LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13038/2017 proposto da:
D.G.A., B.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A CARONCINI 51, presso lo studio dell’avvocato BARBARA MORABITO, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO PIRARI, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
S.S., P.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NOMENTANA 91, presso lo studio dell’avvocato CINZIA MECO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati MONICA MELE, ALBERTO MARIO ZIZI, in virtù di procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 177/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI, depositata il 19/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/12/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie dei ricorrenti.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con citazione del 9 dicembre 1998, D.G.A. e B.F. convenivano in giudizio dinanzi alla Pretura Circondariale di Nuoro P.G. e B.S., al fine di ottenere l’accertamento della proprietà esclusiva del muro che divide i cortili delle proprietà delle parti in causa, nonché della violazione delle distanze legali della veduta posta in essere a seguito della realizzazione di un balcone da parte dei convenuti, e per effetto della realizzazione di una centrale termica retrostante le rispettive proprietà.
Si costituivano i convenuti che si opponevano alla domanda attorea e deducevano che il muro era in realtà posto all’interno della loro proprietà, come si ricavava dalle planimetrie catastali prodotte dagli attori.
Assumevano che la veduta di cui si dolevano in citazione era stata realizzata nella medesima posizione in cui era collocata una preesistente opera da cui si esercitava una servitù di veduta, creatasi per destinazione del padre di famiglia, essendo in ogni caso maturato il tempo utile ad usucapire.
Inoltre, rilevavano che la centrale termica era stata realizzata nel rispetto delle distanze di legge.
In via riconvenzionale, chiedevano l’eliminazione di una serie di manufatti abusivamente realizzati dagli attori.
Il Tribunale di Nuoro, cui la causa era stata assegnata a seguito della riforma del giudice unico, all’esito dell’istruttoria, con la sentenza n. 760/2009, dichiarava l’esclusiva proprietà degli attori del muro quanto al tratto C-D, come individuato nell’elaborato peritale in atti; in accoglimento della riconvenzionale dei convenuti accertava la loro esclusiva proprietà del muro divisorio nel tratto B-C e condannava gli attori ad arretrare l’apertura posta sul fronte maggiore che si affaccia sul cortile adiacente alla centrale termica fino alla distanza di cm. 75 dalla proprietà dei convenuti; ordinava agli attori di adeguare la luce presente al piano terra della loro proprietà alla previsione di cui all’art. 901 c.c., nonché ad arretrare il serbatoio idrico fino alla distanza di almeno metri due tra il confine ed il punto più vicino del perimetro interno dell’opera in esame.
Avverso tale sentenza proponevano appello gli attori, cui resistevano i convenuti, proponendo a loro volta appello incidentale.
La Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari, con la sentenza n. 177 del 19/4/2016 ha rigettato entrambi i gravami.
Quanto ai primi due motivi di appello principale, che invocavano le risultanze della documentazione fotografica dalla quale si sarebbe evinto il reale regime proprietario del muro divisorio, anche alla luce dei titoli versati in atti, la sentenza d’appello rilevava che, pur esaminando le fotografie, non erano dalle stesse desumibili elementi certi ai fini dell’individuazione della linea di confine, così che era incensurabile la decisione del Tribunale di avvalersi dei grafici allegati agli atti catastali, dai quali si erano tratte le conseguenze circa la proprietà del muro.
Inoltre, ricorrevano le condizioni per il ricorso in via sussidiaria alle mappe catastali, anche in considerazione che i titoli di proprietà non contenevano alcun riferimento al muro di cinta.
In relazione al terzo motivo dell’appello principale, che contestava il riconoscimento dell’usucapione della servitù di veduta da parte dei convenuti, la Corte d’Appello, oltre che dare atto che la censura era supportata da documentazione nuova ed irrilevante, in quanto non probante circa l’epoca di realizzazione del balcone, evidenziava che in realtà dalla prova testimoniale emergeva che la veduta era stata posseduta dai convenuti dal 1977 al 1997, come confermato dalle deposizioni dei testi escussi, della cui attendibilità non era dato dubitare.
