Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.5433 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22011/2019 proposto da:

C.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Boscolo;

– ricorrente –

contro

Generali Italia Spa, quale successore a titolo particolare di Assicurazioni Generali spa, elettivamente domiciliato in Roma Via Giuseppe Ferrari 35 presso lo studio dell’avvocato Vincenti Marco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Trivellato Ferdinando T;

– controricorrente –

nonché contro Ca.Al.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 10/2019 della CORTE D’APPELLO di VEEZIA depositata il 02/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

FATTI DI CAUSA

1. C.L., con ricorso notificato telematicamente a Generali Italia S.p.A. in data 01/07/2019, chiede l’annullamento della sentenza n. 10 del 2019, pubblicata in data 02.01.2019, non notificata, pronunciata tra il medesimo, Generali Italia s.p.a. e Ca.Al. dalla Corte d’Appello di Venezia. A fondamento del ricorso sono stati addotti otto motivi, illustrati da memoria. Generali Italia s.p.a. ha notificato controricorso.

2. Per quanto qui interessa, l’azione è stata svolta dai ricorrenti ai sensi degli artt. 2043 c.c. e 2049 c.c. nei confronti dell’agente Ca.Al. e della compagnia assicuratrice Assicurazioni Generali s.p.a. per responsabilità del padrone e committente. La Corte di merito, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto infondata la domanda del C. volta a ottenere il risarcimento equivalente alla somma di riscatto per la polizza Vita *****, rivelatasi falsa, sottoscritta tramite l’agente della compagnia assicuratrice.

3. La sentenza, richiamando l’argomento già svolto dal primo Giudice, esponeva che la domanda di risarcimento attorea postula l’accertamento del pagamento da parte del C. del prezzo del contratto assicurativo “*****” n. ***** di cui è mancata prova.

4. L’appellante sosteneva in proposito che la polizza n. ***** recava in calce la quietanza di pagamento e per questo aveva richiesto il deferimento del giuramento decisorio al convenuto Ca., ex agente dell’assicurazione con cui erano state stipulate varie polizze girate dal P., tra le quali vi era quella il cui riscatto era stato trattenuto in pagamento della polizza Vita in questione, con rilascio di quietanza.

5. In punto di prova del pagamento, la Corte di merito, pur convenendo nel principio per il quale, allorché il pagamento da parte del debitore sia intervenuto materialmente, la quietanza costituisce documento probatorio a lui favorevole ed a beneficio dello stesso vigono le norme in merito alla prova e alla rilevanza della stessa, assumeva che la deduzione fosse nuova e comunque non costituisse idonea prova del danno, non essendo stato dimostrato che per il pagamento fosse stata utilizzata la somma percepita quale riscatto di altra polizza.

6. Assumeva la Corte che lo stesso debitore aveva dichiarato che il pagamento della polizza Vita non era intervenuto materialmente, ma mediante il trattenimento del riscatto della polizza cedutagli dal P. e a ciò conseguiva che il valore della quietanza “non è determinante per il Giudice il quale non può prescindere dalle allegazioni della parte beneficiaria che ne smentiscono il contenuto confessorio”.

7. Rilevava altresì che la somma di cui all’assegno bancario di Euro 112.430,00 versato all’agente infedele, in thesi pari al valore complessivo delle polizze al medesimo cedute dal P. (tra le quali vi era quella con subentro al P.M. avente il n. *****, il cui riscatto da parte del C. sarebbe stato utilizzato in pagamento della polizza ***** n. *****) non corrispondeva nelle date e nella sommatoria delle somme alle polizze in questione, tra l’altro non specificamente meglio individuate, e pertanto non era idonea a dimostrare il pagamento della suddetta polizza girata dal P..

