Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.5763 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22531/2019 R.G. proposto da:

G.R., rappresentato e difeso dagli Avvocati GIANCARLO MARINIELLO, e IGNAZO FILI, elettivamente domiciliato in Roma presso lo Studio di quest’ultimo, VIALE MAZZINI, 55;

– ricorrente –

contro

T.M.L., rappresentata e difesa dagli Avvocati MAURO LIVI, e PIERO PICCININI, elettivamente domiciliata in Roma, presso il loro studio, VIA TIMAVO, 3;

– controricorrente –

e contro

***** SRL, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dagli Avvocati ANDREA ASTOLFI, FRANCESCA DI MARCO, e EMANUELA PAOLETTI, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo Studio di quest’ultima, VIA BRUNO BUOZZI, 68;

– controricorrente –

e contro

ALLIANZ SPA, in persona dei suoi rappresentanti legali p.t., C.M., e CH.MA., rappresentata e difesa dall’Avvocato MICHELE CLEMENTE, elettivamente domiciliata in Roma, presso il suo Studio, via CRESCENZIO, 17/A;

– controricorrente –

e nei confronti di:

ASSICURATRICE MILANESE SPA;

– intimata –

e contro

GENERALI ITALIA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4115/2018 della Corte d’Appello di ROMA depositata il 15 GIUGNO 2018.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Marilena Gorgoni;

Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore, Dott. FRESA Mario, che ha chiesto il rigetto ricorso;

Udito l’Avv. GIANCARLO MARINELLO, per la ricorrente;

Udito l’Avv. MICHELE CLEMENTE, per ALLIANZ;

Udito l’Avv. EMANUELA PAOLETTI, per la *****;

Udito l’Avv. MAURO LIVI, per T.M.L..

FATTI DI CAUSA

G.R. evocava, dinanzi al Tribunale di Roma, T.M.L., la ***** SRL, B.P., L. e M. nonché P.L., quali eredi di Be.Ma., perché, accertata la responsabilità di T.M.L. e di Be.Ma., dipendenti della Casa di Cura convenuta, nella causazione dei danni, derivanti da errata esecuzione dell’intervento di safenectomia e dalla mancata diagnosi della ischemia dell’arto inferiore dx, conseguente all’intervento, li condannasse in solido o alternativamente al risarcimento dei danni patrimoniali e non, che quantificava in Euro 450.000,00, al netto di interessi e di rivalutazione.

T.M.L. chiedeva ed otteneva di chiamare in giudizio la società Assicuratrice Milanese, la quale si costituiva ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, asserendo che all’epoca dei fatti l’assicuratrice fosse la Bernese Assicurazioni. Quest’ultima, costituitasi, chiedeva il rigetto delle domande attoree.

Nelle more del giudizio l’attore e T.M.L. rinunciavano agli atti, rispettivamente, nei confronti degli eredi B., che avevano rinunciato all’eredità di Be.Ma., e nei confronti della Assicuratrice Milanese.

Il Tribunale di Roma, esperita CTU, con sentenza n. 14923/201, accertava la responsabilità di T.M.L., nella misura del 30%, e della *****, nella misura del 70%, per i danni subiti dall’attore, che liquidava in Euro 468.060,72, oltre al danno da ritardo; per l’effetto condannava T.M.L. e la ***** al pagamento di quanto liquidato, oltre alle spese di lite e di CTU; dichiarava Assicurazioni Generali tenuta a manlevare la ***** e la Bernese Assicurazioni tenuta a manlevare T.M.L., entro il massimale; compensava le spese tra T.M.L. e Assicuratrice Milanese.

G.R. interponeva appello, dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, chiedendo che accertasse l’aggravamento del danno sofferto in seguito alla lesione iatrogena del *****, di rivalutarlo e di liquidarlo nella sua complessità, in una somma pari ad Euro 2.182.262,19 o in quella ritenuta di giustizia, detratto quanto già ottenuto in esecuzione della sentenza di primo grado.

