Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.566 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11085/2019 R.G. proposto da:

G.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Risi, con domicilio eletto in Roma, Via Livorno, n. 6, presso lo studio dell’Avv. Guido De Santis;

– ricorrente –

contro

A.M. e D.M.G., rappresentati e difesi dall’Avv. Sergio Messore;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

D.B.E., G.F. e S.G.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 6148/2018, depositata il 2 ottobre 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 novembre 2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 397/07 il Tribunale penale di Cassino riconobbe G.S. ed altri coimputati (tra i quali gli odierni intimati D.B.E., G.F. e S.G.) colpevoli del reato p. e p. dall’art. 110 c.p., e dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, lett. a) e b), e comma 3, per l’attività di stoccaggio di rifiuti pericolosi, non assistita da alcuna autorizzazione, da questi realizzata su terreno di proprietà di D.M.B.; li condannò pertanto alla pena di legge ed al risarcimento dei danni in favore di quest’ultimo, costituitosi parte civile, da liquidarsi in separata sede.

2. Con sentenza n. 3448/2010, divenuta irrevocabile nei confronti degli odierni ricorrente ed intimati, la Corte d’appello di Roma dichiarò non luogo a procedere nei confronti degli imputati, per intervenuta prescrizione dei reati ascritti, e confermò le statuizioni civili in favore della parte civile D.M.B..

3. Quest’ultimo convenne quindi in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cassino, con atto notificato il *****, G.S., D.B.E., G.F., S.G. e Sp.An. chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza del fatto.

Il tribunale accolse la domanda e condannò i convenuti in solido al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 138.878,36, oltre interessi e spese, ritenendo il danno patrimoniale provato (nell’importo di complessivi Euro 128.878,36) dalla fattura della impresa incaricata del ripristino del sito e stimando, su base presuntiva, quello non patrimoniale pari ad un importo di Euro 10.000, per avere il Di Meo subito il sequestro dell’area e per essere stato costretto a ricorrere all’aiuto dei suoi cinque figli.

4. Interpose appello il G. censurando tra l’altro la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto raggiunta la prova dei danni.

Con sentenza n. 6148/2018, depositata il 2 ottobre 2018, la Corte d’appello di Roma – pronunciando nel contraddittorio con gli eredi di D.M.B., citati in riassunzione dall’appellante a seguito della interruzione del processo per la sopravvenuta morte dell’appellato -lo ha rigettato, condannando l’appellante alle spese del grado.

Premesso il passaggio in cosa giudicata della condanna al risarcimento del danno in favore del D.M., pronunciata in sede penale, ha osservato la corte che ” G.S. non ha tempestivamente contestato in primo grado, com’era suo onere, l’importo richiesto a titolo risarcitorio dal D.M.. Solo in sede di comparsa conclusionale e, quindi, tardivamente, ha sollevato delle contestazioni sul quantum debeatur; ne consegue che la censura sul punto non è ammissibile dovendo farsi applicazione del principio di non contestazione”.

5. Avverso tale decisione G.S. propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resistono A.M. e D.M.G., depositando controricorso.

Gli altri intimati non svolgono difese in questa sede.

6. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c..

Premesso di avere contestato la pretesa risarcitoria, nell’an e nel quantum, sia in primo grado (evidenziando in comparsa come la invocata liquidazione fosse sproporzionata anche rispetto alla inconsistente e del tutto trascurabile cooperazione a lui ascritta, per poi contestare, all’esito dell’istruzione, in sede di comparsa conclusionale, l’attendibilità della teste e l’inidoneità dei documenti fiscali prodotti), sia in appello (con il secondo motivo di gravame), lamenta che erroneamente la corte di merito ha ritenuto di poter accogliere comunque la domanda facendo applicazione del principio di non contestazione.

Afferma che il fatto allegato dall’attore in primo grado non poteva ritenersi acquisito al processo in difetto di tempestiva specifica contestazione in primo grado, trattandosi di fatto ignoto e non comune al convenuto (ed avendo questi, comunque, articolato difese logicamente incompatibili con il suo riconoscimento), restando per l’effetto ricompreso, il fatto allegato, nel perimetro dell’onere probatorio che l’art. 2697 c.c., pone a carico di quella parte (attrice) che lo ha fatto valere.

2. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità della censura, opposta dagli eredi D.M. nel controricorso e poi ulteriormente illustrata in memoria sul rilievo che il giudice di primo grado aveva in realtà motivato la quantificazione del danno senza fare applicazione del principio di non contestazione ma sulla base di una positiva valutazione delle prove raccolte.

Il tema era stato infatti devoluto con l’appello al giudice di secondo grado – ciò essendo evidenziato dal ricorrente, con pieno assolvimento dell’onere di specifica indicazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, ed emergendo anche dalla pur assai succinta motivazione della sentenza d’appello che, nel quartultimo capoverso della prima pagina, dà atto della proposizione di una “censura sul punto”, giudicata inammissibile proprio sul rilievo, ritenuto assorbente, della non specifica contestazione dell’ammontare del danno.

Questa, dunque, per l’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, è divenuta la sola motivazione che sorregge la quantificazione della pretesa risarcitoria, la cui correttezza, in ragione dello specifico e pertinente motivo di ricorso che la attinge, occorre dunque in questa sede scrutinare.

2. Ciò premesso, la censura che al riguardo è svolta in ricorso deve ritenersi fondata.

Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (v. ex multis Cass. 31/08/2020, n. 18074; 04/01/2019, n. 87; 18/07/2016, n. 14652; 13/02/2013, n. 3576).

Nel caso di specie, l’ammontare del quantum (ovvero, da un lato, l’esborso per Euro 128.878,36 asseritamente effettuato dal D.M. per la bonifica dell’area e la rimozione dei rifiuti, dall’altro l’equivalente risarcitorio della sofferenza morale dedotta, in stretta correlazione peraltro a tale esborso per la necessità di ricorrere a contributo finanziario dei figli), sul quale, secondo la corte di merito sarebbe mancata la specifica contestazione, non è un fatto comune all’odierno ricorrente né ad esso presumibilmente noto e/o riferibile, essendo estraneo alla sfera di diretta conoscibilità da parte dello stesso.

La corte d’appello non offre alcuna motivazione che possa giustificare il convincimento contrario della conoscenza o conoscibilità di tale fatto da parte del convenuto/appellante; in difetto di ciò la decisione si appalesa frutto di un errore di sussunzione, ossia di una erronea applicazione al fatto processuale così come accertato (ossia da un lato l’allegazione del danno nei termini esposti, dall’altro il contenuto e la cronologia delle difese di contro sul punto svolte dal convenuto) di un principio ad esso non riferibile, in difetto di un presupposto necessario (l’essere il fatto allegato noto o comune al convenuto).

4. In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice a quo per nuova valutazione sul punto ancorata alle prove raccolte – delle quali andrà pertanto motivatamente valutata l’attendibilità ed efficacia dimostrativa -restando demandato al giudice del rinvio anche il regolamento delle diversa sezione della Corte d’appello di Roma, comunque in diversa spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa a composizione, cui demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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