Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.3854 del 07/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5228/2016 proposto da:

Enel Produzione S.p.A., (C.F.: *****), con sede legale in *****, in persona del procuratore speciale e legale rappresentante Dott. B.D., rappresentata e difesa, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli Avv.ti Enrico Pauletti, (C.F.: *****), e N.R., (C.F.: *****), entrambi del foro di Roma, in forza di procura speciale a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio “Di Tanno e Associati – Studio Legale Tributario”, alla Via Crescenzio n. 14, Roma;

– ricorrente –

contro

Comune di Talamona (C.F./part. I.V.A. *****), in persona del Sindaco pro tempore, con sede municipale in *****, rappresentato e difeso, come da procura alle liti a margine del controricorso, previa Delib. della Giunta Comunale 27 luglio 2015, n. 4, dagli Avv.ti Dario Marchesi, (C.F.: MRCDRA63809L084P), e Giovanni Corbyosn, (C.F.: *****), ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, alla Via Cicerone n. 44;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3404/33/2015 emessa dalla CTR Lombardia in data 23/03/2015 e depositata il 17.07.2015 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 20.01.2022 dal Consigliere Dott.ssa Milena Balsamo;

udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale della Repubblica nel senso del rigetto del ricorso.

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 1. Il Comune di Talamona emetteva due avvisi di accertamento nei confronti di Enel Produzione s.p.a., in riferimento all’imposta Ici per l’annualità 2005, per la centrale di ***** e quella di *****, ritenendo che la società avesse omesso di indicare e valorizzare, ai fini della individuazione della rendita, i componenti dell’opificio siti sul territorio comunale, consistenti in opere idrauliche ed altri manufatti, al servizio dei fabbricati principali destinati a produrre produrre energia elettrica. Assumeva il Comune che in seguito a variazione catastale del 2000, la componente immobiliare accatastata era stata trasposta dalla Categoria D/1 alla categoria F/4 (unità in corso di definizione) la cui caratteristica è l’assenza di rendita; conservando l’immobile de quo detta classificazione ancora nell’anno 2005 (e sino al 2010).

Adduceva ancora che la società aveva corrisposto l’ICI per l’anno 2005 sulla base di una rendita valevole fino al luglio 2000 e riferita peraltro ad una sola parte del complesso idroelettrico posseduto nel Comune di Talamona.

La società contribuente contestava l’operato del Comune, proponendo ricorso avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio che, con sentenza, lo respingeva. La società contribuente proponeva appello avverso detta sentenza, riformulando le medesime argomentazioni espresse in primo grado ed insistendo, in particolare, sul fatto che la contribuente aveva provveduto, nel 1999, ad accatastare le centrali, per cui il Comune non avrebbe dovuto applicare il criterio contabile per la determinazione della base imponibile ai fini Ici.

Eccepiva altresì la carenza di motivazione e di prova in relazione al valore posto dal Comune alla base della liquidazione della maggior imposta accertata, nonché la non debenza della sanzione per obiettiva incertezza sull’applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2,5 e 11. Nelle more del giudizio, le parti raggiungevano un accordo stragiudiziale per la centrale *****, dal quale rimaneva esclusa la disputa relativa alla centrale di *****.

