Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.287 del 07/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13199-2020 proposto da:

M.L.M.M., rappresentato e difeso dall’avv. MARIANO CAMPO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 294/2019 del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO, depositata il 21/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/12/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il ***** M.L.M.M. evocava in giudizio C.A. innanzi il Giudice di Pace di Novara di Sicilia, invocandone la condanna al pagamento della somma di Euro 2.500 a titolo di saldo del compenso dovuto all’attore per le prestazioni professionali da questo svolte in favore della convenuta. Nella resistenza di quest’ultima, il Giudice di Pace, con sentenza n. 124/2008, accoglieva parzialmente la domanda, condannando la C. al pagamento in favore del M. della somma di Euro 2.000.

Interponeva appello avverso detta decisione la C. e il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con la sentenza impugnata, n. 294/2019, emessa nella resistenza del M., che aveva spiegato a sua volta appello incidentale per la parte della domanda non riconosciuta dal giudice di prima istanza, accoglieva il gravame principale, dichiarando che nulla era dovuto all’appellato, attesa la sufficienza delle somme da questi già percepite rispetto all’attività professionale in concreto svolta in favore della propria cliente.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione M.L.M.M., affidandosi a tre motivi.

C.A., intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS C.P.C. INAMMISSIBILITA, o comunque RIGETTO, del ricorso.

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Barcellona di Pozzo di Gotto, riformando la sentenza di primo grado del Giudice di Pace di Novara di Sicilia, ha rigettato la domanda proposta da M.L.M.M. , che aveva chiesto la condanna di C.A. al pagamento del saldo del corrispettivo dovuto a fronte dell’attività professionale svolta in favore della convenuta. Il Tribunale ha in particolare ritenuto congrua, in relazione all’attività svolta dal professionista, una somma inferiore a quella che gli era stata già versata direttamente dalla parte soccombente nel giudizio presupposto, e dunque ha escluso la sussistenza di un credito residuo nei confronti della C..

Il ricorso proposto dal M. si articola in tre motivi.

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 132 c.p.c., perché il giudice di appello non avrebbe considerato che il ricorrente aveva dimostrato adeguatamente l’esistenza del credito rivendicato, e la C. aveva riconosciuto in giudizio tanto lo svolgimento dell’attività professionale da parte del M., quanto il credito dallo stesso vantato in relazione a detta attività.

La censura è inammissibile.

La sentenza impugnata dà atto che la C. aveva impugnato la decisione di primo grado, deducendone l’erroneità perché “… non aveva tenuto conto dei “piccoli acconti” versati al M., così come riconosciuto da quest’ultimo a pag. 3 della comparsa conclusionale; non aveva valutato la congruità dell’importo richiesto dall’allora legale dell’appellante; non aveva valutato il valore e la difficoltà della controversia, parametrandoli alla tariffa forense all’epoca vigente né l’avvenuto pagamento della somma di Euro 4.500,00 corrisposta da parte del soccombente B. nel giudizio” (cfr. pag. 2). L’appellante, dunque, aveva contestato la spettanza del compenso ulteriore rivendicato dal M. a saldo dell’opera da questi svolta, in particolare lamentando l’erronea valutazione dell’importo dello stesso che era stata operata dal Giudice di Pace. Sotto questo profilo, è opportuno precisare che la C. effettivamente non contesta il fatto che il M. l’avesse assistita nel giudizio presupposto; ciò non implica tuttavia, alcun riconoscimento circa la debenza della somma pretesa dal professionista a saldo dell’attività dal medesimo espletata.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697,2033,2041 c.c., e degli artt. 115 e 132 c.p.c., nonché il vizio di motivazione e l’errore di fatto, perché il Tribunale avrebbe dovuto innanzitutto considerare che, nel giudizio presupposto, nel quale il professionista aveva reso la sua prestazione, la C. aveva conseguito il riconoscimento della somma di Euro 2.711,51 oltre accessori, che le era stata direttamente pagata dalla parte soccombente. Di conseguenza, ad avviso del ricorrente la C. avrebbe dovuto essere considerata debitrice, nei suoi confronti, di una somma non inferiore a quella che la stessa aveva percepito dalla parte avversa; diversamente, si configurerebbe un indebito arricchimento a favore della C., e in danno del M.. Inoltre, il Tribunale avrebbe comunque commesso un errore di fatto, non considerando che il professionista aveva comunque documentato di avere diritto di ricevere, a titolo di rimborso delle spese vive anticipate, la somma di Euro 1.315,76.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della tariffa professionale, essendosi il giudizio concluso nel 2006 e dunque dovendosi applicare la tariffa di cui al D.M. n. 127 del 2004, ed avendo il giudice erroneamente fatto riferimento al criterio del decisum anziché a quello del disputatum.

Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.

