrazione delle somme corrisposte al Na. a titolo del salario accessorio per lo stesso periodo in quanto non spettante ai titolari di posizione organizzativa.

4. Per la Cassazione della sentenza d’appello ricorre il Comune di Pistoia prospettando sette motivi di impugnazione, assistiti da memoria.

5. Resistono con controricorso P.L.M., N.I. e N.A., quali eredi di Na.An..

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione del contratto collettivo 31 marzo 1999, artt. 8,9, e 10 e del D.Lgs. 165 del 2001, art. 52 (art. 360 c.p.c., n. 3).

1.1. Sostiene parte ricorrente che il giudice del rinvio, nel confermare le statuizioni del Tribunale di Pistoia in punto di danno, avrebbe violato la disciplina che regola il conferimento degli incarichi delle posizioni organizzative: infatti, anche a ritenere che gli atti del Comune di Pistoia non fossero legittimi per carenza di un’effettiva valutazione comparativa, da ciò non discendeva il diritto del ricorrente alla corresponsione integrale trattamento accessorio di cui all’art. 10 del contratto collettivo del 31 marzo 1999.

In proposito afferma il ricorrente che il signor Na. non aveva proposto alcuna domanda di adempimento o di risarcimento danni da perdita di chance e che gli aventi titolo alla valutazione comparativa erano appartenenti al personale di categoria D del Comune di Pistoia, o quanto meno, personale con responsabilità operative.

Pertanto, il Tribunale avrebbe dovuto rigettare la domanda, a prescindere dal mancato adempimento dell’ordine di esibizione dei documenti, per difetto degli elementi costitutivi del diritto ad ottenere la posizione organizzativa da parte del Na..

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 e 2727 c.c.: sostiene il ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente applicato le regole di ripartizione dell’onere della prova.

Il giudice del rinvio, facendo richiamo alla sentenza del Tribunale, ha fatto riferimento ai titoli del ricorrente affermando che, se correttamente valutato, il Na. avrebbe conseguito l’incarico.

Se non che, alla luce della disciplina delle presunzioni, si poteva replicare che il giudice di rinvio non ha avuto alcun riguardo alla carriera professionale del Na. e ai titoli posseduti, che erano costituiti dal possesso della laurea in filosofia e dallo svolgimento delle funzioni inerenti all’ufficio stampa.

Pertanto, anche a concedere che i titoli degli incaricati delle posizioni organizzative istituite dal Comune di Pistoia fossero rimasti ignoti per omessa ottemperanza all’ordine di esibizione, restava da considerare che:

si trattava di personale di categoria D;

che non era richiesta la laurea per il conferimento della *****;

che si trattava di personale già titolare della responsabilità di Unità Operative (come il Na.) e di quelle poi trasformate in posizioni organizzative;

che la Corte di Appello non aveva considerato che il Na. era titolare di Unità Operativa rispetto alla quale non erano state costituite posizioni organizzative;

che le posizioni organizzative comprendevano settori, come la gestione del personale, gli stipendi e la previdenza, in cui il ricorrente non aveva svolto mansioni;

che la professionalità del Na. era inerente alle funzioni dell’ufficio stampa.

3. Con il terzo motivo si prospetta difetto di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo.

Gli argomenti già esposti sono prospettati anche con riguardo al 360 c.p.c., n. 5.

Ad avviso del ricorrente la sussistenza o meno della ritenuta ragionevole certezza che il Na. avrebbe conseguito l’incarico per cui è causa costituisce un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

La Corte d’Appello nel rigettare gli assunti del Comune di Pistoia richiamava in modo del tutto apodittico la sentenza di primo grado.

4. I primi tre motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

4.1. La disciplina contrattuale delle posizioni organizzative trova fondamento nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 45, comma 3, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 396 del 1997, con il quale il legislatore aveva previsto che “per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione…. sono stabilite discipline distinte nell’ambito dei contratti collettivi di comparto”; la disposizione è stata integralmente trasfusa nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40 e sulla stessa il legislatore è intervenuto con il D.Lgs. n. 150 del 2009, che ha modificato il richiamato art. 40, comma 3, prevedendo che “nell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità”.

L’area delle posizioni organizzative negli Enti locali nasce con il CCNL 31 marzo 1999, articoli dall’8.

Nella specie, si controverte della fase transitoria di prima applicazione delle disposizioni contrattuali.

L’art. 8 prevedeva: Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:

a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa;

b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali;

c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza.

Si tratta di posizioni di lavoro che non determinano un mutamento di profilo professionale o di area, ma comportano solo l’attribuzione “di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione – nell’ambito della classificazione del personale di ciascun comparto – è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva” (Cass. S.U. n. 16540/2008; Cass. n. 20855/2015; Cass. n. 8141/2018).

Da ultimo si può ricordare che l’art. 13 del CCNL del Comparto Funzioni Locali 2016-2018 ha poi introdotto una disciplina diversa delle posizioni organizzative, stabilendo, altresì, che tutti gli incarichi conferiti ai sensi delle norme pregresse – e, quindi, sia del CCNL 31 marzo 1999, art. 8 sia del CCNL 22 gennaio 2004, art. 10 – possono essere prorogati al massimo per un anno dalla data di sottoscrizione dell’accordo in oggetto.

