In tema di contratti bancari, la nullità prevista dall'art. 117, commi primo e terzo, del D.Lgs. n. 385 del 1993 per l'ipotesi in cui il contratto non sia stato stipulato in forma scritta si configura come una nullità di protezione, rilevabile anche d'ufficio, stante l'inequivocabile disposto dell'art. 127, comma secondo, del citato D.Lgs.
Vedi anche:
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 24/01/2024 (ud. 18/10/2023) n. 2338
FATTI DI CAUSA
1. La Te.Co.Ma. S.r.l., Ba.Fr. convennero in giudizio la Banca Popolare dell'Emilia Romagna, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 8084/10, emesso il 28 maggio 2010, con cui il Tribunale di Modena aveva intimato alla prima, in qualità di debitrice principale, ed agli altri, in qualità di fideiussori, il pagamento della somma di Euro 149.517,37, oltre interessi, a titolo di saldo debitore di un conto corrente, restituzione dell'importo di una fattura anticipata salvo buon fine e tornata insoluta, e rimborso di un mutuo.
A sostegno dell'opposizione, gli attori dedussero l'erroneità del calcolo degl'interessi, l'illegittimità dell'addebito della commissione di massimo scoperto e la violazione dell'art. 118 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e degli obblighi di buona fede gravanti sulla Banca nell'esecuzione del contratto, chiedendo, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme illegittimamente addebitate o riscosse, oltre al risarcimento del danno.
Si costituì la Banca, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.
Il giudizio, dichiarato interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento della TeCoMa, fu riassunto dai fideiussori.
1.1. Con sentenza del 4 gennaio 2016, il Tribunale di Modena accolse parzialmente l'opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando i fideiussori al pagamento della somma di Euro 117.460,50, oltre interessi, ivi compresi Euro 105.235,34 a titolo di rimborso del mutuo ed Euro 19.200,00 a titolo di restituzione dell'importo della fattura, e detratti Euro 6.974,84 a titolo di saldo creditore del conto corrente.
2. L'impugnazione proposta dal Ba.Fr. è stata rigettata dalla Corte d'appello di Bologna con sentenza del 3 maggio 2019.
A fondamento della decisione, la Corte ha dichiarato innanzitutto ammissibile l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca, rilevando che la stessa era stata proposta con comparsa depositata venti giorni prima dell'udienza di comparizione, rinviata ai sensi dell'art. 168-bis, quinto comma, cod. proc. civ., e ritenendo superflua l'indicazione dei versamenti prescritti, in considerazione della natura solutoria di tutte le rimesse, conseguente alla mancata dimostrazione dell'esistenza di un'apertura di credito. Precisato infatti che l'onere di fornire la relativa prova grava sul correntista che agisce in ripetizione, ha rilevato che dai documenti prodotti e dagli accertamenti compiuti dal c.t.u. risultava l'insussistenza di un affidamento, quanto meno fino all'anno 2009. ed ha escluso anche la possibilità di fornire la prova di affidamento di fatto, in mancanza del contratto, dichiarando pertanto prescritto il diritto alla restituzione degli addebiti effettuati in epoca anteriore all'ultimo decennio.
Premesso inoltre che, in quanto avente ad oggetto la rideterminazione del saldo del conto e la condanna della Banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate o riscosse, la domanda era soggetta al termine di prescrizione decennale, indipendentemente dall'imprescrittibilità dell'azione di nullità, ha confermato la correttezza del ricalcolo delle spese e degli interessi, ai fini del quale il c.t.u. aveva tenuto conto soltanto dei versamenti infradecennali, ritenendo irrilevante, in proposito, la mancata produzione di alcuni estratti conto, alla quale il consulente aveva potuto sopperire mediante i dati risultanti dai conti scalari prodotti dalle parti, ed osservando comunque che l'onere di allegare i fatti costitutivi del diritto azionato incombe a colui che agisce in giudizio.
Ha confermato altresì la validità della fideiussione, in quanto espressamente estesa al mutuo, escludendo anche la mala fede della Banca, in considerazione dell'avvenuto accertamento di un credito di poco inferiore a quello azionato in sede monitoria. Ha ritenuto non provato il superamento del tasso soglia, relativamente agl'interessi applicati sul mutuo, rilevando che non era stato prodotto il piano di ammortamento iniziale, ed aggiungendo che il tasso originariamente pattuito risultava inferiore al predetto tasso. Ha ritenuto infine non provato che il mutuo fosse stato stipulato al solo fine di ottenere un rientro dall'esposizione della correntista.
