Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.823 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7880-2017 proposto da:

L.F.G., L.F.L., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SARDEGNA N 29 INT 16A, presso lo studio dell’avvocato CHIARA PACIFICI, rappresentate e difese dall’avvocato ANDREA COLONNA;

– ricorrenti –

contro

M.G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DAMIS, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI GRISOLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 284/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L.F.G. e L.F.L. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 284/2017 della Corte d’appello di Catanzaro, pubblicata il 21 febbraio 2017.

2. Resiste con controricorso M.G.S..

3. Con scrittura privata redatta in data 11 marzo 2000 L.F.G. e L.F.L., promittenti venditrici, stipularono con M.G.S., promissario acquirente, un contratto preliminare di vendita di un immobile (sito in *****), convenendo il prezzo totale di Lire 80.000.000 da corrispondersi nell’importo di Lire 10.000.000 alla sottoscrizione del preliminare e per la restante parte al momento della stipula del definitivo, per la quale era stata fissata la data del 15 maggio 2000. Al promissario acquirente venne successivamente concessa una dilazione per la stipula del rogito – previo versamento di ulteriori Lire 17.000.000 – al 30 giugno 2000 (giorno individuato quale data improrogabile); nemmeno in quella data, però, si era poi addivenuti alla stipula del definitivo, stante il rifiuto delle promittenti venditrici di ricevere il pagamento di parte del saldo (lire 35.000.000) a mezzo di assegni bancari non sottoscritti dal M. e tratti su un istituto di credito non avente agenzie in Castrovillari. Fallito, a seguito di ulteriore rifiuto, anche un secondo tentativo di stipula del definitivo in data 14 luglio 2000, le promittenti venditrici L.F.G. e L.F.L., con citazione notificata in data 8 agosto 2000, convennero M.G.S. innanzi al Tribunale di Castrovillari, per ottenere la risoluzione del preliminare di vendita alla luce della mancata osservanza del termine di stipula dell’atto pubblico. Il Tribunale, con sentenza del 15 ottobre 2007, accolse tuttavia la domanda riconvenzionale ex art. 2932 c.c. avanzata da M.G.S., trasferendo al medesimo la proprietà dell’immobile previo versamento della restante parte del prezzo (Euro 27.372,21) entro il 31 dicembre 2007. Il giudice di primo grado condannò altresì le promittenti venditrici L.F.G. e L.F.L. attrici al pagamento di Euro 10.329,13 a titolo di penale, oltre interessi dal 30 giugno 2000, nonché delle spese per la trascrizione della sentenza e delle spese di lite. L.F.G. e L.F.L. impugnarono tale pronuncia innanzi alla Corte d’appello di Catanzaro ma l’appello venne respinto con sentenza n. 1208/2012 del 9 novembre 2012.

3.1. Avverso la pronuncia resa in appello, L.F.G. e L.F.L. proposero ricorso per cassazione articolato in tre motivi: 1: violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 – 1375 c.c., contestandosi la valutazione compiuta dalla Corte d’appello in ordine al comportamento delle parti, e specificamente del rifiuto opposto dalle promittenti venditrici alla stipula come contrario a buona fede; 2: violazione e falsa applicazione degli artt. 1258,1453 e 1454 c.c., contestandosi la valutazione espressa dalla Corte d’appello in ordine alla natura del termine del 30 giugno 2000 per la stipula del contratto definitivo, considerato non essenziale; 3: violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1277 c.c., contestandosi la valutazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto ingiustificato il rifiuto alla stipula, opposto dalle promittenti venditrici, a fronte del pagamento del residuo prezzo con assegni bancari.

