In caso di licenziamento collettivo, il datore di lavoro può circoscrivere la scelta dei lavoratori da licenziare ad una singola unità produttiva?
Questa è la questione centrale affrontata dalla Cassazione Civile, Sez. Lavoro, nella sentenza del 17 gennaio 2024, n.1803.
La controversia trae origine dal rifiuto della Corte di Appello di L'Aquila di accogliere il reclamo di una società contro il giudizio del Tribunale che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo di un dipendente, intimato con una lettera. In tale contesto, la Corte di Appello aveva ritenuto inappropriata la limitazione della scelta dei dipendenti da licenziare alla sola sede di L'Aquila, nonostante le competenze e professionalità fossero paragonabili a quelle presenti in altre sedi.
Il datore di lavoro, ricorrendo in Cassazione, contestava tale interpretazione, sostenendo che la necessità di trasferire i dipendenti in altre sedi, distanti e con organigrammi diversi, avrebbe comportato costi eccessivi e interferenze organizzative irrazionali.
La Suprema Corte, nel respingere il ricorso, ha ribadito un principio fondamentale: in tema di licenziamento collettivo, non è rilevante, ai fini dell'esclusione dalla comparazione, la necessità di trasferire un lavoratore ad altra sede, né l'eventuale aggravio di costi per l'azienda. Questo, in quanto il legislatore mira a minimizzare l'impatto sociale dei licenziamenti collettivi. Tuttavia, è riconosciuto che il datore di lavoro può limitare la platea dei lavoratori da licenziare ad una specifica unità produttiva, a condizione che esista una giustificazione oggettiva e tecnico-produttiva coerente con la comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991.
In questo caso specifico, la Corte ha ritenuto che la società non avesse fornito una spiegazione adeguata per giustificare la limitazione territoriale dei licenziamenti, non considerando adeguatamente le professionalità e competenze trasferibili dei lavoratori coinvolti.
La pronuncia sottolinea l'importanza di una comunicazione chiara e dettagliata da parte del datore di lavoro nelle procedure di licenziamento collettivo e ribadisce la necessità di valutare attentamente l'intero contesto aziendale, piuttosto che limitarsi a decisioni basate su considerazioni geografiche o di mera convenienza organizzativa.
Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 17/01/2024 (ud. 06/12/2023) n.1803
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 23 del 2021 la Corte di appello di L'Aquila ha respinto il reclamo proposto da Technolabs s.r.l. in concordato preventivo (già INTECS S.p.a.) avverso la sentenza con cui il Tribunale della medesima sede aveva dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo intimato a Tu.Ma. con lettera del 22.12.2017 e ne aveva ordinato la reintegra nel posto di lavoro, condannando l'azienda a risarcire i danni in misura pari alle retribuzioni percipiende dal recesso alla reintegra (ossia 11 mensilità) in applicazione dell'art. 18, comma 4 della legge n. 300 del 1970.
2. La Corte distrettuale - esclusa, preliminarmente, la nullità della sentenza di primo grado per insussistenza di profili di inammissibilità o improponibilità a causa della proposizione di un ricorso cumulativamente proposto dai lavoratori carenti di interesse ad agire (procedimento proposto unitariamente e scisso, poi, nella sede sommaria di cui all'art. 1, comma 48, legge n. 92 del 2012, in altrettanti procedimenti corrispondenti ai singoli lavoratori ricorrenti) - ha accertato l'illegittimità del licenziamento in considerazione della immotivata limitazione della platea dei dipendenti alla sede aziendale di L'Aquila, a fronte di una motivazione del tutto standardizzata della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, incentrata esclusivamente sulla dislocazione geografica del personale, essendo, invece, emerso - dal quadro istruttorio documentale e testimoniale acquisito - che presso la sede di L'Aquila erano presenti professionalità del tutto comparabili a quelle presenti nelle altre sedi della società e, in particolare, che il patrimonio professionale dei lavoratori licenziati (concernente il settore delle telecomunicazioni) era utilizzabile presso le altre sedi e che il passaggio da un settore produttivo (telecomunicazioni) ad un altro (spazio, difesa, automotive, ferroviario) non richiedeva un'attività formativa particolarmente onerosa e complessa.
3. Per la cassazione di tale sentenza la società propone ricorso affidato a sei motivi; resiste la lavoratrice con controricorso che ha anche depositato memoria.
4. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo di ricorso la società denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 278 cod. proc. civ. (ex art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, confermato la sentenza di primo grado e, dunque, adottato una condanna generica di pagamento delle mensilità risarcitorie nonostante il ricorrente non avesse mai chiesto una pronuncia limitata all'an, la quale, pertanto, non poteva essere pronunciata ex officio; la domanda di condanna al risarcimento del danno doveva, in realtà, essere respinta per carenza di prova sugli elementi del credito, pur dovendosi altresì sottolineare che la scissione tra processo sull'an e processo sul quantum viola il principio di ragionevole durata del processo, risolvendosi in un pesante aggravamento dei tempi del giudizio.