Con sentenza 23.03.2015 la C.T.R. Lombardia respingeva l’appello sulla base delle seguenti considerazioni: 1) gli impianti in questione, rappresentati da condotte forzate ed altre opere idrauliche, e, quindi, come tali, soggetti ad accatastamento separato, dovevano venire trattati alla stregua degli impianti fissi costituenti l’opificio nel suo complesso; 2) riteneva legittimo l’operato del Comune e confermava la sentenza di primo grado.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Enel Produzione s.p.a., sulla base di tre motivi. Il Comune di Talamona ha resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza parte ricorrente ha depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a) per aver la CTR ritenuto legittimo, ai fini della determinazione della base imponibile, il riferimento ai valori contabili di immobili similari, nonostante il già avvenuto accatastamento mediante apposita dichiarazione Modello Docfa, della centrale idroelettrica in contestazione; b) per aver i giudici di merito considerato legittima la sottoposizione ad autonoma imposizione dei beni, nonostante fossero privi di qualsiasi autonomia funzionale e reddituale rispetto alla centrale elettrica alla quale afferivano; c) per non aver la CTR rilevato la carenza di potere in capo al Comune di procedere alla liquidazione dell’imposta dovuta per l’anno 2005 in relazione a talune opere idrauliche serventi la Centrale menzionata; d) per la violazione della L. n. 311 del 2004, del comma 336, che prescrive una dettagliata procedura che i comuni devono seguire ai fini dell’accatastamento degli immobili non dichiarati, in virtù della quale è l’Agenzia delle Entrate che deve procedere all’accertamento e all’attribuzione della rendita.

2. Con la seconda censura si deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e della L. n. 296 del 2006, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la regionale respinto la doglianza relativa al deficit motivazionale dell’atto opposto, il quale ha fondato la determinazione della rendita sui valori contabili di immobili similari senza indicare i cespiti adottati quali parametri di riferimento e senza allegare documentazione, 3. Il terzo motivo è incentrato sulla illegittimità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in merito alla non debenza delle sanzioni per obiettiva incertezza sulla interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2, 5, 11.

4. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Sotto il primo profilo, la società insiste nell’affermare che gli impianti oggetto dell’avviso erano stati accatastati con la procedura Docfa, circostanza esclusa dalla regionale che, al contrario, ha affermato che gli impianti non erano stati inseriti nella dichiarazione, scontrandosi, quindi, con l’accertamento in fatto operato dai giudici di appello e non sindacabile nel giudizio di cassazione.

4.1. Con riferimento alle ulteriori doglianze, occorre premettere che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, prevede, quanto alla base imponibile per il calcolo dell’ICI, che: “…..3. Per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, secondo i criteri stabiliti nel decreto L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3, penultimo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359", applicando determinati coefficienti; al comma 4 prevede(va): ” Per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonché per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti, anche se dovute ad accorpamento di più unità immobiliari, che influiscono sull’ammontare della rendita catastale, il valore è determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti.

Le disposizioni del D.Lgs. n. 540 del 1992, concernono le imposte riscosse dai Comuni ed relativi poteri che consentono a detti enti locali di determinare la base imponibile degli immobili non accatastati, ma iscrivibili in categoria D), sulla base di criteri (uno principale indicato al comma 3, e l’altro sussidiario di cui al cit. art. 5, al comma 4). Mentre il medesimo D.Lgs., art. 11, consenti(va) ai Comuni di rettificare le dichiarazioni che i possessori degli immobili sono tenuti a presentare.

Come emerge dagli scritti difensivi e dalla stessa sentenza impugnata, il precedente proprietario della Centrale presentò, nell’anno 1999, la dichiarazione Docfa con riferimento ai soli edifici che contengono la centrale di produzione idroelettrica, con esclusioni di impianti e aree(oggetto dell’avviso opposto) e sulla base della rendita allora proposta, la società ricorrente versava l’imposta comunale per l’anno 2005; successivamente (come emerge dalla decisione impugnata), la proprietà procedeva a variazione catastale (in atti dal 25 luglio 2000) trasponendo gli edifici dalla cat. D/1 alla cat. F/4 (unità in corso di definizione), categoria che doveva rappresentare uno stadio intermedio (non superiore ai sei mesi) e che, al contrario, perdurò per oltre dieci anni. La categoria F/4 è caratterizzata dall’assenza di rendita, di guisa che per l’annualità 2005, gli immobili non possedevano alcuna rendita, nemmeno gli edifici che contenevano la centrale.