Era disatteso anche il quarto motivo di appello, che atteneva al rigetto della domanda di demolizione della centrale termica, atteso che il CTU aveva appurato la sua collocazione in aderenza al muro di proprietà dei convenuti ed a più di tre metri rispetto alle costruzioni degli attori.
Era altresì rigettato il motivo di appello che concerneva la condanna degli attori a porre l’apertura posta sul fronte maggiore del fabbricato alla distanza di 75 cm. dalla proprietà P. e ad adeguare la luce alle previsioni di cui all’art. 901 c.c., essendo stato accertato che la veduta laterale è posta a soli 38 cm. dal confine e che la luce non è conforme alle previsioni codicistiche.
Quanto all’appello incidentale, volto ad ottenere il riconoscimento della proprietà esclusiva anche del tratto di muro invece ritenuto essere di proprietà degli attori, la sentenza riteneva che non fossero stati offerti elementi di prova tali da poter dissentire dalle conclusioni del Tribunale.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso D.G.A. e B.F. sulla base di sei motivi, illustrati da memorie.
P.P. e S.S., entrambi quali eredi del defunto P.G., e la seconda anche in proprio, hanno resistito con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa interpretazione degli artt. 1362, 1366 e 1367 c.c., con riferimento all’art. 934 c.c..
Si deduce che con l’appello era stata contestata la decisione del Tribunale che aveva aderito alle conclusioni del secondo ausiliario d’ufficio, trascurando di considerare le risultanze della prima CTU.
Inoltre, erano stati prodotti dei rilievi fotografici che permettevano di stabilire con sicurezza la proprietà dell’area sulla quale era stato eretto il muro.
Ancora, la Corte d’Appello non ha preso in esame il fatto che il muro era stato riedificato nella sua posizione originaria, il che determinava l’acquisto per accessione da parte degli attori.
La materiale separazione tra i fondi in coincidenza del muretto, edificato sul finire degli anni sessanta, è poi indice di un accordo tra le parti all’epoca proprietarie dei fondi confinanti, accordo con il quale era stato liberamente determinato il confine, ed in conformità delle indicazioni contenute nel testamento olografo di Bo.Fr..
La preesistenza del muro nello stesso luogo in cui è stato poi riedificato è rilevante ai fini dell’accertamento della sua proprietà.
Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa interpretazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., in quanto, alla stregua delle considerazioni spese in occasione della disamina del primo motivo, emerge la palese infondatezza del giudizio espresso dai giudici di appello sulla documentazione fotografica.
Ne deriva anche l’erroneità dell’affermazione circa la legittimità del ricorso al criterio sussidiario delle mappe catastali.
L’erronea valutazione di tali elementi nonché della documentazione versata in atti ha quindi determinato una serie di errori procedurali nella valutazione delle prove.
Il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, e comunque per vizio di motivazione.
Si deduce che gli elementi probatori acquisiti al processo avrebbero dovuto escludere il ricorso alle mappe catastali, così che avere ignorato le prove legittimamente acquisite ha determinato la nullità della sentenza, attesa anche la decisività degli elementi di prova richiamati dai ricorrenti.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.
In primo luogo, i motivi difettano evidentemente di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto fanno un generico e non meglio specificato richiamo ad una serie di documenti ed atti, che a dire dei ricorrenti comproverebbero la bontà del loro assunto, senza puntualmente riprodurne il contenuto in ricorso né tanto meno procedere ad una loro puntuale individuazione, avendo omesso sia di indicare in quale fase processuale siano stati effettivamente introdotti, né ove gli stessi siano attualmente reperibili.
Ancora, ad esempio, si richiama il contenuto della prima CTU, che a dire delle parti ricorrenti, avrebbe invece fornito la prova della loro proprietà del muro divisorio, omettendo di riportare i passaggi che sarebbero decisivi a tal fine, risolvendosi la loro critica in una generica contestazione degli esiti della seconda CTU, alla quale invece i giudici di merito hanno ritenuto di aderire.