3. Con il secondo e il terzo motivo si denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 100 e 414 cod. proc. civ. nonché 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (ex art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) posto che l'originaria proposizione di un unico ricorso cumulativamente concernente tutti i 56 lavoratori della sede di L'Aquila (causa poi separata, dal Tribunale, in altrettante 56 cause corrispondenti a ciascun lavoratore, di cui 26 conciliate)dimostrava la carenza di interesse ad agire di ciascun
lavoratore in quanto le circostanze di fatto e di diritto allegate nel ricorso introduttivo erano le medesime per ogni ricorrente, non emergendo il pregiudizio in concreto subìto da ogni lavoratore. La radicale indeterminatezza, genericità e lacunosità dell'unico ricorso introduttivo non faceva comprendere quale fosse l'interesse ad agire in capo ai singoli ricorrenti; la Corte territoriale ha adottato una motivazione perplessa e incomprensibile in ordine all'interesse ad agire di ciascun ricorrente, mancando - con riferimenti a 17 dei 56 lavoratori originariamente ricorrenti - un riferimento specifico ai suddetti lavoratori.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di appello (ex art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) concernente l'omesso svolgimento, da parte del Tribunale, dell'istruttoria in merito alle posizioni personali dei singoli ricorrenti (a seguito della separazione dell'originario ricorso cumulativo).
5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, 3 della legge n. 604 del 1966 (ex art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato una lettura della normativa che escluda l'esigibilità della comparazione tra i dipendenti quando questa risulti oggettivamente incompatibile con le esigenze aziendali per ragioni geografiche, essendo collocate le diverse sedi operative della società a centinaia di chilometri l'una dall'altra, ognuna con il proprio organigramma efficiente e funzionante, e imponendo, la comparazione, secondo la valutazione globale dell'azienda, conseguenze irrazionali quali i trasferimenti di decine di dipendenti a notevole distanza dalle rispettive sedi di assegnazione, in spregio al processo di riorganizzazione limitato alla soppressione di una unità produttiva.
6. Con il sesto motivo si denuncia, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 9 e 5, commi 1 e 3, della legge n. 223 del 1991, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, (ex art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente applicato la tutela reintegratoria (invece che risarcitoria) posto che la violazione del criterio di scelta ha configurato un vizio meramente formale e non sostanziale, consistente - come lo stesso giudice del merito esplicita - nella scarsa chiarezza dei criteri esposti, dalla società, nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento.
7. Il ricorso è infondato e si richiamano le pregevoli argomentazioni dei precedenti di questa Corte (Cass. n. 22284-2023; Cass. 22232-2023; Cass. n. 21770-2023; Cass. n. 21749-2023) che questo Collegio condivide in assenza di valide obiezioni che possano determinare una rivisitazione della vicenda di cui è processo e una diversa decisione.
8. Il primo motivo di ricorso è inammissibile e, in ogni caso, infondato.
9. Le doglianze appaiono nuove e, perciò, inammissibili, non essendo state le questioni (della proposizione di una domanda di condanna generica e della infrazionabilità dei crediti), specificamente trattate nella decisione impugnata, né avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della loro tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della loro devoluzione al Giudice del gravame (cfr. Cass. n. 20694 del 2018).
10. Inoltre, anche tralasciando il pur decisivo profilo di difetto di specificità - mancando del tutto la trascrizione delle parti rilevanti (ad eccezione delle conclusioni) del ricorso introduttivo del giudizio - dalla stessa descrizione del ricorrente emerge che la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno è stata proposta dai lavoratori senza alcuna specificazione né quantificazione delle somme pure genericamente pretese, ed è stata quindi evidentemente, ed in maniera corretta, interpretata dal giudice del merito come diretta ad ottenere una condanna generica al pagamento del risarcimento previsto dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, limitata quindi all'"an": così intesa la domanda, essa è stata, quindi, accolta dal Tribunale, nessuna impugnativa al riguardo venendo del resto mossa dalla controparte in sede di reclamo.
11. In ogni caso, l'esame diretto del ricorso introduttivo del giudizio dimostra che i lavoratori avevano avanzato una domanda di condanna generica al pagamento del risarcimento del danno; va premesso che, secondo autorevole arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, quando con il ricorso per cassazione sia denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, e pertanto il compimento di un'attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore (afferente in particolare alla nullità dell'atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell'oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento), il giudice di legittimità non debba limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito abbia vagliato la questione, ma sia investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (Cass. SS. UU. 22 maggio 2012, n. 8077; nello stesso senso Cass. n. 41465 del 2021, in riferimento ad una fattispecie relativa all'interpretazione dell'originaria domanda giudiziale, censurata dal ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'art. 112 c.p.c. e Cass. n. 744 del 2023 con riguardo all'interpretazione della domanda proposta in sede di esecuzione). Invero, in caso di error in procedendo, l'oggetto dello scrutinio che è chiamato a compiere il giudice di legittimità, a differenza di quel che accade con riferimento agli errores in iudicando denunciati a norma dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., non è costituito dal contenuto della decisione formulata nella sentenza (che segna solo il limite entro cui la parte ha interesse a dedurre il vizio processuale), bensì direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato: è perciò del tutto naturale che la Corte di cassazione debba prendere essa stessa cognizione di quei fatti.
