Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.67 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19862-2016 proposto da:

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, rappresentata e difesa dagli avvocati NICOLO’ PEDRAZZOLI, ALBERTO PIZZOFERRATO e LUCIA BOBBIO;

– ricorrente –

contro

G.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 22/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 24/02/2016 R.G.N. 48/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Trento ha respinto l’appello proposto dalla Provincia Autonoma di Trento avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto che, respinta ogni altra domanda formulata da G.S., insegnante della scuola provinciale assunta a tempo determinato sulla base di contratti rinnovati in successione, aveva ritenuto illegittima, per violazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, la normativa che non riconosceva l’anzianità maturata ai fini della progressione stipendiali;

2. il Tribunale, peraltro, aveva ritenuto non sussistente il credito per differenze retributive, in quanto il contratto collettivo aveva elevato a nove anni il periodo necessario per la maturazione del primo scatto di anzianità ed era intervenuto quando la G. non aveva ancora maturato il diritto sulla base della disciplina previgente;

3. la Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello e ricostruito il quadro normativo, ha evidenziato che la specialità del sistema di reclutamento scolastico rileva ai fini della valutazione sulla sussistenza o meno di una reiterazione abusiva, ma non giustifica la disparità di trattamento giuridico ed economico collegato all’anzianità di servizio, la cui legittimità va verificata alla luce della clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6 che quel principio ha recepito;

4. ciò premesso, il giudice d’appello ha evidenziato che la Provincia non aveva allegato e provato modalità di esecuzione della prestazione che consentissero di distinguere l’attività del personale di ruolo da quella degli assunti con contratto a termine e, quindi, di ritenere giustificata da ragioni oggettive la disparità di trattamento ed ha aggiunto che la valorizzazione dell’anzianità di servizio a fini retributivi si fonda sulla progressiva acquisizione di una maggiore professionalità, che si verifica in egual misura in entrambi i tipi di rapporto;

5. ha escluso che l’anzianità utile ai fini retributivi dovesse essere quantificata sulla base dei criteri, parzialmente innovativi, stabiliti dal CCNL del 2011 ed ha precisato che, una volta ritenuta non giustificata la disparità di trattamento, la disciplina applicabile è quella vigente per i dipendenti a tempo indeterminato nel momento in cui il rapporto a termine si svolge;

6. infine ha rilevato che il pagamento dei mesi estivi previsto dal contratto provinciale, migliorativo rispetto a quello nazionale applicabile alla scuola statale, non annullava la diversità delle condizioni di impiego con i docenti della stessa scuola provinciale ed inoltre, come desumibile dal testo del CCP, trovava causa nella prosecuzione della disponibilità del personale supplente a soddisfare le esigenze eventualmente manifestatesi nei mesi estivi o connesse alla ripresa del servizio, esigenze in ragione delle quali era prevista la proroga automatica del termine apposto al contratto;

7. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Provincia Autonoma di Trento sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali non ha opposte difese G.S., rimasta intimata.

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo la Provincia Autonoma di Trento denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 312 del 1980, art. 53, del D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 485 e 526 della clausola n. 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, degli artt. 83 e 86 CCPL 29.11.2004 per il personale docente della Provincia di Trento, dell’art. 3 dell’accordo provinciale 15.5.2001 per il biennio economico 2000-2001, dell’art. 22 dell’accordo provinciale per il biennio economico 2008-2009;

1.1. richiamato il quadro normativo e contrattuale sostiene la ricorrente che il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio ai fini retributivi, lungi dall’essere discriminatorio, è giustificato da ragioni oggettive ed in particolare dalle peculiarità proprie del sistema di reclutamento del personale docente che, attraverso il cosiddetto doppio canale, consente ai supplenti di acquisire punteggi ai fini della definitiva immissione in ruolo, possibile a prescindere dal superamento di un concorso pubblico;

1.2. aggiunge che la differenziazione del trattamento retributivo è solo momentanea in quanto, all’esito della stabilizzazione, i docenti possono ottenere la ricostruzione della carriera ed il riconoscimento dell’anzianità pregressa;

1.3. rileva che ai rapporti a termine stipulati con il personale scolastico non si applica il D.Lgs. n. 368 del 2001 e deduce che ogni nuovo incarico, conferito secondo modalità che escludono la discrezionalità da parte del datore, comporta la costituzione di un rapporto distinto ed autonomo rispetto al precedente;

1.4. infine deduce che gli incarichi vengono conferiti per garantire la costante erogazione del servizio scolastico e, quindi, sono giustificati da ragioni oggettive;

2. con la seconda censura la ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione della L. Provinciale n. 18 del 2011, art. 17 della Delib. Giunta Provinciale n. 744 del 2012, dell’art. 2 del CCNL 2011, del D.L. n. 70 del 2011, art. 9, comma 17, convertito dalla L. n. 106 del 2011, ed assume, in sintesi, che solo gli assunti a tempo indeterminato alla data del 1 settembre 2010 sono stati esclusi dalla rimodulazione delle fasce stipendiali e, pertanto, il giudice del merito non poteva disporre la ricostruzione della carriera, della quale non ricorrevano i presupposti, senza tener conto dell’avvenuto accorpamento delle due fasce 0-2 e 3-8, nell’unica fascia 0-8;

