Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.735 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26201/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

S.M., elettivamente domiciliata in Caserta alla via G.

Bosco n. 65 presso lo studio dell’avvocato Iolanda Buono che la rappresenta e difende, giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3203/2017 depositata il 4 aprile 2017, della COMM. TRIB. REG., Campania;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2021 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA.

RILEVATO

Che:

1. L’agenzia delle Entrate propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 3203/2017, depositata il 4 aprile 2017, con la quale la Commissione tributaria regionale della Campania, confermando la prima decisione, ha respinto l’appello proposto dal predetto ente, sul rilievo che la previgente normativa di cui al T.U. n. 346 del 1990 fosse del tutto incompatibile con il D.L. n. 262 del 2006, con implicita abrogazione dell’art. 56 bis.

L’Agenzia delle entrate, in sede di controllo sui redditi dichiarati, aveva accertato, in particolare, l’omessa registrazione di tre liberalità indirette dell’ammontare di Euro 4.419.348,45 effettuata dal donante a favore delle nipoti su conto corrente cointestato alle medesime, liquidando l’imposta sulle donazioni eccedente l’importo di Euro 180.760,00 (franchigia) secondo quanto dispone il T.U. cit., art. 56 bis, con l’aliquota del 7 per cento sulla liberalità.

La Regionale includeva nell’ambito delle donazioni dirette il bonifico bancario disposto dal nonno alla nipote I. su conto corrente cointestato all’altra nipote, sostenendo che pur trovando applicazione la disciplina fiscale, nella specie risultava chiaramente che la diretta beneficiaria del bonifico non era individuabile nella contribuente ricorrente, bensì nella di lei sorella I., come emergeva chiaramente dalla documentazione allegata dalla contribuente S. (distinte dei bonifici indirizzati ad I.).

In detta fattispecie, secondo la CTR, la ricorrente aveva offerto la prova che superava la presunzione di contitolarità delle somme versate sul conto corrente cointestato, le quali appunto si presumono in proprietà comune agli intestatari, fornendo la prova dell’effettiva destinataria del congruo bonifico.

La contribuente replica con controricorso.

CONSIDERATO

Che:

2. Con il primo motivo si lamenta la violazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – dell’art. 15 preleggi; per avere la CTR ritenuto ormai abrogato il disposto del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 56 bis, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 262 del 2006, in quanto non più compatibile con la normativa generale di cui al D.L. cit.; ritenendo che nel caso in esame, la donazione del nonno alla nipote configurasse piuttosto una donazione diretta, nulla sotto il profilo civilistico per difetto di forma, ma rilevante ai fini fiscali. Deduce l’amministrazione finanziaria che il disposto dell’art. 56 bis cit. introdotto con L. n. 342 del 2000 è del tutto compatibile con il nuovo sistema delle imposte di successione e donazione, tanto che l’art. 2 prevede che le disposizioni del D.Lgs. n. 346 del 1990 trovano applicazione in quanto compatibili con le nuove norme, tenuto conto che si tratta di norma speciale ed autonoma rispetto al nuovo impianto normativo.

3. Con la seconda censura si lamenta la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudicante ritenuto irrilevante la circostanza che le due sorelle fossero cointestatarie del conto corrente dove erano state bonificate le somme, contestando la rilevanza attribuita dai giudici di appello in merito alla indicazione della beneficiaria I. nella distinta di bonifico, giudicando il documento inidoneo a superare la presunzione di contitolarità delle somme cointestate.

4. Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), nonché del D.Lgs. n. 546 del 1996, art. 36 e dell’art. 118 disp att. c.p.c.ex art. 360 c.p.c., nn. 3) e 4), avendo il decidente rilevato l’esistenza di una donazione diretta senza offrire alcuna motivazione di detta affermazione.

5. Il quarto motivo prospetta la violazione dell’art. 769 c.c. e del T.U. n. 346 del 1990, art. 65 bis, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), avendo la Regionale trascurato i principi affermati dalla giurisprudenza secondo i quali la natura diretta o indiretta della donazione va individuata nel mezzo con il quale è attuata la liberalità.

6. Giova premettere che la contribuente impugnava l’avviso sostenendo che l’aliquota applicabile fosse pari al 4% e la franchigia pari a un milione di Euro, con la conseguenza che l’aliquota doveva essere applicata sull’importo di Euro 9.674,00.

La stessa dichiarava che sul c/c cointestato alla sorella erano transitati nell’anno 4.419.000,00, di cui due bonifici (uno di due milioni e l’altro di quattrocentomila Euro) erano stati disposti dal nonno in favore della sorella I., mentre il successivo bonifico di Euro 2.019.348,00 era stato disposto dal medesimo in favore di entrambe le nipoti; ragion per cui solo la metà di detta ultima somma era imputabile alla medesima, per cui, tenuto conto della franchigia di un milione di Euro, l’agenzia avrebbe potuto applicare l’aliquota del 4% su 9.674,00.

