Parametri forensi, da quando si applicano le nuove tariffe?

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.33482 del 14/11/2022

Con il Dm Giustizia n. 147 del 13 agosto 2022 sono stati approvati i nuovi parametri forensi.

Ma le nuove tariffe da quando sono applicabili?

Rispondono al quesito le Sezioni Unite della Cassazione con l'ordinanza n. 33482 depositata il 14 novembre 2022.

La Suprema Corte, richiamando gli art. 6 e 7 del citato decreto, ha stabilito che i nuovi parametri forensi si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente al 23 ottobre 2022, data dell'entrata in vigore del decreto.

Spese processuali, nuovi parametri forensi, liquidazione giudiziale intervenuta successivamente alla data di entrata in vigore del nuovo decreto, criteri applicativi

In tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di "compenso" la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata.

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Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n. 33482 del 14/11/2022

RILEVATO IN FATTO

che:

La Fondazione Istituto Tecnico Superiore per la mobilità sostenibile nei settori dei trasporti marittimi e della pesca - Accademia Italiana Marina Mercantile (d'ora in avanti, Fondazione) bandiva il 29 agosto 2019 una gara per fornitura e posa in opera di un nuovo sistema di navigazione per i locali dell'Ente Radar s.c. a r.l., in suo possesso, su un prezzo a base d'asta di Euro 165.000; prima in graduatoria all'esito della gara risultava Centro per gli Studi di Tecnica Navale - Cetena S.p.A. (d'ora in poi Cetena), e seconda Scenario S.r.l.; la Fondazione il 14 ottobre 2019 disponeva l'aggiudicazione definitiva a favore di Cetena.

Scenario impugnava gli atti e l'aggiudicazione davanti al Tar Liguria, chiedendone l'annullamento e chiedendo altresì l'aggiudicazione a suo favore della gara; in subordine chiedeva di rinnovare le operazioni di gara. La Fondazione si costituiva resistendo. Si costituiva resistendo anche Cetena, che in primis eccepiva difetto di giurisdizione, in base all'asserto che la stazione appaltante svolgesse un'attività di diritto privato, per cui non le sarebbe stato applicabile il Codice degli appalti.

Il Tar, con sentenza 17 febbraio 2020 n. 121, accoglieva l'eccezione, negando la giurisdizione amministrativa per non essere la Fondazione organismo di diritto pubblico a causa dell'insussistenza del requisito, necessario per tale organismo, della c.d. influenza dominante.

Scenario proponeva appello principale, cui la Fondazione resisteva; resisteva altresì Cetena, che proponeva, nel caso che occorresse, appello incidentale per avere la sentenza impugnata riconosciuto alla Fondazione uno dei requisiti dell'organismo di diritto pubblico, cioè il c.d. requisito teleologico.

Il Consiglio di Stato, con sentenza del 10 maggio 2021, accoglieva l'appello principale e rigettava quello incidentale, per cui, riconosciuta la giurisdizione amministrativa esclusiva ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera e), n. 1), c.p.a., annullava la sentenza con rinvio al primo giudice ex art. 105, comma 1, c.p.a..

Cetena ai sensi dell'art. 110 c.p.a., sulla base di un unico motivo, ha presentato ricorso, da cui si è difesa con controricorso soltanto Scenario.

Cetena ha depositato anche memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Cetena denuncia con l'unico motivo - in realtà spartito tra due submotivi, come si vedrà infra - violazione del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 3, (Codice degli appalti) e art. 133c.p.a..

1.1 Premesso che la controversia per identificare la giurisdizione si impernia sulla qualificazione della Fondazione, ovvero sull'accertare se si tratta o meno di organismo di diritto pubblico in quanto rispondente al requisito teleologico e al requisito dell'influenza pubblica (il requisito della personalità giuridica è indiscusso come sussistente), si assume che il Consiglio di Stato avrebbe violato il D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, sostenendo la propria decisione con un'interpretazione infondata della nozione di organismo di diritto pubblico, pretermettendo l'esame di aspetti decisivi e sviluppando "un orientamento tutto proprio" rispetto alla giurisprudenza.

Si trascrive un passo della sentenza impugnata ove si afferma che, ai fini della identificazione della natura dell'organismo, prevalgono sulle modalità con cui la sua attività è svolta i compiti assegnatigli, così condividendo le affermazioni del Tar nel senso che gli scopi della Fondazione sarebbero correlati "ad esigenze di interesse generale corrispondenti all'interesse pubblico all'istruzione", e aggiungendo che l'essere l'istruzione strumentale non solo ai lavoratori ma anche ai datori di lavoro non renderebbe "commerciali" o "industriali" le finalità dell'attività della Fondazione poiché l'istruzione e l'insegnamento sarebbero "beni immateriali in sé e non in quanto strumentali ad attività economiche".