3.2. Con sentenza 30 settembre 2014, n. 20643, il ricorso venne accolto previo esame congiunto delle tre censure, ritenute tutte fondate, con tale motivazione:

“(…) 3. – Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto di ravvisare un rifiuto ingiustificato, sussumibile in comportamento contrario alla buona fede, nella scelta delle promittenti venditrici di non accettare il pagamento a mezzo di assegni bancari di Lire 35 milioni, quale residuo prezzo della compravendita, sul duplice rilievo: che non era stata contrattualmente prevista una specifica modalità di pagamento del prezzo dell’immobile, e le promittenti venditrici avevano già accettato, al momento della firma del contratto preliminare, un assegno di Lire 4 milioni sottoscritto dal promissario acquirente. Ciò significava, secondo la Corte d’appello, che le attrici avevano acconsentito a derogare al principio, di carattere dispositivo, fissato dall’art. 1277 c.c. Non sussistevano inoltre, secondo la Corte distrettuale, ragioni per dubitare della solvibilità del promissario acquirente, il quale aveva poi tentato di tenere fede agli obblighi, chiedendo un nuovo appuntamento dal notaio per la stipula, che però le attrici avevano rifiutato.

3.1. – Entrambi gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello risultano non condivisibili.

3.1.1. – Quanto al primo argomento, va osservato che, in mancanza di specifiche pattuizioni circa le modalità di pagamento del prezzo, come nella specie, deve trovare applicazione il principio fissato dall’art. 1277 c.c., e ciò impone di verificare con rigore l’esistenza di un accordo tacito, desumibile dal comportamento delle parti, che consenta di ritenere derogato il suddetto principio.

Contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale, tale accordo non è ravvisabile nella circostanza che alla firma del contratto preliminare le promittenti venditrici abbiano accettato un assegno di Lire 4 milioni.

La diversità del contesto – in un caso firma del preliminare, nell’altro cessione definitiva dell’immobile; la differenza consistente di importo – in un caso lire 4 milioni, nell’altro lire 35 milioni; la diversità dei titoli – nel primo caso l’assegno di 4 milioni era a firma del convenuto, nel secondo caso a firma di terzi e con traenza su istituto di credito non presente nel territorio, costituiscono elementi che vanno nella direzione opposta alla decisione.

Da un lato, dunque, non sussisteva alcun accordo tacito che imponesse alle attrici di accettare il pagamento a mezzo di assegni bancari, e, dall’altro lato, il rifiuto delle stesse trovava giustificazione nella incertezza circa la provenienza dei titoli e nella difficoltà di verificarne la copertura.

3.1.2. – Quanto al secondo argomento esposto dalla Corte d’appello – secondo cui non v’era ragione di dubitare della solvibilità del convenuto posto che questi si era subito adoperato per un nuovo appuntamento dal notaio finalizzato alla stipula -, va osservato che si tratta di valutazione meramente presuntiva, giacché non vi sono elementi per ritenere che, qualora le attrici avessero acconsentito a stipulare in data successiva al 30 giugno 2000, il convenuto avrebbe pagato in contanti o con assegni circolari.

4. – Rimane assorbita la censura riguardante la natura del termine del 30 giugno 2000 per la stipula del contratto definitivo, dovendosi peraltro osservare che la stessa sentenza d’appello da atto che tale data era stata pattuita e individuata quale “secondo termine improrogabile””.

3.3. La causa venne dunque riassunta innanzi alla Corte d’appello di Catanzaro, la quale ha rigettato l’impugnazione proposta da L.F.G. e L.F.L. contro la decisione del Tribunale di Castrovillari, “integrandone” il dispositivo nel senso che M.G.S. dovesse la parte restante del prezzo, pari ad Euro 27.372,21, in contanti o a mezzo assegni circolari. La Corte di Catanzaro, premesso che la Corte di cassazione non aveva enunciato alcun principio di diritto al quale attenersi (con la conseguente conservazione in capo al giudice del rinvio di tutte le facoltà al medesimo spettanti quale giudice del merito in relazione ai poteri di indagine e di valutazione della prova), ha preso atto del fatto che, in ossequio alla pronuncia della Suprema Corte, il rifiuto opposto dalle promittenti venditrici non poteva ritenersi ingiustificato, pervenendo tuttavia alla conclusione secondo la quale l’offerta ad opera del M., effettuata in sede di stipula del definitivo, di pagamento a mezzo contanti per una parte del saldo e a mezzo assegni bancari per la residua frazione, non costituiva inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare la risoluzione del contratto.