2. il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., sotto il profilo della proporzionalità, e censura il capo della sentenza con il quale è stata esclusa la compensazione fra le differenze retributive riconosciute sulla base del principio di non discriminazione e la retribuzione corrisposta ai supplenti nei mesi estivi;

2.1. la Provincia richiama l’art. 95 del CCPL 29.11.2004 ed insiste nel sostenere che per i supplenti la retribuzione nei mesi estivi costituisce una condizione migliorativa in quanto, a differenza dei dipendenti di ruolo, gli assunti a termine la percepiscono senza essere legati all’amministrazione da rapporto di impiego e senza svolgere alcuna attività né preparatoria né didattica;

4. preliminarmente rileva il Collegio che deve essere disattesa la richiesta, formulata dalla ricorrente nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., di rimessione alle Sezioni Unite, giacché sul carattere discriminatorio delle disposizioni, legali e contrattuali, che non riconoscono il necessario rilievo, a fini economici, dell’anzianità di servizio maturata, in ambito scolastico, dagli assunti a tempo determinato, questa Corte si è già espressa a partire da Cass. n. 22558/2016 e l’orientamento, ormai consolidato, non è mai stato disatteso dalle successive pronunce, né emerge alcun contrasto fra il principio affermato e la soluzione data da Cass. n. 31149/2019 alla questione, analoga ma non coincidente, della ricostruzione della carriera successiva all’immissione in ruolo;

4.1. per le medesime ragioni non si ravvisano ragioni idonee a giustificare il rinvio a nuovo ruolo della causa per la successiva trattazione in udienza pubblica;

4.2. il procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice, disciplinato (all’esito delle modifiche apportate al codice di rito dal D.L. n. 168 del 2016, convertito nella L. n. 197 del 2016) dall’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., non va confuso con quello previsto dall’art. 376, art. 375, comma 1, e art. 380 bis, per i casi di inammissibilità o di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, perché il legislatore ha affiancato alla procedura camerale, finalizzata ad accertare la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 375, comma 1, nn. 1 e 5, la pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, alla quale la sezione semplice può fare ricorso “in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’art. 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio” (art. 375 c.p.c., u.c.);

4.3. nessuna delle condizioni ostative ricorre nella fattispecie, giacché il ricorso, oltre a presentare profili di inammissibilità, si presta ad essere deciso sulla base dei principi già affermati per il personale del comparto della scuola assoggettato alla disciplina statale ed alla contrattazione nazionale, dalla quale non si differenzia, negli aspetti essenziali, la normativa provinciale che viene qui in rilievo;

5. il primo motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia in via diretta la violazione dei contratti collettivi della Provincia Autonoma di Tento, giacché, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi di lavoro è consentita dall’art. 360 c.p.c., n. 3 soltanto in relazione alle fonti della autonomia collettiva di carattere “nazionale”, con esclusione dei contratti provinciali, anche delle province autonome, senza che tale limitazione possa dar luogo ad un dubbio di costituzionalità, atteso che il rilievo nazionale della disciplina, che giustifica l’intervento nomofilattico di questa Corte, rappresenta, altresì, l’elemento differenziale tra le fattispecie sufficiente a giustificare l’esercizio della discrezionalità del legislatore statale nel disciplinare l’rimedi giurisdizionali (ex plurimis: Cass. n. 551/2021 e giurisprudenza ivi citata);

5.1. per il resto la censura è infondata, perché la stessa Provincia ricorrente non contesta che il sistema di progressione economica in ragione dell’anzianità di servizio riconosciuto in ambito provinciale al personale di ruolo sia sovrapponibile a quello previsto per i docenti della scuola statale e, così come accade per questi ultimi, non sia esteso anche agli assunti a tempo determinato;

individua, inoltre, la ragione obiettiva che giustificherebbe tale disparità di trattamento nella peculiarità della disciplina di reclutamento dei docenti a tempo indeterminato e di conferimento delle supplenze nella Provincia Autonoma di Trento – (L. PAT 7 agosto 2006 n. 5 e, per le assunzioni a termine, Regolamento di cui al Decreto del Presidente della Provincia 24 giugno 2008 n. 23-130/Leg.), che delinea un sistema del tutto omogeneo a quello previsto per i docenti dello Stato dal T.U. n. 297 del 1994;

5.2. devono, pertanto, essere ribaditi, in riferimento ai docenti a termine della Provincia Autonoma di Trento, i medesimi principi affermati in relazione al trattamento economico dei docenti a termine della scuola statale dalla giurisprudenza di questa Corte, ormai consolidata nel ritenere il carattere discriminatorio di tale trattamento, nella parte in cui non prevede, in ragione della natura a termine del rapporto di lavoro, alcuna progressione economica legata all’anzianità di servizio acquisita nel corso dei precedenti rapporti di lavoro (ex plurimis Cass. n. 15352/2020 e i precedenti ivi richiamati);