6. Le censure, fatta salva la seconda, di cui si dirà in seguito, in quanto involgenti questioni connesse, vanno scrutinate unitamente.

Esse vanno disattese.

6.1 Le liberalità di cui si discute sono state effettuate nell’anno 2014, ovvero in epoca successiva alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni per effetto del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, e dunque quando era tornata ad essere applicabile la disciplina – base – di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, secondo le disposizioni vigenti al 24 ottobre 2006 (ovvero il giorno precedente all’entrata in vigore della L. n. 383 del 2001 recante la soppressione dell’imposta), fatti salvi i rinvii ai commi da 48 a 54, e fermo restando il generale vincolo di compatibilità di cui sempre all’articolo citato, comma 50. Recita il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1, al comma 1, che “L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi.”, ed al comma 4 bis, che “Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto, mentre il successivo art. 55, comma 1, che “Gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, concernenti gli atti da registrare in termine fisso.”; il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, al comma 47, che “E’ istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54;” mentre il successivo comma 50 recita che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”. Prevede, in particolare, il più volte citato decreto legge, art. 2, comma 47, che “E’ istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”, mentre il successivo comma 50 recita che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”.

6.2 Con l’introduzione dell’art. 56 bis da parte della L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, lett. p), nel Testo Unico in esame, il legislatore ha previsto una disciplina per le “liberalità diverse dalle donazioni”, ampio genus nel quale rientrano, e rilevano ai fini impositivi considerati dalla norma, liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione, per cui anche la donazione per così dire “informale” non sembra estranea, come pure sostenuto in dottrina, al meccanismo di emersione oggetto di causa, atteso che l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’art. 782 c.c. e la relativa sanzione della nullità, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono sul piano tributario, in ragione del principio generale affermato dall’art. 53 Cost. (Cass. n. 28047/2020; Cass. n. 15144/2017; n. 15144/2017; n. 634/2012).

L’art. 56 bis citato ammette la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di accertare l’esistenza di tali liberalità (diverse dalle donazioni) ove l’attribuzione patrimoniale gratuita emerga nel corso di un’attività di controllo delle imposte sui redditi, a condizione che la natura liberale dell’attribuzione risulti da esplicite dichiarazioni rese dal contribuente, e che sia superata una determinata soglia di rilevanza fiscale. La citata disposizione regola, dunque, l’emersione di peculiari fattispecie impositive, avendo il legislatore – come già detto – inteso, da un lato, incentivare l’autodichiarazione del contribuente, anche per evitare ulteriori e più onerose pretese fiscali (si pensi alle indagini relative alle imposte dirette dalle quali possono emergere elementi patrimoniali incompatibili con i redditi dichiarati) e, dall’altro, limitare l’esercizio del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, quanto alle liberalità ivi contemplate, ancorandolo alla ricorrenza di determinati presupposti.

Orbene, anche a seguito delle modifiche introdotte al complessivo impianto normativo delle imposte sulle successioni e donazioni, il prefato art. 56 bis non può ritenersi affatto implicitamente abrogato, trattandosi di disposizione che ha una propria ragion d’essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dal TUS. 6.3 La ratio legis della disciplina in tema di liberalità attuate in forme diverse da quella della donazione tipica (art. 769 c.c.) porta ad escludere che il prospettato contrasto tra vecchie e nuove norme comporti necessariamente l’implicita abrogazione delle prime, atteso che, a ben vedere, a siffatta opzione interpretativa conseguirebbe un vuoto di regole nel complessivo quadro normativo di riferimento delineato dal D.L. n. 262 del 2006 e dal D.Lgs. n. 346 del 1990.

6.4 Deve procedersi, allora, ad una operazione interpretativa diversa da quella puramente letterale, e ciò al fine di armonizzare l’art. 56 bis cit. con le disposizioni che disciplinano la reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni, considerato che non è un dato conclusivo il diverso regime delle aliquote e delle franchigie attualmente vigente, avuto riguardo alla natura di rinvio “dinamico” e non “statico” attribuibile al richiamo, operato dalla disposizione in esame, alla disciplina delle aliquote e franchigie applicabili alle donazioni. Si tratta di una interpretazione che non appare in contrasto con altri interessi meritevoli di tutela, o con i principi generali dell’ordinamento tributario, certamente consentita dal fatto che, come già detto, la normativa in tema di accertamento delle liberalità indirette e di registrazione volontaria delle stesse venne introdotta dal legislatore nel contesto delle disposizioni del TUS e, pertanto, essa non poteva che far riferimento, tramite richiamo, alle aliquote e franchigie previste dal TUS ed all’epoca vigenti (si pensi all’aliquota massima del 7 per cento applicata in chiave latamente sanzionatoria).