Proponeva appello anche Generali Assicurazioni SPA, lamentando l’inoperatività della polizza e l’eccessività della quota di responsabilità attribuita alla *****.

Dalla nuova CTU, resasi necessaria per accertare il dedotto aggravamento delle condizioni di salute dell’odierno ricorrente, emergevano un’incapacità temporanea assoluta di 120 giorni, un’incapacità temporanea parziale di 120 giorni, un’invalidità permanente di 65-66%, un danno estetico da valutare secondo il diretto apprezzamento del giudice; di conseguenza, la Corte d’Appello, con la sentenza n. 4115/2018, resa pubblica il 15 giugno 2018, condannava T.M.L. e la *****, in solido, al pagamento della somma ulteriore di Euro 200.000,00, oltre agli interessi legali dal 9 ottobre 2012 (data dell’appello) al soddisfo, alle spese del grado e di CTU; dichiarava Assicurazioni Generali tenuta a manlevare la Casa di Cura, entro il massimale; accertava la natura della polizza a secondo rischio della copertura attivata da T.M.L. nei confronti della Bernese Assicurazioni; rigettava l’appello di Assicurazioni Generali SPA; confermava le restanti statuizioni della sentenza di prime cure e regolava le spese di lite.

G.R. affida a quattro motivi, illustrati con memoria, il ricorso per la cassazione della suddetta sentenza.

Resistono, con separati controricorsi, T.M.L., la ***** SRL, Allianz SPA.

Nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da Assicuratrice Milanese SPA e da Generali Italia SPA.

MOTIVAZIONI IN DIRITTO 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata quantificato l’ulteriore danno non patrimoniale lamentato, senza alcun riferimento alla tabella di Roma, utilizzata dal giudice di prime cure.

Allo scopo di argomentare la censura, sono riprodotti alcuni stralci della CTU da cui emergeva che, mentre la CTU effettuata in primo grado aveva individuato il danno in un soggetto che aveva ancora l’arto destro, sia pure danneggiato, e che aveva ancora la capacità di deambulare autonomamente, ora il danneggiato aveva subito, quale conseguenza della primitiva lesione patita nel ***** durante “l’intento di stripping per le varici, l’amputazione dell’arto, era impossibilitato a deambulare autonomamente ed aveva altresì risentito di un disturbo post traumatico da stress cronico “per il continuo ripetersi degli episodi di ischemia critica.. per il dolore cronico, per la prima traumatizzante amputazione, per la successiva consapevolezza della “inutilità”, o insufficienza dell’amputazione transtibiale e conseguente necessità di un’altra amputazione più alta”. Concludeva, riconoscendo una incapacità temporanea assoluta di 120 giorni, una invalidità temporanea al 65% per 120 giorni, un’invalidità permanente del 65-66%. Aggiungeva: “il danno estetico potrà essere direttamente apprezzato dal Giudice, sia in considerazione del tipo di lesione in essere (amputazione di coscia), sia sulla base della documentazione fotografica allegata… nel caso specifico il pregiudizio è forse più correttamente ascrivibile alla classe III”, cioè da moderato a grave (11-15%)”.

Secondo il ricorrente, quindi, il danno permanente complessivamente subito sarebbe stato dell’81%, 66% per danno biologico e 15% per danno estetico, e la Corte d’Appello, senza indicare alcun criterio di quantificazione, senza far riferimento ai criteri tabellari seguiti, al valore base del punto di invalidità nel determinare l’ammontare del risarcimento, sarebbe incorsa nella violazione denunciata, perché se avesse seguito le tabelle di Roma avrebbe dovuto riconoscere per il danno biologico permanente in un soggetto di 23 anni Euro 785.477,98, Euro 12.000,00 per invalidità temporanea totale, Euro 7.800,00 per invalidità temporanea parziale, il tutto da maggiorare nella misura del 50% come riconosciuto in primo grado. Dal totale pari ad Euro 1.207.917,97 avrebbe dovuto essere detratta la somma di Euro 468.060,72 liquidatagli in primo grado, quindi avrebbe dovuto riconoscergli non già la somma di Euro 200.000,00 bensì quella di 739.856,00.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, mancata pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno estetico”, che il CTU aveva quantificato nella misura massima del 15%, considerando che spesso la vittima non riusciva a portare la protesi che gli avrebbe consentito, con gli indumenti, di mimetizzare la menomazione. La Corte territoriale non solo non aveva liquidato il danno estetico, che pure era stato richiesto, ma neppure avrebbe motivato circa la sua esclusione.