8. La Corte d’appello concludeva osservando che il chiesto giuramento decisorio sui due fatti (rilascio di quietanza ed emissione dell’assegno a favore dell’agente Ca.), non aveva carattere dirimente perché il mancato giuramento da parte dell’agente, contumace e irreperibile, avrebbe importato la prova della verità di fatti del tutto contraddittori e contrastanti con la ricostruzione sostenuta dall’attore, in quanto importerebbero la conclusione che l’attore abbia pagato due volte la medesima polizza (la prima volta mediante il trattenimento del riscatto della polizza intestata al P., la seconda mediante la consegna dell’assegno).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia: “(in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5) ERROR IN PROCEDENDO e/o ERRONEA PERCEZIONE DI UN FATTO STORICO DECISIVO”, per avere la Corte d’Appello asserito il mutamento degli assunti sull’efficacia probatoria della quietanza solamente in grado di appello. La sentenza impugnata sarebbe viziata da un errore di percezione delle domande e difese svolte dall’attore in primo grado nel ritenere che il C. si sia avvalso del valore probatorio della quietanza solo nel grado d’appello.

2. Con il secondo motivo si denuncia: “SECONDO MOTIVO (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) VIOLAZIONE o FALSA APPLICAZIONE DEGLI artt. 112 e 345 c.c.”, per avere la Corte territoriale ritenuto tardiva la domanda dell’appellante ad avvalersi in secondo grado della quietanza contenuta nella polizza n. *****. Con riferimento alla volontà di volersi avvalere della quietanza contenuta nella polizza la Corte D’Appello di Venezia avrebbe erroneamente ritenuto che la parte appellante non possa “in sede di gravame modificare i propri assunti pretendendo che la dichiarazione di quietanza in contesto assuma valenza di prova gravante il giudice nelle proprie valutazioni atteso, si ribadisce, che la valenza della stessa è proprio a favore del debitore il quale, nel caso di specie, ha ritenuto di smentirla salvo tentare di recuperarla in sede di appello per sopperire alla soccombenza del grado” (v. sentenza, p. 12). Il ricorrente sul punto rileva che l’eccezione di pagamento è rilevabile d’ufficio e può essere sollevata per la prima volta in appello ex art. 345 c.p.c., in quanto il giudice può accertare l’estinzione del debito, se provata, anche in assenza di espressa istanza del debitore.

2.1. I primi due motivi vanno considerati congiuntamente, trattandosi di errores in procedendo riguardanti la medesima questione, inerente alla quietanza indicata come prova di pagamento della polizza Vita. Essi sono inammissibili ex art. 366 c.p.c., n. 4, in quanto non sono idonei a mettere in crisi la ratio decidendi.

2.2. La prima censura inerisce non tanto a un omesso esame di fatti e circostanze, ma più propriamente alla denuncia di un error in procedendo nel considerare come un novum la questione inerente alla quietanza di pagamento, meglio definita nel successivo secondo motivo, posto che si denuncia che la sentenza abbia erroneamente considerato che l’attore, qui ricorrente, si sia avvalso della quietanza solo nel grado di appello, mentre la deduzione sarebbe stata già svolta nel giudizio di primo grado, in replica alla comparsa conclusionale avversaria di primo grado.

2.3. Da un lato, il ricorrente non sviluppa argomentazioni valide in punto di allegazioni fattuali, posto che con le memorie di cui all’art. 190 c.p.c. le parti possono solo replicare alle deduzioni avversarie ed illustrare ulteriormente le tesi difensive già enunciate nelle comparse conclusionali, e non anche esporre questioni nuove o formulare nuove conclusioni, sulle quali, pertanto, il giudice non può e non deve pronunciarsi (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 98 del 07/01/2016 (Rv. 637908 – 01).

2.4. Dall’altro, sebbene – in iure – l’eccezione di pagamento sia certamente da annoverarsi tra le eccezioni rilevabili d’ufficio dal giudice se il fatto estintivo risulta non controverso o provato (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9965 del 16/05/2016; Cass., 16 marzo 2010, n. 6350; Cass., 11 agosto 1998, n. 599; contra Cass., 3 febbraio 2006, n. 2421), la sentenza impugnata certamente non si pone in contrasto con tale principio, in quanto assume solamente che l’attore ha, in sede di appello, modificato i propri assunti indicando la valenza probatoria della quietanza, sì da smentire le pregresse posizioni assunte, in tal modo recependo l’eccezione della appellata secondo cui l’attore solo in appello, in modo del tutto inammissibile, ha prospettato una diversa versione dei fatti circa il pagamento della polizza (v. sentenza pp. 10 e 12).