La sentenza dei giudici del rinvio ha poi considerato che: 1) la proroga del termine iniziale del 15 maggio 2000 per la stipula del definitivo si era resa necessaria in forza delle difficoltà incontrate dal M. nell’ottenere un mutuo a causa dell’iscrizione di un’ipoteca sull’immobile taciuta dalle promittenti venditrici; 2) le parti non avevano convenuto una precisa modalità di pagamento; 3) già il primo acconto era stato pagato, in parte, a mezzo di un assegno bancario a firma di un terzo ed era stato regolarmente incassato; 4) nonostante non fosse riuscito ad ottenere il mutuo, alla data del 30 giugno 2000 il M. aveva già corrisposto 27 milioni di Lire ed era pronto a corrispondere in contanti ulteriori 18 milioni di Lire; 5) il M. aveva tentato di seguito due volte (per il 6 luglio e per il 19 luglio 2000) di pervenire alla stipula del definitivo, invitando le promittenti venditrici a comparire davanti al notaio.

La Corte di Catanzaro ha affermato, inoltre, che il termine del 30 giugno 2000, pur indicato come “improrogabile”, non poteva ritenersi essenziale ex art. 1457 c.c.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.

4.1. Le ricorrenti hanno depositato memoria.

5. Non costituisce oggetto di specifica censura, formulata secondo il canone di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, la doglianza dei ricorrenti esposta a pagina 5 di ricorso, circa i “sospetti e malumori” cagionati dalla identità della sezione della Corte d’appello di Catanzaro che aveva emesso la sentenza cassata e che ha poi trattato il giudizio di rinvio.

Va comunque al riguardo ribadito che la sentenza di cassazione che dispone il rinvio ad altro giudice, a norma dell’art. 383 c.p.c., comma 2, (cosiddetto rinvio proprio o prosecutorio), contiene una statuizione di competenza funzionale nella parte in cui individua l’ufficio giudiziario davanti al quale dovrà svolgersi il giudizio rescissorio (che potrà essere lo stesso che ha emesso la pronuncia cassata o un ufficio territorialmente diverso, ma sempre di pari grado) ed una statuizione sull’alterità del giudice rispetto ai magistrati persone fisiche che hanno pronunciato il provvedimento cassato. Ne consegue che, se il giudizio viene riassunto davanti all’ufficio giudiziario individuato nella sentenza della Corte di cassazione, indipendentemente dalla sezione o dai magistrati che lo trattano, non sussiste un vizio di competenza funzionale, che non può riguardare le competenze interne tra sezioni o le persone fisiche dei magistrati (Cass. Sez. Un., 27/02/2008, n. 5087).

6. Con il primo motivo di ricorso di L.F.G. e L.F.L. viene fatta valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1375 c.c. Le ricorrenti assumono che fosse obbligo del giudice del rinvio valutare il comportamento delle parti in relazione allo squilibrio del sinallagma contrattuale. Si adduce che il rifiuto opposto alla conclusione del contratto fosse dovuto alle peculiari motivazioni che avevano indotto le promittenti venditrici a concludere l’accordo, ravvisabili nell’esigenza di far fronte ad esposizioni debitorie, nota alla controparte. Neppure è stato considerato che il rifiuto era motivato anche dal fatto che il notaio innanzi al quale si sarebbe dovuto stipulare il contratto definitivo si trovava a *****, risiedendo invece a ***** le promittenti venditrici.

Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1453 e 1454 c.c. Viene censurata la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro nella parte in cui ha negato il carattere di essenzialità al termine del 30 giugno 2000, dopo il rinvio dell’iniziale termine fissato al 15 maggio 2000. Le ricorrenti lamentano il fatto che tale termine già differito era stato espressamente indicato come “improrogabile” e che si era stabilito che l’ulteriore acconto di 17 milioni di Lire, in caso di ulteriore inadempimento rispetto alle condizioni pattuite, sarebbe stato trattenuto a titolo di penale. Ad ulteriore conferma dell’essenzialità del termine, le ricorrenti ricordano come esse, con telegramma del 27 giugno 2000, avessero rammentato al M. la scadenza fissata al 30 giugno 2000, diffidandolo ad adempiere con chiara intenzione di non voler tollerare altri ritardi.

Il terzo e motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1277 e 1453 c.c. Le ricorrenti si dolgono del fatto che il giudice del rinvio abbia disatteso quanto sancito dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 20643/2014, secondo la quale le promittenti venditrici non avevano alcun obbligo di accettare il pagamento mediante assegni e che il loro rifiuto trovava giustificazione “nella incertezza circa la provenienza dei titoli e nella difficoltà di verificarne la copertura”- Sarebbe stato altresì violato il principio secondo cui i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale o con assegno circolare, mentre il debitore non ha facoltà di pagare, salvo il consenso espresso o tacito, mediante assegni bancari.

7. I tre motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, e risultano infondati.

7.1. Va considerato preliminarmente che la sentenza rescindente di questa Corte del 30 settembre 2014, n. 20643, accogliendo il ricorso soltanto per vizi di violazione di legge con riguardo agli artt. 1218 – 1375 c.c., artt. 1258,1453 e 1454 c.c., artt. 1218 e 1277 c.c., aveva deciso che: nella fattispecie, in assenza di specifiche pattuizioni circa le modalità di pagamento del prezzo, doveva quindi operare il principio fissato dall’art. 1277 c.c., non potendosi valutare quale deroga ad esso la circostanza che alla firma del contratto preliminare le promittenti venditrici avessero accettato un assegno di Lire 4 milioni, per la diversità del rapporto (preliminare e definitivo), degli importi (4 e 35 milioni di Lire) e della firme di traenza (il M. e terzi); L.F.G. e L.F.L. non potevano dunque ritenersi obbligate ad accettare il pagamento a mezzo di assegni bancari ed era, perciò, giustificato il rifiuto a opposto dalle stesse; se anche le promittenti venditrici avessero accettato di stipulare il definitivo dopo il 30 giugno 2000, aderendo alle nuove convocazioni dinanzi al notaio, non vi era prova che il M. avrebbe pagato in contanti o con assegni circolari”.

Ha dunque errato in premessa la Corte d’appello di Catanzaro (pagina 7 della pronuncia impugnata) nel reputare che la sentenza di cassazione 30 settembre 2014, n. 20643 non avesse “enunciato alcun principio di diritto”, essendosi piuttosto limitata ad indicare “i punti specifici di carenza e di contraddittorietà della motivazione”.

Seppur l’art. 143 disp. att. c.p.c. prescrive che la Corte di cassazione debba enunciare specificamente nella sentenza di accoglimento, pronunciata a norma dell’art. 384 c.p.c. (come nel caso in esame, trattandosi di ricorso proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi, tale principio è comunque costituito dalla nozione di ordine giuridico che la Suprema Corte incorpora nella sua sentenza, anche quale premessa logico-giuridica (eventualmente implicita) della decisione adottata, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto necessario di quella decisione. Non è quindi consentito al giudice di rinvio di sindacare l’esattezza del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dal quale esso è comunque vincolato ancorché non lo condivida, o di adottare conclusioni palesemente confliggenti, sia sul piano logico che sotto il profilo giuridico, con quel principio, concretamente disattendendolo (ex multis, Cass. Sez. 3, 22/02/1995, n. 1952; Cass. Sez. L. 19/01/1985, n. 157).