3. Con il terzo motivo il ricorrente imputa alla sentenza impugnata la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, mancata pronuncia sulla richiesta di personalizzazione del danno”. Il ricorrente aveva chiesto il riconoscimento del danno morale soggettivo da quantificare nella misura del 60% e da calcolare sulla somma di quanto dovutogli a titolo di invalidità permanente e temporanea e la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi su detta domanda.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza della Corte territoriale per “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – mancata pronuncia sulla richiesta di svalutazione monetaria”.

Il giudice a quo non si sarebbe pronunciato sulla domanda di rivalutazione monetaria del danno ulteriore accertato in sede di appello, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato.

5. E’ pregiudiziale l’accertamento della tempestività del ricorso. La eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività della notifica è stata peraltro formulata da T.M.L. ed è basata sull’assunto che, essendo stata la sentenza della Corte d’Appello di Roma pubblicata il 15 giugno 2018 ed il ricorso notificato il 18 luglio 2019, il termine, anche quello lungo di cui all’art. 327 c.p.c., pur tenendo conto della sospensione feriale, dovesse considerarsi scaduto.

Si rileva che il termine di cui all’art. 327 c.p.c., sarebbe scaduto il 16 luglio 2019 e che il ricorso risulta notificato il 15 luglio 2019, quindi, tempestivamente.

La notificazione del ricorso, non applicandosi la riduzione di cui alla L. n. 69 del 2009, essendo stato il giudizio di primo grado instaurato nel 2006, sarebbe dovuta avvenire entro il termine di un anno.

A ciò si aggiunge che la durata della sospensione feriale applicabile è quella di 31 giorni, dall’1 al 31 agosto, perché trova applicazione la riduzione dai 45 giorni ai 31 giorni, prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, introdotta con il D.L. n. 12 settembre 2014, n. 132, art. 16, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162.

Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di precisare che l’art. 16, comma 3, del provvedimento appena evocato, secondo cui le “disposizioni di cui ai commi 1 e 2 acquistano efficacia a decorrere dall’anno 2015”, non contiene alcun riferimento al compimento di atti processuali, ma solo il riferimento preciso all’anno solare 2015: segno che l’intenzione del legislatore è stata quella di ancorare gli effetti del nuovo termine di sospensione a quelle fattispecie relativamente alle quali i presupposti per l’operatività della sospensione fossero maturati nel 2015. In altri termini, l’efficacia del nuovo regime della sospensione presuppone, rispettivamente, che la sentenza sia stata pubblicata nel 2015, ai fini del decorso del termine lungo ex art. 327 c.p.c., ovvero che essa sia stata notificata nel medesimo anno, quanto alla decorrenza, invece, del termine breve, ai sensi dell’art. 325 c.p.c. (Cass. 23/06/2021, n. 17949; Cass. 22/12/2021, n. 41261).

Erra, peraltro, la controricorrente a ritenere che il ricorso sia stato notificato il 18 luglio 2019, perché non tiene conto della c.d. scissione degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario (principio ritenuto applicabile anche alla notificazione effettuata dall’avvocato a mezzo posta ai sensi della L. n. 53 del 1994, poiché dal relativo art. 6 – ove è previsto che l’avvocato che compila la relazione o le attestazioni di cui agli artt. 3, 3-bis e 9, o le annotazioni di cui all’art. 5, è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto si evince che la figura dell’avvocato che compie l’attività di notifica in proprio risulta equipollente a quella dell’ufficiale giudiziario, sicché una diversa lettura della norma introdurrebbe una irragionevole disparità tra la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario a mezzo posta e quella eseguita dall’avvocato, in contrasto anche con la “ratio” della legge in questione, volta a facilitare le notifiche e molto valorizzata con l’introduzione della notifica telematica (così, da ultimo, Cass. 10/12/2019, n. 32255). Il 18 luglio è la data in cui si è perfezionata la notificazione del ricorso nei suoi confronti. Per il notificante, invece, il momento di perfezionamento della notifica, ai fini della tempestività del ricorso, coincide con la data di consegna del plico all’agente postale incaricato del recapito, secondo le modalità stabilite dalla L. 20 novembre 1982, n. 890.