2.5. Sul punto le censure non prendono specifica posizione, mentre avrebbero dovuto indicare la versione dei fatti esposta nel primo grado di giudizio, a prescindere dalla quietanza ricevuta ed eccepita nel primo grado di giudizio solo in sede di replica alla conclusionale avversaria che, per quanto costituente un fatto posto a dimostrazione del pagamento, la Corte di merito ha rilevato che si poneva in contrasto con le pregresse allegazioni, che il ricorrente avrebbe dovuto riportare al fine di consentirne uno scrutinio in questa sede di giudizio di legittimità.

2.6. Pertanto, per quanto l’argomento speso in iure sia giuridicamente valido, esso non vale a scalfire una decisione che, di contro, si basa su un argomento affatto diverso, posto che la ratio decidendi non è incentrata sulla novità della tesi della quietanza di pagamento rilasciata per la polizza, ma sulla contraddittorietà delle allegazioni e prove poste a fondamento della domanda di pagamento della polizza in questione, che si inseriva in un complesso rapporto instaurato tra le parti per il quale il ricorrente aveva effettuato vari pagamenti imputati a più operazioni.

2.7. Sicché, non apparendo i motivi correlati alla motivazione essi impingono nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente ribadito da Cass. SU n. 7074 del 2017, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

3. Con il TERZO MOTIVO (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) si deduce “VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE agli artt. 2708,2733 e 2735 c.c. – MANCATO RICONOSCIMENTO DELL’EFFICACIA CONFESSORIA DELLA QUIETANZA”. Con esso è posta la questione se la natura sostanzialmente confessoria della quietanza in ordine al fatto estintivo dell’obbligazione attribuisca alla dichiarazione scritta indirizzata al debitore efficacia di piena prova dei fatti dalla stessa attestati, escludendo, di conseguenza, la possibilità per il creditore di contestarne la vincolatività per mancanza di veridicità (Cass. Sez. U. 22/09/2014, n. 19888).

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. In linea di principio, la quietanza non genera semplicemente una inversione dell’onere della prova (astrazione processuale), ma costituisce prova piena del fatto; essa esclude la possibilità per il creditore di contestarne la vincolatività per mancanza di veridicità del fatto, ammettendone la revoca solo per errore di fatto o violenza ai sensi dell’art. 2732 c.c. (Cass. S.U. 19888/2014).

3.3. Purtuttavia la Corte di merito, in tal caso, non mette in dubbio l’efficacia della quietanza riguardo alla nuova polizza VITA ***** n. ***** sottoscritta dal ricorrente e della quale quest’ultimo chiede il capitale maturato alla scadenza annuale, bensì che sia stato provato il pagamento della polizza originariamente intestata al P., poi ceduta al ricorrente, il cui riscatto sarebbe in tesi servito a pagare il premio per la polizza VITA.

3.4. In altri termini, nel caso di specie la Corte di merito fa dipendere la “irrilevanza probatoria” della quietanza dalla mancata prova del pagamento della cessione della polizza n. ***** dalla quale deriverebbe la provvista per il pagamento del premio della polizza *****, non tanto ai fini della prova del pagamento quietanzato, non messo in discussione, ma del conseguente danno vantato, posto che non risulta adeguatamente provato che il ricorrente abbia sostenuto alcun autonomo esborso per la polizza ceduta dal P. (v. sentenza impugnata, pp 11-13) e, dunque, non vi sarebbe la prova del danno emergente conseguente alla mala gestio attribuita all’agente infedele (v. in proposito il quarto motivo).