Oppone la ricorrente che il D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, non sarebbe stato correttamente interpretato, perché il Consiglio di Stato sarebbe giunto a "sovraesporre un aspetto, quello dell'istituzione per finalità di interesse generale, e trascurare completamente l'altro, inerente alla natura non industriale o commerciale", laddove sarebbe "evidente che la norma definitoria (quella unionale come quella italiana) prevede cumulativamente tali aspetti" perché vi sia organismo di diritto pubblico, non bastando quindi che "un'entità sia costituita per scopi corrispondenti ad interessi generali", occorrendo invece un quid pluris.

Si invoca la sentenza della Corte di Giustizia C-18/01, Taitotalo, desumendone che occorre accertare la sussistenza di interessi generali e successivamente determinare se questi abbiano o meno carattere industriale o commerciale quest'ultimo mancando se sono "soddisfatti in modo diverso dall'offerta di beni o servizi sul mercato" - e dovendosi pertanto valutare "l'esistenza, o l'assenza, di tale bisogno di interesse generale... tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell'organismo interessato e le condizioni in cui quest'ultimo esercita la sua attività". Ad avviso della ricorrente questo smentirebbe l'assunto del Consiglio di Stato nel senso che prevarrebbero i compiti sulle modalità con cui concretamente opera l'ente.

Ciò troverebbe riscontro nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, come S.U. ord. 7646/2020, riguardante una fondazione statutariamente priva di scopo di lucro operante nel settore sanitario e sostentata in gran parte da corrispettivi del servizio sanitario regionale per prestazioni rese in regime di accreditamento, riconosciuta di natura privata e non obbligata pertanto al regime della gara pubblica.

La Fondazione qui in esame sarebbe dunque di diritto privato, aperta anche alla partecipazione di operatori privati. Si richiamano vari articoli dello Statuto: l'art. 1 - per cui essa "risponde ai principi e allo schema giuridico della fondazione di partecipazione nell'ambito del più vasto genere di fondazioni disciplinato dal codice civile e leggi collegate" -, l'art. 7 - che, dopo aver stabilito che i componenti della Fondazione "si dividono in Fondatori e Partecipanti", elenca i primi indicando pure soggetti privati, tra cui imprenditori marittimi che ad avviso della ricorrente parteciperebbero per soddisfare la propria esigenza di disponibilità di personale qualificato -, l'art. 12 - per cui la Fondazione va gestita "con criteri di economicità, efficacia ed efficienza" -, l'art. 5 - il quale prevede che "il Fondo di gestione della Fondazione è costituito da: ogni eventuale provento, contributo, donazione o lascito destinato all'attuazione degli scopi statutari e non espressamente destinato all'incremento del patrimonio; dalle rendite e dai proventi derivanti dal patrimonio ed alle attività della Fondazione medesima; dai ricavi delle attività istituzionali, accessorie, strumentali e connesse" -.

Affermato che i partecipanti non avrebbero obblighi di ripianamento di eventuali perdite, per cui la Fondazione non sarebbe "in condizione di "guardare a considerazioni non economiche", come invece avviene "ontologicamente" per gli organismi di diritto pubbico", la ricorrente deduce che la Fondazione per statuto, e anche per la presenza di vari componenti imprenditori o rappresentanti delle categorie imprenditoriali, opererebbe per finalità al tempo stesso di interesse generale e di interesse di tali categorie imprenditoriali - gli imprenditori marittimi - "secondo criteri di economicità sulla base delle rendite del patrimonio e dei ricavi delle attività, oltre che di eventuali liberalità, sopportando in proprio il rischio legato alla copertura dei costi", tanto che il Piano di prevenzione della corruzione, per la Fondazione "dichiaratamente una sezione del modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, tipico dei soggetti privati", espressamente si riferirebbe al "ruolo rivestito da FAIMM sul mercato" e riconoscerebbe che la Fondazione "non è una pubblica amministrazione".

Si richiamano poi dati di dettaglio del conto economico presenti nella nota integrativa al bilancio 2016 della Fondazione, che dimostrerebbero "un carattere commerciale" di quest'ultima dando atto di ricavi per attività formative da essa svolte. Richiamando allora della Corte di Giustizia la sentenza C-380/98, University of Cambridge, per cui solo le prestazioni senza specifica controprestazione costituirebbero finanziamento pubblico, si sostiene che la controprestazione consistente nello svolgimento dell'attività formativa per i futuri impiegati del settore marittimo o in progetti nel settore condurrebbe i contributi "nell'alveo dei proventi di attività indubbiamente commerciale" della Fondazione, senza che ciò sia smentito dall'operare quest'ultima in stretta sinergia con il Fondo Nazionale Marittimi, il MIUR e la Regione Liguria, suoi finanziatori. Non sarebbe infatti decisiva la provenienza pubblica dei fondi, "bensì il fatto che la Fondazione riceva contributi per gli specifici corsi formativi svolti, ossia per una propria attività la quale (sia pure di interesse generale, ma a ben vedere, più propriamente, di categoria) resta svolta in modo oggettivamente commerciale".

