LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17626/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
Aries s.r.l., già Linea Ceramica s.r.l., in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giancarlo Tonetto, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, giusta procura speciale in calce alla “comparsa di costituzione” in data 26 giugno 2017;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, n. 127/30/2015, depositata il 13 gennaio 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.
RILEVATO
CHE:
1. La Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate e dalla Aries s.r.l. (già Linea Ceramica s.r.l.) avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Venezia (n. 80/6/2014) che, dopo aver rimesso in termini la società in relazione alla tardività del ricorso introduttivo, per lo sciopero dei servizi postali, in parziale accoglimento del ricorso della contribuente, riconosceva l’inerenza delle spese effettuate per prestazioni di elaborazioni dati dalla controllante Linear s.r.l. nonché la regolarità delle fatture emesse con Iva inferiore a quella ordinaria, respingendo per il resto. Il giudice d’appello giustificava il ritardo nella notificazione del ricorso introduttivo, effettuata il 15 novembre 2012, invece che l’ultimo giorno utile rappresentato dal 14 novembre 2012, in considerazione dello sciopero del “servizio postale”, quindi per una causa che “non poteva essere superata con una prestazione tramite mezzo diverso”. Lo sciopero del servizio postale era, dunque, un fatto “verosimile” ed eccezionale, tale da giustificare la remissione in termini. Reputava inerenti i costi per le prestazioni di elaborazione dati effettuate dalla società controllante Linear s.r.l., mentre in relazione alle 144 fatture con Iva inferiore a quella ordinaria, riteneva che la “documentazione” prodotta fosse sufficiente a giustificare l’applicazione dell’Iva in misura ridotta.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
3. La Aries s.r.l., già Linea Ceramica s.r.l., ha depositato una “comparsa di costituzione”, restando intimata.
CONSIDERATO
CHE:
1. Anzitutto, si rileva che la Aries s.r.l., già Linea Ceramica s.r.l., si è limitata al deposito presso la cancelleria di una “comparsa di costituzione”, senza provvedere alla notifica della stessa alla Agenzia ricorrente, sicché deve ritenersi intimata.
Invero, per questa Corte, nel giudizio di cassazione, il controricorso deve essere notificato alla controparte ai sensi dell’art. 370 c.p.c., non potendosi considerare sufficiente il mero deposito presso la Corte perché l’atto possa svolgere la sua funzione di strumento di attivazione del contraddittorio rispetto alla parte ricorrente; ne consegue che, in mancanza di notificazione, poiché l’atto depositato non è qualificabile come controricorso, all’intimato non è consentito il deposito di memorie ex art. 378 c.p.c. ed è preclusa la partecipazione alla discussione orale del ricorso (Cass., sez. 3, 5 dicembre 2014, n. 25735). In difetto di notifica alla controparte, l’atto depositato dalla intimata non può essere qualificato come controricorso, in quanto il mero deposito del controricorso non è sufficiente ad attivare il contraddittorio rispetto la parte ricorrente. Invero, si è recentemente affermato che, nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato un atto non qualificabile come controricorso in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per l’adunanza camerale è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 380 bis.1 c.p.c. (Cass., sez. 5, 16 giugno 2021,n. 17030).
Inoltre, per questa Corte nel giudizio per cassazione, sono necessari per l’ammissibilità del controricorso gli elementi indispensabili per la sua identificazione (l’indirizzo alla Corte, l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata) e per la validità della costituzione nel processo (la sottoscrizione di un avvocato iscritto all’albo munito di procura e l’indicazione della procura), mentre sono rimessi alla prudente valutazione della parte l’esposizione, più o meno analitica, dei fatti della causa e delle ragioni dedotte per contrastare i motivi addotti. Ne consegue che il precetto dell’art. 370 c.p.c., comma 2 (per il quale “al controricorso si applicano le norme degli artt. 365 e 366 c.p.c., in quanto è possibile”) è sostanzialmente rispettato anche quando il controricorso non contenga l’autonoma “esposizione sommaria dei fatti della causa” (art. 366 c.p.c., n. 3), ma faccia semplicemente riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata, ovvero alla narrazione di essi contenuta nel ricorso, anche se il richiamo sia soltanto implicito (Cass., sez. L, 11 gennaio 2006, n. 241; Cass., sez. un., 4 febbraio 1997, n. 1049).
