Può un singolo condomino distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento senza aver installato un proprio impianto autonomo?
La Sezione Seconda civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 26185 dell’8 settembre 2023, risponde negativamente.
Nel caso di specie, un condomino aveva impugnato la delibera assembleare che gli aveva negato l'autorizzazione a distaccarsi dalla propria unità immobiliare dall'impianto di riscaldamento centralizzato.
Il Tribunale adito, richiamando le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, ha evidenziato che il distacco operato dal condomino comportava un aggravio delle spese dei consumi per gli altri condomini. Questo aggravio era determinato anche dal fatto che il condomino, nel distaccarsi, non aveva provveduto ad installare un autonomo impianto di riscaldamento, usufruendo quindi del calore prodotto dai radiatori degli altri condomini.
La Cassazione conferma la decisione del merito e sottolinea che il condomino autorizzato a rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto comune "rimane obbligato a pagare le sole spese di conservazione" di quest'ultimo. Queste spese comprendono, ad esempio, quelle di sostituzione della caldaia, perché "l'impianto centralizzato è comunque un accessorio di proprietà comune, al quale egli potrà, in caso di ripensamento, riallacciare la propria unità immobiliare".
I giudici di legittimità precisato tuttavia che, qualora, in seguito ad un intervento di sostituzione della caldaia, il mancato allaccio non sia dovuto alla volontà unilaterale di rinuncia o distacco, ma sia una conseguenza dell'impossibilità tecnica di fruire del nuovo impianto (che non consente neppure un futuro collegamento), il condomino non può essere più considerato titolare di alcun diritto di comproprietà su tale impianto. Di conseguenza, non deve più partecipare ad alcuna spesa ad esso relativa.
Il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall'uso dell'impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, opera sempre che l'interessato provi che dal distacco deriverà una effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà un pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto centrale stesso: segnatamente che da tale disattivazione non derivi né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell'intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizi.
L'art. 1118 c.c., come modificato dalla L. n. 220 del 2012, consente al condomino di distaccarsi dall'impianto centralizzato - di riscaldamento o di raffreddamento - condominiale allorché una siffatta condotta non determini notevoli squilibri di funzionamento dell'impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condomini, e dell'insussistenza di tali pregiudizi quel condomino deve fornire la prova, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l'assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi.
Il condomino autorizzato a rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto comune rimane obbligato a pagare le sole spese di conservazione di quest'ultimo - quali, ad esempio, quelle di sostituzione della caldaia -, perché l'impianto centralizzato è comunque un accessorio di proprietà comune, al quale egli potrà, in caso di ripensamento, riallacciare la propria unità immobiliare; qualora tuttavia, in seguito ad un intervento di sostituzione della caldaia, il mancato allaccio non sia espressione della volontà unilaterale di rinuncia o distacco, ma una conseguenza dell'impossibilità tecnica di fruire del nuovo impianto, che non consente neppure un futuro collegamento, egli non può essere più considerato titolare di alcun diritto di comproprietà su tale impianto e perciò non deve più partecipare ad alcuna spesa ad esso relativa.
Cassazione civile, sez. II, ordinanza 08/09/2023 (ud. 21/03/2023) n. 26185
OSSERVAZIONI IN FATTO E IN DIRITTO
Rilevato che:
- con atto di citazione notificato l'8 gennaio 2016, C.L., nella qualità di proprietario di immobile facente parte dello stabile sito in (Omissis), evocava dinanzi al Tribunale di Torino il Condominio impugnando la Delib. condominiale 9 luglio 2015, limitatamente ai punti 1 e 3 dell'ordine del giorno, con i quali il Condominio, nel riparto delle spese di riscaldamento, gli attribuiva l'onere di pagamento pro quota anche delle spese relative al consumo, pur essendosi, il condomino, distaccato ai sensi dell'art. 1118 c.c.; il C. chiedeva, inoltre, accertarsi la legittimità del distacco e la non derivabilità dallo stesso di squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini, con conseguente domanda di dichiarazione della debenza delle sole spese di manutenzione straordinaria e di conservazione e messa a norma;
- instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Condominio che proponeva domanda riconvenzionale di accertamento della illegittimità del distacco per violazione dell'art. 1118 c.c., il Tribunale di Torino, disposta ed espletata CTU, con sentenza n. 3114 del 2017, rigettava tutte le domande dell'attore e accoglieva la domanda riconvenzionale del convenuto Condominio.