Ne deriverebbe, non essendo sufficiente alla luce della giurisprudenza Europea e di queste Sezioni Unite che le finalità statutarie corrispondano ad interessi generali ed essendo invece decisivo che la Fondazione, "con l'ampia partecipazione di soggetti privati, opera con modalità industriali e/o commerciali", l'insussistenza del requisito teleologico e dunque della natura di organismo di diritto pubblico, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.

1.2 Ad avviso della ricorrente si giungerebbe allo stesso risultato per altra via, cioè il riscontro dell'ulteriore assenza del requisito dell'influenza dominante.

Il Tar aveva negato che questo requisito ricorresse per mancanza di previsioni in tal senso dello Statuto, rilevando che, se anche occasionalmente si verificassero le condizioni dell'influenza dominante, ciò avverrebbe di fatto e di fatto potrebbe cessare. A questo il Consiglio di Stato avrebbe "sbrigativamente" contrapposto che ciò "si presterebbe a condotte elusive".

Sostiene la ricorrente che l'assenza nello statuto di apposite clausole assicuranti l'influenza dominante esterna una intenzione decisiva di non predisporre siffatta influenza, e quindi di non conformare l'ente a un organismo di diritto pubblico.

Inoltre non sussisterebbero "neppure le condizioni per affermare l'influenza dominante de facto". Il Consiglio di Stato fonderebbe la propria analisi sulla considerazione congiunta di componenti del Consiglio di indirizzo dell'ente quali la Città metropolitana di Genova e l'Istituto tecnico-nautico superiore San Giorgio; ma mancherebbe ogni strumento giuridico di c.d. controllo congiunto, dovendo tali enti essere considerati non "in blocco" bensì singolarmente: e la stessa sentenza impugnata riconosce che, per lo statuto, la Città metropolitana ha solo quarantuno voti su cento, mentre l'Istituto tecnico ne ha solo quindici.

Il Consiglio di Stato stesso osserva altresì che, nella Giunta, uno dei cinque componenti è nominato dalla Città metropolitana, uno dall'Istituto tecnico e gli altri dal Consiglio di indirizzo: dunque né la Città metropolitana né l'Istituto tecnico avrebbero di per sé la maggioranza, per cui non sarebbe sostenibile che "la Giunta sia senz'altro soggetta alla cd. influenza dominante".

Ancora, non sussisterebbe il c.d. finanziamento maggioritario. Il Consiglio di Stato, infatti, avrebbe basato la propria disamina sul conto economico 2018 della Fondazione, ma, ut supra già evidenziato, "i numeri ivi figuranti sono analoghi a quelli relativi al 2016, ... con la decisiva precisazione... secondo la quale nel conto economico quelli iscritti come" "contributi in conto esercizio" non sono mere sovvenzioni bensì proventi per corsi ed altre attività soggette a rendicontazione... e dunque si qualificano a loro volta come corrispettivi e non finanziamenti che possano essere rilevanti ai fini della nozione di organismo di diritto pubblico"; decisiva non sarebbe quindi la provenienza di tali risorse, bensì "la sinallagmaticità della loro erogazione, a fronte di costi o progetti", onde non sarebbero forme di finanziamento. La produzione della Fondazione, nel suo integrale valore, avrebbe invero natura di corrispettività, tanto che, come già rilevato, lo statuto non prevederebbe finanziamenti né ripianamento di perdite da parte dei soci, invece "costringendo la Fondazione a sopportare il rischio relativo al raggiungimento dell'equilibrio economico delle proprie attività", dal che discenderebbe la mancanza dell'influenza dominante pubblica.

2.1 Il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 3, - Codice dei contratti pubblici -, al comma 1, sub d), qualifica organismo di diritto pubblico "qualsiasi organismo, anche in forma societaria" con i seguenti tre requisiti: "1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico".

La sussistenza o meno del primo e del terzo requisito, essendo il secondo (come già anticipato) indiscusso, è stata oggetto della sentenza qui impugnata del Consiglio di Stato, avverso la cui disamina si dispiegano quindi tutte le censure veicolate dal ricorso. E' il caso, pertanto di ben riassumere le argomentazioni in base alle quali il Consiglio di Stato è pervenuto alla sua decisione, partendo dal primo submotivo del ricorso, attinente al requisito teleologico.

