Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.816 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36061/2019 proposto da:

M.N.M., alias M.N.M. alias M.N., domiciliato ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CORSANO ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente con atto di costituzione –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 30/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/11/2021 da Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.

RILEVATO

che:

1. M.M., proveniente dal *****, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(e) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento dell’istanza dedusse di non poter tornare nel proprio Paese a causa del grave stato di indigenza nel quale verserebbe al rientro.

La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento M.M. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Venezia, che, con decreto n. 9265/2019 del 30 ottobre 2019, rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) infondata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato considerati i motivi meramente economici di abbandono del paese e l’assenza del rischio in caso di rientro di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale;

b) infondata la domanda di protezione sussidiaria in assenza di un effettivo rischio del richiedente asilo di essere sottoposto alla pena di morte o a tortura o altri trattamenti inumani e degradanti nonché di un conflitto armato generalizzato nel paese d’origine;

e) infondata la domanda di protezione umanitaria in mancanza di condizioni di vulnerabilità. Il giudice, inoltre, ha osservato che la documentazione allegata non era idonea a dimostrare il raggiungimento di un adeguato livello di integrazione sociale, in quanto la discontinuità delle attività occupazionali ed il reddito netto inferiore all’assegno sociale, non consentivano di ritenere raggiunta dal M. una autonomia economica. Tali circostanze, peraltro, anche sotto una prospettiva di valutazione comparativa non garantivano al richiedente asilo una condizione migliorativa rispetto a quella vissuta nel suo Paese d’origine;

3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da M.M. con ricorso fondato su un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

CONSIDERATO

che:

4. In via preliminare ed assorbente (ciò che esime il Collegio di dar contezza dei motivi di ricorso), il ricorso deve esser dichiarato inammissibile per mancanza di valida procura speciale ai sensi dell’art. 365 c.p.c. (e a prescindere, dunque, dalle ulteriori specifiche previsioni dettate dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis).

Infatti, la procura alle liti, allegata al ricorso, è priva di qualsivoglia indicazione in ordine al decreto impugnato e contiene espressioni incompatibili con la proposizione del ricorso per cassazione siccome riferibili ad un giudizio di merito (“… conferendo ogni più ampia facoltà di legge compreso il processo di esecuzione ed eventuali giudizi di opposizione….”).

Tale tipo di procura, estesa non al margine o in calce del ricorso, bensì su un foglio separato e materialmente congiunto a quello, non è una procura speciale, poiché affatto generica e non specificamente riferibile al provvedimento impugnato.

L’orientamento di questa Corte è consolidato nel ritenere “inammissibile il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ex art. 83 c.p.c. comma 2, contenga espressioni generiche ed incompatibili con la specialità richiesta per la proposizione dell’impugnazione in cassazione” (Cass. n. 1525/2020).

4.1 Il ricorso sarebbe comunque inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e 6, in quanto l’esposizione del fatto è del tutto inidonea allo scopo. Come affermato da questa Corte il requisito prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 deve consistere in una esposizione che garantisca alla Corte di Cassazione di avere una chiara e completa conoscenza dei fatti sostanziali e/o processuali che hanno originato la controversia senza dover attingere ad altre fonti o atti dei gradi precedenti, non si tratta, pertanto, di un mero formalismo, ma di elemento indispensabile per consentire alla Corte di ben intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. Sez. Un. N. 11653 del 2006).

Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie tale requisito è del tutto carente e manca una esposizione delle ragioni che hanno portato il richiedente ad abbandonare il paese d’origine, del rischio di persecuzione e del grado di integrazione nel territorio italiano.

5. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.

5.1 Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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