Pertanto, per il ricorrente la notificazione del ricorso si è perfezionata il 15 luglio 2019, come risulta dagli atti, non contestati dalla controricorrente.

Ne conseguono:

a) la tempestività del ricorso;

b) il rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata da T.M.L..

6. Si può pertanto passare allo scrutinio dei motivi.

7. I primi tre, sebbene da prospettive diverse, censurano la liquidazione giudiziale del risarcimento del danno non patrimoniale nella sua integralità.

8. Il primo motivo merita accoglimento nei limiti di seguito indicati:

– non è in questione l’applicazione delle Tabelle di Roma, perché la invocazione della loro applicazione da parte del ricorrente è prima di tutto generica: a p. 12, egli riferisce in maniera assertiva che la tabella di Roma era stata seguita dal giudice di prime cure; non fornisce, poi, alcuna dimostrazione di avere chiesto al giudice di appello l’applicazione della suddetta tabella ai fini della liquidazione del danno conseguente all’aggravamento dei postumi (a p. 7, ove il ricorso riporta le sue conclusioni nel giudizio di appello, si legge che era stata avanzata una richiesta di liquidazione della “somma di Euro 2.182.262,19.. o quella maggiore o minor somma che sarebbe stata ritenuta equa e di giustizia”, tenuto conto della nuova documentazione prodotta e della espletanda CTU medico -legale): deve, pertanto, darsi seguito all’indirizzo di questa Corte, secondo cui il danneggiato ha interesse ad impugnare la condanna al risarcimento tanto nell’ipotesi in cui la liquidazione equitativa del danno sia fondata su un’erronea applicazione dei criteri previsti dalla tabella in uso presso un determinato ufficio giudiziario, quanto in quella in cui, pur essendo stati gli stessi correttamente applicati, la tabella sia stata sostituita da altra più idonea a rappresentare – ai sensi dell’art. 1226 c.c. – un adeguato ristoro del danno non patrimoniale. Nondimeno, la censura deve essere sorretta dall’adempimento della prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (nel senso che il ricorrente è tenuto ad indicare in maniera specifica se in un motivo di appello avesse invocato l’applicazione della tabella disattesa dal giudice (Cass. 28/12/2021, n. 41710);

– vale appena la pena di sottolineare che la richiesta di liquidazione del danno non patrimoniale nella sua componente biologica secondo le tabelle del Tribunale di Roma non poteva pretendersi venisse accolta in via automatica dal giudice a quo, perché la giurisprudenza di questa Corte, pur non escludendo la possibilità di liquidare il danno con un metodo tabellare diverso, ha attribuito alle Tabelle di Milano valenza paranormativa (Cass. 6/05/2020, n. 8532), nel senso che, mancando criteri legali di liquidazione del danno, al criterio predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale, va riconosciuto, in applicazione dell’art. 3 Cost., valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. (Cass. 7/06/2011, n. 12408), atto quindi a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante (Cass. 22/01/2019, n. 1553). Perde detta vocazione quando – ma non è il caso posto dalla vicenda in esame – si debba liquidare equitativamente il danno da perdita del rapporto parentale: Cass. 11/11/2019, n. 29495; Cass. 21/04/2021, n. 10579;

