LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 19369 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Arcom Comunicazione s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore legale rappresentante pro tempore, A.R. e A.N., quali soci, rappresentati e difesi, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Riccardo Vianello e dall’avv.to Roberto Masiani, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Piazza Adriana n. 5;
– ricorrenti –
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore;
– resistente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 206/01/2015, depositata il 19 gennaio 2015;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26 novembre 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.
RILEVATO
che:
– con sentenza n. 206/01/2015, depositata il 19 gennaio 2015, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Veneto, previa riunione dei ricorsi RG n. 842/13 e n. 857/13, rigettava l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Arcom Comunicazione s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore legale rappresentante p.t., e di A.R. e A.N., quali soci, nonché l’appello incidentale proposto da questi ultimi nei confronti dell’Ufficio avverso la sentenza n. 80/04/2012 della Commissione tributaria provinciale di Treviso che, previa riunione, aveva accolto parzialmente i ricorsi proposti dalla società, aventi ad oggetto la gestione di spazi e campagne pubblicitarie nel settore sportivo, e dai singoli soci avverso distinti avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio: 1) sulla base di previo p.v.c. della G.d.F. – Compagnia di *****, aveva ricostruito, ai fini Ires, Iva e Irap, per gli anni 2004-2007, un maggiore reddito imponibile nei confronti della società, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 (rectius: art. 54), del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, accertando ricavi non dichiarati, determinati dalla sommatoria dei “prelevamenti e dei versamenti” (questi ultimi conteggiati quali differenza tra l’ammontare complessivo degli accrediti e i ricavi indicati in dichiarazione) risultati ingiustificati, rilevati sui conti correnti bancari della società e dei soci, con ritenuta indeducibilità dei costi esposti dalla società nelle dichiarazioni, in mancanza di prova della effettività ed inerenza degli stessi ex art. 109 TUIR, (ad eccezione di quelli evidenziati nella dichiarazione resa dalla società quale sostituto di imposta, ai fini dell’imposta diretta); 2) aveva accertato nei confronti dei soci, maggiori redditi, ai fini Irpef, add. com. e add. reg., in considerazione della presunta distribuzione ad essi, in proporzione alle quote societarie possedute, degli utili extrabilancio conseguiti dalla società di capitali a ristretta base azionaria;
– nella sentenza impugnata, il giudice di appello ha confermato la pronuncia di primo grado con la quale – a fronte della ricostruzione analitico-induttiva dei maggiori ricavi operata dall’Ufficio sulla base di indagini bancarie sui conti correnti della società e dei soci – era stato rideterminato il reddito imponibile della società per gli anni 2004-2007, sommando ai ricavi dichiarati quelli accertati a titolo di “prelevamenti e versamenti” (in mancanza di alcuna giustificazione da parte dei contribuenti) rilevati sui conti correnti intestati alla società e ai soci, le variazioni in aumento, con deduzione – poiché, in mancanza di documentazione, erano stati considerati, ai fini della determinazione del reddito complessivo, per gli anni 2004-2006, gli importi dei ricavi desunti dalle dichiarazioni dei redditi – dei costi esposti nelle medesime, pur se non documentati (per il 2007, in mancanza di presentazione della dichiarazione dei redditi, con deduzione dei costi nella percentuale media del 59,7% avuto riguardo alle annualità precedenti); quanto alla denunciata illegittimità della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extrabilancio accertati in capo alla società, in mancanza di alcuna prova al riguardo da parte dell’Ufficio, il giudice di appello ha ribadito, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1906/2008), il principio di diritto concernente la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extrabilancio della società di capitali a ristretta base azionaria, salvo prova contraria;
– avverso la sentenza della CTR, la società e i soci propongono ricorso per cassazione affidato a sedici motivi, cui resiste, l’Agenzia, con “atto di costituzione” solo al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
che:
Sugli avvisi di accertamento elevati a carico della società Arcom Comunicazione s.r.l.
