Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.695 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8608-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE PARATORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 473/2014 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA, depositata il 22/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2021 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. CARDINO ALBERTO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RILEVATO

che:

con sentenza n. 1773/5/14 pubblicata il 22 settembre 2014 la Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pisa n. 90/1/12 con la quale erano stati accolti i ricorsi riuniti proposti da C.L. avverso gli avvisi di accertamento n. ***** emessi nei suoi confronti e con i quali, sulla base delle movimentazioni dei conti correnti bancari intestati al contribuente, erano stati accertati maggiori ricavi in relazione all’attività di impresa di consulente finanziario svolta con l’impresa L.C. Servizi di C.L., rispettivamente di Euro 6.682.189,89 per l’anno 2003, di Euro 2.749.437,49 per l’anno 2004 e di Euro 288.251,68 per l’anno 2005, maggiori corrispettivi per vendite senza fattura per Euro 3.351.755,67 per l’anno 2003, per Euro 1.467.368,50 per l’anno 2004 e per Euro 161.232,27 per l’anno 2005, e omessa fatturazione di acquisti IVA per e 2.813.091,22 per l’anno 2003, per Euro 1.364.568,99 per l’anno 2004 e per Euro 127.019,41 per l’anno 2005;

che la Commissione tributaria regionale ha considerato che i ricorsi di primo grado “pur giustificati L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 5, per l’eccessiva durata delle indagini” erano comunque fondati nel merito avendo il contribuente fornito sufficienti giustificazioni delle movimentazioni bancarie riscontrate nei suoi confronti e relative, in particolare, per la maggior parte a finanziamenti fatti all’amico P.M., alla propria moglie e ad altri beneficiari indicati, oltre che a spese personali, operazioni tutte estranee all’attività di impresa;

che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su tre motivi;

che C.L. resiste con controricorso illustrato da successiva memoria;

che il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. 212 del 2000, art. 12, comma 5, e della L. 241 del 1990, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; in particolare si deduce che il tempo a cui si riferisce la norma riguarda non le intere indagini, ma la permanenza degli operatori presso la sede del contribuente, e comunque la violazione della norma non comporterebbe comunque la nullità dell’accertamento;

che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento alla insufficiente o omessa motivazione sulle giustificazioni fornite dal contribuente in merito alle movimentazioni bancarie riferibili all’attività di impresa da lui svolta, e che determinerebbe la nullità della sentenza impugnata;

che con il terzo motivo si assume violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla prova fornita relativa alla riconducibilità all’attività di impresa dei movimenti bancari con P.M. e con varie società collegate all’impresa del ricorrente;

che il primo motivo è fondato. Il non chiaro riferimento operato dalla sentenza impugnata alla L. 212 del 2000, art. 12, comma 5, che sarebbe stato violato per l’eccessiva durata delle indagini, non è comunque pertinente ai fini della contestata validità degli avvisi di accertamento in questione. Come già affermato da questa Corte (Cass. 19338/2011, 7584/2015, 2055/2017) alla violazione del termine di permanenza degli operatori non sono ricollegate dalla legge le conseguenze (inutilizzabilità delle prove raccolte; nullità degli atti di accertamento compiuti) che ne intende trarre la parte controricorrente, come è dato agevolmente evincere dalla mancanza di una siffatta norma sanzionatoria e dalla compiuta disciplina dettata dalla L. n. 212 del 2000 con riferimento ad eventuali irregolarità commesse dai verificatori durante la ispezione. In tali ipotesi, tra cui deve ricomprendersi anche la ingiustificata protrazione delle operazioni di verifica, il contribuente, oltre a formulare a verbale osservazioni e rilievi (art. 12, comma 4), può, infatti, rivolgersi al Garante (art. 12, comma 6) che in seguito alla segnalazione esercita i poteri istruttori richiesti dal caso (art. 13, comma 6), richiamando “gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli artt. 5 e 12 della presente legge” (art. 13 comma 9), ed ove rilevi comportamenti che “determinano un pregiudizio per i contribuenti o conseguenza negative nei loro rapporti con l’amministrazione”, trasmette le relative segnalazioni ai titolari degli organi dirigenziali “al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare” (art. 13, comma 11);

che il secondo motivo è infondato. La ricorrente assume, infatti, che la CTR avrebbe fornito una motivazione insufficiente tanto da potersi qualificare apparente, riguardo agli elementi forniti dall’amministrazione a sostegno degli accertamenti per cui è giudizio, e da ciò deriverebbe la nullità della sentenza stessa. Come chiarito da questa Corte (Cass. SS.UU. 8053/2014) è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Nel caso in esame il giudice dell’appello ha fornito una pur sommaria motivazione della propria decisione affermando la sufficienza degli elementi forniti dal contribuente a giustificazione delle movimentazioni bancarie rilevate sui conti correnti a lui intestati. Il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 9233/2006). Pertanto la ricorrente in realtà intende contestare in modo inammissibile in sede di legittimità il merito della decisone e le conclusioni a cui questa perviene in modo difforme a quanto da lei affermato;

Che il terzo motivo è fondato. La CTR ha disatteso il costante indirizzo di questa Corte per il quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (tra le tante le sentenze Cass. 2752/09, 18081/10, 10578/11, 10480/18, 13112/20). In particolare la prova in parola deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, dimostrando che ciascuna delle operazioni effettuate fosse estranea a fatti imponibili; nella sentenza impugnata invece si fa solo generico riferimento di tali movimenti ad operazioni di finanziamento, neanche precisate nella loro natura (quali: mutui, sconti, anticipazioni ecc.);

che la sentenza impugnata va conseguentemente cassat,ti6 con riferimento al primo ed al terzo motivo con rinvio alla medesima Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione che si adeguerà a quanto sopra affermato e provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso e rigetta il secondo; Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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