6.5 E’ appena il caso di osservare, invece, la peculiare tecnica legislativa utilizzata con il riferimento, contenuto nel D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, alle “disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, com’e’ reso evidente dalla formulazione della norma, che fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54 ed il generale limite di compatibilità, rinvia proprio e solo alle disposizioni richiamate, le quali diventano idealmente parte integrante dell’atto rinviante, così come esse si trovavano scritte nel momento a cui il rinvio fa riferimento (v. Cass. n. 27665/2020) Ne discende che il richiamato art. 56-bis, comma 1, alla stregua del quale è stato motivato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della contribuente, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni (e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti), ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall’art. 769 c.c., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, essendo irrilevante a tali finì la formale stipula di un atto e viceversa rilevante il fatto economico provocato dal trasferimento da un patrimonio ad un altro.

7.Risulta integrato, nella specie, pienamente il paradigma dell’arricchimento senza corrispettivo, che si rinviene anche nelle liberalità diverse dalla donazione, cioè le liberalità atipiche risultanti da atti diversi dal contratto tipico di donazione, ma in grado di attuare effetti economici equivalenti a quelli prodotti da detto contratto, benché non rivestano la forma dell’atto pubblico.

Il fenomeno delle liberalità atipiche, del resto, è certamente rilevante fiscalmente anche nell’ambito della “nuova” imposta di donazione, in quanto esso rientra nell’ampia nozione di “trasferimenti gratuiti” che il legislatore del 2006 ha utilizzato, come appresso meglio si dirà, per individuare il presupposto impositivo del tributo.

A tal fine, la questione sottoposta dall’amministrazione finanziaria concernente la natura diretta ovvero indiretta della donazione sottoposta con le doglianze di cui al presente ricorso, assume un rilievo marginale, in quanto la definizione attribuita dalla CTR alla donazione mediante bonifico quale donazione diretta – definizione giuridicamente corretta secondo quanto stabilito dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 18725/2017-non costituisce la ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata, la quale, invece, ha escluso l’applicazione dell’art. 56 bis cit. non perché concernente le donazioni indirette, mentre nel caso di specie di bonifico bancario si verserebbe in fattispecie di donazione diretta, bensì in quanto la Regionale ha ritenuto la norma predetta implicitamente abrogata dalla successiva L. n. 262 del 2006; ma soprattutto in quanto la donazione diretta era stata disposta in favore della sorella della ricorrente, come inferibile dalle emergenze processuali.

8. Sennonché, secondo la prescelta interpretazione logico-sistematica della disposizione, si deve, tuttavia, evitare l’applicazione di una aliquota e di una franchigia non più previste dalla novellata imposta, ed al fine di consentire ad essa disposizione di continuare ad operare, in maniera non priva di coerenza, nel modificato contesto normativo di riferimento, si deve guardare alle nuove disposizioni e, segnatamente, al D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 49 e 49 bis.

Per le fattispecie di liberalità imponibili come sopra individuate, l’aliquota da applicare sarebbe stata quella dell’8 per cento, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore sul valore che eccede la franchigia, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario (l’aliquota del 7% non esiste più e non appare coerente “mescolare” tra loro aliquote e franchigie vecchie e nuove).

A fronte della censura che attinge la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto abrogata la disciplina previgente, insistendo nella declaratoria di legittimità dell’avviso opposto, troverà applicazione al caso in esame l’aliquota – pari al 7% – applicata con l’avviso di accertamento sulla donazione atipica disposta in favore di S.M., nella misura accertata dai giudici di appello e tenuto conto delle attuali franchigie applicabili alle donazioni in favore dei parenti in linea retta.

Le liberalità, difatti, sono accertate e sottoposte ad imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti: Euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, Euro 100.000 per fratelli e sorelle, Euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap, mentre per i casi in cui la norma vigente non prevede franchigie (ovvero con riguardo a soggetti diversi da coniuge, parenti in linea retta, fratelli e sorelle, persone portatrici di handicap), l’imposta trova applicazione sull’intero importo della liberalità, con la conseguente esclusione del limite di franchigia prevista dalla normativa di riferimento prima della introduzione della nuova imposta di successione e donazione.

8. Con riferimento al secondo motivo, si osserva quanto segue.

Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte la co-intestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi di conto (art. 1854 c.c.), sia nei confronti dei terzi, sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tuttavia, detta presunzione dà luogo solo all’inversione dell’onere della prova e può essere superata dalla prova contraria – anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti – che rimane a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa.(v. in tal senso Cass. sez. 3 n. 19305 dell’8/912006 e Cass. sez. 1 n. 28839 del 5/12/2008).

Orbene, con motivazione adeguata esente da rilievi di ordine logico-giuridico, la C.T.R. della Campania ha osservato che gli elementi documentali ritualmente acquisiti al processo – vale a dire le distinte di versamento intestate a I., sorella della ricorrente – inducevano a ritenere superata la presunzione legale iuris tantum di cui all’art. 1854 c.c. Ebbene, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile(Cass. n. 22366/2021; n. 5279 del 2020; n. 22898 del 08/10/2013).

Il ricorso va pertanto respinto.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla refusione delle spese sostenute dalla contribuente che liquida in Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione civile della Corte di cassazione tenuta da remoto, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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