– con il primo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR – come già la CTP – omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame – concernente la assunta violazione ed errata applicazione, ai fini delle imposte dirette (IRES), dell’art. 56 TUIR, avendo l’Ufficio negli avvisi contestati – in luogo di sommare il reddito dichiarato alle variazioni in aumento (nella specie, rappresentate dagli asseriti maggiori ricavi e costi non documentati) e in diminuzione – sommato alle variazioni in aumento, i ricavi dichiarati, quelli maggiori accertati, meno i costi riconosciuti in deduzione;
– il motivo è infondato;
– va premesso che “il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012); nella specie, la CTR, dopo avere richiamato nella parte in fatto il motivo di doglianza relativo all’assunta violazione, ai fini delle imposte dirette, dell’art. 56 TUIR, ha rigettato l’appello incidentale dei contribuenti, determinando – nel confermare la sentenza di primo grado – il maggiore reddito imponibile, ai fini Ires, Irap e e Iva, sommando ai ricavi dichiarati, quelli accertati a titolo di “prelevamenti e versamenti” ritenuti non giustificati e le variazioni in aumento, con detrazione, per gli anni 2004-2006, dei costi, pur se non documentati, indicati nelle stesse dichiarazioni dei redditi (essendo stati considerati, ai fini della determinazione del reddito complessivo gli importi dei ricavi desunti dalle dichiarazioni dei redditi) e, per l’anno 2007, in assenza di presentazione della dichiarazione dei redditi, dei costi pari alla percentuale media del 59,7%;
– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2, e art. 55, per avere la CTR – incorrendo nello stesso errore della CTP – ritenuto che costituissero operazioni attive da assoggettare a Iva sia gli accreditamenti che gli addebitamenti rilevati nei conti correnti bancari anziché il solo ammontare complessivo degli accreditamenti posto che, stante la diversità dei regimi previsti per gli uni e per gli altri, gli addebitamenti potevano rilevare solo quali acquisti non auto regolarizzati, assoggettabili al regime sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8;
– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2, sotto un primo profilo, per avere la CTR ritenuto riconducibili le movimentazioni dei conti correnti personali dei soci alla società Arcom, anche in assenza di alcuna prova, al riguardo, da parte dell’Amministrazione finanziaria;
– con quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 51, comma 1, n. 2, sotto un secondo profilo, per avere la CTR ritenuto legittima la imputazione a ricavi delle movimentazioni rilevate sui conti correnti bancari della società e dei soci in applicazione di una presunzione legale relativa (in mancanza di prova contraria) ancorché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1 n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, 51, comma 1, n. 2, contemplassero “presunzioni semplici” con necessaria prova dell’evasione a carico dell’Amministrazione finanziaria, e, in ogni caso, quand’anche si ipotizzasse una presunzione legale relativa, quest’ultima atterrebbe, nella specie, soltanto ai conti per i quali sia offerta la prova della riconducibilità alla società;
– con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 51, comma 1, n. 2, sotto un terzo profilo, per avere la CTR ritenuto legittima la imputazione a ricavi non dichiarati anche i prelevamenti ingiustificati (oltre che gli accreditamenti), ancorché a questi – rappresentando delle uscite dai conti correnti – potessero essere riconnessi soltanto dei costi non dei corrispettivi, dovendo l’Ufficio, in caso di rettifica induttiva dei ricavi, tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati;
– i motivi dal secondo al quinto- da trattare congiuntamente per connessione – sono infondati;
– nella specie, come si evince dalla sentenza impugnata – a fronte di una ricostruzione “analitico-induttiva” operata dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 (rectius: art. 54), di un maggiore reddito nei confronti della società Arcom s.r.l., ai fini Ires, Irap e Iva, per gli anni 2004-2007, nonché nei confronti dei soci, ai fini Irpef, in proporzione alla quota di partecipazione (ognuno del 50%) agli utili extrabilancio asseritamente accertati in capo alla società a ristretta base azionaria, sulla base di indagini bancarie condotte sui conti correnti intestati sia alla società che ai soci -la CTR, nel confermare la sentenza di primo grado, ha rideterminato il maggior reddito imponibile, sommando ai ricavi dichiarati quelli accertati a titolo di “prelevamenti e versamenti” ritenuti ingiustificati sui conti correnti sia della società che dei soci, nonché le variazioni in aumento, con detrazione dei costi, sebbene non documentati, indicati nelle dichiarazioni dei redditi (salvo che per il 2007, in relazione al quale, difettando la dichiarazione, è stata riconosciuta la detrazione della percentuale media dei costi pari al 59,7%, avuto riguardo alle annualità precedenti);
