LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. VECCHIO Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28153/2018 proposto da:
Sardaleasing Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Degli Scipioni, 268/a, presso lo studio dell’avvocato Cioni Valerio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Biagi Leonardo e Giovannini Alessandro;
– ricorrente –
contro
Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 897/2018 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA SEZ.DIST. di LIVORNO, depositata il 14/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/09/2021 dal consigliere Dott. VECCHIO MASSIMO.
Fatti rilevanti:
1. – La Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza n. 897/10/18 del 20 aprile 2018, pubblicata il 14 maggio 2018, accogliendo, in totale riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Livorno, n. 83/2017, il gravame della Amministrazione finanziaria, ha rigettato il ricorso proposto dalla società Sardaleasing s.p.a. avverso l’avviso di rettifica e liquidazione del 22 dicembre 2014 (emesso previo contestuale annullamento in autotutela di precedente analogo avviso del 2 ottobre 2014) col quale la Agenzia delle entrate aveva elevato ad Euro 585.000,00 il valore (dichiarato in ragione di Euro 435.000,00) di un immobile, acquistato dalla ridetta società con atto pubblico di compravendita, rogato dal notaio C.G. il ***** e registrato il *****.
2. – La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione mediante atto del 21 settembre 2018. E, mediante memoria del 26 luglio 2021, ha insistito per l’accoglimento della impugnazione.
3. – L’Avvocatura generale dello Stato ha resistito con controricorso del 29 luglio 2019.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – La Commissione tributaria regionale ha motivato la riforma della sentenza appellata (mediante rigetto del ricorso introduttivo), osservando:
a) legittimamente la Agenzia delle entrate ha emesso, in via di autotutela, l’avviso di accertamento, sostituendo il precedente, annullato per vizio di motivazione; il nuovo atto impositivo costituisce – non già integrazione, sicuramente non consentita, di quello annullato, bensì – “esercizio dell’ordinario potere di accertamento non consumato” col primo avviso, laddove non era necessaria la sopravvenienza di nuovi elementi;
b) infondata è l’eccezione della contribuente circa il preteso vizio di motivazione dell’atto impositivo; la “perizia UTE” (riprodotta nell’avviso) è corredata dal “dettagliato prospetto contenente l’esame analitico dei comparabili” e dell’immobile trasferito “con il confronto puntuale di tutti i parametri di valutazione e i calcoli effettuati” per la determinazione del valore di mercato;
c) nel merito, è affatto irrilevante la circostanza che l’immobile sia stato acquistato da una società esercente l’attività di leasing; l’accertamento del maggior valore non si è fondato esclusivamente sulla considerazione dei “parametri OMI”, i quali, invece, hanno rilevato “in maniera assai limitata”; la stima UTE ha adottato “il procedimento comparativo pluriparametrico denominato ***** (…) universalmente riconosciuto (…) adottato comunemente per le perizie di stima nei tribunali”; la “perizia” ha accertato che l’immobile è ubicato nella zona industriale di *****, adiacente all’omonimo quartiere residenziale, a sud-est di *****; l’insediamento urbanistico, costituito da edifici con destinazione artigianale e commerciale, realizzato in tempi recenti e ben serivito, è in fase di espansione; la zona, dotata di parcheggi ubicati prevalentemente nelle aree comuni, a servizio dei capannoni, è collegata alle altre aree industriali a sud-est e a nord-est di *****; i quattro immobili, considerati per la comparazione, tutti siti nella medesima zona, sono “riferiti ad epoche temporali prossime” e hanno formato oggetto di trasferimenti “praticamente coevi con quello per cui è causa”; le obiezioni della contribuente sono infondate; “leggere discrasie di misurazione” non inficiano la correttezza della stima, la quale ha apportato “le dovute correzioni, con relativo abbattimento, quanto all’età dell’immobile”.
2. – La ricorrente sviluppa tre motivi di impugnazione.
2.1 – Col primo denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-quater, convertito in legge con modificazioni dalla L. 30 novembre 1994, n. 656; in relazione al D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 2; e in relazione alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, recante Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente.
La ricorrente eccepisce che la pendenza del ricorso proposto avverso l’originario avviso di liquidazione e rettifica (annullato della Agenzia delle entrate) impediva – e rendeva illegittimo – il ricorso alla autotutela.
2.2 – Col secondo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51; e in relazione alla cit. L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7.
La ricorrente eccepisce il vizio di motivazione dell’atto impositivo per la mancata allegazione della “perizia UTE” e dei contratti di compravendita degli immobili indicati per la comparazione, obiettando che non è sufficiente la riproduzione della perizia nel corpo dell’avviso di accertamento e che la allegazione degli atti di compravendita “avrebbe potuto far emergere e confermare le incongruenze di valutazione”.
2.3 – Col terzo morivo la ricorrente, denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, nonché “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”.