Il Tribunale ha ritenuto che, in base al tariffario applicabile ratione temporis, considerando i valori medi, ritenuti congrui in funzione della modesta difficoltà del procedimento, e tenendo conto delle attività effettivamente documentate dal professionista, fosse dovuta a quest’ultimo una somma inferiore a quella che gli era stata versata direttamente dalla parte soccombente nel giudizio presupposto (cfr. pagg 4 e ss. della sentenza impugnata). Tale ratio non è specificamente attinta dalle censure in esame, con le quali il M. contesta la decisione del giudice di merito ipotizzando che la somma che era stata riconosciuta alla C., risultata vincitrice nella causa presupposta, a titolo di spese legali, costituisse l’importo minimo da riconoscere al professionista che in quella causa l’aveva assistita. In merito, va ribadita l’autonomia del rapporto che sussiste tra avvocato e cliente, rispetto al diverso rapporto che si configura tra le parti in causa; la condanna di una di esse, risultata soccombente, a riconoscere all’altra l’importo liquidato dal giudice a titolo di spese legali, quindi, non costituisce un parametro rilevante per la quantificazione del compenso dovuto dal cliente al proprio avvocato. L’autonomia dei due rapporti, e l’impossibilità di confonderli, è stata ribadita da questa Corte, anche in relazione alla posizione della parte non ammessa al patrocinio spese dello Stato che sia stata condannata, all’esito del giudizio, al pagamento delle spese di lite direttamente in favore della parte ammessa al beneficio; si e’, in proposito, ritenuto che la parte condannata al pagamento non possa contestare la quantificazione dell’importo posto a suo carico dalla sentenza, sul presupposto che l’Erario erogherebbe alla parte beneficiata un importo inferiore a quello liquidato, giusta la disposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 130, attesa l’indipendenza dei due rapporti rispettivamente esistenti, il primo, tra le parti del giudizio e regolato dalla sentenza che lo conclude, ed il secondo, tra la parte ammessa al beneficio e lo Stato (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18223 del 02/09/2020, Rv. 659097). Ne consegue che la somma che il cliente deve riconoscere al proprio avvocato in ragione dell’attività svolta da quest’ultimo in suo favore prescinde totalmente dall’importo che, all’esito del giudizio in cui la predetta attività è stata espletata, l’autorità giudiziaria riconosce alla parte vittoriosa a titolo di spese legali, in applicazione del principio di soccombenza.

Neppure rileva il fatto che il Tribunale abbia applicato il criterio del decisum per la determinazione del compenso dovuto al M., posto che “Nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Pertanto, il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18507 del 12/07/2018, Rv. 649591; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13229 del 31/05/2010, Rv. 613148 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 19014 del 11/09/2007, Rv. 598765).

Infine, per quanto attiene alla censura relativa all’errore di fatto che il Tribunale avrebbe commesso in relazione alla mancata considerazione delle spese vive che il M. avrebbe anticipato per la C., va rilevata la natura meritale della doglianza, la quale è suscettibile, al massimo, di integrare un vizio di natura revocatoria, laddove si ritenga che, con essa, il ricorrente abbia inteso dolersi dell’erronea percezione di un fatto documentalmente provato nel giudizio di merito”.

Il Collegio condivide la proposta del Relatore.

Con la memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale, il ricorrente, dopo aver ricevuto la proposta, afferma -in relazione al primo motivo di ricorso- che il giudice di merito non avrebbe considerato il fatto che la C. avrebbe riconosciuto, nel proprio atto di appello, di essere debitrice nei confronti del M. di una somma addirittura superiore a quella che lo stesso aveva richiesta a titolo di saldo della sua opera professionale. Ciò, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto condurre il giudice di merito ad una conclusione opposta a quella in concreto adottata.

Il Collegio osserva che le precisazioni contenute in memoria avrebbero dovuto essere esposte nel motivo di ricorso, che – sotto questo profilo – si rivela non del tutto specifico. Inoltre, osserva che, nel caso di specie, il Tribunale era stato investito, attraverso l’appello principale proposto dalla C. e quello incidentale spiegato dal M., dell’intera questione concernente la quantificazione del compenso dovuto al secondo, a fronte dell’opera da quegli in concreto prestata. Il giudice di merito, dunque, era libero di determinare la somma spettante al professionista, anche a prescindere dalle allegazioni difensive delle parti, in relazione alle quali, peraltro, occorre evidenziare che lo stesso ricorrente dà atto (cfr. pag. 4 del ricorso) che la C. aveva, sin dal primo grado di giudizio, invocato una rideterminazione delle somme dovute al professionista a fronte dell’opera da questi prestata in suo favore.

In relazione agli altri motivi del ricorso, invece, la memoria non offre argomenti ulteriori, essendo meramente reiterativa degli stessi.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, a fronte del mancato svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.

Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, del comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2022

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