2.2 Il Consiglio di Stato prende le mosse dal rilievo che nella giurisdizione amministrativa esclusiva di cui all'art. 7 c.p.a. rientrano le procedure per l'affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture qualora, ai sen dell'art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, la procedura sia svolta requisito soggettivo - da soggetti "comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale" e - requisito oggettivo - il contratto da affidare concerna "lavori, servizi e forniture", per subito focalizzare correttamente la questione sul requisito soggettivo. Tale requisito investe chi è tenuto ad applicare il Codice dei contratti pubblici, cioè le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori ex art. 1 del Codice; e nelle amministrazioni aggiudicatrici si rinvengono appunto gli organismi di diritto pubblico come definiti e "strutturati" dal già richiamato art. 3, comma 1, del Codice.

Evidenzia allora il Consiglio di Stato che il requisito teleologico - così è denominato quanto previsto nell'art. 3, comma 1, lett. d), n. 1 del Codice -, vagliato dalla giurisprudenza unionale oltre che da quella interna, è stato inteso nel senso che, "affinché si possa dire diretta a soddisfare un bisogno avente carattere "non industriale o commerciale", l'attività dell'ente deve rispondere a interesse primario della collettività", non incidendo il fatto che "l'ente offre prestazioni o servizi insieme a soggetti privati in un mercato concorrenziale", anche se il regime concorrenziale del mercato è forte indizio che l'ente, "pur soddisfacendo bisogni collettivi, in realtà cerca specialmente di conseguire un proprio lucro". Comunque la giurisprudenza nota ancora l'impugnata pronuncia, e fondatamente vista la recente S.U. 28 marzo 2019 n. 8673 - si è imperniata su un approccio funzionale per cui "dalle concrete modalità con cui si esplica l'attività dell'ente" emerge la "rispondenza dell'azione all'interesse della collettività non industriale o commerciale"; e dunque sussiste il requisito teleologico "se l'organismo è stato costituito da un soggetto pubblico appartenente al perimetro allargato della pubblica amministrazione, per dare esecuzione a un servizio che è necessario perché è strettamente connesso alla finalità pubblica di quest'ultimo". Da ciò deriva la preminenza dei compiti posti a base della istituzione dell'ente sulle modalità con cui l'attività viene da esso svolta. E infatti le modalità "non sono espressamente citate dalle disposizioni, neppure Eurounitarie", non sono idonee a differenziare chiaramente l'azione pubblica da quella di un operatore economico privato (l'offerta di prestazione in un mercato concorrenziale aperto a imprese private non esclude la qualificazione come organismo di diritto pubblico) e sono "potenzialmente mutevoli nel tempo".

Chiarisce allora il Consiglio di Stato perché la Fondazione debba ritenersi dotata del requisito teleologico: nello statuto, infatti, l'art. 1 stabilisce: "La Fondazione non persegue fini di lucro e non può distribuire utili"; e l'art. 2 ("che ricalca quanto stabilito, con riferimento all'oggetto delle fondazioni Istituti Tecnici Superiori, costituiti "secondo lo standard organizzativo della fondazione di partecipazione con riferimento all'art. 14 c.c. e ss.", dall'art. 2 dell'allegato al D.P.C.M. 25 gennaio 2008") stabilisce a sua volta: "In relazione alle priorità strategiche per lo sviluppo del Paese e negli ambiti e secondo le priorità indicati dalla programmazione regionale, la Fondazione persegue le finalità di promuovere la diffusione della cultura tecnica e scientifica, di sostenere le misure per lo sviluppo dell'economia e le politiche attive del lavoro". Tra i "compiti" posti alla Fondazione rientrano dunque: "assicurare... l'offerta di tecnici superiori a livello post-secondario in relazione a figure che rispondano alla domanda proveniente dal mondo del lavoro pubblico e privato in relazione al settore di riferimento...; sostenere le misure per l'innovazione e il trasferimento tecnologico alle piccole e medie imprese; diffondere la cultura tecnica e scientifica e promuovere l'orientamento dei giovani e delle loro famiglie verso le professioni tecniche; sostenere la formazione continua dei lavoratori stabilendo anche organici rapporti con i fondi interprofessionali".

Qualifica il Consiglio di Stato, sine dubio agevolmente, questi scopi come "esigenze di interesse generale, che corrispondono all'interesse pubblico dell'istruzione", proprio a questo punto escludendo che l'affiancarsi alle esigenze dei lavoratori anche quelle dei datori di lavoro le renda commerciali e industriali poiché "l'istruzione e l'insegnamento sono... beni immateriali in sé e non in quanto strumentali ad attività economiche", per cui "l'effetto indiretto di consentire o agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro non vale ad assegnare un carattere "commerciale" all'attività".

Ne' d'altronde, rileva ancora il Consiglio di Stato, "le ulteriori attività, collaterali ed accessorie", della Fondazione dirette a raggiungere le proprie finalità indicate nell'art. 3 dello Statuto, includenti "ricerca, progettazione, consulenza e formazione" nonché "attività promozionali e di pubbliche relazioni, quali convegni, seminari e mostre" - sarebbero incompatibili con la sussistenza del requisito teleologico, integrando una mera modalità di svolgimento dell'attività finalizzata alle esigenze di interesse generale.

In tal modo il Consiglio di Stato perviene a dichiarare sussistente nella Fondazione il requisito teleologico.

2.3 Il riscontro del requisito così raggiunto, in effetti, non viene inficiato dalle argomentazioni dispiegate nel ricorso e sopra riassunte. Nucleo dirimente del requisito, invero, come già esprime la definizione di "teleologico", non è la modalità delle attività poste in essere, bensì lo scopo che queste perseguono; e il pubblico interesse necessario ad attestare la pubblica sostanza dell'organismo di diritto pubblico" è stato nitidamente colto dal Consiglio di Stato nei dati statutari, da cui emerge il perseguimento dell'attività della Fondazione come privo di ogni natura industriale e/o commerciale, essendo orientato alla diffusione della cultura tecnica e scientifica, la quale, naturalmente, ricade poi in modo indiretto sullo sviluppo economico e del lavoro (artt. 1 e 2 dello statuto). Le modalità, infatti, costituiscono unicamente un quomodo dell'attività della Fondazione, cioè della manifestazione della sua natura, che trova invece l'ontologica determinazione nei fini dell'attività stessa.

Ciò è stato riconosciuto da queste Sezioni Unite, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia, con arresti chiarificatori.

2.4 Proprio assai di recente, S.U. 18 gennaio 2022 n. 1482 ha approfondito, alla luce della giurisprudenza Eurounitaria, le tematiche della compresenza di un'attività riconducibile al mercato e le esigenze di base che muovono l'ente, al fine d'individuare il percorso necessario per l'accertamento della natura o meno di organismo di diritto pubblico.

Premesso, allora, che la Corte di Lussemburgo ha più volte affermato che, per essere di diritto pubblico, l'organismo va "istituito per soddisfare bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale (Corte di Giustizia UE, sent. 15/01/1998, in causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG; sent. 22/05/2003, in causa C-18/01, Korhonen e altri)", nella recentissima sentenza si è rilevato che tale giurisprudenza unionale insegna che "il carattere non industriale o commerciale del bisogno non coincide con quello generale dell'interesse che è volto a soddisfare, ma ne costituisce una ulteriore specificazione", ragion per cui, "nell'ambito della categoria dei bisogni d'interesse generale, va enucleata una sottocategoria contrassegnata dal carattere non industriale o commerciale dell'interesse, la cui presenza risulta parimenti indispensabile ai fini dell'attribuzione della qualifica in esame (cfr. sent. 10/11/1998, in causa C-360/96, BFI Holding BV)". La Corte di Giustizia ha comunque "precisato che, in linea di principio, costituiscono bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale quei bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall'offerta di beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, dall'altro, per motivi connessi all'interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere un'influenza determinante (cfr. sent. 10/11/1998, in causa C-360/96, BFI Holding BV; sent. 10/05/2001, in cause C-223/99 e C-260/99, Agorà ed Excelsior; sent. 27/02/2003, in causa C373/2000, Adolf Truley; sent. 27/05/2003, in causa C-18/01, Korhonen e altri)". Per determinare, allora, il requisito teleologico occorre valutare "le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell'organismo considerato e le condizioni in cui quest'ultimo esercita le attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, ivi compresa... la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro, la mancanza di assunzione dei rischi collegati a tale attività nonché il finanziamento pubblico eventuale delle attività di cui trattasi (cfr. sent. 5/10/2017, in causa C-567/15, LitSpecMet UAB)", giacché l'esistenza di una concorrenza "e' stata infatti considerata insufficiente ad escludere la configurabilità di un bisogno di interesse generale aventCcarattere non industriale o commerciale", dovendosi considerare a tal fine pure altri fattori, soprattutto le condizioni in cui l'organismo esercita la sua attività (sentenza 27/02/2003, in causa C373/2000, Adolf Truley).