In particolare il Tribunale, richiamando le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, rilevava in primo luogo che il distacco operato dal C. comportava un aggravio delle spese dei consumi per gli altri condomini, determinato anche dal fatto che il condomino, nell'operare il distacco, non aveva provveduto ad installare un autonomo impianto di riscaldamento, usufruendo quindi del calore prodotto dai radiatori degli altri condomini; in secondo luogo il Tribunale osservava che la Delib. nella quale il C. affermava essere stato implicitamente autorizzato al distacco non risultava agli atti del procedimento e che anzi, da altra successiva Delib., si desumeva che il Condominio, chiedendo pareri legali in ordine ad un "eventuale" distacco dall'impianto centralizzato e in relazione al quale andava determinato "il danno economico subito dai restanti condomini", il Condominio si riservava in realtà ogni decisione in merito;
- in virtù di impugnazione interposta da C.L., la Corte d'appello di Torino, nella resistenza del Condominio di (Omissis), con ordinanza n. 1022 del 2018, dichiarava inammissibile ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c. l'appello;
- per la cassazione della sentenza del Tribunale di Torino ricorre ex art. 348 ter c.p.c. C.L., affidato a tre motivi, cui resiste il CONDOMINIO di (Omissis) con controricorso;
- in prossimità dell'adunanza camerale il Condominio controricorrente ha curato anche il depositato di memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Atteso che:
- con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5 nella parte in cui il Tribunale accoglieva la domanda riconvenzionale del Condominio convenuto pur non avendo, questi, partecipato al procedimento di mediazione obbligatoria a seguito della convocazione da parte dell'attore, determinando, la mancata partecipazione, l'improcedibilità della sola domanda riconvenzionale.
La censura è priva di pregio.
Le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 28 del 2010, in particolare l'art. 4, comma 2, nel regolare l'accesso alla mediazione, stabilisce come debba essere proposta la relativa domanda e specificamente dispone, al comma 2, che "l'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa". E' una caratteristica tipica del nostro sistema processuale il fatto che sia l'attore, cioè colui il quale assume l'iniziativa processuale, a dover chiarire, tra le altre cose, l'oggetto e le ragioni della pretesa.
L'art. 5, comma 1 - bis, inoltre, dispone che chi "intende esercitare in giudizio un'azione" relativa a una controversia nelle materie ivi indicate "e' tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto". Anche qui si deve confermare che l'obbligo di esperire il procedimento di mediazione è posto dalla legge a carico di chi intende esercitare in giudizio un'azione, e non c'e' alcun dubbio che tale posizione sia quella dell'attore.
E' possibile, dunque, trarre la conclusione di carattere testuale che le due norme ora richiamate sono univoche nel senso che l'onere di attivarsi per promuovere la mediazione debba essere posto a carico dell'attore, ossia di colui che vuole fare valere un diritto in via di azione, rappresentato nella specie dallo stesso condomino C..
Ove peraltro il contenuto della doglianza del ricorrente voglia essere ricondotto, più appropriatamente, alla denuncia di una violazione di norme di diritto, occorre evidenziare come il Tribunale di Torinoabbia comunque fatto corretta applicazione del testo dell'art. 71 quater disp. att. c.c. (inserito dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220). Tale norma al comma 1 indica quali siano le "controversie in materia di condominio" che, ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1, sono soggette alla condizione di procedibilità dell'esperimento del procedimento di mediazione, tra le quali certamente rientra la domanda avanzata dal condomino, il comma 3 del medesimo art. 71 quater disp. att. c.c. aggiunge, quindi, che "al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa Delib. assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2 cit. codice". L'art. 71 quater, comma 4 contempla poi l'ammissibilità di una proroga del termine di comparizione davanti al mediatore per consentire di assumere la Delib. autorizzativa dell'assemblea, alla quale, infine, il comma 5 di tale disposizione rimette l'approvazione della proposta di mediazione, da votare con la medesima maggioranza occorrente per garantire la partecipazione dell'amministratore alla procedura.
Come è stato già affermato da questa Corte (cfr Cass. 8 giugno 2020 n. 10846), la lettera dell'art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3 porta a concludere che la condizione di procedibilità della "controversie in materia di condominio" non possa dirsi realizzata allorché all'incontro davanti al mediatore l'amministratore partecipi sprovvisto della previa Delib. assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c., comma 2, non essendo in tal caso "possibile" iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo svolgimento della stessa, come suppone il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 8, comma 1. Non rileva nel senso di escludere la necessità della Delib. assembleare ex art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3 il fatto che si tratti, come nella specie e per quanto meglio si dirà con riferimento al secondo mezzo, di controversia che altrimenti rientra nell'ambito delle attribuzioni dell'amministratore, in forza dell'art. 1130 c.c., e con riguardo alla quale perciò sussiste la legittimazione processuale di quest'ultimo ai sensi dell'art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all'ambito della rappresentanza istituzionale dell'amministratore, questi non può partecipare alle attività di mediazione privo della Delib. dell'assemblea, in quanto l'amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c., comma 2, è altrimenti comunque sprovvisto del potere di disporre dei diritti sostanziali che sono rimessi alla mediazione, e, dunque, privo del potere occorrente per la soluzione della controversia (arg. da Cass. 27 marzo 2019 n. 8473). Tale evenienza non corrisponde, dunque, all'ipotesi contemplata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 2 bis, il quale dispone che "quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo", in quanto, ancor prima che mancato, qui l'accordo amichevole di definizione della controversia è privo di giuridica possibilità;
- con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli art. 1136 c.c., art. 67 disp. att. c.c., artt. 115 e 167 c.p.c. in relazione alla assenza dei presupposti deliberativi necessari al potere di rappresentanza in giudizio dell'amministratore. Il ricorrente deduce, in primo luogo, che l'assunto secondo cui la ratifica dell'operato dell'amministratore contenuta in una Delib. successiva all'instaurazione del giudizio produrrebbe effetti retroattivi violerebbe il disposto di cui all'art. 1136 c.c.; in secondo luogo, deduce, in relazione alla medesima Delib., la violazione dell'art. 67 disp. att. c.c. per essere stata assunta con 485 mm al netto di quelli del ricorrente, da cui andrebbero comunque decurtati ulteriori 50 millesimi stante la rappresentanza di oltre 1/5 del valore totale dell'edificio del condomino Picco munito di numerose deleghe. Infine, il ricorrente rileva che, in ogni caso, la ratifica dell'operato dell'amministratore sarebbe giunta già scaduti i termini decadenziali di cui all'art. 167 c.p.c., ciò determinando l'improcedibilità della domanda riconvenzionale.
Anche il secondo motivo è infondato e pertanto non può trovare ingresso.
E' innegabile che nella fattispecie si controverte innanzitutto in ordine alla Delib. dell'assemblea condominiale del 9 luglio 2015 (cfr. v. pag. 4 dello stesso ricorso).
Propriamente l'Amministratore del condominio dello stabile di via Don Murialdo n. 45, si è costituito e in primo grado e in secondo grado al fine di contrastare l'impugnazione dell'anzidetta Delib. esperita dal condomino C.L., cosicché, nel solco della previsione dell'art. 1130 c.c., comma 1, n. 1), nella formulazione applicabile ratione temporis ("l'amministratore deve: 1) eseguire le Delib. dell'assemblea dei condomini (...)"), esplica valenza l'insegnamento secondo cui, in tema di condominio negli edifici, l'amministratore può resistere all'impugnazione della Delib. assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano fra le attribuzioni proprie dello stesso amministratore (cfr. Cass. 23 gennaio 2014 n. 1451; Cass. 20 marzo 2017 n. 7095).
Evidentemente, se l'amministratore, in tema di impugnazione di Delib. assembleari, può senza necessità di autorizzazione alcuna proporre impugnazione avverso la statuizione di prime cure, a fortiori può senza necessità di autorizzazione alcuna resistere all'avversa impugnazione.
In verità nella fattispecie si controverte, altresì, in ordine all'accertamento della sussistenza in capo al condomino C. del diritto di effettuare il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato (così pag. 5 della sentenza impugnata), nel solco della previsione dell'art. 1131 c.c., comma 2 ("(l'amministratore) può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio (...);"), l'amministratore del Condominio dello stabile di (Omissis), era pur al riguardo appieno investito della legittimazione a resistere in giudizio (cfr. Cass. 26 febbraio 1996 n. 1485, secondo cui l'art. 1131 c.c., comma 1 nel prevedere la legittimazione passiva dell'Amministratore in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini - senza distinguere tra azioni di accertamento ed azioni costitutive o di condanna -, deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo, così, all'esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del Condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini; Cass. 24 novembre 2005 n. 24764).