4.2. Il ricorrente, con plurimi argomenti, contesta l’accertamento sulla sussistenza in capo al ricorrente di titoli per accedere alla PO, a prescindere dal fatto che non fosse stato adempiuto l’ordine di esibizione, ma in ciò non si tiene conto del principio affermato dalla sentenza rescindente di questa Corte, che sanciva, tra l’altro, che la procedura di individuazione e nomina dei titolari di posizioni organizzative doveva essere effettuata a mezzo di valutazione comparativa dei curricula degli aspiranti e richiedeva una necessaria motivazione.

4.3. La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass., n. 27337 del 2019).

A tali principi si è attenuta la Corte d’Appello, che si è uniformata al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, come invece richiede nella sostanza il ricorrente.

5. Con il quarto motivo di ricorso è prospettata la violazione degli artt. 112 e 414 c.p.c..

Assume il Comune di Pistoia che il Na. non aveva proposto domanda di risarcimento dei danni da perdita di chance, come avrebbe rilevato anche la sentenza rescindente.

In primo grado il lavoratore aveva chiesto di accertare la legittimità del procedimento seguito e degli atti adottati per l’individuazione delle posizioni organizzative e l’attribuzione dei relativi incarichi, condannando il Comune di Pistoia a risarcire il danno arrecato al ricorrente per il mancato conferimento di un incarico di posizione organizzativa.

I danni erano rappresentati dal conseguente mancato riconoscimento della corrispondente retribuzione di posizione in misura pari, quantomeno, alla media dei compensi riconosciuti agli altri dipendenti incaricati.

Tale petitum era stato riproposto anche nel ricorso in riassunzione e riposava sulla causa petendi della domanda del Na. volta ad ottenere la posizione organizzativa.

Afferma il ricorrente che la domanda per perdita di chance è diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato (come affermato da questa S.C.) e che, quindi, il danno da perdita di chance riconosciuto dalla Corte d’Appello non era richiesto dall’attore.

6. Con il quinto motivo è prospettata ulteriore violazione dell’art. 2697 c.c..

Espone il ricorrente che il giudice del rinvio, nel confermare la quantificazione dei danni operata dal Tribunale di Pistoia, non si era avveduto che il Comune di Pistoia aveva contestato che il computo del danno sofferto dal Na. fosse stato correlato alla data del 31 agosto 2003 anziché a quella dell’effettiva scadenza delle posizioni organizzative.

La Corte d’Appello avrebbe esteso il riconoscimento dei danni ad un periodo temporale estraneo al giudizio, mentre avrebbe dovuto avere riguardo all’incarico conferito al funzionario dottor Ferrario per l’unica posizione organizzativa sostanzialmente prossima alla funzione dell’Ufficio Stampa.

Per la determinazione dei danni – prosegue parte ricorrente doveva farsi riferimento all’ambito della vigenza temporale del primo conferimento di incarico successiva alla istituzione della posizione organizzativa.

7. Con il sesto motivo si denuncia ulteriore difetto di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo. Il motivo precedente è prospettato anche sotto questo vizio.

Infatti l’esatta delimitazione temporale della titolarità degli incarichi di posizione organizzativa aveva formato oggetto di discussione tra le parti.

Il Comune di Pistoia aveva dedotto che l’accordo sindacale integrativo provvedeva espressamente che gli accordi di posizione organizzativa sarebbero stati in prima applicazione conferiti per 12 mesi. Le prime quindici posizioni organizzative erano state conferite dal 15 giugno 2000 fino al 15 giugno 2001 come previsto. Quanto poi all’incarico di titolare dell’unità organizzativa relazioni con il pubblico istituito con la determinazione 12 febbraio 2001, affidato al dottor F., cui aspirava espressamente il ricorrente, lo stesso decorreva addirittura dal 12 febbraio 2001. Tale circostanza aveva carattere di decisività.

Pertanto gli eredi non avevano ristretto il periodo temporale del danno.

8. Con il settimo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il giudice di rinvio considerato un arco temporale successivo al giugno 2001, dato che le posizioni organizzative avevano un regime transitorio per la durata di un anno che scadeva il 14 giugno 2001.

9. I suddetti motivi devono essere esaminati insieme in ragione della loro connessione. I motivi sono in parte infondati e in parte inammissibili.

9.1. Preliminarmente va osservato che nella specie è applicabile l’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, che nella specie non sono ravvisabili, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

9.2. In tema di impiego pubblico locale, l’illegittimo diniego di una posizione organizzativa comporta il diritto del dipendente al risarcimento del danno per perdita di chance.

Al fine della liquidazione del danno patrimoniale da perdita di “chance” la concreta ed effettiva occasione perduta di conseguire un determinato bene non è una mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Cass., n. 18207 del 2014). Ove sussista la prova di una concreta ed effettiva occasione perduta, il danno, che non coincide con le retribuzioni perse, va liquidato in via equitativa ed a tal fine l’ammontare delle retribuzioni perse può costituire un parametro (Cass., n. 18207 del 2014 cit.). Tuttavia, occorre considerare il grado di probabilità e la natura del danno da perdita di chance, che è un danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale (Cass. n. 13483 del 2018).

9.3. La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, considerando le maggiori retribuzioni che il lavoratore avrebbe potuto conseguire e la durata degli incarichi in sede di prima applicazione della disciplina contrattuale, fissando al 31 agosto 2003 la decorrenza degli accessori del credito. Peraltro, il ricorrente, non adempiendo l’onere di specificità della censura, pur dolendosi della statuizione di condanna, non riporta il petitum e la relativa causa petendi del ricorso in riassunzione, in ragione del quale la Corte d’Appello ha ritenuto soddisfatta la censura di rideterminazione della condanna sussistendo un’indeterminatezza sul piano temporale.

10. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

12. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472