Al termine del contratto di locazione, il locatore può rifiutare la restituzione dell'immobile che presenti uno stato di grave deterioramento?
Sì, ci ricorda la Cassazione con l'ordinanza n. 27932 del 23 settembre 2022.
Il locatore, infatti, può rifiutare la restituzione della cosa locata, ai sensi dell'art. 1590 c.c., comma 1, quando il deterioramento dell'immobile è superiore a quello corrispondente all'uso della cosa in conformità del contratto e richiede interventi straordinari di riparazione.
In tema di locazione, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia dei contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché dette somme non siano state corrisposte dal conduttore il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane obbligato, altresì, al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto".
Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n. 27932 del 23/09/2022
FATTI DI CAUSA
Eleanto S.r.l. ha agito in giudizio nei confronti di M. S.r.l. (società poi incorporata da La Torre Giochi S.r.l.) per ottenere il risarcimento, ai sensi dell'art. 1591 c.c., del danno conseguente all'occupazione abusiva di un immobile già alla stessa locato, dopo la scadenza del contratto di locazione.
La domanda è stata accolta dal Tribunale di Milano, che ha condannato la società convenuta a pagare, per il titolo indicato, il complessivo importo di Euro 47.725,50 oltre accessori.
La Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre La Torre Giochi S.r.l., sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso Eleanto S.r.l..
E' stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.
E' stata quindi fissata con decreto l'adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l'indicazione della proposta.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., comma 2.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo del ricorso si denunzia "Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1367,1368,1369,1370 e 1371 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".
La società ricorrente sostiene che, a seguito della costituzione in mora da lei effettuata alla locatrice in relazione all'offerta di riconsegna dell'immobile locato, la corte di appello avrebbe (in modo implicito ma inequivocabile) ritenuto necessaria una richiesta di restituzione del locatore al fine di rendere applicabile l'art. 1591 c.c., e avrebbe ravvisato tale richiesta di restituzione in una missiva inviata in data 18 aprile 2016, missiva che però, a suo dire, non sarebbe stata correttamente interpretata, in violazione delle disposizioni codicistiche sull'ermeneutica negoziale, in quanto la stessa conteneva solo una richiesta di esecuzione dei lavori di ripristino delle buone condizioni dei locali.
2. Il ricorso è inammissibile, in quanto le censure non colgono adeguatamente la effettiva ratio decidendi alla base della statuizione impugnata.
Dall'esame del contenuto della sentenza della corte di appello non emerge affatto che quest'ultima abbia ritenuto necessaria una esplicita richiesta di restituzione dell'immobile locato da parte dalla locatrice, ai fini dell'applicabilità dell'art. 1591 c.c., e, tanto meno, che abbia interpretato la missiva del 18 aprile 2016 in tal senso.
I giudici del merito si sono limitati a ritenere oggettivamente giustificato il rifiuto della restituzione della cosa locata, da parte della società locatrice, ai sensi dell'art. 1590 c.c., comma 1, in quanto il deterioramento dell'immobile offerto in restituzione non poteva ritenersi normale, ma era superiore a quello corrispondente all'uso della cosa in conformità del contratto e richiedeva interventi straordinari di riparazione, in (corretta) applicazione dell'indirizzo di questa stessa Corte secondo cui "in tema di locazione, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia dei contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché dette somme non siano state corrisposte dal conduttore il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane obbligato, altresì, al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto" (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 39179 del 09/12/2021, Rv. 663331 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 12977 del 24/05/2013, Rv. 626376 - 01).
A tal fine, hanno desunto lo stato di grave deterioramento dell'immobile, tale da richiedere "interventi straordinari di riparazione muraria ed impiantistica", dalla documentazione fotografica allegata agli atti, nonché dallo stesso successivo verbale di riconsegna dell'immobile del 10 gennaio 2017, avvenuta dopo che la conduttrice aveva infine eseguito i predetti lavori.
La missiva del 18 aprile 2016 viene richiamata dalla corte di appello solo al fine di dare conto delle difese della parte appellata con riguardo al motivo di gravame relativo all'entità delle opere necessarie per il ripristino dei locali e, peraltro - per quello che emerge dalla sentenza stessa - tale missiva era stata semplicemente invocata dalla locatrice a sostegno dell'assunto per cui essa aveva effettivamente richiesto alla conduttrice il ripristino dello stato dei luoghi, mediante l'esecuzione di lavori straordinari (richiesta di ripristino che non è in verità oggetto di contestazione, quale fatto storico). Le censure di cui al ricorso, aventi ad oggetto la pretesa violazione dei canoni legali di interpretazione degli atti negoziali in relazione al contenuto di tale missiva e tendenti a sostenere che quest'ultima non conteneva una richiesta di restituzione dell'immobile locato ma solo la richiesta di esecuzione delle opere di ripristino delle sue condizioni originarie, non risultano, quindi, conferenti rispetto all'effettiva ratio decidendi alla base della statuizione impugnata.
3. Non può attribuirsi alcun effettivo rilievo alla questione, oggetto delle argomentazioni contenute nel ricorso e sviluppate altresì nella memoria depositata dalla società ricorrente ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., comma 2, della ipotetica disponibilità o meno della locatrice ad accettare la restituzione del bene locato, laddove lo stesso non si fosse trovato in condizioni di grave deterioramento.
L'oggettiva circostanza di fatto che, nella realtà, l'immobile risultava gravemente deteriorato, secondo il percorso logico (peraltro del tutto corretto) alla base della decisione impugnata, giustificava di per sé il rifiuto di riceverne la restituzione da parte della locatrice, rendendo quindi irrilevante ogni indagine sulla ipotetica disponibilità di quest'ultima ad accettare la predetta restituzione nell'eventuale (ma non ricorrente) caso contrario; si sarebbe trattato, del resto, di una indagine del tutto arbitraria, in quanto riferita ad una situaizione di fatto inesistente nella realtà.
4. D'altro canto (lo si osserva a scopo di completezza espositiva), le articolate argomentazioni contenute nel ricorso, anche in relazione agli ulteriori documenti prodotti nel giudizio di merito (sia anteriori che successivi alla missiva del 18 aprile 2016, documenti che del resto non risultano presi direttamente in esame dalla corte di appello, avendo questa deciso la controversia sulla base del principio di diritto in precedenza richiamato), si risolvono, nella sostanza, nella contestazione di accertamenti di fatto sostenuti da adeguata motivazione (se non addirittura pacifici, come è a dirsi per la circostanza oggettiva del rifiuto della locatrice di accettare l'offerta di restituzione dell'immobile locato) e nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità
5. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte:
- dichiara inammissibile il ricorso;
- condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta - 3 Civile, il 12 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022.
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