Peraltro, una volta escluso che, atteso il richiamo operato dalla sentenza impugnata agli accertamenti compiuti dall’ausiliario d’ufficio e ritenuti come tali idonei a fornire la prova del regime proprietario del muro, la sentenza sia affetta da motivazione redatta in violazione del principio del cd. minimo costituzionale (Cass. S.U. n. 8054/2014), emerge con evidenza che le critiche complessivamente mosse dai ricorrenti mirino a sollecitare un diverso apprezzamento delle prove, in difformità di quanto operato dal giudice di merito, quasi a voler inammissibilmente configurare il giudizio di legittimità quale una sorta di terzo grado di merito.
La stessa formulazione del secondo mezzo, che pur formalmente denuncia una serie di violazioni di legge, mette in evidenza come le violazioni stesse siano frutto di una non condivisa valutazione delle risultanze probatorie, oggetto invece di specifico apprezzamento da parte del giudice di merito, che ha espressamente ritenuto l’inconferenza ai fini probatori delle fotografie versate in atti in sede di appello e la necessità, in mancanza di una più specifica indicazione ricavabile dai titoli di acquisto, di dover far ricorso in vista dell’individuazione del confine, al criterio sussidiario delle mappe catastali, come appunto prescritto dall’art. 950 c.c..
Tale considerazione coinvolge evidentemente anche la valutazione del primo motivo nella parte in cui denuncia una violazione delle regole di interpretazione del contratto, essendo evidente, che, in disparte la già segnalata carenza di specificità del motivo per essere stata omesso il richiamo, anche per sintesi, al contenuto dei contratti di cui sarebbe risultata erronea l’interpretazione, la doglianza investe a monte la valutazione del materiale probatorio come operata in sede di merito.
Infine, si palesa inammissibile, in quanto nuova, la deduzione concernente la pretesa esistenza di un accordo bonario volto alla determinazione del confine, posto che della questione non vi è traccia in sentenza né la parte si premura di individuare in quale scritto difensivo prodotto nelle fasi di merito la stessa fosse stata dedotta (cfr. Cass. n. 7048/2016, secondo cui il ricorrente per cassazione che riproponga una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto – non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata né indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa, senza che rilevi che la circostanza integri una nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, atteso che essa non può essere oggetto di esame ove comporti accertamenti di fatto; conf. Cass. n. 8206/2016; Cass. n. 20694/2018; Cass. n. 15430/2018).
3. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa interpretazione degli artt. 900, 905, 1067, 1158 c.c., nonché la violazione e falsa interpretazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2.
La censura investe il rigetto del terzo motivo di appello, con il quale è stata riconosciuta l’usucapione della servitù di veduta a favore dei convenuti.
Si sostiene che però la sentenza impugnata ha omesso di precisare la rilevanza di alcuni documenti versati in atti (ordinanza di demolizione) e fotografie che invece deponevano per la conclusione secondo cui la ricostruzione dei balconi non era avvenuta in maniera conforme allo stato preesistente, trattandosi di emergenze che non possono ritenersi superate dalle deposizioni testimoniali.
Inoltre, se è permesso di conservare la servitù ricostruendo il manufatto di cui costituisce modalità di esercizio in maniera conforme, non può però addivenirsi in tal modo ad un aggravamento della servitù, come avvenuto nella fattispecie.
Non è condivisibile il giudizio in merito alle produzioni documentali in appello, posto che, avuto riguardo alla data di introduzione del giudizio di gravame, avrebbe dovuto trovare applicazione la previsione dell’art. 345 c.p.c., nella versione anteriore alle modifiche della novella del 2012, con la possibilità quindi di introdurre nuove prove, anche documentali in appello, purché ritenute indispensabili.
Anche tale motivo è inammissibile.
Premesso che la formulazione del mezzo è affetta dal medesimo vizio di carenza di specificità segnalato in occasione della decisione sui primi tre motivi, stante il richiamo del tutto generico a documenti, di cui non si specifica con precisione il contenuto e di cui si omette di indicare la loro collocazione all’interno dei fascicoli di parte ed il momento nel quale furono introdotti nel giudizio, la censura denota con evidenza come si sostanzi nella inammissibile pretesa di contestare l’apprezzamento di fatto operato dal giudice di merito, e di voler sovrapporre a quest’ultimo la propria personale ricostruzione del materiale probatorio, chiedendo alla Corte di voler aderire a quest’ultima.