In assenza di rendita e di accatastamento, atteso che i beni oggetto dell’avviso opposto non erano stati certamente dichiarati nella DOCFA, i Comuni avevano il potere di determinare la base imponibile (provvisoria) ovvero di provvedere all’accertamento d’ufficio nel caso di omessa presentazione, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, commi 3 e 4, e art. 11, comma 3.

In assenza di rendita e di scritture contabili della società, l’unico criterio utilizzabile per determinare la base imponibile dell’Ici con riferimento agli impianti e alle aree non denunciate è quello adottato dall’amministrazione comunale, alla stregua del disposto dell’art. 5 cit., comma 4), secondo il quale la base imponibile si determina in base alla rendita dei fabbricati similari già iscritti.

Come è noto, infatti, il contrasto di giurisprudenza emerso in seno alla giurisprudenza di legittimità, è stato risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno affermato il seguente principio di diritto: “In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge”. (Cfr. Cass. sez. unite 9 febbraio 2011, n. 3160 e Cass. civ. S.U. 15 febbraio 2011, n. 3666, alle quali si è uniformata la successiva giurisprudenza; Cass. n. 3166 del 18 Febbraio 2015; Cass., sez. 5, Sentenza n. 11472 del 11/05/2018).

Solo con la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335, il legislatore ha stabilito che i comuni possano “richiedere” agli uffici provinciali dell’agenzia del territorio (a cui spetta l’attivazione del relativo procedimento) la revisione parziale di microzona del classamento delle unità immobiliari private. La medesima disp., al comma 336, riconosce ai comuni, in presenza di immobili privati non accatastati ovvero accatastati con classamenti non più coerenti con la situazione di fatto, di richiedere ai titolari di diritti reali su tali immobili la presentazione di atti di aggiornamento secondo quanto prescritto dal Reg. ministeriale n. 701 del 1994, ferma restando la competenza in merito dell’agenzia del territorio.

Tuttavia, detta legge non ha inciso sui poteri riconosciuti ai Comuni dal citato D.Lgs. artt. 11 e 5.

Successivamente, con la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 173, sono state abrogate le disposizioni del D.Lgs. n. 504 del 1992, che consentivano di determinare (art. 5, comma 4), e di accertare (art. 11, commi 1, 2 e 3), l’imponibile ICI in relazione ai “fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto”, sulla base del valore “determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti.” (art. 5, comma 4, cit.); – abrogazioni, quelle in discorso, che si correlano, in effetti, alla rimodulazione degli interventi legislativi volti a consentire l’emersione del patrimonio immobiliare sottratto all’inventariazione catastale (v. in particolare, e per quel che qui interessa, la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 58, nonché la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 336), oltreché alla specifica disciplina introdotta in ordine agli atti di attribuzione e di modificazione delle rendite catastali (L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74).

Pertanto, con riferimento all’annualità 2005 il Comune conservava il potere di provvedere ex art. 11, comma 3, ed ex art. 5, commi 3 e 4, cit., alla rettifica delle dichiarazioni e delle denunce nel caso di infedelta, incompletezza od inesattezza ovvero provvedere all’accertamento d’ufficio nel caso di omessa presentazione…”.

Si osserva al riguardo che “il D.Lgs. n. 504 dei 1992, art. 5, nel consentire al contribuente, in presenza di variazioni permanenti intervenute sull’unità immobiliare ed aventi rilevanza sull’ammontare della rendita catastale, di determinare l’imponibile sulla base di una rendita presunta, costituita da quella dei fabbricati similari, non esclude l’obbligo del contribuente di provvedere alla richiesta del nuovo accatastamento, alla luce degli eventi sopravvenuti, modificativi della rendita catastale preesistente. Nessuna norma, di contro, pone a carico del Comune il medesimo obbligo di richiedere all’ufficio competente la modifica della rendita preesistente nell’ipotesi di negligenza del contribuente per cui la sentenza impugnata che ha affermato l’insussistenza di detto obbligo deve essere confermata (Cass. n. 19196 del 2006; v. anche Cass. n. 1576 del 2005; Cass. n. 14226 del 2015; Cass. n. 15025 del 2015; n. 1704/2016; Cass. n. 10216/2019; n. 29888/2020, n. 16679/2021).

