La copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta sul bordo destro delle pagine, la "coccarda" e la stringa alfanumerica indicante i firmatari dell'atto/provvedimento, segni grafici, che sono generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari, non va confusa con il duplicato informatico, che è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (che si misurano in bit).
Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n. 27379 del 19/09/2022
RILEVATO IN FATTO
- che viene proposto da B.S. ed R.E., affidandolo ad un unico articolato motivo, ricorso avverso la sentenza n. 1547/2021 dell'11.8.2021 con la quale la Corte d'Appello di Firenze ha dichiarato inammissibile per tardività l'appello proposto dai medesimi e da altri appellanti avverso la sentenza n. 76/2017 con cui il Tribunale di Livorno aveva respinto l'opposizione proposta da tali soggetti, quali fideiussori della ***** (poi fallita), avverso il decreto ingiuntivo emesso dallo stesso tribunale a titolo di saldo del conto anticipi n. 282.
- che il giudice di secondo ha disatteso la prospettazione degli appellanti secondo cui la prima notificazione della sentenza di primo grado (la seconda era avvenuta cinque giorni dopo), avvenuta in data 25 gennaio 2017, sarebbe stata nulla, non riportando la sentenza medesima né la firma digitale né quella autografa del giudice che la aveva emessa - evidenziando che il duplicato informatico della sentenza, seppur non materialmente visibile, era comunque esistente e poteva essere verificato attraverso i programmi di verifica della firma elettronica;
- che, pertanto, la predetta notifica del 25 gennaio 2017 era pienamente valida ed idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, con conseguente tardività dell'atto di appello che era stato consegnato per la notifica il 28.2.2017 e ricevuto dalla banca il 3.3.2017;
- che Banca Intesa San Paolo Alberto si è costituita in giudizio con controricorso;
- che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c.;
- che entrambe le parte hanno deposito la memoria ex art. 380 bis. c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. che i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell'art. 326 c.p.c., in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 5, e art. 161 c.p.c., comma 2, sul rilievo che la sentenza notificata in data 25.1.2017 costituiva un documento che, ancorché autenticato dall'avvocato, non poteva essere considerato un provvedimento giurisdizionale in quanto privo sia della sottoscrizione giudice in calce all'atto, sia della firma digitale, non presentando quel documento alcun segno grafico (coccarda e stringa) da cui si potesse presumere l'avvenuta sottoscrizione; che, pertanto, il legale della banca aveva autenticato un atto inesistente ex art. 161 c.p.c., e come tale inidoneo a far decorrere il termine breve ex art. 326 c.p.c., con la conseguenza che la Corte d'Appello avrebbe dovuto considerare come termine di decorrenza per la proposizione dell'appello quello della seconda notifica avvenuta in data 30.1.2017;
2. che il ricorso è manifestamente infondato;
- che, in proposito, va osservato che i ricorrenti, nel sostenere la nullità della notifica della sentenza di primo grado, effettuata in data 25.1.2017, per essere il documento privo di alcun segno grafico che attestasse l'esistenza della firma digitale, hanno, in modo evidente, confuso l'istituto del duplicato informato della sentenza sottoscritta telematicamente con quello della copia informatica della stessa;
che, in particolare, i requisiti che i ricorrenti associano al duplicato informatico appartengono, invece, alla copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta effettivamente, sul bordo destro delle pagine, la "coccarda" e la stringa alfanumerica indicante i firmatari dell'atto/provvedimento, segni grafici, che sono generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari e che non rappresentano, peraltro, la firma digitale, ma una mera attestazione in merito alla firma digitale apposta sull'originale di quel documento (vedi Cass. n. 11306/2021);
che, invece, come si evince dal D.L n. 179 del 2012, art. 1, lett. i quinques, e art. 16 bis, comma 9 bis, (codice dell'amministrazione digitale), il duplicato informatico è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (che si misurano in bit);
che ne consegue che la corrispondenza del duplicato informatico (in ogni singolo bit) al documento originario non emerge (come, invece, nelle copie informatiche) dall'uso di segni grafici - la firma digitale e', infatti, una sottoscrizione in "bit", una firma elettronica, il cui segno, restando nel file, è invisibile sull'atto analogico, ovvero sulla carta - ma dall'uso di programmi di algoritmi, che consentano di verificare e confrontare l'impronta del file originario con il duplicato (esattamente come affermato dalla Corte d'Appello);
che, infine, correttamente il giudice d'appello ha, altresì, affermato la non necessità di attestazione di conformità tra originale e duplicato (nel caso di specie, peraltro, tale attestazione è pure stata prodotta dalla banca), atteso che l'art. 23 bis del CAD (D.L. n. 179 del 2012) comma 1 recita che: "I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida";
che, alla luce delle predette considerazioni, l'assunto dei ricorrenti secondo cui il duplicato informatico della sentenza (notificato il 25.1.2017) sarebbe privo delle firma digitale è frutto solo di un fraintendimento sul significato di duplicato informatico, e comunque si appalesa come di merito, in quanto finalizzato a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d'Appello;
che, in conclusione, essendo la prima notifica della sentenza di primo grado del 25 gennaio 2017 (effettuata dalla banca) pienamente valida, correttamente la Corte d'Appello ha fatto decorrere il termine breve per l'impugnazione da quella data;
- che sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti in ragione della novità della questione sottoposta a questa Corte.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2022.