Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.495 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15765/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

– ricorrente –

contro

D.P.G., rappresentato e difeso, in forza di procura a margine del ricorso, dagli avv.ti Enrico Pauletti e Rosamaria Nicastro, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio Di Tanno e Associati – Studio legale tributario – in Roma, via Crescenzio, n. 14;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1022/14/19 della Commissione tributaria regionale della Lombardia depositata il 6 marzo 2019;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vitiello Mauro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. D.P.G., in data 16 gennaio 2013, presentava istanza di rimborso della somma versata, ai sensi del D.L. n. 350 del 2001, art. 12, a titolo di imposta straordinaria per l’adesione allo scudo fiscale.

Secondo quanto emerge dalla sentenza in questa sede impugnata, a supporto dell’istanza deduceva che:

a) in data 27 febbraio 2002, in adesione alla procedura di emersione di attività detenute all’estero D.L. n. 350 del 2001, ex art. 11, D.P.A.V. aveva proceduto alla presentazione all’intermediario della dichiarazione in forma riservata prevista dall’art. 13, comma 1, dello stesso decreto;

b) D.P.A.V. aveva quindi provveduto all’operazione di rimpatrio dei capitali detenuti all’estero, procedendo, per il tramite dell’intermediario, al pagamento dell’imposta straordinaria di cui al D.L. n. 350 del 2001, art. 12, comma 1, per un importo di Euro 726.147,00, pari al 2,5 per cento delle attività rimpatriate;

c) in data 10 dicembre 2010, l’Ufficio finanziario, disconoscendo i benefici connessi allo scudo fiscale, aveva notificato al contribuente, in qualità di erede di D.P.A.V., deceduta in data 13 agosto 2009, avviso di accertamento per i redditi esteri non dichiarati relativamente all’anno d’imposta 2002, accertando, in via presuntiva, maggior reddito in relazione alle attività finanziarie estere, ai sensi del D.L. n. 167 del 1990, art. 6.

2. Constatata la formazione del silenzio rifiuto in merito all’istanza di rimborso, il contribuente proponeva ricorso e la Commissione tributaria provinciale lo rigettava, rilevando che la dichiarazione riservata, diversamente dalle altre dichiarazioni fiscali, costituiva un fatto volontario, frutto di scelta e di autodeterminazione del ricorrente, i cui effetti non erano però rimessi alla volontà del singolo, ma erano previsti dalla legge, con la conseguenza che i nuovi fatti contestati non legittimavano la revoca della dichiarazione ed il conseguente rimborso delle somme versate, trattandosi di meccanismo non previsto dalla legge.

3. Interposto appello dal contribuente, il quale faceva rilevare che, non essendo derivati dal pagamento dell’imposta straordinaria gli effetti previsti dalla normativa sullo scudo fiscale, sussisteva un obbligo di restituzione in capo all’Erario, la Commissione tributaria regionale accolse l’impugnazione, ritenendo dovuto il rimborso. Osservava, in particolare, che la procedura di adesione allo scudo fiscale non aveva prodotto gli effetti previsti dalla legge, per avere l’Ufficio promosso un’azione accertatrice nei confronti del contribuente, e che, di conseguenza, doveva parlarsi non di ritrattazione della dichiarazione, bensì di inefficacia della stessa e quindi di inidoneità a produrre effetti giuridici; l’inefficacia dello scudo determinava l’inesistenza di un valido titolo in capo all’Ufficio, che non poteva trattenere le somme incassate se non conseguendo un ingiustificato arricchimento a danno del contribuente, con inevitabile doppia imposizione, in violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

4. Avverso la decisione d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. D.P.G. resiste mediante controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., la difesa erariale lamenta che la C.T.R. non si sarebbe pronunciata sulla eccezione preliminare di decadenza dal diritto al rimborso per decorso del termine per presentare la relativa istanza. Precisa, al riguardo, che l’istanza di rimborso era stata avanzata in data 16 gennaio 2013, ben oltre il termine di due anni dal versamento dell’imposta straordinaria, avvenuto in data 27 febbraio 2002, e che era pure intervenuta la prescrizione del diritto al rimborso, posto che tra la data dei versamenti e la data di presentazione dell’istanza di rimborso erano trascorsi oltre dieci anni.

2. Con il secondo motivo censura la decisione gravata per violazione del D.L. n. 350 del 2001, artt. 12,13 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Premettendo che, a fronte dell’emersione e del rimpatrio delle attività estere, il D.L. n. 350 del 2001 prevede l’inapplicabilità di sanzioni amministrative e penali, nonché l’inibizione dei poteri di accertamento tributario e contributivo per i periodi per i quali non siano scaduti i termini dalla data di entrata in vigore del decreto – legge in esame, sostiene che, nel caso di specie, l’operatività del cd. scudo fiscale è stata pienamente rispettata dall’Amministrazione finanziaria in quanto non sono state contestate al contribuente né violazioni penali, né amministrative per gli anni precedenti allo scudo, tanto che in sede di verifica gli anni coperti dallo scudo (quelli precedenti al 2002) non sono stati valutati perché non più accertabili, mentre sono stati oggetto di recupero i redditi da capitali conseguiti negli anni successivi. Con la conseguenza che non vi sarebbe correlazione tra gli importi versati dal contribuente a seguito delle dichiarazioni di rimpatrio delle attività estere e gli importi oggetto degli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta dal 2003 al 2008.

Soggiunge la ricorrente che solo nel 2010 è emersa la natura fraudolenta dell’operazione di rimpatrio e che la simulazione del rientro delle attività finanziarie non può essere opposta all’Amministrazione finanziaria in quanto quest’ultima assume la figura di terzo in buona fede, tutelato ai sensi dell’art. 1415 c.c. Il pagamento delle somme di cui si chiede la restituzione, secondo la ricorrente, rappresenta comunque un pagamento spontaneo ed irripetibile, da cui scaturiscono gli effetti “premiali” previsti nell’art. 14; dalla volontarietà del versamento delle imposte sostitutive discende l’impossibilità di richiedere il rimborso di quanto spontaneamente versato, cosicché la C.T.R. erra anche laddove ritiene che il versamento dell’imposta sostitutiva rappresenti un indebito arricchimento per l’Erario.

3. Con il terzo motivo, deducendo, in via subordinata, la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la Agenzia delle entrate addebita alla C.T.R. di non avere ravvisato l’intervenuta decadenza, considerato che l’istanza di rimborso era stata presentata in data 16 gennaio 2013, ben oltre il termine di 48 mesi dal versamento, pacificamente avvenuto il 27 febbraio 2002. Aggiunge la ricorrente che, anche ove si volesse ritenere che il termine decadenziale debba computarsi a decorrere dal 10 dicembre 2010, data di notifica degli avvisi di accertamento, assumendo che solo da tale data per il contribuente è sorto il diritto alla restituzione, il termine di decadenza sarebbe comunque decorso.

4. Il primo motivo è infondato.

Il giudice di merito, accogliendo l’appello del contribuente e riformando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto il diritto al rimborso delle somme versate in adesione allo scudo fiscale e, sebbene non si sia espressamente pronunciato sull’eccezione di decadenza sollevata dall’Ufficio finanziario, ha, implicitamente, disatteso tale eccezione.

Non e’, pertanto, configurabile il dedotto vizio di omessa pronuncia, che non ricorre quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718).

Infatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., sez. 1, 13/10/2017, n. 24155).

5. Il terzo motivo, che va scrutinato con priorità perché assorbente, è fondato e va accolto.

5.1. Risulta pacifico che la sorella dei contribuente, D.P.A.V., ha aderito alla procedura di emersione di attività detenute all’estero in data 27 febbraio 2002, provvedendo alla presentazione, tramite l’intermediario, della dichiarazione in forma riservata ed al pagamento dell’imposta straordinaria; tuttavia, in data 10 dicembre 2010, l’Amministrazione finanziaria, all’esito di controlli, avendo rilevato che la contribuente, pur essendosi formalmente avvalsa dello scudo fiscale, non aveva in concreto provveduto al rimpatrio delle disponibilità detenute all’estero, ha notificato all’odierno controricorrente, in qualità di erede, avviso di accertamento, per l’anno 2002, in relazione alle attività finanziarie detenute all’estero.

Si desume pure dalla sentenza impugnata che in data 17 giugno 2011 sono stati notificati al contribuente, nella qualità di erede di D.P.A.V., altri sei distinti avvisi di accertamento, per i periodi d’imposta dal 2003 al 2008, con i quali l’Ufficio finanziario ha accertato, su base presuntiva, redditi in relazione alle attività finanziarie estere. Nei predetti avvisi di accertamento, come posto in rilievo dai giudici di appello, l’Ufficio finanziario ha dato atto della natura meramente fittizia delle operazioni di scudo, perché avvenute in palese violazione della normativa prevista in materia.

5.2. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, “Nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) o, comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 6, e, ora, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. g), e art. 21, comma 2), regime che impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune. Con la conseguenza che, da un lato, all’istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale in materia tributaria, e, dall’altro, che le norme che contemplano l’istituto del rimborso ufficioso (che, ove applicabile, esclude ovviamente l’operatività del primo), data la loro natura eccezionale, vanno considerate di stretta interpretazione” (Cass., sez. 5, 12/07/2006, n. 15840; Cass., sez. 65, 24/03/2014, n. 6900; Cass., sez. 6-5, 8/04/2015, n. 7069, in motivazione).

5.3. Nella fattispecie in esame non è applicabile il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ma piuttosto la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, disposizione di carattere residuale e di chiusura del sistema che stabilisce che, in mancanza di disposizioni specifiche, la domanda di restituzione dei tributi non può essere presentata decorsi due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione degli stessi.

5.4. L’istanza di rimborso è stata avanzata dal controricorrente soltanto in data 16 gennaio 2013 e, dunque, come eccepito dall’Agenzia delle entrate, tardivamente, dovendo il termine di due anni farsi decorrere dalla data di versamento dell’imposta straordinaria, pacificamente avvenuta il 27 febbraio 2002.

Non può, invece, aversi riguardo, come sostenuto dal contribuente, alla data del 22 luglio 2011, in cui lo stesso ha definito, avvalendosi dell’istituto dell’acquiescenza L. n. 218 del 1997, ex art. 15, gli avvisi di accertamento relativi alle annualità d’imposta dal 2004 al 2008, dovendosi tenere conto del fatto che il contribuente non ha mai rimpatriato nel territorio nazionale le attività detenute all’estero.

La tardività dell’istanza di rimborso consente di dichiarare assorbito il secondo motivo di ricorso.

6. In conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso, in accoglimento del terzo motivo, assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Le spese delle fasi del giudizio di merito vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo all’andamento del giudizio, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo; dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese relative alle fasi del giudizio di merito e condanna il controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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