Dunque, "se l'organismo opera in normali condizioni di mercato, persegue lo scopo di lucro e subisce le perdite connesse all'esercizio della sua attività, è poco probabile che i bisogni che esso mira a soddisfare abbiano carattere non industriale o commerciale (sent. 27/05/2003, in causa C-18/01, Korhonen e altri)". Infatti lo scopo delle direttive attinenti ai pubblici appalti deve individuarsi "nell'escludere non solo il rischio che gli offerenti o candidati nazionali siano nell'attribuzione di appalti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, ma anche la possibilità che un ente finanziato o controllato dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche (cfr. 3/10/2000, in causa C380/98, University of Cambridge; sent. 12/12/2002, in causa C-470/99, Universale-Bau e altri)". Si è pure chiarito che la necessità del requisito teleologico "non esclude la possibilità che il medesimo bisogno sia soddisfatto anche da imprese private", e altresì che, "ai fini della sua sussistenza, non occorre che l'attività d'interesse generale sia esercitata in modo esclusivo, potendo il medesimo soggetto svolgere altre attività, anche con carattere prevalente (cfr. sent. 15/01/1998, in causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG; sent. 27/05/2003, in causa C-18/01, Korhonen e altri), ivi comprese attività a scopo di lucro sul mercato concorrenziale, purché l'attività dell'organismo siano necessarie affinché l'amministrazione che lo ha istituito possa esercitare la sua attività e, al fine di soddisfare esigenze di interesse generale, tale soggetto si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche (cfr. sent. 10/04/2008, in causa C-393/06, Ing. Aigner GmbH; sent. 5/10/2017, in causa C-567/2015, LitSpecMet UAB)".

Da tutto ciò la giurisprudenza di queste Sezioni Unite - nota ancora S.U. 1482/2022 - ha dedotto che, ai fini dell'accertamento del requisito teleologico, "occorre avere riguardo in primo luogo alla circostanza che l'attività sia rivolta, anche non esclusivamente prevalentemente, alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria al soddisfacimento di tale interesse, e che il soggetto, pur eventualmente operando in un mercato concorrenziale, non fondi la propria attività principale esclusivamente su criteri di rendimento, efficacia e redditività e non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento di tale attività, i quali devono ricadere sull'Amministrazione controllante, ed in secondo luogo alla circostanza che il servizio d'interesse generale, oggetto di detta attività, non possa essere rifiutato per ragioni di convenienza economica" (S.U. 28 marzo 2019 n. 8673). E non incide neppure sulla qualificabilità come organismo di diritto pubblico il fatto che "il soggetto non sia interamente partecipato da un ente qualificabile come amministrazione aggiudicatrice".

2.5 La coesistenza nell'organismo, quindi, come modalità di effettuazione di quanto affidatogli, anche di attività lato sensu economiche con l'interesse generale che vi si presuppongono non comporta la privatizzazione dell'organismo stesso, in quanto - proprio come ha riconosciuto nella impugnata sentenza il Consiglio di Stato - prevalgono i fini, che possono tradursi nei bisogni di interesse generale per cui l'organismo è stato istituito, i quali invece non possono essere commerciali/industriali.

Quel che emerge dallo statuto della Fondazione de qua, appunto come ha rilevato il supremo giudice amministrativo, dimostra che tali bisogni non sono (quantomeno direttamente) economici - tanto che "la Fondazione non persegue fini di lucro e non può distribuire utili", come recita l'art. 1 dello statuto stesso -, bensì integrano interessi tipicamente generali, quale la diffusione della cultura tecnica e scientifica, e lo sviluppo dell'economia e del lavoro, con ricadute sulla naturale sopravvenienza di nuovi tecnici ("promuovere l'orientamento dei giovani e delle loro famiglie") e sulla continuità di formazione di quelli già inseriti nel lavoro. Se questa è la base teleologica, come rileva appunto il Consiglio di Stato l'attività non è economica, bensì "immateriale", pur se la modalità di espletamento che può essere concretamente adottata si espanda in una varietà di forme e quindi oltre i binari di un mero insegnamento culturale.

Il requisito teleologico, pertanto, sussiste, dovendosi rigettare il submotivo diretto a dimostrare l'inesistenza nel caso di specie.

3.1 I secondo submotivo, come si è visto, concerne il requisito dell'influenza dominante, riproponendo sostanzialmente quel che aveva ritenuto al riguardo il Tar, cioè la sua inesistenza per mancanza di previsioni che rendano certa e stabile invece la sua presenza, e mirando a confutare il disattendimento di tale impostazione cui è pervenuto il Consiglio di Stato.

Anche per questo submotivo è opportuno prendere le mosse, allora, dal sunto di quel che in tema è stato rilevato nella sentenza impugnata per ricostruire appunto la configurazione della negata influenza dominante, ovvero del maggior ruolo di governo e controllo assegnato ai membri pubblici dell'organismo.