7.2. A norma dell’art. 384, il principio enunciato da Cass. 30 settembre 2014, n. 20643 (non in via meramente astratta, ma agli effetti della concreta decisione della lite) vincolava pertanto, il giudice di rinvio quanto alla legittimità del rifiuto opposto da L.F.G. e L.F.L. al pagamento a mezzo di assegni bancari, alla luce dell’art. 1277 c.c., comma 1, restando tuttavia investito del compito di valutare la gravità dell’inadempimento degli obblighi attribuiti al promissario acquirente quanto al mancato integrale pagamento del prezzo (il saldo dovuto, offerto solo mediante assegni bancari, pari a Lire 35 milioni a fronte del prezzo complessivo di Lire 80 milioni) e soprattutto alla mancata stipula del definitivo entro la data del 30 giugno 2000, e ciò in prospettiva della domanda di risoluzione avanzata da L.F.G. e L.F.L..

Ora, è certo che, nel caso di contrapposte domande di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di risoluzione di detto contratto per inadempimento, come nella specie, il giudice del merito deve procedere ad una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati al fine di stabilire se sussista l’inadempimento che legittima la risoluzione, e il relativo accertamento è insindacabile in cassazione, se la motivazione risulta immune da vizi logici o giuridici (così Cass. Sez. 2, 29/07/2004, n. 14378). In generale, nei contratti con prestazioni corrispettive, al fine di stabilire di quale parte sia l’inadempimento colpevole, occorre accertare la sussistenza delle reciproche dedotte inadempienze ed apprezzarne l’effettiva gravità ed efficienza di fronte alla finalità economica complessiva del programma obbligatorio e alla conseguente influenza sulla sorte dello stesso. Tale accertamento, proprio perché fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente motivato (da ultimo, cfr. Cass. Sez. 2, 30/05/2017, n. 13627).

7.3. Come visto, la Corte di Catanzaro ha escluso che l’offerta ad opera del M., effettuata in sede di stipula del definitivo, di pagamento a mezzo contanti per una parte del saldo e a mezzo assegni bancari per la residua frazione, costituisse inadempimento di non scarsa importanza; ha considerato le difficoltà economiche del promissario acquirente per il mancato ottenimento di un mutuo a causa di una iscrizione ipotecaria sull’immobile taciuta dalle promittenti venditrici; ha negato l’essenzialità del termine del 30 giugno 2000, non avendo le promittenti venditrici perso ogni utilità dell’affare dopo tale data.

In tal modo, i giudici di rinvio hanno provveduto ad accertare se, per effetto dell’inadempimento attribuito al M., si fosse verificata ai danni della controparte una sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale, avendo riguardo ai rapporti di proporzionalità e causalità delle rispettive inadempienze, non potendo, del resto, aver rilievo le situazioni psicologiche delle parti (quale l’intenzione delle promittenti venditrici di conseguire subito liquidità per le loro disagevoli situazioni patrimoniali).

D’altro canto, il termine per la stipula del contratto definitivo fissato nel preliminare può essere ritenuto essenziale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’uso, come nella specie, dell’espressione “improrogabile”, quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata (fra le tante, Cass. Sez. 2, 17/03/2005, n. 5797; Cass. Sez. 2, 16/02/2007, n. 3645; Cass. Sez. 2, 15/10/2007, n. 21587).

7.4. I tre motivi di ricorso allegano una serie di circostanze di fatto (quanto alle esposizioni debitorie delle promittenti venditrici, note alla controparte; alla scelta del notaio in *****, risiedendo invece a ***** le medesime promittenti venditrici; al telegramma del 27 giugno 2000) neppure contenute nella sentenza impugnata, senza nemmeno precisare, alla stregua dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, “come” e “quando” tali fatti fossero stati allegati prima della maturazione delle preclusioni assertive.

Le ricorrenti auspicano, in definitiva, che la Corte di cassazione tragga in relazione alle complessive risultanze di causa un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le emergenze istruttorie nel senso più favorevole alle loro tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro immediata delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.

8. Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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