Dunque, il cit. art., al comma 3), fornisce un criterio specifico per i soli fabbricati classificabili nella categoria D, non iscritti in catasto, subordinandone però l’applicabilità alla presenza di due ulteriori requisiti, e cioè che essi: a) siano interamente posseduti da imprese; b) siano “distintamente contabilizzati”.

Per tutte le altre ipotesi il successivo comma 4 – abrogato a decorrere dal 2007 – fissa un criterio sussidiario, di carattere generale, fondato sulla rendita dei fabbricati similari, che, proprio in virtù della sua generalità, è applicabile anche ai fabbricati classificabili in cat. D “diversi da quelli indicati nel comma 3”, dovendosi intendere per tali quelli che non presentino gli ulteriori requisiti suindicati. D’altronde, l’assenza di un valore contabile autonomo di un fabbricato a destinazione speciale, nelle scritture dell’impresa che ne abbia il possesso, quale che ne sia la ragione e indipendentemente da qualsiasi profilo di illegittimità, determina la materiale impossibilità di applicazione del criterio di cui al comma 3 citato, non diversamente da quanto accade per l’applicazione del criterio generale di cui al comma 2, nel caso di immobile iscritto in catasto senza però attribuzione di rendita, imponendosi in entrambi i casi il ricorso all’ultimo criterio residuo, che è quello previsto dal comma 4. (v. Cass. n 9385 del 21/04/2009; n. 6609/2013).

Con il D.L. n. 44 del 2005, art. 1-quinquies, è stato, poi, disposto che “ai sensi e per gli effetti della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, il R.D. n. 652 del 1939, art. 4, convertito con modificazioni dalla L. n. 1249 del 1939, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi del citato R.D.L., art. 10, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo”.

Tanto precisato, questa Corte ha affermato che, in virtù di quanto disposto dal sopra menzionato art. 1-quinquies, (norma di natura strettamente interpretativa), le centrali elettriche non possono escludere le “turbine” e tutti gli altri impianti mobili dal computo della rendita catastale ai fini dell’Ici, in quanto esse costituiscono una parte essenziale dell’impianto fisso, senza le quali verrebbe meno la classificabilità dell’unità immobiliare come centrale elettrica.

In buona sostanza, questa Corte ha ritenuto che le “turbine”, insieme ai serbatoi, alle ciminiere, alle pompe, ai ventilatori, alle caldaie, sono elementi essenziali costitutivi del bene “centrale elettrica”, ovvero impianti necessari al ciclo di produzione dell’energia elettrica, in quanto è “impossibile separare l’uno dall’altro senza la sostanziale alterazione del bene complesso… che non sarebbe più nel caso di specie, una centrale elettrica” (Cass. n. 24060/2006; n. 4030/2012), poiché anch’essi costituiscono una componente strutturale ed essenziale della centrale stessa, sicché questa senza quelle non potrebbe più essere qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione complessiva ed unitaria ed incompleta nella sua struttura (v. Cass. n. 3354 del 2015; Cass. n. 12791 del 2018; Cass. n. 3277/2019; Cass. n. 32861/2019, non massimata).

Trattandosi di impianti fissi, gli stessi sono senz’altro soggetti all’ICI, ai sensi del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 4, come interpretato (con efficacia retroattiva) dal D.L. n. 44 del 2005, art. 1 quinquies, convertito in L. n. 88 del 2005.

La nozione d’immobile per incorporazione si ricava dalla combinazione del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 4, e dell’art. 812 c.c., per unità immobiliare (da considerarsi, quindi, ai fini di imposta, a sé stante) va considerata “… ogni unità di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio” (del medesimo R.D.L., art. 5).