– in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, prevede una presunzione legale- che data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, v. Cass. n. 30222/2018 – in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; in particolare, detta presunzione legale ha portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano (Cass. n. 19692/11) e pone un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, a prescindere dal regime di contabilità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1560 del 2015). La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere all’equità (Cass. n. 13035/12; la presunzione legale in questione ha superato il vaglio di costituzionalità in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.: v. sentenza Corte Cost. n. 225 del 2005; Corte Cost. ord. n. 260 del 2000; Corte Cost. ord. n. 173 del 2008; Corte Cost. n. 228 del 2014); al riguardo, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, dovendo il contribuente – e non già l’Amministrazione finanziaria – fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass. n. 4829/2015);
– peraltro, questa Corte ha già avuto modo di precisare che, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, dovendosi, peraltro, escludere l’automatica inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili, in quanto le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili” (Cass. Sez. 5, Ord. n. 23093 del 2020, n. 15190 del 2020; n. 31024 del 28/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 25317 del 28/11/2014; Sez. 5, Sentenza n. 5192 del 04/03/2011);
-in tema di Iva, la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. n. 3929 del 2002, n. 28324 e n. 26692 del 2005; n. 14137 del 2013); in particolare, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, (in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass. n. 30222 del 2018; n. 4829 del 2015; Cass. n. 21303 del 2013);
– è consolidato orientamento di questa Corte per cui (in particolare, cfr. Cass. 22 aprile 2016, n. 8112), in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorché risulti provata dall’amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e dell’omologa norma in tema di iva, incombe sulla contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa” (da ultimo, Cass. n. 21424/2017; Cass. n. 2407/2020); Quindi, l’amministrazione finanziaria non deve necessariamente provare la “natura fittizia dell’intestazione dei conti correnti” ai soci, essendo sufficiente la presunzione di “sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati”; la riconducibilità delle movimentazioni bancarie dei soci alla società partecipata implica infatti una prova indiziaria, l’acquisizione cioè, anche mediante una presunzione semplice, della prova che il conto bancario del terzo, qual è il socio, appartenga in realtà alla (società) contribuente medesima. Si è infatti reiteratamente affermato che nell’effettuazione di indagini bancarie valide ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’utilizzo dei movimenti effettuati sui conti correnti bancari dei soci implica che l’Amministrazione finanziaria provi, anche tramite presunzioni, il carattere fittizio dell’intestazione o la riferibilità all’ente delle posizioni annotate sui conti medesimi (Cass., sent. n. 33449/18; n. 5849/2012; ord. n. 11145/2011; sent. 9760/2010; sent. n. 374/2009; sent. n. 13819/2003); in particolare, si è precisato che, in tema di accertamenti fiscali, tanto in tema di imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, quanto in materia di IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 51, comma 2, n. 2, le rispettive presunzioni ivi stabilite secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, operano anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di denaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti, conti che debbono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari soggetti a verifica, risultando, in tal caso, particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci e dei loro familiari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (cfr., tra le molte, Cass. n. 22224 del 2018; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20851; Cass. sez. 5, 11 marzo 2016, n. 4788; Cass. sez. 5, 12 giugno 2015, n. 12276; Cass. sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 428; Cass. sez. 5, 18 dicembre 2014, n. 26829; v. anche Cass. n. 33596 del 2019, secondo cui “le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa solo se sussistano elementi indiziari per far ritenere che tali conti sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti”);
– nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, nel rideterminare il maggior reddito imponibile, ai fini Ires, Irap e Iva, in capo alla società, e, proporzionalmente, ai fini Irpef, in capo ai soci, sommando ai ricavi dichiarati quelli accertati a titolo di “versamenti e prelevamenti” ritenuti ingiustificati – rilevati dall’Ufficio, in applicazione della presunzione legale relativa ex artt. 32 e 51 cit., sui conti correnti sia della società che dei soci, trattandosi di società a ristretta base, costituita da soli due soci, in rapporto di stretta contiguità familiare, di cui uno anche con ruolo di legale rappresentante della società; dal reddito complessivamente così determinato, il giudice di appello ha riconosciuto legittima la detrazione dei costi correlati ai ricavi desunti dalle dichiarazioni dei redditi, ivi indicati, pur se non documentati (tranne che per il 2007, annualità per la quale, in assenza di presentazione della dichiarazione dei redditi, si è riconosciuta la deduzione dei costi nella misura media pari al 59,7%, avuto riguardo agli anni precedenti);