3.2 Osserva anzitutto il Consiglio di Stato che il Piano di prevenzione della corruzione 2016-2018 afferma: "La Fondazione opera sulla base di un'architettura statutaria che attribuisce ai soci Fondatori prevalenti poteri di indirizzo che si estendono alla designazione della maggioranza dei componenti degli organi... che presiedono allo svolgimento dell'attività istituzionale. Tra i soci Fondatori trova ruolo la Città Metropolitana di Genova... la quale detiene una quota di partecipazione al Fondo di dotazione della Fondazione pari al 52,42%." Rimarca altresì il Piano: "La Fondazione esercita la sua attività formativa istituzionale in virtù di finanziamenti pubblici provenienti dal Fondo Nazionale Marittimo, dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, nonché dal Fondo Sociale Europeo".

A ciò la sentenza qui impugnata subito affianca una dettagliata descrizione di come sono orientate nella stessa direzione di prevalente dominio pubblico le previsioni statutarie, in base alle quali l'organo cui "e' riservata la deliberazione degli atti essenziali alla vita della Fondazione ed al raggiungimento dei suoi scopi", cioè il Consiglio di indirizzo (art. 10 dello statuto), è composto "in modo che siano rappresentati tutti i soggetti fondatori ed altri rappresentanti eletti dall'Assemblea di Partecipazione, fermo restando che il numero di questi ultimi non può superare un terzo dei soci fondatori"; la Città Metropolitana può nominarne tre membri; il Consiglio di indirizzo comunque "dispone, ai fini delle proprie deliberazioni, di cento punti/voti complessivi, di cui novantotto spettanti ai membri nominati dai Soggetti Fondatori e solo due attribuiti ai membri nominati dall'Assemblea di Partecipazione"; e dei novantotto "se quindici sono attribuiti all'Istituto Tecnico Nautico Superiore San Giorgio, i restanti ottantatre' sono ripartiti tra i restanti soggetti nominati dai soci Fondatori in misura proporzionale ai conferimenti da questi ultimi effettuati al Fondo di Dotazione della Fondazione". E dunque, essendo la quota del 52,42% di tale fondo costituita al 31 dicembre 2018 da versamenti della Città Metropolitana, il Consiglio di Stato, rilevando "l'assenza di elementi probatori tali da escludere la permanenza di tale situazione anche all'epoca di indizione della gara", ha ritenuto che la Città Metropolitana disponesse, mediante i membri che aveva nominato, più della metà degli ottantatre' voti su cento "funzionali all'adozione degli atti del Consiglio di indirizzo", raggiungendo una maggioranza di cinquantasei voti su cento assommando quelli dell'Istituto San Giorgio: vale a dire, la maggioranza era in capo agli enti pubblici fondatori, che potevano quindi controllare il Consiglio di indirizzo ovvero "esercitare un'influenza dominante sugli obiettivi strategici e le decisioni di rilievo per la Fondazione".

Quanto poi alla Giunta esecutiva della Fondazione, in forza dell'art. 12 dello statuto incaricata dell'amministrazione ordinaria e straordinaria, della gestione, del bilancio preventivo e del conto consuntivo da sottoporre per l'approvazione al Consiglio di indirizzo, ha rilevato il Consiglio di Stato che detta norma statutaria prevede sia composta di cinque membri, di cui due costituiti di diritto quali rappresentanti della Città Metropolitana e dell'Istituto San Giorgio, e altri due nominati dal Consiglio di indirizzo, ove hanno la maggioranza la Città Metropolitana e l'Istituto San Giorgio.

Inoltre il Consiglio di Stato ha confutato il Tar laddove questo aveva ritenuto irrilevante la quota del 52,42% della Città Metropolitana nel Fondo di dotazione della Fondazione per "asserita mancanza del carattere strutturale di tale prevalenza", osservando, oltre all'inesistenza di elementi probatori nel senso che sia mutata tale detenzione nell'anno in cui è stata indetta la gara (2019), che l'accertamento deve necessariamente essere compiuto in riferimento appunto al momento del bando "in quanto non può escludersi l'applicazione delle regole dell'evidenza pubblica in ragione del carattere potenzialmente variabile nel tempo di tali circostanze", mentre un accertamento di genere definitivo ("una volta per tutte"), oltre a non attingere a una fonte normativa, "si espone al rischio di facili condotte elusive".

Alla luce di quanto finora rilevato "la presenza, all'interno della compagine dei fondatori..., di soggetti imprenditoriali" non dimostrerebbe, ad avviso del Consiglio di Stato, una natura privatistica e imprenditoriale dell'ente.

