Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.4220 del 09/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9518-2017 proposto da:

C.M., rappresentato e difeso dall’avv. NISLA FORCUCCI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

G.M., e GI.SA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA APPIA NUOVA n. 96, presso lo studio dell’avvocato MARINO MARINI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO VISCONTI;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 15/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 14/01/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE RANIERI, per delega dell’avv. MASSIMO VISCONTI, per parte controricorrente, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il P.G., nella persona del Sostituto Dott. ALESSANDRO PEPE, il quale ha concluso per l’inammissibilità, o in subordine per il rigetto, del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 21.3.2011 C.M. evocava in giudizio Gi.Sa. e G.M., proprietari di un fondo confinante con il suo, innanzi il Tribunale di Sulmona, invocando l’accertamento del confine tra i due fondi e la condanna dei convenuti al rilascio della porzione eventualmente occupata.

Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda e spiegando a loro volta riconvenzionale per la condanna dell’attrice ad eliminare le opere realizzate sulla loro proprietà.

Con sentenza n. 157/2016 il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda principale, accertando il confine in coerenza con le conclusioni della C.T.U. esperita nel Corso del giudizio e condannando i convenuti al rilascio della porzione da loro occupata.

Interponevano appello Gi.Sa. e G.M., mentre spiegava appello incidentale la C., dolendosi della nullità della C.T.U. ed invocandone la rinnovazione.

Con ordinanza del 15.11.2016 la Corte di Appello di L’Aquila dichiarava inammissibile tanto il gravame principale che quello incidentale.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione, sul presupposto che la stessa integri in effetti una sentenza, C.M., affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso Gi.Sa. e G.M..

All’udienza del 14 gennaio 2022 la parte controricorrente ha concluso per il rigetto del ricorso, mentre il P.G. ha concluso per l’inammissibilità, o in subordine per il rigetto, del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 61,62,191,193 e 194 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare la nullità della consulenza tecnica esperita in prime cure, in quanto redatta non dall’ausiliario nominato dal giudice, bensì da un suo collaboratore non autorizzato.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di nullità della C.T.U., tempestivamente riproposta in seconde cure sub specie di motivo di appello incidentale.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 159,61,62,191,193 e 194 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto far derivare, dalla nullità della consulenza tecnica, la nullità di tutti gli atti successivi, inclusi quelli a contenuto decisorio.

Il ricorso è inammissibile.

La Corte di Appello ha ritenuto pienamente condivisibile l’argomentazione del Tribunale ed ha, su questa base, ravvisato l’inammissibilità sia dell’appello principale che di quello incidentale. In riferimento a quest’ultimo, in particolare, il giudice di secondo grado afferma che “Il primo giudice ha ben spiegato che non sussiste la nullità della c.t.u., una volta che il consulente era stato autorizzato ad avvalersi di un collaboratore; che il c.t.u., dopo essersi avvalso della facoltà, aveva partecipato personalmente al sopralluogo, presenziando e dirigendo le operazioni di rilievo topografico materialmente eseguite dall’ing. F., nel contraddittorio dei consulenti di parte; che la relazione del collaboratore era stata allegata alla c. t. u. ed era stata recepita dal consulente tecnico, dopo averla adeguatamente vagliata” (cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato, in principio).

L’ordinanza della Corte distrettuale, dunque, non costituisce – come ritiene erroneamente la parte ricorrente – un provvedimento a contenuto decisorio che aggiunge rationes decidendi, o argomentazioni logico-giuridiche, ulteriori e diverse rispetto a quelle poste a base della sentenza di prime cure. Si tratta, invece, di un’ordinanza di inammissibilità che conferma l’argomentato del giudice di prima istanza, il quale a sua volta aveva deciso in coerenza con le risultanze della consulenza tecnica esperita nel corso del giudizio di primo grado.

Il ricorso in Cassazione, di conseguenza, avrebbe dovuto essere diretto avverso la decisione di prime cure, e non invece contro l’ordinanza di inammissibilità, secondo quanto previsto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 3. Va data, sul punto, continuità al principio secondo cui “L’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. non è impugnabile con ricorso per cassazione quando confermi le statuizioni di primo grado, pur se attraverso un percorso argomentativo parzialmente diverso da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi, in tale ipotesi, una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa né sostanziale né processuale” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23334 del 19/09/2019, Rv. 655096).

Di conseguenza, l’impugnazione è inammissibile, perché diretta avverso l’ordinanza di inammissibilità della Corte di Appello, e non invece avverso la sentenza del Tribunale, la quale – peraltro – neppure è stata depositata in copia autentica, con conseguente – ed aggiuntivo – profilo di improcedibilità.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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