– con il sesto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al quinto motivo di appello concernente la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2, sotto il profilo della arbitraria imputazione delle movimentazioni bancarie asseritamente ingiustificate all’attività commerciale di “Arcom” senza tenere conto del fatto che i due soci fossero soci e amministratori anche di altre società, e avessero anche altri interessi economici;
– il motivo è infondato;
– nella specie, il giudice di appello – dopo avere richiamato nella parte in fatto il (quinto) motivo di gravame circa l’arbitraria imputazione delle riscontrate movimentazioni bancarie all’attività commerciale di Arcom, senza tenere conto che i soci, fossero, altresì, soci e amministratori di altre società, con altri interessi economici – ha rigettato l’appello dei contribuenti, ritenendo legittimamente applicabile la presunzione legale (relativa) di cui agli artt. 32 e 51 cit., di maggiori ricavi da imputare alla società e, proporzionalmente ai soci, in proporzione alle rispettive quote (del 50%) di partecipazione agli utili, con riferimento alle movimentazioni, risultate ingiustificate, rilevate sui conti sia della società che dei soci;
– con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, per avere la CTR, pur versandosi nella fattispecie della ricostruzione induttiva del reddito, ritenuto deducibili solo i costi correlati ai ricavi dichiarati anziché i costi in misura percentualizzata rispetto ai ricavi accertati induttivamente, come determinata (in circa il 91,50%) nell’elaborato peritale depositato in giudizio dalla società;
– in disparte il difetto, in punto di autosufficienza, per non avere i contribuenti riprodotto in ricorso il contenuto degli avvisi in questione (dei quali viene riportato un mero stralcio a pag. 39), il motivo è inammissibile in quanto non coglie il decisum avendo la CTR ritenuto deducibili soltanto i costi correlati ai ricavi dichiarati, qualificando il tipo di accertamento operato dall’ufficio in termini di ricostruzione “analitico-induttiva” (pag. 1 della sentenza impugnata) – e non già induttiva (pura)- dei maggiori ricavi in base ai dati dei documenti bancari; premesso che, come chiarito da questa Corte “l’eventuale errore qualificatorio del giudice di merito, sul tipo di accertamento, non rileva “ex se” come violazione di legge, ma refluisce in un errore sull’attività processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o in un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5" (Cass. Sez. 5, Ord. n. 6861 del 08/03/2019), il mancato riconoscimento da parte del giudice di appello della deducibilità di costi, afferenti ai maggiori ricavi accertati, nella misura percentuale forfettaria – come determinata nella prodotta relazione peritale che, peraltro, di per sé, contiene soltanto una valutazione prospettica dei costi inidonea a fondare il calcolo degli stessi – è in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “In tema di accertamento, la considerazione dell’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi è applicabile alla rettifica induttiva e non anche a quella fondata su indagini bancarie, atteso che, in questa ipotesi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, (e, per l’IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare (Cass., Sez. 5, Ord. n. 24422 del 05/10/2018); “In tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve- riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (Cass. n. 22868/2017, richiamata in Cass. n. 23093 del 2020; n. 17365 del 19 agosto 2020; n. 11879/2017; 25317/2014; 20679/2014);
– con l’ottavo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione agli esiti della relazione peritale, per avere la CTR, in luogo di verificare se l’incidenza dei costi determinata in sede peritale fosse stata oggetto di specifica contestazione da parte dell’Ufficio, accertato la rispondenza dei motivi di gravame ai requisiti di altra norma di cui al D.Lgs. n. 543 del 1992, art. 53;
– il motivo è inammissibile in quanto non coglie il decisum; premesso che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di valutazione dei fatti, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (da ultimo, Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940), nella specie, la CTR ha rigettato il motivo di gravame concernente l’assunta violazione dell’art. 115 c.p.c., avendo ritenuto – con un apprezzamento in fatto insindacabile – che l’Ufficio – avendo concluso, nell’atto di appello, con la richiesta di conferma integrale degli avvisi di accertamento in questione – avesse contestato implicitamente la percentuale di incidenza dei costi sui ricavi come determinata in sede peritale;
Sugli avvisi di accertamento elevati a carico dei soci – con il nono motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 47 TUIR, per avere la CTR ritenuto – con riferimento agli avvisi di accertamento notificati ai soci – che la presenza di una ristretta base sociale o familiare costituisse elemento presuntivo sufficiente per considerare provata la distribuzione in capo ai soci medesimi degli utili extrabilancio asseritamente conseguiti dalla società;