5.3. invero la Corte di Giustizia da tempo ha affermato che:

a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana);

b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);

c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 20.6.2019 in causa C-72/18, Ustariz Arostegui; Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata).

d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55; negli stessi termini Corte di Giustizia 5.6.2018, in causa C677/16, Montero Mateos, punto 57 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

5.4. i richiamati principi sono stati tutti ribaditi dalla Corte di Lussemburgo nella sentenza del 20.6.2019 in causa C-72/18, Ustariz Arostegui, secondo cui “la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione, in particolare, degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto, se il compimento di un determinato periodo di servizio costituisce l’unica condizione per la concessione di tale integrazione salariale”;

5.5. le considerazioni svolte dalla Provincia ricorrente prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate dai docenti a termine e fanno leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, argomenti già ritenuti dalla Corte di Giustizia non idonei a giustificare la diversità di trattamento (si rimanda alle sentenze richiamate nella lettera d del punto 5.3.) nonché sulle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, ossia sulle ragioni oggettive del ricorso al contratto a tempo determinato, che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo quadro e non sul piano delle ragioni richiamate nella clausola 4 (che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che eventualmente distinguano i due tipi di rapporto in comparazione);

5.6. né il carattere discriminatorio del trattamento riservato agli assunti a tempo determinato in pendenza del contratto a termine può essere escluso facendo leva sulla circostanza che, in ambito scolastico, al personale successivamente immesso in ruolo è assicurato il riconoscimento dell’anzianità pregressa attraverso l’istituto della ricostruzione della carriera, posto che detta ricostruzione, in relazione alla quale valgono i principi affermati da Cass. n. 31149/2019, opera per il periodo successivo alla instaurazione del rapporto a tempo indeterminato e non elimina la disparità di trattamento pregressa;

6. il secondo ed il terzo motivo sono entrambi inammissibili;

e’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui nel giudizio di cassazione l’interesse all’impugnazione, che va valutato in relazione ad ogni singolo motivo, deve essere apprezzato con riferimento all’utilità concreta che la parte può ricavare dall’eventuale accoglimento del gravame, e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, sicché va escluso ogniqualvolta la dedotta violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, non abbia spiegato effetti in relazione alla soluzione adottata e sia, quindi, diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (cfr. Cass. n. 12678/2020; Cass. n. 20689/2016, Cass. n. 15253/2010, Cass. n. 13373/2008; Cass. n. 11844/2006);

6.1. nello storico di lite si è evidenziato che il Tribunale di Rovereto, pur ritenendo discriminatorio il trattamento riservato dalla Provincia di Trento agli assunti a tempo determinato, aveva escluso che la G. potesse rivendicare differenze retributive, perché il CCNL che aveva elevato a nove anni il periodo minimo necessario per la maturazione del primo scatto di anzianità era intervenuto quando l’originaria ricorrente non aveva ancora maturato il diritto sulla base della disciplina previgente;

6.2. la Corte territoriale, pronunciando sulla sola impugnazione della Provincia, poiché la G., rimasta contumace, non aveva proposto appello incidentale, ha rigettato il gravame, sicché tutte le considerazioni che si leggono nella motivazione della sentenza gravata (evidentemente tratte da altre decisioni) sulla disapplicazione del CCNL del 2011 e sulla impossibilità di opporre in compensazione la retribuzione dei mesi estivi, sono prive della necessaria attinenza al tema ancora controverso nel giudizio di appello;

6.3. è noto che nel rito del lavoro, ove non venga denunciato il contrasto insanabile fra dispositivo e motivazione, deve essere data prevalenza al primo (Cass. n. 8894/2010; Cass. n. 12841/2016) con la conseguenza che può tenersi conto solo “delle pronunce espresse nel dispositivo stesso e delle argomentazioni che, nella motivazione, le sorreggono ed eventualmente concorrono a chiarirne il contenuto, mentre le ulteriori argomentazioni, che non trovano corrispondenza nel dictum espresso nella parte dispositiva, rimangono ineluttabilmente sterili di effetti” (Cass. n. 16628/2004);

6.4. nel caso di specie il dispositivo è di rigetto dell’impugnazione proposta dalla sola Provincia avverso una pronuncia di primo grado che, pur accertando il carattere discriminatorio delle condizioni di impiego degli assunti a tempo determinato, aveva respinto la domanda di pagamento delle differenze retributive e pertanto tutte le considerazioni che si leggono nella sentenza gravata, e che sono state oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso, si devono ritenere, per il principio sopra richiamato, inutiliter datae;

6.5. difetta, di conseguenza, il necessario interesse al ricorso per cassazione;

7. non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perché G.S. è rimasta intimata;

9. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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