Analoga carenza di specificità attinge la critica relativa alla valutazione delle deposizioni testimoniali, di cui si riporta solo in parte il contenuto, e ciò in contrasto con il complessivo giudizio di attendibilità operato sul punto dai giudici di merito, che hanno invece ritenuto che fosse stata fornita la prova di un godimento della servitù di veduta, protrattosi in maniera uniforme per un periodo idoneo a consentire la maturazione dell’usucapione.
Infine, del tutto non pertinente è la deduzione della violazione dell’art. 345 c.p.c., posto che la sentenza impugnata, lungi dal reputare inammissibile in quanto tardiva la produzione documentale effettuata in grado di appello, ha invece considerato la stessa irrilevante ai fini della decisione, esprimendo quindi un giudizio non già di irritualità per violazione del regime delle preclusioni, ma di inidoneità in concreto della stessa a supportare un convincimento diverso da quello manifestato dal Tribunale e condiviso in sede di appello.
4. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 889 e 872 c.c..
La censura investe il rigetto della richiesta di demolizione della centrale termica, che è stato argomentato in ragione del fatto che la stessa era stata edificata in aderenza al muro di confine ed a più di tre metri dalle costruzioni dei ricorrenti.
Tale decisione però non tiene conto del fatto che la centrale termica rientra nel novero dei depositi nocivi e pericolosi di cui all’art. 890 c.c..
In tal caso, anche in difetto di una specifica disposizione regolamentare o di legge speciale che prescriva una determinata distanza, il giudice avrebbe dovuto verificare in concreto la distanza sufficiente alla tutela del fondo del vicino, verifica che nel caso di specie è mancata.
Il motivo è fondato.
Infatti, la sentenza gravata ha rigettato il quarto motivo di appello, rilevando che la centrale termica de qua sorge in aderenza al muro di proprietà ed è posta a più di tre metri rispetto alle più vicine costruzioni dei ricorrenti, senza però avvedersi che la disciplina dettata al riguardo dal codice fa riferimento, all’art. 890 c.c., al rispetto della distanza dal confine e non anche tra costruzioni (cfr. Cass. n. 2360/1981).
Ne consegue che il rigetto della richiesta è frutto di una erronea applicazione della norma, essendo erronea l’individuazione del criterio in base al quale verificare il rispetto della distanza, per il manufatto in esame.
Il motivo va quindi accolto, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione.
5. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c., in relazione agli artt. 902,905 e 906 c.c., nonché la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per assenza di motivazione e comunque per vizio di motivazione.
In relazione alla condanna all’arretramento della veduta ed alla regolarizzazione della luce imposta ai ricorrenti, si assume che era stata evidenziata la preesistenza delle aperture rispetto all’acquisto fattone in via derivativa dalla precedente titolare.
Tuttavia, la sentenza impugnata non si è avveduta del fatto che in tal modo si era determinato un acquisto delle relative servitù per destinazione del padre di famiglia.
Il motivo è inammissibile.
Ed infatti, una volta esclusa la ricorrenza di una motivazione abnorme o intrinsecamente contraddittoria tale da risultare del tutto incomprensibile in violazione del cd. minimo costituzionale della motivazione, la deduzione circa l’avvenuto acquisto del diritto a conservare le aperture nella condizione riscontrata in sede di accertamenti peritali, per effetto della destinazione del padre di famiglia, costituisce una questione nuova e come tale inammissibile (implicando evidentemente accertamenti di fatto), alla stregua di quanto già evidenziato in occasione della disamina dei primi tre motivi di ricorso.
Ne’ può sostenersi che l’allegazione di tale modalità di acquisto fosse stata validamente effettuata in sede di appello, in quanto la sola affermazione, quale riportata a pag. 11 del ricorso, circa la preesistenza delle aperture, non appare correlata alla peculiare modalità di acquisto di cui all’art. 1062 c.c., mancando un espresso riferimento anche alla comune appartenenza all’autore delle opere di entrambe le proprietà oggetto di causa.
6. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto, dovendo il giudice del rinvio, come sopra designato, provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, e rigettati gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022
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