12. Ebbene, l'esame del ricorso introduttivo del giudizio proposto (unitariamente, in via complessiva) dai lavoratori dimostra che i lavoratori si erano limitati a chiedere (oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro) la condanna della società al pagamento dell'indennità prevista dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970 commisurata alle ultime retribuzioni globali di fatto, domanda che - al pari della parallela interpretazione di una sentenza che contenga esclusivamente la condanna della suddetta indennità senza indicare un importo determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico (cfr. Cass. n. 33807 del 2021) - deve ritenersi una richiesta di condanna generica.
13. Infine, sottolineandosi l'adesione del Collegio all'insegnamento di S.U. n. 4090 del 2017 (richiamate dallo stesso ricorrente), si precisa che l'autorevole consesso ha rilevato che la tesi per la quale più crediti distinti, ma relativi ad un medesimo rapporto di durata, dovrebbero necessariamente essere azionati nello stesso processo non trova conferma nella disciplina processuale, ed ha richiamato - a conferma - proprio l'ammissibilità delle sentenze di condanna generica (oltre ad altri istituti dell'ordinamento processuale); va, inoltre, rilevato che la questione dell'accertamento di un interesse oggettivamente valutabile del creditore alla tutela processuale frazionata può essere sollevata d'ufficio dal giudice o contestata dal debitore nel corso del giudizio di primo grado, nei termini di cui all'art. 183 cod. proc. civ., al fine di consentire al creditore di argomentare e provare il suddetto interesse, evenienze che, nel caso di specie, non si sono verificate.
14. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.
15. Le censure non colgono la ratio decidendi perché la ricorrente insiste sulla carenza di interesse ad agire dei lavoratori manifestata dalla genericità del ricorso (cumulativo)introduttivo del giudizio ma nulla deduce sulla interpretazione dell'atto introduttivo del giudizio posta a fondamento della pronuncia impugnata, ove la Corte territoriale ha precisato che "l'atto introduttivo della fase sommaria contiene una concisa (ma sufficiente) descrizione dei profili professionali dei singoli lavoratori licenziati nonché griglie di comparazione con i profili professionali del personale assegnato ad altre sedi", concludendo che i dati ivi contenuti erano "pienamente sufficienti a dare ragione dei presupposti costitutivi del diritto vantato dalla parte attrice".
16. La nullità della sentenza per mancanza della motivazione, ai sensi dell'art. 132 cod. proc. civ., è prospettabile quando la motivazione manchi addirittura graficamente, ovvero sia così oscura da non lasciarsi intendere da un normale intelletto, circostanza che - come innanzi riportato - non emerge nel caso di specie.
17. Il quarto motivo di ricorso non è fondato.
18. L'ampio percorso argomentativo della sentenza impugnata dimostra chiaramente che il giudice di merito ha, implicitamente, respinto il motivo di reclamo consistente nell'omesso svolgimento, da parte del Tribunale, dell'istruttoria in merito alle posizioni personali dei singoli ricorrenti, posto che ha precisato che "La parte attrice ha allegato griglie di comparazione (non contestate nel loro contenuto) che, per ciascun profilo professionale, evidenziano come presso la sede di L'Aquila fossero presenti professionalità del tutto comparabili a quelle presenti nelle altre sedi Intecs, presso le quali non è stata avviata alcuna procedura di riduzione di personale", ed ha aggiunto che la lettera di avvio della procedura di mobilità, la lettera di chiusura della procedura, la prova testimoniale espletata, dimostravano la fungibilità di tutti i lavoratori con i colleghi appartenenti alle altre sedi della società e la sussistenza di una unica (illegittima) ragione di licenziamento consistente nella dislocazione geografica del personale.
19.
Il quinto motivo di ricorso non è fondato.
20. Il Collegio intende ribadire il principio di diritto secondo cui, di per sé, "in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell'esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l'azienda e interferenza sull'assetto organizzativo", non contemplandosi, tra i parametri dell'art. 5, legge n. 223 del 1991, "la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all'esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro" (v. Cass. n. 17177 del 2013; Cass. n. 32387 del 2019; da ultimo, v. Cass. n. 1245 del 2022 e Cass. n. 410 del 2023).