E nondimeno anche a tal ulteriore riguardo non vi era bisogno dell'autorizzazione preventiva ovvero successiva (in via di ratifica) dell'assemblea condominiale, siccome profilo litigioso - quest'ulteriore - direttamente connesso all'oggetto della Delib. per la cui "conservazione" l'amministratore resisteva in giudizio e dunque profilo litigioso dalla Delib. assembleare direttamente dipendente.
Evidentemente la piena legittimazione dell'Amministratore a resistere senza necessità di autorizzazione assembleare alcuna assorbe e rende vana la disamina dell'ulteriore ragione di censura veicolata dal motivo in esame e concernente il raggiungimento - attesa la necessità di prescindere dalla validità delle deleghe del condomino Picco - della prescritta maggioranza nell'assemblea tenutasi il 02.10.2015 e in quella del 26.04.2016;
- infine, con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 220 del 2012, art. 2 dell'art. 1118 c.c., nonché degli artt. 116,196 c.p.c. e artt. 2735 c.c., nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto il distacco illegittimo, nonostante vi fosse, secondo il ricorrente, la prova dell'autorizzazione da parte del Condominio, e fondando la propria decisione sulla Consulenza tecnica che lo stesso ricorrente ritiene incongrua e violativa del D.Lgs. n. 104 del 2014 nonché della normativa UNI 10200.
Il terzo motivo è inammissibile sotto vari profili.
Il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall'uso dell'impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, opera sempre che l'interessato provi che dal distacco deriverà una effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà un pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto centrale stesso: segnatamente che da tale disattivazione non derivi né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell'intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizi (Cass. n. 7708 del 2007; Cass. n. 15079 del 2006; Cass. n. 5974 del 2004).
Tale facoltà è espressamente recepita dall'ordinamento, posto che il D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, art. 1, lett. I), prevede la possibilità per il condomino di installare un impianto termico a risparmio energetico, previo distacco dall'impianto centralizzato.
Da ultimo, l'art. 1118 c.c., come modificato dalla L. n. 220 del 2012, consente al condomino di distaccarsi dall'impianto centralizzato - di riscaldamento o di raffreddamento - condominiale allorché una siffatta condotta non determini notevoli squilibri di funzionamento dell'impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condomini, e dell'insussistenza di tali pregiudizi quel condomino deve fornire la prova, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l'assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi (Cass. n. 22285 del 2016).
In siffatta evenienza, il condomino autorizzato a rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto comune rimane obbligato a pagare le sole spese di conservazione di quest'ultimo - quali, ad esempio, quelle di sostituzione della caldaia -, perché l'impianto centralizzato è comunque un accessorio di proprietà comune, al quale egli potrà, in caso di ripensamento, riallacciare la propria unità immobiliare; qualora tuttavia, in seguito ad un intervento di sostituzione della caldaia, il mancato allaccio non sia espressione della volontà unilaterale di rinuncia o distacco, ma una conseguenza dell'impossibilità tecnica di fruire del nuovo impianto, che non consente neppure un futuro collegamento, egli non può essere più considerato titolare di alcun diritto di comproprietà su tale impianto e perciò non deve più partecipare ad alcuna spesa ad esso relativa (Cass. n. 18131 del 2020).
Il Tribunale di Torino, nel caso concreto, ha ritenuto che la Delib. 9 luglio 2015 con la quale il Condominio di (Omissis) ha negato a C.L. l'autorizzazione ad effettuare il distacco della propria unità immobiliare dall'impianto di riscaldamento centralizzato era immune da censure perché il condomino non aveva dimostrato, e lo avrebbe dovuto, la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1118 c.c. e cioè la mancanza di squilibri tecnici pregiudizievoli per l'erogazione del servizio e di eventuali aggravi di spesa per i rimanenti condomini scaturenti dal chiesto distacco, e/o comunque, non ha ritenuto, che la prova dell'insussistenza dei detti pregiudizi fosse presente negli atti del processo, stante l'esito della consulenza tecnica d'ufficio.
Ora, proprio perché il Tribunale ha ritenuto che la prova dell'insussistenza del pregiudizio di cui si dice, la sentenza non presenta il vizio denunciato, che oltre a non criticare puntualmente la motivazione, investe un accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità ove sorretto, come nel caso di specie, da argomentazioni adeguate e logiche.
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Condominio che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 21 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2023.
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