Nella specie, però, la “comparsa di costituzione” si compendia di sole 4 righe, con le quali si contesta “quanto esposto” dalla parte ricorrente (non indicata”) nel ricorso notificato il 9 luglio 2015. Ne’ è sufficiente ad integrare il contenuto del controricorso (rectius “comparsa di costituzione”) la “riserva di articolare le ulteriori difese nei termini di rito”.
In realtà, il controricorso non deve necessariamente riportare, a pena di inammissibilità, la esposizione sommaria dei fatti di causa, ma deve invece contenere i motivi di diritto su cui si fonda, che ne costituiscono requisito essenziale a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, richiamato dell’art. 370 c.p.c., comma 2 (Cass., 13 marzo 2006, n. 5400).
Peraltro, deve aggiungersi che la “comparsa di costituzione” è stata depositata in cancelleria il 26 giugno 2017, mentre il ricorso per cassazione è stato notificato il 9 luglio 2015.
Per questa Corte, non è ritualmente costituito, nel giudizio di cassazione, il difensore che abbia depositato in cancelleria, fuori del termine per proporre ricorso o controricorso, un “atto di costituzione”, mediante semplice mandato in calce alla copia notificata del ricorso, senza esporre argomentazione alcuna (Cass., sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19661).
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. In particolare, si evidenzia che l’istanza di rimessione in termini del ricorso tributario di primo grado non è stata presentata tempestivamente. Infatti, il ricorso originario è stato notificato il 15 novembre 2012, mentre l’istanza di rimessione in termini è stata presentata il 9 agosto 2013, quindi a distanza di circa 9 mesi. L’istanza di rimessione in termini è stata poi presentata 2 mesi dopo la pronuncia della Commissione tributaria provinciale (del 3 giugno 2013) con cui si rigettava l’istanza cautelare avanzata dalla società perché il ricorso era tardivo.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c.; art. 2697 c.c. e artt. 2727-2729 c.c., art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Anzitutto, si rileva che il giudice d’appello si è limitato a reputare “verosimile” uno sciopero del servizio postale. La mera verosimiglianza di un fatto non integra prova dello stesso. Il giudice d’appello, quindi, senza indicare né una prova né un indizio, ha ritenuto che non si potesse ovviare allo sciopero del servizio postale con altri mezzi di notifica, quali per esempio la consegna diretta o la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. Pertanto, il giudice d’appello non ha accertato che lo sciopero del servizio postale fosse stato causa efficiente del mancato rispetto del termine. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, poi, è stato preannunciato e pubblicizzato parecchi giorni prima del suo verificarsi, come dedotto dalla stessa società ricorrente, depositando un articolo di stampa dell’8 novembre 2012.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36”. Il giudice d’appello, con motivazione apodittica, ha ritenuto che uno sciopero, reputato “verosimile”, impediva di procedere alla notifica a mezzo del servizio postale. Non ha però considerato se fosse possibile avere tempestiva notizia dello sciopero usando l’ordinaria diligenza, nonché se effettivamente lo sciopero avesse cagionato l’inosservanza del termine o se la tardività fosse dovuta negligenza della parte contribuente.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. L’Agenzia delle entrate aveva contestato la sussistenza e l’inerenza dei costi sostenuti dalla contribuente Linea Ceramica in favore della propria società controllante Linear s.r.l., in quanto: non risultavano contratti o accordi scritti relativi alle suddette prestazioni infra gruppo, la contribuente era partecipata al 100/0 dalla Linear, le due società avevano sede in comune e la contribuente pagava per tale immobile un affitto alla controllante, oltre a tutte le spese di gestione, senza alcun accordo scritto. Senza i ricavi derivanti da tali servizi Linear