3. Avverso la predetta sentenza il Ba.Fr. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La BPER Banca ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d'impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2,117 e 127 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e dell'art. 2725 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver escluso la possibilità di provare l'avvenuta stipulazione di un contratto di apertura di credito in forma orale o per fatti concludenti, con mezzi diversi dalla produzione di un documento scritto. Premesso che la nullità del contratto bancario per difetto di forma costituisce una nullità di protezione, che può essere fatta valere soltanto dal cliente, sostengono che, ove la declaratoria del vizio non risponda all'interesse di quest'ultimo, non può negarsi allo stesso la possibilità di fornire la prova del contratto anche mediante la produzione di estratti conto, riassunti scalari o report della Centrale dei Rischi.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. dell'art. 116cod. proc. civ. e degli artt. 5 e 119 del D.Lgs. n. 385 del 1993, osservando che, nel porre a loro carico l'onere della prova dell'andamento del rapporto, la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle domande reciprocamente proposte dalle parti, né della posizione processuale della Banca, quale attrice in senso sostanziale. Premesso che il c.t.u., pur avendo dato atto dell'incompletezza della documentazione prodotta, ha provveduto ugualmente alla ricostruzione dell'andamento del rapporto, sulla base di operazioni contabili, sostengono che la dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali comportava l'inattendibilità del saldo risultante dall'estratto conto finale, imponendo, in mancanza di altri idonei elementi di prova, l'azzeramento del saldo iniziale, quale punto di partenza del ricalcolo. Aggiungono che nella specie l'indisponibilità dell'intera documentazione non era imputabile ad essi ricorrenti, ma alla condotta della Banca, contraria alla diligenza ed all'obbligo di conservazione degli estratti conto.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione degli artt. 163, terzo comma, nn. 3 e 4, 99, 100 e 112 cod. proc. civ., dell'art. 111 Cost. e degli artt. 1283, 1418, 1419, 1422 e 2907 cod. civ., nonché l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato prescritte l'azione di nullità e la domanda di accertamento del saldo del conto corrente, senza tenere conto dell'autonomia delle stesse rispetto a quella di ripetizione. Premesso che quest'ultima era stata abbandonata nel giudizio di appello, affermano che la prescrizione del diritto alla restituzione non escludeva l'interesse ad agire per l'accertamento negativo del credito fatto valere dalla Banca, al fine di evitare in futuro annotazioni illegittime, di reintegrare l'affidamento concesso o di ridurre l'importo dovuto alla chiusura del conto.
4. Il primo motivo è fondato.
Ba.Fr., in tema di nullità negoziali questa Corte ha affermato che la rilevabilità d'ufficio si estende anche a quelle c.d. di protezione, in quanto configurabili, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza eurounitaria (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 4/06/2009, in causa C-243/08, Pannon), come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime, risultando le stesse volte a tutelare interessi e valori fondamentali che trascendono quelli del singolo, quali il corretto funzionamento del mercato e l'uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica (cfr. Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 24242 e 26243). Tale principio è stato ritenuto applicabile anche ai contratti bancari, in relazione ai quali è stato affermato che la nullità prevista dall'art. 117, commi primo e terzo, del D.Lgs. n. 385 del 1993 per l'ipotesi in cui il contratto non sia stato stipulato in forma scritta si configura come una nullità di protezione, rilevabile anche d'ufficio, stante l'inequivocabile disposto dell'art. 127, comma secondo, del D.Lgs. n. 385 cit. (cfr. Cass., Sez. I, 6/09/2019, n. 22385). E' stato tuttavia precisato che, caratterizzandosi le nullità di protezione "per una precipua natura ancipite, siccome funzionali nel contempo alla tutela di un interesse tanto generale (l'integrità e l'efficienza del mercato, secondo l'insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti)", la rilevazione officiosa delle stesse, in mancanza della quale risulterebbe frustrata o comunque sminuita la funzione di tutela del bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole, incontra il limite della conformità del rilievo "al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l'azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall'orbita della tutela" (cfr. Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242).
Non può pertanto condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini dell'esclusione della natura ripristinatoria delle rimesse affluite sul conto corrente intrattenuto dalla TeCoMa con la BPER, ha ritenuto insussistente una apertura di credito, per il solo fatto che gli opponenti non avevano fornito la prova della stipulazione del contratto in forma scritta, affermandone la nullità, per difetto del requisito di cui all'art. 117, comma primo, del D.Lgs. n. 385 del 1993, senza considerare che la rilevazione di tale vizio, nel caso specifico, non corrispondeva all'interesse della correntista e dei fideiussori, ai quali restava in tal modo precluso l'accoglimento della domanda riconvenzionale: la insussistenza di un affidamento, imponendo di attribuire natura solutoria a tutti i versamenti effettuati sul conto corrente nel corso del rapporto, comportava infatti, conformemente all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., 2/12/2010, n. 24418; Cass., Sez. I, 26/09/2019, n. 24051; 24/03/2014, n. 6857), la necessità di ancorare la decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di ripetizione alla data di effettuazione dei singoli addebiti, anziché a quella (più recente) di chiusura del conto, in tal modo impedendo alla correntista ed ai fideiussori di ottenere la restituzione degl'importi illegittimamente addebitati o corrisposti in epoca anteriore al decennio che aveva preceduto la proposizione della domanda.
Non essendo la nullità rilevabile d'ufficio, non poteva conseguentemente ritenersi preclusa ai ricorrenti la possibilità di fornire la prova dell'affidamento attraverso mezzi diversi dalla produzione del documento contrattuale, quali gli estratti conto o i riassunti scalari, attestanti il reiterato adempimento da parte della Banca di ordini di pagamento impartiti dalla correntista, anche in assenza di provvista, le risultanze del libro fidi, attestanti l'esistenza di una delibera di concessione di un finanziamento, o la segnalazione alla Centrale dei Rischi della Banca d'Italia, nella misura in cui gli stessi potevano essere considerati idonei a dimostrare l'esistenza di un accordo tra le parti per l'utilizzazione da parte della correntista d'importi eccedenti la disponibilità esistente sul conto ed i limiti di tale utilizzazione.
5. La sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbiti gli altri motivi, riguardanti rispettivamente la ripartizione dell'onere di fornire la prova dell'andamento del rapporto e la prescrizione dell'azione di ripetizione.
La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d'appello di Bologna, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2023.
Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2024.
Codice Civile > Articolo 1283 - Anatocismo | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1418 - Cause di nullita' del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1419 - Nullita' parziale | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1422 - Imprescrittibilita' dell'azione di nullita' | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2907 - Attivita' giurisdizionale | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile