LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16142/2019 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– ricorrente –
contro
D.P.G., rappresentato e difeso, in forza di procura a margine del ricorso, dagli avv.ti Enrico Pauletti e Rosamaria Nicastro, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio Di Tanno e Associati – Studio legale tributario – in Roma, via Crescenzio, n. 14;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1023/14/19 della Commissione tributaria regionale della Lombardia depositata il 6 marzo 2019 udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vitiello Mauro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. D.P.G. presentava istanza di rimborso della somma versata a titolo di imposta straordinaria per l’adesione allo scudo fiscale ex D.L. n. 350 del 2001, deducendo che era intervenuta la revoca dei benefici premiali previsti dalla predetta normativa per effetto della notifica di separati avvisi di accertamento (dal 2002 al 2008) volti al recupero di maggiori imposte, sanzioni ed interessi sui redditi di capitale prodotti all’estero e non dichiarati nel quadro RW.
2. Constatata la formazione del silenzio rifiuto in merito all’istanza di rimborso, il contribuente impugnava il diniego tacito di rimborso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale che rigettava il ricorso.
Il contribuente proponeva appello avverso la sentenza, facendo rilevare che i giudici di primo grado non avevano fatto corretta applicazione del D.L. n. 350 del 2001, art. 14, con conseguente violazione del divieto di doppia imposizione, e che l’Ufficio finanziario negli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti aveva fatto presente che i documenti acquisiti dimostravano la fittizietà delle operazioni di scudo e, quindi, l’inefficacia dell’operazione volta a sanare la sua posizione; evidenziava, pure, che gli avvisi di accertamento erano stati definiti con il versamento di quanto richiesto per le annualità dal 2002 al 2008, mentre era stato impugnato quello afferente all’anno 2001. Ribadiva che, non essendo derivati dal pagamento dell’imposta straordinaria gli effetti previsti dalla normativa sullo scudo fiscale, sussisteva un obbligo di restituzione in capo all’Erario.
3. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’impugnazione, ritenendo dovuto il rimborso. Osservava, in particolare, che i giudici di primo grado avevano respinto il ricorso del contribuente sul rilievo che la dichiarazione presentata ai sensi del D.L. n. 350 del 2001, art. 13, non costituiva atto ritratta bile e che non fosse di conseguenza possibile chiedere la restituzione di quanto versato all’Erario sulla base di un atto volontario come l’adesione al cd. scudo fiscale. Tale decisione, secondo i giudici regionali, era frutto di un erroneo inquadramento della fattispecie, poiché nel caso in esame non rilevava il tema della ritrattabilità o meno della dichiarazione di adesione allo scudo fiscale, quanto piuttosto quello, diverso, del mancato perfezionamento o della inesistenza sul piano giuridico della procedura di adesione allo scudo fiscale. L’inefficacia dello scudo, che scaturiva dall’azione di accertamento posta in essere dall’Agenzia delle entrate volta al recupero integrale delle maggiori imposte asseritamente dovute, determinava l’inesistenza di un valido titolo in capo all’Ufficio affinché questo potesse trattenere le somme incassate che avrebbero comportato un ingiustificato arricchimento dello Stato a danno del contribuente con inevitabile doppia imposizione, in violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.
4. Avverso la decisione d’appello ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, con tre motivi. D.P.G. resiste mediante controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, deducendo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., la difesa erariale lamenta che la C.T.R. non si è pronunciata sulla eccezione preliminare di decadenza dal diritto al rimborso per decorso del termine per presentare la relativa istanza. Precisa, al riguardo, che l’istanza di rimborso era stata proposta in data 16 gennaio 2013, ben oltre il termine di due anni dal versamento dell’imposta straordinaria, avvenuto in data 27 febbraio 2002, e che era pure intervenuta la prescrizione del diritto al rimborso, posto che tra la data dei versamenti e la data di presentazione dell’istanza di rimborso erano trascorsi oltre dieci anni.
2. Con il secondo motivo censura la decisione gravata per violazione del D.L. n. 350 del 2001, artt. 12,13 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Premettendo che, a fronte dell’emersione e del rimpatrio delle attività estere, il D.L. n. 350 del 2001 prevede l’inapplicabilità di sanzioni amministrative e penali, nonché l’inibizione dei poteri di accertamento tributario e contributivo per i periodi per i quali non siano scaduti i termini dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, sostiene che, nel caso di specie, l’operatività del cd. scudo fiscale è stata pienamente rispettata dall’Amministrazione finanziaria in quanto non sono state contestate al contribuente né violazioni penali, né amministrative per gli anni precedenti allo scudo, tanto che in sede di verifica gli anni coperti dallo scudo (quelli precedenti al 2002) non sono stati valutati perché non più accertabili, mentre sono stati oggetto di recupero i redditi da capitali conseguiti negli anni successivi. Con la conseguenza che non vi sarebbe correlazione tra gli importi versati dal contribuente a seguito delle dichiarazioni di rimpatrio delle attività estere e gli importi oggetto degli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta dal 2003 al 2008. Soggiunge che solo nel 2010 era emersa la natura fraudolenta dell’operazione di rimpatrio e che la simulazione del rientro delle attività finanziarie non può essere opposta all’Amministrazione finanziaria in quanto quest’ultima assume la figura di terzo in buona fede tutelato ai sensi dell’art. 1415 c.c. Il pagamento delle somme in questione, secondo la ricorrente, rappresenta comunque un pagamento spontaneo irripetibile da cui scaturiscono effetti “premiali” previsti nell’art. 14; trattasi di un’ipotesi di versamento volontario di un’imposta e la volontarietà del versamento di imposte sostitutive comporta l’impossibilità di richiedere successivamente il rimborso di quanto spontaneamente versato, cosicché la C.T.R. ha errato anche laddove ha ritenuto che il versamento dell’imposta sostitutiva rappresentasse un indebito arricchimento per l’Erario.