– il motivo è infondato;
– questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass., 5076 del 2011; Cass., n. 9519 del 2009; Cass., 7564 del 2003; Cass., 18 ottobre 2017, n. 24534), non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass., 22 novembre 2017, n. 27778); tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio può essere vinta dal contribuente fornendo la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass., n. 1932/2016; Cass., 17461/2017; Cass., 26873/2016; Cass., 9 luglio 2018, n. 18042; Cass., 27 settembre 2018, n. 23247); la disciplina, dunque, in materia di prova è stata correttamente applicata dal giudice del gravame, avendo questi considerato che la società era risultata a ristretta base azionaria, né i contribuenti hanno prospettato elementi di prova contraria idonei a superare la suddetta presunzione; peraltro, come chiarito, da ultimo, da questa Corte “Nel caso di società a ristretta base, non opera la presunzione ex art. 47 TUIR, di attribuzione ai soci degli utili extracontabili in quanto, essendo conseguiti “in nero” e non essendo mai pervenuti nella contabilità societaria, non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione che non v’e’ stata, non avendoli la società mai dichiarati” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 26317 del 19/11/2020);
– con il decimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame- concernente la assunta violazione, quanto alle imposte sui redditi, dell’art. 45 TUIR, non avendo l’Ufficio fornito la prova dell’effettiva percezione da parte dei soci della corrispondente quota del maggior reddito accertato nei confronti della società;
– con l’undicesimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame- concernente l’assunta illegittimità dell’accertamento in capo ai soci di maggiori redditi attraverso l’uso illegittimo di presunzioni multiple;
– con il dodicesimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame- concernente la assunta violazione, quanto alle imposte sui redditi, dell’art. 45 TUIR, sotto un secondo profilo, avendo l’Ufficio erroneamente presunto che gli utili asseritamente conseguiti dalla società fossero stati percepiti dai soci nel corso del periodo di imposta della loro presunta produzione anziché in quello della loro effettiva percezione;
– con il tredicesimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame- concernente la assunta violazione, quanto alle imposte sui redditi, dell’art. 45 TUIR, sotto un terzo profilo, avendo l’Ufficio, con gli avvisi emessi nei confronti dei soci, violato il principio di capacità contributiva e il divieto di doppia imposizione;
– con il quattordicesimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame- concernente la assunta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2, avendo l’Ufficio, con gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci, imputato pro quota, agli stessi, il maggior reddito accertato nei confronti della società, applicando il metodo della tassazione per trasparenza di cui all’art. 5 TUIR, in luogo di elevare un “unico atto” al fine di garantire l’unitarietà del procedimento di accertamento a carico dei soci e della società;
– con il quindicesimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame- concernente la assunta violazione dell’art. 47 TUIR, sotto un ulteriore profilo, avendo l’Ufficio, con gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci, illegittimamente, anziché sottoporre ad imposizione il 40% dei maggiori utili di “Arcom” asseritamente distribuiti agli stessi, tassati i medesimi al 100%;
– con il sedicesimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione – riproposto in sede di gravame – concernente la assunta violazione del D.P.R. n. 600 de 1973, art. 43, essendo stati gli avvisi di accertamento a carico della socia A.N. per le annualità 2004-2005, notificati al di fuori del perimetro temporale fissato dall’art. 43, comma 1 cit., (oltre il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione);
– i motivi dal decimo al sedicesimo – da trattare congiuntamente per connessione – sono infondati;
– premesso che “per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Cass. n. 1237 del 2018; Cass. nn. da 21424 a 21428 del 2017, conf. n. 17956 del 2015, n. 20311 del 2011), nella specie, la CTR, nel rigettare l’appello dei contribuenti – ritenendo legittima la ripresa nei confronti dei soci in applicazione, trattandosi di società di capitali a ristretta base azionaria, della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extrabilancio accertati nei confronti della società, in assenza di prova contraria – ha disatteso implicitamente gli altri motivi di gravame dei soci, sopra richiamati, riportati, peraltro nella parte in fatto della sentenza;
– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
– nulla sulle spese, essendo l’Agenzia rimasta “resistente” e non avendo svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022
Codice Civile > Articolo 2729 - Presunzioni semplici | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 1 - Giurisdizione dei giudici ordinari | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile