Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.822 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3625-2017 proposto da:

N.R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ALBERTO PENNISI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE CUFFARI;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA, 86, presso lo studio dell’avvocato FILOMENA SILIPO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA PERTOSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4238/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. N.R.R. ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 4238/2016 della Corte d’appello di Roma, pubblicata in data 1 luglio 2016.

2.Resiste con controricorso P.G..

3.Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., notificato insieme al decreto di fissazione dell’udienza nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c., P.G. convenne N.R.R. innanzi al Tribunale di Roma per ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 10.000,00 a titolo di saldo del prezzo pattuito con scrittura del 4 gennaio 2010, avente ad oggetto la cessione di quota della Cooperativa Edilizia Giardini di *****. Nella contumacia del convenuto, il Tribunale di Roma accolse la domanda con ordinanza del 15/21 maggio 2014.

Il ricorrente espone (pagina 6 di ricorso) che l’ordinanza venne notificata ancora ai sensi dell’art. 140 c.p.c. unitamente all’atto di precetto in data 27 giugno 2014 all’indirizzo di ***** e fu poi ritirata presso la Casa Comunale di Roma il 22 ottobre 2015. In data 20 novembre 2015 N.R.R. propose appello tardivo ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, deducendo la nullità della notifica dell’atto introduttivo di primo grado. La Corte d’appello di Roma con sentenza 1 luglio 2016 dichiarò inammissibile il gravame, stante la validità della notifica del ricorso eseguita dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 140 c.p.c. presso il luogo di residenza anagrafica di N.R.R., non ricorrendo elementi, nemmeno presuntivi, per affermare che la notificante conoscesse all’epoca la “diversa dimora” del N.. La Corte d’appello aggiunse altresì che il termine di trenta giorni per impugnare l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., giacché letta in udienza, decorreva dalla data di quest’ultima.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375, comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.

4.1. Le parti hanno depositato memorie.

5. Con il primo motivo di ricorso di N.R.R. viene fatta valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 137,138,139,140,148 e 327 c.p.c., dell’art. 48 disp. att. c.p.c., nn. 1, 2, 3, 4 e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo il ricorrente, nel valutare la ritualità della notificazione effettuata ex art. 140 c.p.c. presso la residenza anagrafica di *****, e non presso quella effettiva fino a settembre 2015 di *****, peraltro nota a P.G. in quanto sede dove si erano svolte le trattative e dove era stato sottoscritto il contratto del 4 gennaio 2010. Il ricorrente afferma inoltre che il ricorso alla notificazione nelle modalità di cui all’art. 140 c.p.c. risulta giustificato solo laddove il destinatario sia realmente irreperibile, il che implica il dovere di esperire plurimi tentativi di reperire l’interessato. Si lamenta altresì che, nonostante dodici accessi eseguiti tutti nelle forme dell’art. 140 c.p.c. in *****, mai uno abbia conseguito la notifica in mani proprie. Viene ancora evidenziato che la procedura di notifica del ricorso introduttivo di primo grado investì l’arco temporale dal 6 al 12 marzo 2014 (così corretto in memoria: dal 3 al 7 marzo 2014) e vide succedersi tre diversi ufficiali giudiziari; che la relata di notifica dava atto di plurimi e indeterminati motivi per cui si sarebbe reso necessario effettuare la notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. (“per non aver rinvenuto alcuno all’indicato indirizzo e/o per l’assenza o il rifiuto delle persone idonee a cui poter consegnare l’atto”); che, a norma dell’art. 148 c.p.c., l’ufficiale giudiziario avrebbe avuto il puntuale dovere di indicare le ricerche effettuate, le motivazioni della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario. La censura passa poi a contestare l’indicazione, sulla stessa relata, dell’avvenuto deposito, la quale sarebbe priva della specificazione del luogo e dell’ufficio cui apparteneva l’ufficiale giudiziario che aveva apposto il timbro. Altresì nulla avrebbe dovuto essere considerata, secondo il ricorrente, l’affissione dell’avviso di deposito, non essendo stato indicato nella relata il luogo di tale affissione (porta dell’abitazione del destinatario oppure alla porta di ingresso dello stabile in cui si trova l’appartamento, oppure, ancora, albo del Comune). Ancora, il primo motivo di ricorso deduce che sarebbe comunque invalida la notifica della comunicazione dell’avvenuto deposito da effettuarsi con raccomandata A/R ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in quanto nella fotocopia della cartolina di ritorno allegata dalla controparte al ricorso introduttivo il numero civico risulta indicato “illeggibile”, il che confermerebbe che la raccomandata non sarebbe mai potuta pervenire al destinatario.

Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 137,138,139,140,148 e 292 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente lamenta la diversita della relata allegata in calce all’ordinanza depositata dalla controparte rispetto a quella allegata alla copia depositata presso la casa comunale. La censura si sofferma, poi, sul fatto che nella relata allegata all’ordinanza e annesso atto di precetto l’ufficiale giudiziario non abbia dato atto di aver eseguito l’affissione dell’avviso di deposito in busta chiusa e sigillata alla porta di abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario né del fatto che al destinatario fosse stata data notizia a mezzo raccomandata: da tale omesso adempimento deriverebbe, secondo il ricorrente, la nullità della notifica. Nel prosieguo del motivo di ricorso viene denunciata altresì la violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8 per aver l’ufficiale giudiziario allegato all’ordinanza e annesso precetto solo il frontespizio della c.d. cartolina e non anche il retro. Lamenta inoltre il ricorrente che, a differenza di quanto statuito dalla Corte d’appello, della ordinanza in questione non è mai stata data lettura in udienza, dal momento che all’udienza di comparizione del 13 maggio 2014 il giudice di primo grado, dichiarata la contumacia dell’odierno ricorrente, si era riservato di decidere, sciogliendo la riserva solo in data 15 maggio 2014, con ordinanza resa fuori udienza; sostiene inoltre che, anche a prescindere da ciò, la contumacia avrebbe imposto che l’ordinanza gli fosse notificata personalmente a norma dell’art. 292 c.p.c., comma 4.

Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 190,281-sexies, 352 e 359 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Viene censurata la pronuncia della Corte d’appello nella parte in cui ha sancito l’inutilizzabilità dell’atto denominato “memoria di replica all’avversa comparsa di costituzione e risposta” depositato telematicamente in data 20 giugno 2016 e notificato alla controparte in via telematica in data 22 giugno 2016; in tale atto il ricorrente chiedeva alla Corte di Roma di essere autorizzato al deposito stante l’acquisizione di nuove prove documentali che confermavano la nullità della notifica del ricorso e annesso decreto di fissazione dell’udienza, instando, in alternativa, per la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.ex art. 352 c.p.c.

Il quarto motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 131,132,137,140,148,156,160,291,292 e 327 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Il ricorrente lamenta la non conformità della copia dell’ordinanza notificata con le modalità di cui all’art. 140 c.p.c. all’originale, mancando in essa l’indicazione del giudice che l’aveva emessa, il nome del giudice monocratico, la data dell’udienza e addirittura la prima pagina (contenente, peraltro, la dichiarazione di contumacia). La censura investe poi nuovamente il profilo dell’omessa notificazione personale dell’ordinanza a norma dell’art. 292 c.p.c., di talché la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare l’art. 327 c.p.c., comma 2, non pervenendo perciò a una statuizione di inammissibilità per decorrenza del termine.

Con il quinto motivo viene fatta valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 702-quater c.p.c. e dell’art. 59 disp. att. c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente lamenta il mancato rispetto, da parte del giudice di primo grado, del disposto dell’art. 59 disp. att. c.p.c., che impone di attendere almeno un’ora prima di dichiarare la contumacia di una parte (mentre sarebbero stati attesi solo quindici minuti); afferma inoltre che in quella sede avrebbe dovuto essere disposta la rinnovazione della notifica a norma dell’art. 291 c.p.c.

Il sesto motivo si duole della “violazione e falsa applicazione di norme di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per carenza di motivazione in relazione all’Ordinanza n. 86766/2013 del Tribunale di Roma”. Viene censurata la pronuncia di appello in riferimento al merito della questione; si contesta in particolare il fatto che il Tribunale non abbia considerato che la somma di Euro 10.000,00 pretesa dalla controparte fosse in realtà stata trattenuta dal ricorrente sul prezzo finale a titolo di penale per non aver la venditrice consegnato – entro il termine del 31 dicembre 2010 – la certificazione di agibilità/abitabilità dell’appartamento, come stabilito all’art. 9 del contratto.

6. I sei motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, per la loro connessione, rivelandosi tutti inammissibili perché inosservanti i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 6, ovvero comunque incapaci di superare lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, dovendosi unicamente correggere in parte la motivazione della sentenza della Corte d’appello di Roma.

6.1. Va esposta in sintesi la ratio decidendi della sentenza impugnata, alla stregua della quale deve verificarsi la specificità, completezza e riferibilità delle censure formulate. La Corte d’appello di Roma ha deciso che l’appello proposto in data 20 novembre 2015 da N.R.R. contro l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702 ter, comma 6 del 15/21 maggio 2014 del Tribunale di Roma fosse inammissibile per tardività rispetto al termine di trenta giorni stabilito dall’art. 702 quater c.p.c., giacché “letta in udienza (come è avvenuto nel caso in esame)”, non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 327 c.p.c., comma 2, in quanto era valida la notifica del ricorso introduttivo eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., essendo stati rispettati dall’ufficiale giudiziario tutti gli adempimenti previsti da tale norma e non soccorrendo elementi, neanche presuntivi, per affermare che la notificante P.G. conoscesse la “diversa dimora” del N..

6.2. A tal riguardo:

a) L’allegazione del ricorrente (pagina 23 del ricorso) secondo cui l’affermazione della Corte d’appello di Roma della avvenuta lettura in udienza “e’ del tutto errata per il semplice motivo che dell’ordinanza del Tribunale non è mai stata letta in udienza”, non prospetta un errore di giudizio, bensì una mera svista di carattere materiale, ovvero una falsa percezione della realtà obiettivamente ed immediatamente rilevabile (la quale avrebbe portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, e che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività), costituente, in quanto tale, un errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell’art. 395, n. 4, c.p.c., e non di ricorso per cassazione (ex multis, Cass. Sez. 2, 24/09/2020, n. 20113);

b) La notificazione eseguita, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nel luogo di residenza del destinatario risultante dai registri anagrafici è nulla soltanto nell’ipotesi in cui il notificante, anche tramite le risultanze della relata, ovvero con l’ordinaria diligenza, ne abbia conosciuto o avrebbe potuto conoscerne l’effettiva residenza, dimora o domicilio, dove è tenuto a effettuare la notifica stessa, in osservanza dell’art. 139 c.p.c. (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, 13/02/2019, n. 4274; Cass. Sez. 2, 27/12/2017, n. 30952). Poiché, invero, la circostanza secondo la quale nell’indirizzo risultante dai registri anagrafici si trovi la residenza effettiva (o la dimora o il domicilio) del destinatario costituisce mera presunzione superabile con qualsiasi mezzo di prova, compete al giudice del merito, in caso di contestazione, compiere tale accertamento in base all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti, ai fini della pronuncia sulla validità ed efficacia della notificazione.

La Corte d’appello di Roma ha escluso che P.G., quando sul finire dell’anno 2013 notificò il ricorso di primo grado a N.R.R. presso la residenza anagrafica di *****, fosse a conoscenza della dimora effettiva dello stesso in *****. A fronte di tale apprezzamento di fatto, non riveste alcuna decisività la sollecitazione che il ricorrente propone in via induttiva alla Corte di cassazione, secondo cui la residenza effettiva del N. a fine 2013 poteva essere presunta dalla P. in quanto circa quattro anni prima in ***** aveva sottoscritto il contratto per cui è causa.

Il ricorrente denuncia altresì la mancata amissione di una prova per testi chiesta “in sede di appello”, ma neppure adempie all’onere ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova stessa al fine di consentire a questa Corte il controllo della decisività dei fatti da provare.

c) La Corte d’appello di Roma ha aggiunto poi che tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c. risultavano correttamente eseguiti dall’ufficiale giudiziario. Emerge perciò dalla sentenza verificato il perfezionamento della notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c., ovvero il compimento di tutte le formalità ivi previste (deposito della copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi; affissione dell’avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario; notizia del deposito al destinatario mediante raccomandata con avviso di ricevimento).

d) Il primo motivo di ricorso espone, invece, una lunga serie di irregolarità formali della notifica del ricorso introduttivo di causa ma la censura non specifica quando tali questioni fossero state oggetto di apposita e tempestiva allegazione nel giudizio d’appello, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sicché deve ritenersi che le stesse questioni, non trattate nella sentenza impugnata, richiederebbero inammissibilmente un primo esame, con i necessari accertamenti di fatto, soltanto nel corso del giudizio di legittimità. Si aggiunga che ove la relazione di notifica dia atto in modo specifico dell’esecuzione degli adempimenti richiesti dal citato art. 140 codice di rito, il che costituisce requisito per la validità della notificazione, la dichiarazione dell’organo notificatore fa fede fino a querela di falso.

e) Alla luce della ravvisata ratio decidendi della pronuncia impugnata (l’appello andava proposto entra trenta giorni dalla lettura in udienza dell’ordinanza conclusiva del giudizio di primo grado), sono del tutto carenti di rilievo le censure relative ai vizi del procedimento di notificazione della stessa ordinanza del Tribunale di Roma (secondo e quarto motivo di ricorso).

f) Il terzo motivo di ricorso, attinente alla inutilizzabilità, sancita dalla Corte d’appello, delle note depositate telematicamente in data 20 giugno 2016 dalla difesa del N., perché non “autorizzate” è carente di riferibilità alla sentenza impugnata. Si legge nella stessa che la Corte d’appello ha deciso la causa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., come prevede l’art. 352 c.p.c., ultimo u.c., introdotto dalla L. 12 novembre 2011, n. 183. Quando il giudice d’appello ordina la discussione orale a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., la parte può proporre istanza perché la stessa avvenga ad una udienza successiva. Il giudice di appello può anche concedere alle parti termine per depositare scritti difensivi prima della discussione orale della causa ex art. 281 sexies c.p.c., ma tale facoltà rientra nell’ambito dei poteri di direzione del procedimento a lui attribuiti dall’art. 175 c.p.c. e non può essere oggetto di censura in sede di legittimità (arg. da Cass. Sez. 2, 09/07/2018, n. 18025).

g) Il quinto motivo di ricorso, sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 59 disp. att. c.p.c., per il mancato rispetto dell’ora prima di dichiarare la contumacia, è carente di riferibilità alla sentenza impugnata.

L’art. 59 disp. att. c.p.c., per il quale la dichiarazione di contumacia della parte non costituita è fatta dal giudice di pace, a norma dell’art. 171, u.c., “quando è decorsa almeno un’ora dall’apertura della udienza”, detta una norma speciale per la prima udienza del procedimento davanti al giudice di pace, senza che possa desumersene un principio di carattere generale, valevole per tutte le udienze di trattazione e per tutti i giudizi, ivi compresi quelli davanti al Tribunale, come nella specie, ostandovi il silenzio dell’art. 83 disp. att. c.p.c., che pure disciplina la trattazione delle cause, e la “ratio” della norma speciale, correlata al disposto dell’art. 171 c.p.c., il quale, nel consentire alla parte di costituirsi direttamente in prima udienza, ha inteso limitare l’onere dell’altra parte, tempestivamente costituitasi, di attendere la conclusione di tale udienza (Cass. Sez. 2, 19/10/2012, n. 18048).

h) Il quarto motivo di ricorso, sub b, impone soltanto di correggere in parte la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., restando tuttavia il dispositivo conforme al diritto. La decisione sul punto assorbe pure la questione posta in chiusura del secondo motivo, sulla necessaria notificazione dell’ordinanza al contumace.

E’ certamente ormai orientamento conforme di questa Corte quello secondo cui, nel procedimento sommario di cognizione, il termine per proporre appello avverso l’ordinanza resa in udienza e inserita a verbale decorre, pur se questa non è stata comunicata o notificata, dalla data dell’udienza stessa, equivalendo la pronuncia in tale sede a “comunicazione” ai sensi degli artt. 134 e 176 c.p.c. (Cass. Sez. 1, 26/05/2021, n. 14669; Cass. Sez. 2, 06/06/2018, n. 14478).

La Corte d’appello di Roma ha errato tuttavia nel ritenere equivalente alla comunicazione ex art. 702 quater c.p.c. la lettura in udienza dell’ordinanza del 15/21 maggio 2014 del Tribunale di Roma nei confronti del contumace N.R.R..

Questa Corte ha già precisato, e va qui ribadito, che l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione deve essere appellata dalla parte contumace nel termine “breve” di cui all’art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c. che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo. Il termine breve per la proposizione dell’appello ex art. 702 quater c.p.c. decorre, dunque, quando il soccombente sia rimasto contumace in primo grado, solo nel caso in cui l’altra parte abbia notificato la decisione, sicché il disposto secondo il quale l’ordinanza del giudice deve essere appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione, ad essa reputandosi equipollente la lettura in udienza dell’ordinanza inserita a verbale, opera unicamente nei confronti della parte costituita (Cass. Sez. 3, 27/06/2018, n. 16893; Cass. Sez. 1, 13/12/2019, n. 32961; Cass. Sez. 6-2, 09/02/2021, n. 3038).

L’appello avverso l’ordinanza del 15/21 maggio 2014 del Tribunale di Roma è stato tuttavia notificato da N.R.R. in data 20 novembre 2015, e dunque comunque senza osservare il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., sicché rimane conforme a diritto la dichiarazione di inammissibilità che ha reso la Corte d’appello di Roma.

i) Sono conseguentemente inammissibili le censure che il ricorrente porta nel sesto motivo di ricorso avverso il merito della decisione resa in primo grado dal Tribunale di Roma.

7. Il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza nell’importo liquidato in dispositivo. Va invece rigettata la domanda di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, formulata dalla controricorrente, non potendosi imputare al ricorrente né mala fede o colpa grave, né comunque una condotta processualmente abusiva, consistente nell’aver pretestuosamente impugnato per cassazione.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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