In definitiva, sulla base dell’insegnamento ritraibile dalla sentenza n. 162 del 20 maggio 2008 della Corte Cost., solo per gli impianti, al fine di valutare se debbano essere inclusi o meno nella stima catastale, deve farsi riferimento non solo al criterio dell’essenzialità dello stesso per la destinazione economica dell’unità immobiliare, ma anche alla circostanza che lo stesso sia “fisso”, ovvero stabile (anche nel tempo), rispetto alle componenti strutturali dell’unità immobiliare. Si è ritenuto, ad esempio, alla luce della circolare 6/2012 dell’Agenzia del territorio, che rappresentino componenti impiantistiche che contribuiscono ad assicurare all’unità immobiliare una autonomia funzionale e reddituale, stabile nel tempo, i grandi trasformatori (cfr. Cass. n. 3166 del 2015; Cass. n. 7372 del 2011).

5. Destituito di fondamento è pure il secondo mezzo.

Occorre premettere che, nella fattispecie, – per come emerge dalle pronunce di merito e, per vero, dallo stralcio di motivazione dell’avviso di accertamento qual riprodotto dal ricorrente, – la rendita presunta è stata determinata, quale base imponibile ICI per il periodo di imposta 201 (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 4), in relazione alla “rendita dei fabbricati similari già iscritti in catasto”. E’ pacifico che il compendio era stato inserito a seguito di variazione del 2000(come si legge anche nell’avviso) in categoria F/4 senza attribuzione di rendita, superando in tal modo la precedente dichiarazione docfa del 1999 con la quale la contribuente aveva proposto una rendita per una parte del compendio.

La motivazione della decisione della CTR è conforme al principio, affermato da questa Corte in tema di accertamento tributario, secondo cui “la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, (nella specie, relativo all’imposta di registro sulla cessione di azienda), senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 2-bis, del dovere di allegazione delle informazioni date dal cedente (l’azienda) ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento. ” (Cass. n. 25153/2013; n. 14027/2012).

6. Il terzo mezzo è fondato.

La ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, per aver la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione di non debenza delle sanzioni.

Il motivo si rivela, per quanto di ragione, fondato. Premesso che la CTR dato atto nello svolgimento del processo della proposizione di detta doglianza, ha omesso di pronunciarsi sulla stessa. Non essendo, poi, necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, disapplicando le sanzioni irrogate.

Questa Corte ancora recentemente, anche decidendo una questione pressoché identica a quella oggi in esame (Cass. n. 10314/2019) è ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di non debenza delle sanzioni (cfr. Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 4394 del 24/2/2014; Cass. n. 3113 del 12/2/2014; Cass. n. 24670 del 28/11/2007) enunciando i seguenti principi di diritto: per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice Ric. 2018 n. 22993 e non può essere operato dalla amministrazione; l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo. Tali fatti indice devono essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili. Costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione”.

Per l’annualità (2005) va altresì considerato che il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 1 quinquies, convertito in L. 31 maggio 2005, n. 88, fornendo l’interpretazione autentica del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 4, convertito in L. 11 agosto 1939, n. 1249, ha, in tema di classamento di immobili e con riferimento all’attribuzione della rendita catastale alle centrali idroelettriche, chiarito che, previa inclusione nella stima degli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili caratterizzati da una connessione strutturale con l’edificio, tale da realizzare un unico bene complesso, e prescindendo dalla transitorietà di detta connessione nonché dai mezzi di unione a tal fine utilizzati, occorre tener conto, nel calcolo della rendita, anche del valore delle turbine e delle opere idrauliche di superficie e di sottosuolo, che configurano elementi essenziali della centrale, non separabili senza una sostanziale alterazione del bene.

Con il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 1 quinquies, convertito dalla L. 31 maggio 2005, n. 88, è stato previsto: “1. Ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi del citato R.D.L., art. 10, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo. I trasferimenti erariali agli enti locali interessati sono conseguentemente rideterminati per tutti gli anni di riferimento”. La norma individua, dunque, nuovi criteri per la determinazione della rendita catastale prescrivendo che debbano essere considerati non solo i fabbricati censiti in catasto con la categoria D ma anche gli impianti mobili ad essi connessi e necessari per la produzione di energia elettrica.

