Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.4731 del 14/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30461-2018 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CAPANNOLO EMANUELA, PULLI CLEMENTINA, MASSA MANUELA, VALENTE NICOLA;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 293/2018 del TRIBUNALE di CROTONE, depositata il 17/04/2018 R.G.N. 721/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/12/2021 dal Consigliere Dott. CALAFIORE DANIELA;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Crotone, adito ai sensi dell’art. 445-bis c.p.c., comma 6, con sentenza n. 293 del 2018, ha accertato il diritto di C.S. ad ottenere l’indennità di accompagnamento con decorrenza dall’1.1.2017.

Il Tribunale ha ritenuto ammissibile e tempestivo il ricorso introduttivo del giudizio in quanto l’atto di dissenso era stato depositato nel termine di trenta giorni dalla comunicazione del decreto emesso in data 31.1.2017 che aveva sostituito, previa revoca, il precedente emesso il 16.12.2016.

Il Giudice ha rilevato che, diversamente da quanto enunciato in tale ultimo decreto (che aveva omologato la sussistenza dei presupposti sanitari per l’indennità di accompagnamento nonostante il ctu avesse accertato solo l’invalidità al 100%), il nuovo decreto di omologa del 31 gennaio 2017 aveva escluso l’esistenza delle condizioni utili alla indennità di accompagnamento ed, in ragione di tale errata indicazione, aveva assegnato nuovo termine per la eventuale contestazione.

Intervenuta la contestazione, ed instaurato il giudizio ordinario, a seguito di nuova ctu, il Tribunale con la sentenza ora impugnata, ha accertato le condizioni per il riconoscimento della indennità di accompagnamento dal 11.1.2017 ed ha compensato le spese di lite in ragione della posticipazione della decorrenza della prestazione rispetto alla domanda originaria.

Avverso detta decisione l’Inps propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.

C.S. è rimasto intimato.

La sesta Sezione di questa Corte di cassazione ha rimesso la causa alla quarta Sezione per la trattazione alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 29165 del 2020.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, (INPS deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 445-bis c.p.c.. In particolare, il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non si sia pronunciato sulla eccezione di inammissibilità per tardività del dissenso espresso dal Criscitiello e ciò nonostante l’espresso rilievo formulato dall’Istituto, sia in seno alla memoria difensiva depositata in seno al procedimento proposto ai sensi dell’art. 445-bis c.p.c., comma 6, che nelle successive note defensive.

Con il secondo motivo di ricorso, (INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 445-bis c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3) e 4), per avere il Criscitiello presentato dissenso avverso le conclusioni della c.t.u. medico legale (espletata in seno al procedimento per a.t.p.o. di cui all’art. 445-bis c.p.c.) soltanto il 28 febbraio 2017, mentre il Tribunale di Crotone, con decreto emesso il 16 dicembre 2016 comunicato in pari data a mezzo p.e.c., aveva fissato il termine perentorio di trenta giorni per contestare le conclusioni del c.t.u., dovendosi quindi ritenere tamquam non esset il successivo decreto emesso il 31 gennaio 2017.

Nella sostanza, il ricorrente deduce che la sentenza impugnata abbia violato la legge processuale, avendo adottato un provvedimento di revoca del decreto di omologa emesso il 16 dicembre 2016 ed avendone emesso un altro, il 31 gennaio 2017, con la previsione di un nuovo termine per esprimere il dissenso, con ciò rimettendo in termini l’assistito in presenza di una evidente inammissibilità del ricorso per decorrenza del termine previsto dell’art. 445-bis c.p.c., comma 6.

I motivi, connessi e da trattare congiuntamente, sono fondati.

Preliminarmente deve rilevarsi che il procedimento regolato dall’art. 445-bis c.p.c., prevede che, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, il giudice fissa un termine perentorio entro il quale è concessa alle parti la possibilità di contestare i risultati della ctu. Successivamente, decorso il termine senza contestazione, interviene l’omologa che stabilizza l’accertamento della condizione sanitaria.

La sesta sezione ha pronunciato ordinanza interlocutoria chiedendo valutarsi se, stante la previsione del termine in questione, diretto a realizzare la stabilizzazione dell’accertamento ove non ricorrano contestazioni, possa concedersi nuovo termine, come avvenuto nel caso di specie, in ipotesi in cui il giudice si renda conto di aver pronunciato un erroneo provvedimento di riconoscimento delle condizioni sanitarie utili alla prestazione richiesta, tale da indurre l’assistito a non opporre contestazioni.

La risposta alla questione, che nella sostanza riguarda le conseguenze in rito dell’errore commesso dal Giudice al momento dell’omologazione delle conclusioni della relazione di consulenza tecnica resa in seno al procedimento di a.t.p.o., a ben guardare discende dai consolidati precedenti espressi dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. 2820/2021; 2163/2021;29096/2019; 28754/2019; 3668/2019; 6457/2 017;19062/2017; 864/2017; 26758/2016; 24504/2016;8878/2015; 13550/2015) secondo i quali il decreto di omologa reso ai sensi dell’art. 445-bis c.p.c., comma 5, il quale, in assenza di contestazione delle parti, si discosti dalle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, risulta viziato da una difformità che costituisce mero errore materiale emendabile con la procedura di correzione, a condizione, però, che la predetta difformità non sia frutto di consapevole attività valutativa del giudice, nel qual caso invece il provvedimento giudiziale, che risulti esorbitante dallo schema delineato per il procedimento a cognizione sommaria, assume natura decisoria, e quindi di sentenza, contro la quale è ammissibile il rimedio generale del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, a garanzia dell’esercizio del diritto di difesa della parte pregiudicata dalle conclusioni imprevedibilmente adottate dal giudice all’atto dell’emissione del decreto.

In sostanza, al fine di stabilire il regime dei rimedi esperibili in ipotesi di sviamento dall’iter previsto dalla legge, questa Corte di legittimità ha focalizzato l’attenzione sulla funzione di mero accertamento dello stato invalidante svolta dal Giudice nell’ambito del procedimento per a.t.p.o. che, a sua volta, mira all’ottenimento di un accertamento sanitario svolto sì in sede pienamente giudiziale, ma reso stabile per effetto della sostanziale accettazione delle parti.

A mente dell’art. 445-bis c.p.c., comma 5, infatti, in assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’art. 196, con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile né modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.

Ciò comporta che se il giudice ha il potere, a lui espressamente riconosciuto dall’art. 196 c.p.c., richiamato nella stessa norma, di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico, non può tuttavia discostarsi nel decreto di omologa dalle conclusioni rassegnate dal consulente nell’elaborato peritale sottoposto alle parti e non fatto oggetto di contestazione.

Al Giudice l’attività valutativa è preclusa nella fase finale del procedimento a cognizione sommaria, nella quale egli si limita a ratificare l’accettazione delle parti delle conclusioni della c.t.u. che ha costituito l’epilogo del dibattito processuale, oltre a provvedere in ordine alle spese.

Peraltro, gli artt. 287 e 288 c.p.c. delineano il procedimento di correzione di errori materiali, finalizzato alla eliminazione di errori di redazione del provvedimento, senza incidere sul contenuto concettuale della decisione. Costituisce dunque errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza, e cioè il contenuto concettuale del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, ovvero tra l’ideazione e la sua rappresentazione documentale grafica, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile ictu oculi (Cass. S.U., n. 5165/2004).

L’ordinanza di correzione, inoltre, in quanto priva di contenuto decisorio, non è impugnabile, neppure con il ricorso ex art. 111 Cost., tale rimanendo, invece, con lo specifico mezzo di volta in volta previsto, solo il provvedimento corretto (Cass. 04/09/2009, n. 19229; Cass. 27/06/2013, n. 16205; Cass. SS. UU. 07/07/2010, n. 16037).

Una diversa soluzione, invece, è stata apprestata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. 29096 del 2019) nell’ipotesi in cui il decreto di omologa si sia consapevolmente discostato dalle conclusioni del c.t.u., non contestate dalle parti, ciò in quanto non ritenere tale decreto impugnabile in cassazione ex art. 111 Cos., comma 7, violerebbe i diritti di difesa della parte pregiudicata dalle differenti conclusioni imprevedibilmente adottate dal giudice all’atto dell’emissione del decreto, parte che si troverebbe nella tecnica impossibilità di opporvisi perché ormai intervenute in un momento in cui l’art. 445-bis c.p.c., cit., non prevede alcun rimedio endoprocedimentale.

Non a caso l’art. 445-bis c.p.c., comma 5, esclude l’impugnabilità e modificabilità del decreto di omologa proprio sul presupposto del suo carattere meramente certificativo dell’accordo delle parti sulle conclusioni formulate dal c.t.u.

Il regime espresso di non impugnabilità e modificabilità del decreto impedisce, evidentemente, la revocabilità dello stesso. Ciò discende dal principio processuale generale, sotteso alla disciplina della irrevocabilità dei provvedimenti giudiziali che trova disposizione espressa, in relazione alle ordinanze, nell’art. 177 c.p.c., comma 3; tale disposizione infatti dichiara non modificabili né revocabili dal giudice che le ha pronunciate le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge.

All’interno della categoria processuale dei provvedimenti espressamente dichiarati non impugnabili né modificabili – come s’e’ anticipato – va necessariamente fatta rientrare l’omologa pronunciata a norma dell’art. 445-bis c.p.c., comma 5, che risulta funzionale all’emissione di un atto di accertamento sullo stato di invalidità stabile e non suscettibile di contestazione; la revoca di tale atto di omologa (peraltro irritualmente disposta fuori udienza) deve ritenersi conseguentemente affetta da nullità, con conseguente estensione del vizio al procedimento incoato ai sensi dell’art. 445-bis c.p.c., comma 6, ed alla sentenza emessa a conclusione di esso.

Tale ricostruzione del sistema dei rimedi esperibili nei confronti del decreto di omologa di cui all’art. 445-bis c.p.c. esclude dunque la possibilità di emendare l’errore del decreto di omologa attraverso la revoca d’ufficio dello stesso decreto, come ritenuto dalla requisitoria della Procura generale sulla base del rilievo della scusabilità dell’errore quale generale presupposto del diritto della parte interessata ad ottenere la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2.

Neppure è possible qualificare il citato provvedimento di revoca, autonomamente adottato dal Tribunale, quale provvedimento di correzione dell’errore materiale di cui era affetto il decreto di omologa, posto che il procedimento di correzione dell’errore materiale, nei gradi di merito, è attivato dall’iniziativa di parte (art. 287 c.p.c.), anche quella a cui vantaggio si risolve l’errore o l’omissione.

L’accoglimento dei motivi comporta la cassazione dell’impugnata sentenza senza rinvio, a norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3, perché il processo non poteva essere proseguito.

Le spese del giudizio di legittimità e quelle del merito vanno compensate in ragione della specificità e novità della questione giuridica sottesa alla causa che ha formato oggetto dell’ordinanza interlocutoria sopra citata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità e quelle del grado di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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