s.r.l., controllante, sarebbe stata inserita tra le società di comodo. Il giudice d’appello ha affermato che i costi per le prestazioni effettuate dalla controllante Linear in favore della controllata Linea Ceramica erano “inerenti”. In realtà, il giudice d’appello avrebbe deciso una domanda diversa da quella avanzata dall’Ufficio, in quanto dà per presupposto che non fosse contestata l’esistenza delle operazioni fatturate dalla controllante. Pertanto, la sentenza, nel rigettare l’appello diretto alla conferma dell’avviso di accertamento, avrebbe deciso una doglianza radicalmente diversa da quella sollevata dall’Ufficio, con conseguente nullità ai sensi dell’art. 112 c.p.c.. Vi sarebbe stata anche la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in quanto la motivazione sarebbe relativa ad una parte soltanto del thema decidendum, non concernendo le questioni sulla inesistenza e indeterminabilità dei costi; inoltre, la motivazione sarebbe apparente anche in relazione all’inerenza, in assenza della dimostrazione dell’esistenza del costo. Inoltre, la Commissione regionale fa riferimento a deduzione di controparte che accoglie e condivide, senza però descriverle in modo minimo. Allo stesso modo fa riferimento alla motivazione della sentenza di prime cure, che però non è descritta in alcun modo.
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Nell’avviso di rettifica l’Ufficio rilevava che la società aveva emesso fatture con applicazione di aliquota agevolata del 4% o del 10%, ma non era stata in grado di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’aliquota agevolata. Il giudice d’appello, sul punto si è limitato ad affermare che la “documentazione” prodotta era sufficiente a giustificare l’applicazione dell’Iva ridotta. Tale motivazione sarebbe meramente apparente, in quanto la Commissione regionale non indica in alcun modo la documentazione prodotta ed utilizzabile ai fini della decisione, anche perché l’Ufficio aveva eccepito che la società non aveva prodotto la documentazione richiesta in sede di verifica, ma solo successivamente.
6.Vanno previamente esaminati i motivi primo e secondo dell’impugnazione, di contenuto eminentemente processuale, in quanto il loro accoglimento, con l’affermazione della tardività del ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, porterebbe all’assorbimento di tutti i restanti motivi, con la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata.
7.1. I motivi primo e secondo di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.
7.2. Invero, è pacifico tra le parti che il ricorso introduttivo della contribuente sia stato presentato con ritardo solo in data 15 novembre 2012, quindi dopo la scadenza del termine breve per impugnare del 14 novembre 2012, essendo stato notificato l’avviso di accertamento il 20 agosto 2012.
Pertanto, non dovendosi computare la fine del periodo feriale sino al 15 settembre 2012, anche se il 16 settembre 2012 era domenica (quindi 15 giorni), e dovendosi tenere conto del mese di ottobre (31 giorni), il termine scadeva proprio il 14 novembre 2012 (mercoledì). L’equivoco e’, probabilmente, sorto in quanto il 16 settembre era domenica, ma l’art. 155 c.c., comma 4, prevede che “se il giorno di scadenza e festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”. Non rileva, in alcun modo, invece, che sia festivo il primo giorno del computo del termine.
Dinanzi a tale evidente tardività, la contribuente non ha dedotto alcunché nel ricorso introduttivo del giudizio notificato il 15 novembre 2012, ma ha presentato istanza di rimessione in termini solo nove mesi dopo, ossia il 9 agosto 2013. Tra l’altro, la Commissione tributaria provinciale, in data 3 giugno 2013, aveva rigettato la richiesta di concessione dell’istanza cautelare perché il ricorso era stato proposto oltre il termine di legge. Nonostante tale pronuncia di rigetto dell’istanza cautelare, la società ricorrente ha depositato l’istanza di rimessione in termini il 9 agosto 2013, comunque a distanza di oltre due mesi dal tale provvedimento giurisdizionale.