4. Con il QUARTO MOTIVO si deduce: “(In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) NULLITA’ DELLA SENTENZA PER MOTIVAZIONE MANCANTE O APPARENTE O ILLOGICA”, per aver la Corte d’appello di Venezia ritenuto, senza motivazione o con motivazione solo apparente e illogica, sussistere contraddizione nella posizione del ricorrente tra il volersi avvalere dell’efficacia probatoria della quietanza e il voler confermare l’assunto che il pagamento sarebbe intervenuto con il credito conseguente al riscatto di altra precedente polizza e/o nel voler confermare che il versamento della somma di Euro 112.430,00 all’agente Ca.Al. sarebbe servito a saldare la cessione di traenza di polizze tra le quali quella n. ***** il cui ricavato sarebbe servito a pagare il premio della polizza *****.

4.1. Il ricorrente sul punto:

A) – indica che, in data 16.12.2009 e per il tramite dell’agente dell’agenzia Generali di ***** Ca.Al., si rendeva cessionario della polizza Linea Vita *****, che prevedeva il diritto alla scadenza del 28.5.2010 dell’importo capitale di Euro 31.560,00; spiegherà poi in corso di causa che il pagamento del prezzo della detta cessione, che la compagnia assumeva non essere stata pagata, era avvenuto, insieme ad altre, con l’assegno di Euro 112.340,00 consegnato a Ca.Al., che veniva prodotto in causa insieme ad una sorta di ricevuta su modello di proposta di polizza, che avrebbe ricompreso il valore di molteplici prodotti assicurativi tra le parti, compreso il valore della polizza n. ***** con subentro al P..

B) – Narra anche che il 10.06.2010 sottoscriveva un’altra polizza Generali, la ***** n. ***** con premio di Euro 31.510,00 e che tale premio era stato pagato girando, appunto, il capitale spettante per la polizza ***** scaduta qualche giorno prima, il 28.5.2010;

C) – In ogni caso, a dimostrazione del pagamento del premio della polizza Vita *****, dichiara di avvalersi della quietanza in calce alla detta polizza.

4.2. La resistente eccepisce che il percorso argomentativo della Corte d’appello nel ritenere non provato il danno da emissione di polizza fasulla si snoda su una direttrice tutt’altro che illogicamente o apparentemente motivata, là dove è il ricorrente che persegue una ricostruzione delle tematiche giuridiche del tutto slegate rispetto alle emergenze documentali considerate. Sul punto, richiama il principio, fondamentale quanto consolidato, in materia di valore della confessione secondo cui il valore di prova legale della confessione, quale vincolo per il giudice alla verità dei fatti che ne formano oggetto, non implica anche il dovere di considerarli sicuramente rilevanti e decisivi al fine di determinarne il convincimento, che può formarsi in base a tutti gli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio.

4.3. Il motivo è infondato.

4.4. Il pensiero espresso dalla Corte d’appello di Venezia, al di là di un argomentare non sempre lineare e chiaro, si può così riassumere:

A) – L’assunto narrato dal C. di aver provveduto a versare il premio della polizza ***** girando quanto spettante a riscatto della polizza n. ***** scaduta qualche giorno prima della sottoscrizione della successiva costituirebbe una affermazione tardiva sollevata in questi precisi termini solo in grado di appello, per quanto attestata nella quietanza rilasciata, comunque irrilevante ai fini del decidere, stante la mancata prova del pagamento della polizza il cui riscatto sarebbe stato utilizzato a pagamento della polizza Vita;

B) – E’ infondato ribadire in grado d’appello, da parte del C., che l’assegno di Euro 112.430,00 versato all’agente, portante tra l’altro una data antecedente alle supposte cessioni cui si riferirebbe, sarebbe probante del pagamento del prezzo di cessione delle polizze cedute dal P., tra le quali anche la polizza n. *****, non essendo l’importo coincidente con il pagamento di ogni pretesa, tra cui la polizza Vita, mediante detto assegno, secondo la versione inizialmente fornita dall’attore nel primo grado e, in ogni caso, non coincidendo detto importo con la sommatoria delle polizze in tesi pagate per le cessioni da P..