– la ragione che giustifica l’accoglimento del motivo risiede nel fatto che la Corte territoriale non ha fornito alcuna indicazione del percorso seguito per addivenire alla quantificazione del danno nella sua integralità, una volta riconosciuto ricorrente l’aggravamento del danno non patrimoniale rispetto a quello già liquidato dalla sentenza di prime cure ed avere posto tale aggravamento in nesso di derivazione causale con l’intervento eseguito nel 2006;

– la censura è solo quella relativa all’applicazione della liquidazione equitativa, il che esonera questa Corte dalla verifica circa se la sentenza gravata abbia fatto corretta applicazione della giurisprudenza in tema di lesioni che incidono su uno stato di salute preesistente compromesso (Cass. 11/11/2019, n. 28986); fatta questa precisazione, va sgombrato il campo dall’idea che, essendo stato il danno fondatamente liquidato in via equitativa, in sede di legittimità non sia possibile censurarne la quantificazione. La liquidazione equitativa non esonera affatto il giudice dalla necessità di rendere trasparente il percorso liquidatorio utilizzato, chiarendo la logica, i presupposti, i parametri della quantificazione del danno, anche al fine di consentire la verifica del rispetto tra chiesto e pronunciato (lo dimostrano i motivi di ricorso secondo e terzo, su cui comunque, cfr. infra) nonché allo scopo di escludere eventuali duplicazioni risarcitorie e di verificare se sia stata riconosciuta l’integralità del risarcimento. Come è stato già precisato da questa Corte, l’art. 1226 c.c., prefigura “l’equità giudiziale c.d. integrativa o correttiva e dunque un giudizio di diritto e non di equità (fra le tante, da ultimo, Cass. 30 luglio 2020, n. 16344 e 22 febbraio 2018, n. 4310) che, per una parte, risponde alla tecnica della fattispecie, quale collegamento di conseguenze giuridiche a determinati presupposti di fatto, per l’altra, ha natura di clausola generale, cioè di formulazione elastica del comando giuridico che richiede di essere concretizzato in una norma individuale aderente alle circostanze del caso. Quale fattispecie, l’art. 1226, richiede sia che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, la prova del danno nel suo ammontare, sia che risulti assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno medesimo. Quale clausola generale, l’art. 1226, definisce il contenuto del potere del giudice nei termini di “valutazione equitativa””: in termini Cass. Cass. 21/04/2021, n. 10579;

– la liquidazione equitativa cui correttamente il giudice a quo ha fatto ricorso nel caso di specie, concretizzandosi in un giudizio di contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno e cioè in un giudizio di mediazione tra le probabilità positive e le probabilità negative del danno effettivo nel caso concreto, non può però trasformarsi in una valutazione arbitraria, perché il giudice deve compiere un ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze che abbiano inciso sull’ammontare del pregiudizio, dando conto del peso di ciascuna di esse in modo da esplicitare il percorso logico seguito nel rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità della riparazione (Cass. 02/07/2021, n. 18795; Cass. 13/09/2018, n. 22272; Cass. 13/10/2017, n. 24070);

– nel caso di specie, la sentenza della Corte territoriale non si conforma a tali parametri, essendosi determinata a liquidare la somma complessiva di Euro 200.000,00 limitandosi ad indicare quanto di quell’importo dovesse ascriversi al danno da invalidità temporanea. Il giudice non ha dato conto della misura in cui i vari addendi del danno biologico permanente hanno inciso sulla stima equitativa del danno portando alla luce la complessità del ragionamento seguito e con esso la pluralità dei profili considerati;

– la sentenza, inoltre, sembrerebbe avere preso in considerazione solo il danno biologico permanente e temporaneo; lo si evince indirettamente dal fatto che ha espressamente affermato di avere proceduto alla liquidazione della somma di Euro 200.000,00 partendo dai parametri indicati dalla CTU, pretermettendo la richiesta di liquidazione del danno morale, richiesto dalla vittima, il quale è concettualmente, oltre che sotto il profilo liquidatorio, emancipato dal danno biologico: il giudice, alla luce della più recente e ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. 17/01/2018, n. 901; Cass. 27/03/2018, n. 7513; Cass. 11/11/2019, n. 28988), è tenuto, difatti, a distinguere la quota di risarcimento che riflette la sofferenza morale, (qualora ne risulti accertata, anche sul piano presuntivo, l’esistenza, quale concorrente danno-conseguenza dell’illecito) da quella riconosciuta per il danno biologico, definito ex lege come danno dinamico relazionale, la cui liquidazione, grazie all’apporto dell’accertamento medico legale, consente di avvalersi del metodo tabellare per tradurre in una scala di valori omogenei la misura della lesione dell’integrità psico-fisica, in grado di soddisfare l’esigenza di una uniformità pecuniaria di base con quella della necessaria personalizzazione volta a tener conto delle concrete esperienze individuali, mentre un criterio di misurazione obiettiva di estrema difficoltà concettuale, viene pur tuttavia indicato dal legislatore nell’art. 138 C.d.a., come riformato dalla L. 4 agosto 2017, al comma 3, lett. e), in un criterio percentualistico del danno biologico. In sede di giudizio di rinvio, pertanto, il giudice di merito, nell’applicare le tabelle milanesi, dovrà indicare separatamente le due componenti del danno, considerando, peraltro, che le stesse, nelle edizioni precedenti al gennaio 2021, contengono l’indicazione di un valore monetario comprensivo tanto della componente dinamico-relazionale, quanto di quella morale del danno biologico.

9. Il secondo motivo denuncia la mancata pronuncia in ordine alla richiesta di liquidazione del danno estetico.

La censura è assorbita dall’accoglimento del primo motivo. Non è corretto affermare che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sul danno estetico. Dopo aver indicato le conclusioni del CTU che avevano rilevato anche un danno estetico da valutare secondo il prudente apprezzamento giudiziale, la sentenza impugnata ha riconosciuto a favore del ricorrente la ulteriore somma di Euro 200.000,00: riconoscimento che ha tenuto conto proprio di quanto indicato dal CTU, come espressamente riconosciuto dalla Corte territoriale. In altri termini, la Corte territoriale ha riconosciuto il danno estetico, ma non ha chiarito in che termini.

10. In ordine al terzo motivo, premesso che affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si sia resa necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (Cass. 28/10/2015, n. 21926), deve rilevarsi che, stando a quanto riportato dal ricorrente a p. 14 del ricorso, egli aveva chiesto la liquidazione del c.d. danno morale soggettivo da quantificare nella percentuale del 60% di quanto dovuto a titolo di invalidità permanente e di inabilità temporanea.

La censura, alla luce delle considerazioni che precedono, è da considerare assorbita dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.

11. Il quarto motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso, pur dovendosi osservare che la Corte territoriale ha liquidato la somma di Euro 200.000,00 all’attualità, al netto degli interessi dalla data dell’appello all’effettivo soddisfo; il che significa che non è affatto incorsa nel vizio denunciato e che ha fatto corretta applicazione della sentenza n. 1712/1995.

12. In definitiva, va accolto il primo motivo di ricorso. I restanti motivi sono assorbiti, la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione che, oltre a provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, chiarirà quali voci di danno, tra quelle oggetto di specifica domanda da parte del ricorrente, sono meritevoli di risarcimento sulla scorta delle allegazioni e delle prove addotte, poiché la diffusione e l’incentivazione all’uso delle tabelle di liquidazione non esonerano il giudice dall’obbligo di rendere trasparenti i criteri di liquidazione adottati né da quello di dare contezza del contenuto descrittivo del danno nella sua duplice, distinta componente morale (se provata) e dinamico-relazionale, non solo al fine di rendere intellegibile la funzione del risarcimento, ma anche di verificare il collegamento e la corrispondenza tra le poste ammesse al risarcimento, i criteri di liquidazione adottati e la somma in concreto riconosciuta alla vittima. Al risultato liquidatorio finale il giudice potrà pervenire indifferentemente attraverso un’operazione che addizioni i vari addendi oppure mediante l’individuazione immediata di una somma, a condizione che sia possibile accertare che il percorso a monte si sia dipanato correttamente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti. Cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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