La parte obietta che essa ha “acquistato realmente al prezzo (dichiarato) di 435.000,00 Euro l’immobile in questione” e sulla premessa che, in mancanza della dimostrazione delle corresponsione di un prezzo maggiore, secondo “l’interpretazione costituzionalmente orientata” dovrebbe reputarsi non consentita la rettifica del valore dichiarato da parte della Amministrazione finanziaria; censura, quindi, che la Commissione tributaria regionale ha trascurato di considerare “la natura commerciale delle parti contrattuali”, il mancato espletamento del sopralluogo; la circostanza che le superfici degli immobili utilizzati per la comparazione sono inferiori del 40% rispetto a quella del fabbricato litigioso, laddove è notorio che l’aumento delle dimensioni si correla alla diminuzione del valore a metro quadrato.
3. – Il ricorso è infondato.
3.1 – Il primo motivo è privo di giuridico pregio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in materia tributaria, il potere dell’Amministrazione finanziaria di provvedere in via di autotutela e con effetti retroattivi all’annullamento d’ufficio (o alla revoca) degli atti illegittimi (o infondati) è espressamente riconosciuto dal D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, comma 1, conv. in L. n. 656 del 1994, in virtù del quale può essere annullato, in autotutela c.d. sostitutiva, anche un precedente provvedimento di annullamento dell’originario atto impositivo, senza che ciò comporti l’automatica reviviscenza di quest’ultimo, ormai definitivamente eliminato dall’ordinamento. Ne consegue che, in tale ipotesi, l’Ufficio ha l’obbligo di adottare un nuovo atto “sostitutivo” secondo le forme ed entro il termine di legge previsto per il suo compimento e, in caso di avvenuta impugnazione dell’atto impositivo, in assenza di giudicato sull’accertamento ad esso sotteso” (Sez. 5, sentenza n. 25055 del 08/10/2019, Rv. 655404 – 01).
Alla luce del superiore principio emerge inconfutabilmente che nella specie l’Agenzia delle entrate, in pendenza del giudizio, instaurato dalla contribuente avverso il pregresso avviso di rettifica e liquidazione del 2 ottobre 2014, ha tempestivamente e legittimamente esercitato il proprio potere di autotutela mediante l’emissione del provvedimento impositivo, oggetto del presente giudizio, previo contestuale annullamento del precedente avviso.
3.2 – Neppure ha fondamento alcuno il secondo motivo del ricorso.
In ordine alla valutazione della adeguatezza della motivazione che sorregge l’atto impositivo, la Commissione tributaria regionale non è incorsa né nella violazione, né nella falsa applicazione delle disposizioni di legge, indicate dalla ricorrente.
E’ per vero consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio di diritto secondo il quale “l’avviso di accertamento può essere motivato per relationem, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, anche ove lo stesso si concreti nel richiamo alle risultanze di un’indagine di mercato”, senza che sia necessaria “la allegazione materiale” al provvedimento impositivo dei ridetti atti o documenti “purché (…) ne venga riprodotto il contenuto essenziale, allo scopo di consentire al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato” (Sez. 5, ordinanza n. 4396 del 23/02/2018, Rv. 647547 – 01; Sez. 5, ordinanza n. 24417 del 05/10/2018, Rv. 650525 – 01; Sez. 6 – 5, ordinanza n. 9344 del 07/04/2021, Rv. 660886 01; Sez. 6 – 5, ordinanza n. 9032 del 15/04/2013, Rv. 626304 – 01).
E nella specie, là dove è assolutamente pacifico che l’impugnato l’avviso di rettifica e liquidazione “riproduca la perizia UTE” (come riconosce la ricorrente), la Commissione tributaria regionale ha esattamente affermato l’adeguatezza della motivazione dell’atto impositivo.
3.3 – II terzo motivo del ricorso è inammissibile.
3.3.1 – La censura circa la supposta violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, è assolutamente aspecifica (Sez. 1, sentenza n. 5353 del 08/03/2007, Rv. 595183 – 01; Sez. 1, sentenza n. 24298 del 29/11/2016, Rv. 642805 – 02; Sez. 1, ordinanza n. 16700 del 05/08/2020, Rv. 658610 – 01) e, comunque, manifestamente infondata, risultando affatto palese che il giudice di merito ha dato adeguato conto della decisione, alla luce del principio di diritto, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in legge della L. 7 agosto 2012, n. 134), in ordine alla “riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione” e in ordine alla conseguente deducibilità col ricorso per cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé”, siccome consistente – detta anomalia – “nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile'” (Sez. Un., sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01; Sez. Un., sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01; Sez. 3, sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828 – 01); sicché “si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Sez. 6 – 3, ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, Rv. 650880 – 01).
3.3.2 – Parimenti inammissibili sono le residue doglianze, proposte col terzo motivo di ricorso, in quanto non sono manifestamente riconducibili nell’orbita della previsione contenuta nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la ricorrente ha evocato: si tratta, invece, di censure che investono il merito del giudizio della Commissione tributaria regionale sul piano della valutazione del fatto; sicché risultano “estranee alla tipologia legale prevista dall’art. 360 c.p.c.” (Sez. 3, ordinanza n. 354 del 04/05/1988, Rv. 458715 – 01; Sez. 2, ordinanza n. 679 del 30/07/1982, Rv. 422306 – 01).
3.4 – Consegue alle considerazioni che precedono il rigetto del ricorso.
4. – Le spese del presente giudizio, congruamente liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
5. – La reiezione del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, tenutasi da remoto, il 8 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022
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