C) – Conseguentemente, il danno ricevuto per mancato riconoscimento della polizza Vita – rivelatasi falsa – emessa dall’agente non sarebbe provato, al di là della quietanza di pagamento rilasciata in sede di emissione di detta polizza, non essendo attestato l’esborso subito dall’attore investitore per pagare la precedente polizza girata dal P..

D) – Il giuramento decisorio chiesto in relazione al rilascio della quietanza nella polizza Vita e al pagamento dell’assegno all’agente è irrilevante, non essendo dette circostanze sufficienti a provare il danno e, come tali, decisorie.

Osserva questo Collegio che si tratta di affermazioni del tutto logiche per quanto detto sopra con riguardo al valore confessorio di pagamento del premio da darsi alla quietanza de qua, non messo in discussione dal giudice nella sua intrinseca valenza probatoria riguardo all’attestazione di pagamento della polizza Vita (v. sentenza impugnata, p. 12), ma in relazione al fatto che l’assegno versato dal ricorrente al Ca. intenderebbe provare il pagamento di ogni polizza ceduta da P. sottoscritta, tuttavia non coincidente negli importi e nelle date. Da tali circostanze il giudice trae, in modo tutt’altro che implausibile, la conclusione che non vi è stata prova del pagamento della polizza poi sostituita con quella successiva, qui in discussione.

4.5. Il secondo asserto (mancata prova del pagamento delle polizze girate dal P. mediante assegno non combaciante con gli importi dei premi delle polizze in tesi sottoscritte e cedute da P.) non scalfisce logicamente il primo fatto osservato (quietanza di pagamento della polizza Vita), ma è valutato dalla Corte di merito come dimostrativo del fatto che l’assegno di importo di Euro 112.340,00, non corrispondente ai premi dedotti come pagati e alle date delle pretese cessioni (essendo addirittura posteriori alla data di emissione dell’assegno), unitamente alla documentazione versata in atti, non potesse riferirsi alle polizze in questione, bensì ad altre di cui manca la sottoscrizione da parte dell’investitore. Tale circostanza è stata ritenuta non in grado di provare il danno in effetti subito per la sottoscrizione della polizza Vita, il cui pagamento è in tesi avvenuto con utilizzo del riscatto della precedente polizza girata dal P., non essendo dimostrato che la quietanza rilasciata corrisponda a un’operazione a monte realmente esistita e dunque a un danno effettivo (la sentenza fa riferimento a documenti non sottoscritti, v. p. 14).

4.6. Si tratta, pertanto, di valutazioni di merito del tutto collimanti con le descritte premesse di fatto e di diritto che non denotano il vizio di motivazione denunciato, né una contraddittorietà della motivazione con i fatti osservati per come dedotti dall’attore nel giudizio di primo e secondo grado. Pertanto, la motivazione resa in siffatti termini sicuramente non ricade nella ipotesi di “motivazione apparente” e di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà”, se non di “motivazione perplessa od incomprensibile” che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza (cfr. Cass. SU 8053/2014).

5. Vanno ora trattati congiuntamente i motivi dal quinto al settimo, in quanto tra loro connessi.

5.1. Il quinto motivo è così enunciato: “QUINTO MOTIVO nel duplice aspetto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 3): -(in relazione all’art. 360, n. 4) della NULLITA’ DELLA SENTENZA PER MOTIVAZIONE MANCANTE O APPARENTE O ILLOGICA – (in relazione all’art. 360, n. 3) della VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DEI SEGUENTI ARTICOLI: artt. 115 e 233 c.p.c.; artt. 2376, 2737 con riferimento agli artt. 2731,2738 e 2739 c.c.”, per la mancata ammissione del giuramento decisorio da parte della Corte d’appello deferito dal C. al Ca. circa fatti controversi e decisivi per le tre ragioni, le prime due asseritamente contrarie alle allegazioni e domande prospettate dal ricorrente e per l’inutilità di deferire il giuramento decisorio al Ca., contumace e irreperibile.