In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente (Sez. 5, Ordinanza n. 15452 del 13/06/2018).

Nel caso di specie è senz’altro configurabile l’ipotesi di cui al n. 7) che precede. Invero, anche a voler prescindere dalla difficoltà di confezione della formula della norma giuridica (del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, commi 2 e 3), premesso che l’avviso di accertamento nella presente sede impugnato si riferisce all’annualità 2005 non è revocabile in dubbio che: 1) dapprima, Sez. U, Sentenza n. 3160 del 09/02/2011 ha posto termine ad un contrasto insorto in seno alle sezioni semplici di questa Corte (tra le pronunce nn. 13077/2005 e 5933/2010, che le sezioni unite hanno sostanzialmente condiviso, e nn. 12721/2004, 24235/2004 e 15 27062/2008), affermando il principio secondo cui, in tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale; 2) poi, Corte Cost. n. 162 del 2008, secondo cui non è fondata la questione di legittimità costituzionale del D.L.31 marzo 2005, n. 44, art. 1-quinquies, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 maggio 2005, n. 88, art. 1, comma 1, censurato, in riferimento agli artt. 3,24,102,104 e 108 Cost., perché, autoqualificandosi come norma di interpretazione autentica quanto ai criteri di computo della rendita catastale degli opifici industriali adibiti a centrali elettriche, avrebbe efficacia retroattiva. Posto che, in generale, la norma che deriva dalla legge di “interpretazione autentica” non può dirsi irragionevole (art. 3 Cost., comma 1), ove si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, la necessità, nella specie, di comporre un contrasto giurisprudenziale privilegiando una delle interpretazioni ricavabili dalla disciplina catastale, conforme a quella codicistica, rende legittimo il ricorso ad una norma di interpretazione autentica e non irragionevole, quindi, la sua efficacia retroattiva; 3) ancora, Solo con la circolare 6/2012 dell’Agenzia del territorio ha inequivocamente affermato che “Parimenti, sono incluse nella stima anche quelle componenti impiantistiche presenti nell’unità immobiliare che contribuiscono ad assicurare alla stessa una autonomia funzionale e reddituale, stabile nel tempo, ovvero risultino essenziali per 16 caratterizzarne la destinazione” (ad esempio i grandi trasformatori: Cass. n. 3166 del 2015; Cass. n. 7372 del 2011); 4) infine, l’intervento chiarificatore dell’Agenzia è stato trasfuso sul piano normativo con la L. n. 190 del 2014, la quale, all’art. 1, dispone che “Nelle more dell’attuazione delle disposizioni relative alla revisione della disciplina del sistema estimativo del catasto dei fabbricati, di cui alla L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 2, ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni, si applica secondo le istruzioni di cui alla circolare dell’Agenzia del territorio n. 6/2012 del 30 novembre 2012, concernente la “Determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare: profili tecnico-estimativi””.

Nella fattispecie in esame, l’incertezza normativa oggettiva tributaria rileva, atteso che l’avviso di accertamento in esame si riferisce, come detto, all’anno 2005 e, quindi, ad un periodo in cui i riportati chiarimenti sul piano giurisprudenziale e normativo menzionati non erano ancora intervenuti.

In definitiva, il ricorso merita di essere accolto limitatamente al terzo motivo. Da ciò consegue che la sentenza impugnata va cassata con riferimento al motivo accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarandosi non dovute le sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento qui impugnato. L’accoglimento del ricorso con riferimento esclusivo al profilo delle sanzioni, giustifica la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio, anche in considerazione dell’incertezza sulla portata applicativa della normativa.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il terzo, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento qui impugnato; compensa per intero le spese del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione della Corte di cassazione, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

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