3. Con il terzo motivo, deducendo, in via subordinata, la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la Agenzia delle entrate addebita alla C.T.R. di non avere ravvisato l’intervenuta decadenza, considerato che l’istanza di rimborso era stata presentata in data 16 gennaio 2013, ben oltre il termine di 48 mesi dal versamento, pacificamente avvenuto il 27 febbraio 2002. Aggiunge la ricorrente che, anche ove si volesse ritenere che il termine decadenziale debba computarsi a decorrere dal 10 dicembre 2010, data di notifica degli avvisi di accertamento, assumendo che solo da tale data per il contribuente è sorto il diritto alla restituzione, il termine di decadenza sarebbe comunque decorso.
4. Il primo motivo è infondato.
Il giudice di merito, accogliendo l’appello del contribuente e riformando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto il diritto al rimborso delle somme versate in adesione allo scudo fiscale e, sebbene non si sia espressamente pronunciato sull’eccezione di decadenza sollevata dall’Ufficio finanziario, ha, implicitamente, disatteso tale eccezione.
Non e’, pertanto, configurabile il dedotto vizio di omessa pronuncia, che non ricorre quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718).
Infatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., sez. 1, 13/10/2017, n. 24155).
5. Il terzo motivo, che va scrutinato con priorità perché assorbente, è fondato e va accolto.
5.1. Risulta, in fatto, pacifico che il contribuente ha aderito alla procedura di emersione di attività detenute all’estero in data 27 febbraio 2002, provvedendo alla presentazione, tramite l’intermediario, della dichiarazione in forma riservata di cui al D.L. n. 350 del 2001, art. 13, ed al pagamento dell’imposta straordinaria; tuttavia, in data 10 dicembre 2010, l’Amministrazione finanziaria, all’esito di controlli, avendo rilevato che il contribuente, pur essendosi formalmente avvalso dello scudo fiscale, non aveva in concreto provveduto al rimpatrio delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, ha notificato all’odierno controricorrente avviso di accertamento, per l’anno 2001, e ulteriori avvisi di accertamento per i successivi periodi di imposta dal 2002 al 2008, nonché distinti atti di contestazione delle sanzioni, accertando, su base presuntiva, redditi in relazione alle attività finanziarie detenute all’estero e dando atto della fittizietà delle operazioni di scudo, di cui disconosceva i connessi benefici.
5.2. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, “Nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) o, comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 6, e, ora, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. g), e art. 21, comma 2), regime che impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune. Con la conseguenza che, da un lato, all’istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale in materia tributaria, e, dall’altro, che le norme che contemplano l’istituto del rimborso ufficioso (che, ove applicabile, esclude ovviamente l’operatività del primo), data la loro natura eccezionale, vanno considerate di stretta interpretazione” (Cass., sez. 5, 12/07/20C)6, n. 15840; Cass., sez. 65, 24/03/2014, n. 6900; Cass., sez. 6-5, 8/04/2015, n. 7069, in motivazione).
5.3. Nella fattispecie in esame non è applicabile il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ma piuttosto la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, disposizione di carattere residuale e di chiusura del sistema che stabilisce che, in mancanza di disposizioni specifiche, la domanda di restituzione dei tributi non può essere presentata decorsi due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione degli stessi.
5.4. L’istanza di rimborso è stata avanzata dal controricorrente soltanto in data 16 gennaio 2013 e, dunque, come eccepito dall’Agenzia delle entrate, tardivamente, dovendo il termine di due anni farsi decorrere dalla data di versamento dell’imposta straordinaria, pacificamente avvenuta il 27 febbraio 2002.
Non può, invece, aversi riguardo, come sostenuto dal contribuente, alla data del 22 luglio 2011, in cui lo stesso ha definito, avvalendosi dell’istituto dell’acquiescenza L. n. 218 del 1997, ex art. 15, gli avvisi di accertamento relativi alle annualità d’imposta successive al 2003, dovendosi tenere conto del fatto che il contribuente non ha mai rimpatriato nel territorio nazionale le attività detenute all’estero.
La tardività dell’istanza di rimborso consente di dichiarare assorbito il secondo motivo di ricorso.
6. In conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso, in accoglimento del terzo motivo, assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.
Le spese delle fasi del giudizio di merito vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo all’andamento del giudizio, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo; dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese relative alle fasi del giudizio di merito e condanna il controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022