7.3. Per questa Corte, premesso che l’istituto della rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c. (prima art. 184-bis c.p.c.) è applicabile anche al processo tributario (Cass., sez. 5, 17 giugno 2021, n. 17237; Cass., sez. 5, 1 marzo 2019, n. 6/1/02 Cass., sez. 6-5, 20 gennaio 2017, n. 1486), è necessario che l’istanza di rimessione in termini sia presentata con tempestività.
7.4. Invero, in tema di contenzioso tributario, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 184 bis c.p.c. (abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, e sostituito dalla norma generale di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2), è applicabile al rito tributario, operando sia con riferimento alle decadenze relative ai poteri processuali “interni” al giudizio, sia a quelle correlate alle facoltà esterne e strumentali al processo, quali l’impugnazione dei provvedimenti sostanziali (Cass., sez. 5, 17 giugno 2015, n. 12544). 7.5. Si e’, poi, ritenuto, quanto alla necessità della tempestività dell’istanza di rimessione in termini, che l’appellante che si sia limitato a resistere all’eccezione di tardività dell’impugnazione sollevata “ex adverso”, ma non abbia formalmente e tempestivamente richiesto, con l’atto di gravame, di essere rimesso in termini, non può dolersi della declaratoria di inammissibilità dell’appello deducendo, con il ricorso per cassazione, la violazione della disciplina della rimessione in termini, poiché quest’ultima, tanto nella versione prevista dall’art. 184-bis c.p.c., quanto in quella di cui al novellato art. 153 c.p.c., comma 2, presuppone la tempestività dell’iniziativa della parte, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa (Cass., sez. 3, 27 settembre 2016, n. 19290).
8. Inoltre, l’istituto della rimessione in termini, di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, presuppone un fatto impeditivo della tempestiva proposizione dell’impugnazione, estraneo alla volontà della parte, e quindi non imputabile, della cui prova essa è onerata, avente carattere di assolutezza, e non di impossibilità relativa, né tantomeno di mera difficoltà (Cass., sez. un., 4 dicembre 2020, n. 27773), in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (Cass., 4 aprile 2013, n. 8216; Cass., sez. L, 23 gennaio 2003, n. 1014).
8.1. Nella specie, sono carenti sia il requisito della causalità, sia quello dell’assolutezza dell’impedimento.
8.2. Invero, va immediatamente evidenziato che, in base alle stesse difese di parte contribuente, lo sciopero del servizio postale, previsto per la giornata del 14 novembre 2012, termine ultimo per la notificazione del ricorso introduttivo della società, sarebbe stato annunciato con un articolo di stampa dell’8 novembre 2012. Pertanto, il difensore della società avrebbe dovuto attivarsi con anticipo per provvedere alle formalità della notificazione, essendo edotto della circostanza che il 14 novembre 2012, vi sarebbe stato uno sciopero del servizio postale. Si è ritenuto, infatti, che la scelta discrezionale di depositare l’atto l’ultimo giorno utile impone di informarsi degli orari degli uffici di cancelleria e di regolarsi di conseguenza (Cass., sez. 3, 6 luglio 2018, n. 17729). Tra l’altro, la L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 2, comma 1, relativa ai servizi pubblici essenziali, stabilisce le procedure da seguirsi nella proclamazione degli scioperi ed impone i limiti concernenti la necessità dell’erogazione agli utenti delle prestazioni indispensabili per garantire loro il godimento dei diritti della persona (Cass., sez. L, 14 settembre 2000, n. 12150; Cass., sez. L, 15 marzo 2001, n. 3785).
8.3.Inoltre, non è stata fornita neppure la prova dell’effettivo svolgimento dello sciopero, e quindi del mancato o irregolare funzionamento dell’ufficio postale proprio nella data del 14 novembre 2012.
