LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11870/2017 proposto da:
Intesa Sanpaolo s.p.a., in persona del legale rappres. Pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, al viale di Villa Grazioli n. 15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.C.M. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via Vallisneri n. 11, presso lo studio dell’avvocato Cecere Stefano, che la rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Cagetti Dino, con procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 841/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 09/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2021 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.
RILEVATO
Che:
La C.C.M. s.r.l. convenne innanzi al Tribunale di Cagliari Intesa SP s.p.a. e la Banca di credito sardo s.p.a., chiedendo che fosse accertata la nullità parziale del contratto di conto corrente, con la conseguente rideterminazione del saldo finale. Al riguardo, l’attrice, premesso che dagli anni settanta fino al 2003 aveva ottenuto dal Banco di Napoli (cui era succeduta la Banca di credito sardo quale suo avente causa nei rapporti accesi) un’apertura di credito, esponeva che nell’esecuzione del rapporto l’istituto di credito aveva applicato la capitalizzazione trimestrale e la commissione di massimo scoperto, producendo gli estratti-conto dall’1.1.95 sino all’estinzione del conto, chiedendo dunque la condanna dei convenuti alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte.
Il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che senza la produzione del contratto di conto corrente non sarebbe stato possibile verificare la validità delle clausole da esso previste e che, in mancanza della completa documentazione contabile, non sarebbe stato altresì possibile determinare il saldo del conto depurato dalle clausole contrattuali eventualmente nulle, né disporre la restituzione dell’indebito.
La società propose appello che, con sentenza del 5.1.17, la Corte territoriale accolse parzialmente, condannando Intesa SP, già Banco di Credito Sardo s.p.a., alla restituzione della somma di Euro 39.637,32 oltre interessi legali dalla domanda. Al riguardo, la Corte osservò che: la società appellante aveva dimostrato, producendo la documentazione contabile relativa al periodo successivo all’1.1.95, con allegata c.t.p., la stipula di un contratto di conto corrente per fatti concludenti, non vigendo all’epoca l’obbligo della forma scritta, nonché l’applicazione di anatocismo trimestrale, della commissione di massimo scoperto e la liquidazione degli interessi secondo gli usi su piazza; l’incompletezza della documentazione contabile non precludeva la determinazione del saldo finale del conto corrente bancario, attraverso un calcolo che muoveva dal primo estratto-conto prodotto dell’1.1.95; i convenuti non avevano dimostrato l’avvenuto adeguamento delle condizioni contrattuali in conformità della Delib. Cicr 9 febbraio 2020; la banca convenuta non aveva altresì dimostrato la sussistenza di un conto corrente affidato; era condivisibile la c.t.u. nel ricalcolo del saldo.
Intesa Sp s.p.a. ricorre in cassazione con quattro motivi.
La C.C.M. s.r.l. resiste con controricorso.
RITENUTO
Che:
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello accolto la domanda di restituzione pur in mancanza del contratto di conto corrente, incorrendo in ultrapetizione consistente nel fatto che, pur in presenza di una domanda di nullità del contratto per difetto di forma scritta, avrebbe dichiarato la nullità di alcune sue clausole ritenendo che il contratto potesse essere stipulato anche per fatti concludenti essendo anteriore all’entrata in vigore della normativa di trasparenza bancaria. Inoltre la Corte d’appello avrebbe illegittimamente dichiarato la nullità delle clausole contrattuali, pur in difetto di prova, ossia della indispensabile produzione del contratto che le conteneva.
Il motivo è inammissibile quanto alla censura di ultrapetizione, non risultando dalla sentenza impugnata che la declaratoria di nullità fosse stata richiesta dall’attrice per difetto della forma scritta, né chiarendo il ricorso come e in quale atto la medesima attrice avesse effettivamente posto la questione in tali termini. In ogni caso, non è configurabile l’ultrapetizione essendo la nullità rilevabile d’ufficio, anche per ragioni diverse da quelle indicate dall’attore (per tutte, Cass. Sez. Un., n. 26242/2014).
Il motivo è altresì inammissibile quanto alla seconda doglianza, non essendo censurata la ratio decidendi, idonea di per sé a giustificare la decisione della Corte d’appello, secondo cui l’applicazione di interessi a un tasso determinato genericamente secondo gli usi su piazza, della capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle commissioni di massimo scoperto era pacifica in causa, non avendola contestata la banca, la quale si era limitata a protestarne la legittimità.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033,2967 e 2934 c.c. e segg., per avere la Corte d’appello affermato, in ordine all’eccezione delle banche convenute sulla prescrizione delle rimesse solutorie ultradecennali, la sussistenza di un indimostrato fido bancario da cui sarebbe scaturito il carattere meramente ripristinatorio delle rimesse della correntista.
La Corte territoriale effettivamente parla, in un passaggio della motivazione, della “presunta funzione ripristinatoria dei versamenti eseguiti, come nella fattispecie in esame, su un conto corrente affidato”; non è chiaro però a quale fine formuli tale considerazione e quale rilevanza essa abbia nell’economia della motivazione. La ricorrente la collega, come si è visto, alla decorrenza della prescrizione; di una tale eccezione, però, la sentenza impugnata non fa parole, né la ricorrente chiarisce se e come la stessa sia stata sollevata nel giudizio di merito. Deve perciò concludersi per la novità – e dunque inammissibilità – della questione.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto sufficienti gli estratti-conto parziali, sostenendo che invece, in ogni caso, l’attore in ripetizione dell’indebito deve produrre gli estratti-conto integrali, altrimenti la determinazione del saldo finale del conto sarebbe impossibile.
Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, nei rapporti bancari in conto corrente, una volta esclusa la validità di talune pattuizioni relative agli interessi a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso la produzione in giudizio dei relativi estratti a partire dalla data della sua apertura; non trattandosi tuttavia di prova legale esclusiva, all’individuazione del saldo finale possono concorrere anche altre prove documentali, nonché gli argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta del medesimo correntista (Cass., n. 9526/19; n. 11543/19).
Nel caso concreto, la Corte territoriale ha correttamente affermato che la produzione degli estratti integrali da parte della società correntista attrice non fosse necessaria nel caso di calcolo del saldo partendo da quello iniziale del primo degli estratti conto prodotti elaborati dalla banca, pur nella mancanza di alcuni, sulla base della documentazione contabile oggetto della c.t.u..
Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto la nullità delle clausole di applicazione della commissione di massimo scoperto.
Il motivo è inammissibile perché una tale statuizione non è contenuta nella sentenza impugnata, la quale ha dichiarato la nullità della sola capitalizzazione delle commissioni di massimo scoperto, come si evince chiaramente dal dispositivo e dalla motivazione della sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 5200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022