21. Invero, questa Corte ha già affermato, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, che - ferma la regola generale di cui al primo comma dell'art. 5, legge n. 223 del 1991, secondo cui "l'individuazione dei lavoratori da licenziare" deve avvenire avuto riguardo al "complesso aziendale" (cfr. Cass. n. 5373 del 2019) - la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (sin da Cass. n. 8474 del 2005
e, più di recente, Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015, Cass. n. 2429 e 22655 del 2012, Cass. n. 9711 del 2011). Il datore di lavoro ben può circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. n. 4678 del 2015). Qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell'obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali (cfr. Cass. n. 4678 cit., Cass. n. 22178 del 2018, Cass. n. 12040 del 2021).
22. La delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento è, peraltro, condizionata - come anche recentemente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 981 del 2020, Cass. n. 14800 del 2019) - agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto, non potendo rappresentare l'effetto dell'unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma dovendo essere giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale adeguatamente esposte nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, onde consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità lavorative che l'azienda intenda concretamente espellere (ex plurimis Cass. n. 32387 del 2019, Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 22825 del 2009; Cass. n. 880 del 2013).
23. Ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, infatti, è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4,terzo comma, legge n. 223 del 1991, ed è onere del datore di
lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (sin da Cass. n. 8474 del 2005 e, più di recente, Cass. n. 15953 del 2021; Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015; Cass. nn. 2429 e 22655 del 2012; Cass. n. 9711 del 2011), ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi (cfr., tra le altre, Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 15953 del 2021).
24. Nel caso di specie, la Corte territoriale, con accertamento insindacabile in questa sede di legittimità, ha rilevato che le ragioni tecnico-produttive che richiedevano la delimitazione territoriale della platea dei lavoratori da licenziare erano esposte nella comunicazione di apertura della procedura ex legge n. 223 del 1991 in maniera del tutto standardizzata, trascurando il livello di professionalità proprio dell'inquadramento posseduto da ciascun lavoratore e le competenze eventualmente acquisibili attraverso un normale periodo di formazione di riqualificazione on the job, ed ha tratto, quindi, le conseguenze conformi alla giurisprudenza di legittimità citata.
25. La Corte territoriale ha rispettato i principi sopra enunciati della necessaria verifica della compatibilità, quanto al contenuto della comunicazione preventiva, della disciplina di cui all'art. 4 della legge n. 223 del 1991 estesa anche alla chiusura di un insediamento produttivo, con i risultati in concreto perseguibili in relazione a tale chiusura.
26. Il sesto motivo non è fondato.
27. Questa Corte ha più volte ribadito che "in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale debba riferirsi a più unità produttive ma il datore di lavoro, nella fase di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, tenga conto unilateralmente dell'esigenza aziendale collegata all'appartenenza territoriale ad una sola di esse, si determina violazione dei criteri di scelta per la quale l'art. 5, comma 1, della L. n. 223 del 1991, come sostituito dall'art. 1, comma 46, della L. n. 92 del 2012, prevede l'applicazione del comma 4 dell'art. 18 novellato della L. n. 300 del 1970" (v. Cass. n. 18847 del 2016; Cass. n. 20502 del 2018; da ultimo, Cass. n. 1245 del 2022 e Cass. n. 410 del 2023).
28. Da tempo, infatti, questa Corte (Cass. n. 12095 del 2016; Cass. n. 19320 del 2016; Cass. n. 2587 del 2018; Cass. n. 19010 del 2018) ha interpretato il comma 3 dell'art. 5 della L. n. 223 del 1991, come sostituito dall'art. 1, comma 46, L n. 92 del 2012, distinguendo il "caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12", per il quale opera la tutela meramente indennitaria, dal "caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1", per il quale si applica la tutela reintegratoria: mentre la non corrispondenza della comunicazione al modello legale di cui al comma 9 dell'art. 4 della L. n. 223 del 1991 costituisce "violazione delle procedure", il diverso "caso di violazione dei criteri di scelta" si ha non nell'ipotesi di incompletezza formale della comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, bensì allorquando i criteri di scelta siano, ad esempio, illegittimi, perché in violazione di legge, o illegittimamente applicati, perché attuati in difformità dalle previsioni legali o collettive.
29. Del tutto coerentemente la Corte territoriale ha ritenuto che, nella specie, non ricorresse una mera violazione procedurale per incompletezza delle comunicazioni prescritte bensì una violazione sostanziale rappresentata dall'applicazione di criteri di scelta ad una platea di licenziabili illegittimamente delimitata rispetto all'intero complesso aziendale, con conseguente applicazione della tutela prevista dall'art. 18, comma 4, L. n. 300 del 1970, come novellato dalla l. n. 92 del 2012.
30. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi.
31. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
32. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello - ove dovuto - per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in euro 5.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore della controricorrente dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 dicembre 2023
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.
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