Per questa Corte, infatti, il principio della sottrazione alla decadenza del soggetto incorsovi per cause a lui non imputabili, desumibile dal sistema normativo complessivo e dall’evoluzione giurisprudenziale, deve affermarsi anche in materia di contenzioso tributario, in forza dell’applicazione in via analogica dell’art. 2963 c.c., comma 3, e dell’art. 155 c.c., comma 4; ne consegue, ai fini della proroga dei termini per effetto del mancato funzionamento degli uffici giudiziari, che detto termine scadrà il giorno immediatamente successivo a quello del mancato o irregolare funzionamento, sempre che la parte interessata offra la prova del disfunzionamento attraverso la produzione della dichiarazione di accertamento del dirigente dell’ufficio giudiziario (Cass., sez. 5, 31 agosto 2007, n. 18353).
Era necessaria, quindi, la produzione di idonea certificazione da parte dell’ufficio postale che non aveva accettato gli atti per la spedizione.
8.4. In un caso simile, concernente lo sciopero degli ufficiali giudiziari, questa Corte ha affermato che, in base ai principi ripetutamente affermati in materia di notificazioni dalla Corte costituzionale, non può correlarsi un effetto di decadenza a un diniego di attività da parte degli ufficiali giudiziari anziché a un difetto di attività del notificante; pertanto, deve considerarsi tempestiva la notifica richiesta il giorno di scadenza del termine, non accettata a causa di uno sciopero dell’ufficio unico per le notifiche, reiterata il giorno successivo ed andata a buon fine, senza che rilevi (in presenza di idonea documentazione dell’impedimento) la mancata emanazione da parte del Ministro della Giustizia del decreto che accerta il periodo di mancato funzionamento dell’ufficio (Cass., sez. 1, 3 maggio 2007, n. 10209).
9. Inoltre, deve evidenziarsi che, anche ove si fosse verificato effettivamente lo sciopero del servizio postale, ciò non avrebbe costituito una causa ostativa assoluta alla notifica del ricorso introduttivo del giudizio. Infatti, il difensore della contribuente ben avrebbe potuto provvedere con la notificazione effettuata a mezzo di “consegna diretta” presso l’Agenzia delle entrate oppure si sarebbe potuto avvalere della notificazione a mezzo ufficiale giudiziario.
Invero, per questa Corte, nel processo tributario, in forza del rinvio operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20 al precedente art. 16, comma 3, è senz’altro valida la notificazione del ricorso introduttivo effettuata dal contribuente al concessionario, senza ricorrere all’ufficiale giudiziario o al servizio postale, ma con la consegna diretta presso la sede di quest’ultimo ad impiegato addetto “che ne rilascia ricevuta sulla copia” (Cass., sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2905).
10. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., in quanto il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure era tardivo.
11. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., trattandosi di una questione di diritto di particolare importanza, si enuncia il seguente principio di diritto: “L’istituto della rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c. (art. 184-bis c.p.c., prima della L. n. 69 del 2009,) trova applicazione anche al processo tributario, ma non sussistono i requisiti della causalità e della assolutezza dell’impedimento, tali da giustificare la tardività della proposizione del ricorso originario del contribuente, nell’ipotesi di chiusura dell’ufficio postale nell’ultimo giorno utile per effettuare la notifica, a causa dello sciopero del personale, poiché a prescindere dalla necessità che la richiesta di rimessione deve essere tempestiva, con adeguata dimostrazione dell’assolutezza dell’impedimento -, nel rito speciale tributario, il contribuente può effettuare la notifica del ricorso di primo grado mediante consegna diretta alla Agenzia delle entrate, all’impiegato addetto, che ne rilascia ricevuta, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3”.
12. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della controricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
Le spese delle fasi dei giudizi di merito vanno integralmente compensate tra le parti, sussistendone giusti motivi.
P.Q.M.
accoglie i motivi primo e secondo del ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata senza rinvio.
Condanna la controricorrente società a rimborsare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Compensa interamente tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022
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