5.2. Il sesto motivo è così enunciato: “SESTO MOTIVO (in relazione all’art. 360, n. 4) NULLITA’ DELLA SENTENZA PER MOTIVAZIONE MANCANTE O APPARENTE O ILLOGICA”, in ordine alla ritenuta mancata prova del pagamento del prezzo della cessione della polizza intestata a P. per la polizza n. ***** secondo un incomprensibile percorso logico argomentativo della sentenza impugnata con il quale la Corte assume contraddittorie e illogiche le critiche dell’appellante nei confronti del Primo Giudice.

5.3. Il settimo motivo è così enunciato: “SETTIMO MOTIVO (in relazione all’art. 360, n. 4) VIOLAZIONE DEGLI art. 2043 c.c. e art. 2409 c.c. / OMESSA o ILLOGICA MOTIVAZIONE / OMESSA PRONUNCIA”, per la negata responsabilità di Ca. e di Generali Italia S.p.A. per la mancata prova del danno costituente il presupposto della doglianza e della domanda.

5.4. I motivi in esame non possono trovare accoglimento, sempre perché non si confrontano adeguatamente con la ragione per cui le deduzioni istruttorie non sono state ammesse.

5.5. La Corte d’appello ha ritenuto che i capitoli formulati risultino tra loro incompatibili in quanto tenderebbero a provare, nella sostanza, che l’attore abbia “pagato” due volte il prodotto assicurativo, la prima con la consegna dell’assegno, la seconda con il pagamento del nuovo prodotto assicurativo ***** n. ***** di cui al capitolo A9 del giuramento decisorio.

5.6. La formula del giuramento decisorio – attese le finalità di questo speciale mezzo di prova – deve essere tale che, a seguito della prestazione del giuramento stesso, altro non resta al giudice che verificare l'”an iuratum sit”, onde accogliere o respingere la domanda sul punto che ne ha formato oggetto. La valutazione (positiva o negativa) della decisorietà della formula del giuramento è rimessa all’apprezzamento del giudice del merito, il cui giudizio circa l’idoneità della formula a definire la lite è sindacabile in sede di legittimità con esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici attinenti all’apprezzamento espresso dal predetto giudice (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9831 del 07/05/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24025 del 13/11/2009).

5.7. In disparte la motivazione resa dalla sentenza su tale punto, evidentemente influenzata dalle diverse versioni date dall’attore in relazione al pagamento delle polizze mediante assegno, ivi compresa quella della polizza Vita di cui si chiede il riscatto, la richiesta è stata negata in quanto le formule di cui al giuramento de quo tendono a provare il pagamento già attestato nella quietanza per la polizza Vita, ritenuta, con motivazione che si è appena qualificata idonea, non sufficiente a provare il correlato danno (v. sopra); e ancora, tendono a provare il pagamento mediante assegno della polizza girata dal P., già dal giudice ritenuto a tale fine non congruo nell’ammontare portato dall’assegno e nelle date: tale valutazione di merito, come sopra detto, è del tutto insindacabile in sede di giudizio di legittimità e incide sulla ritenuta non decisività del giuramento decisorio dedotto.

6. L’ottavo motivo del ricorso è così enunciato: “OTTAVO MOTIVO caducazione del capo che ha pronunciato sulle spese e sul raddoppio del contributo unico D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 bis”, in conseguenza e per effetto del preteso accoglimento degli altri motivi di ricorso. Il motivo è inammissibile, siccome integrante sostanzialmente un non motivo, essendo una conseguenza relativa all’eventuale accoglimento della domanda, anche a non considerare che non sono mai ammissibili in sede di impugnazione del provvedimento che ne dà atto le questioni sull’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

7. Conclusivamente, infondato il terzo motivo e quarto motivo, inammissibili gli altri, il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente e raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso per quanto di ragione e, per l’effetto, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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