Aggiunge da ultimo il Consiglio di Stato un vaglio delle fonti del finanziamento all'ente, che reputa integrino il c.d. finanziamento maggioritario a carico degli enti pubblici coinvolti, specificamente confutando che ciò sia alterato dai finanziamenti del Fondo Nazionale Marittimi (in quanto anch'esso riceve finanziamenti pubblici) e da I.M.S.S.E.A. (in quanto organizzazione senza fini di lucro controllata da istituzioni pubbliche), argomentando poi per concludere che "gli introiti derivanti dalla vendita di servizi corrisponderebbero a circa un terzo del volume d'affari della Fondazione", senza quindi incidere sul finanziamento pubblico maggioritario che si incastona nel requisito dell'influenza dominante.

3.3 Tutti questi limpidi e lineari rilievi, che non lasciano ictu oculi spazi di incertezza, non possono dirsi oggetto di valide confutazioni da parte della ricorrente.

L'assenza di una struttura statutaria sulla influenza dominante, che lo stesso Consiglio di Stato ha riconosciuto desumendone la necessità del vaglio nella concreta situazione, viene criticata sostenendo che in suo difetto non potrebbe sussistere il requisito dell'influenza dominante, non andando oltre, peraltro, ad una critica assertiva e tautologica. Non vi è motivo, invero, di ritenere che una potenzialità di successiva modifica deprivi di effetto la inequivoca sussistenza nel momento in esame della influenza dominante.

Segue l'asserto che non sussisteva, nel momento in esame, l'influenza dominante, non essendo previsto un controllo congiunto da parte della Città Metropolitana di Genova e dell'Istituto tecnico-nautico superiore San Giorgio, che dovrebbero essere considerati non in blocco ma singolarmente. Si tratta di un argomento non ragionevole, in quanto il requisito richiesto dalla legge di influenza dominante non include la necessità che tale influenza scaturisca da un unico ente, e tantomeno che la presenza di più enti pubblici influenti non possa dar luogo ad una complessiva influenza ai fini dell'integrazione del requisito stesso, visto il suo contenuto generalista sotto questo profilo e non perimetrato appunto in una necessaria rigida correlazione tra gli enti influenti.

Quanto al diniego del finanziamento maggioritario, si ritorna, a ben guardare, alla tematica teleologica, in quanto deduce la ricorrente che "non è decisiva la provenienza delle... risorse, mentre lo è la sinallagmaticità della loro erogazione a fronte di corsi o progetti, da cui consegue non trattarsi di forme di finanziamento". Si rimanda, dunque, a quanto sopra osservato a proposito del requisito teleologico, che lascia spazi di elasticità gestionali non idonei, peraltro, a incidere sulla sua sussistenza fondante.

Ne', infine, trova alcun sostegno l'asserto conclusivo per cui dalle risultanze statutarie non emergerebbe alcun finanziamento o ripianamento dei soci, "gettando" nel rischio economico la Fondazione: ciò confligge con quanto espressamente evidenziato dal Consiglio di Stato nel già richiamato vaglio, presente nella sentenza impugnata, dei finanziamenti ricevuti dalla Fondazione stessa, ovvero il c.d. finanziamento maggioritario degli enti pubblici.

4.1 In conclusione, si deve confermare la giurisdizione amministrativa esclusiva dichiarata dal Consiglio di Stato per la presente causa, per cui il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Al riguardo va evidenziato che la liquidazione è compiuta seguendo i parametri del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, non come modificati dal D.M. 13 agosto 2022 n. 147. Quest'ultimo decreto del Ministro della Giustizia, infatti, prevede all'art. 6 che le nuove tariffe in esso disposte "si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore", e all'art. 7 statuisce l'entrata in vigore quindici giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale; essendo stato pubblicato, dunque, sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 ottobre 2022, la vigenza decorre dal 23 ottobre 2022.

Nel caso in esame, nella presente causa che non è stata decisa a seguito di pubblica udienza bensì mediante rito camerale, non si riscontrano prestazioni professionali esaurite successivamente al 23 ottobre 2022, tutte le attività difensive essendo state invece compiute anteriormente a tale data. Diversamente, si effettuerebbe un'applicazione retroattiva del decreto, non giustificabile come d'altronde già rilevato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte per la normativa precedente alla luce del logico criterio interpretativo fondato sulla globalità della prestazione e pertanto del compenso (v. infatti S.U. 12 ottobre 2012 n. 17405: "In tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di "compenso" la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata."; e cfr. pure Cass. sez. 3, 18 dicembre 2012 n. 23318, Cass. sez. 6-3, ord. 2 luglio comma 2015, n. 13628, Cass. sez. 6-2, 11 febbraio 2016 n. 2748, Cass. sez. 6-2, 19 ottobre 2016 n. 21205, Cass. sez. 6-3, ord. 28 agosto 2017 n. 20481 e Cass. sez. 6-3, ord. 30 maggio 2018 n. 13541).

4.2 Seguendo l'insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara la giurisdizione amministrativa rigettando il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 5000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2022.

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