La rimessa del correntista, che avrebbe natura solutoria in assenza di una apertura di credito, può assumere, in presenza di quest'ultima, natura ripristinatoria: ciò accadrà nei casi in cui tale rimessa ripiani l'esposizione maturata nel limite dell'affidamento, operando quindi su di un conto "passivo", e non "scoperto".
Vedi anche:
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 29/02/2024 (ud. 30/11/2023) n. 5364
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. depositato innanzi al Tribunale di Firenze, Tiemme Mobili d'Arte Srl chiese la condanna di Cassa di Risparmio di San Miniato Spa (ora incorporata per fusione da Crédit Agricole Italia Spa) alla restituzione di Euro 133.709,95 a fronte di somme indebitamente percepite da quest'ultima con riferimento al conto corrente ordinario n. (Omissis) ed al conto anticipi n. (Omissis). Espose che la banca aveva applicato, illegittimamente: interessi debitori ultralegali ed interessi creditori inferiori al tasso legale, la commissione di massimo scoperto, valute ed oneri non concordati, altresì superando il tasso soglia d'usura.
1.1. Costituitosi il menzionato istituto di credito, che eccepì la prescrizione in relazione alle operazioni anteriori all'11 marzo 2004 e contestò il merito delle avverse pretese, l'adito tribunale, disposta ed espletata una c.t.u. contabile, con ordinanza del 19 novembre 2015, condannò la banca al pagamento, in favore della società ricorrente, della somma di Euro 3.028,25, facendo proprio la quarta ipotesi formulata dal c.t.u. "senza capitalizzazione trimestrale degli interessi fino al 30.06.2000 e con capitalizzazione trimestrale degli interessi per il periodo successivo, tenendo conto della teorica della prescrizione del diritto di ripetizione degli indebiti".
2. Il gravame promosso da quest'ultima, ex art. 702-quater cod. proc. civ., avverso questa decisione fu respinto dalla corte di appello di quella stessa città con sentenza del 17 settembre 2019, n. 2155, resa nel contraddittorio con Crédit Agricole Italia Spa
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) rigettò il primo motivo di appello (concernente la pretesa erronea valutazione, da parte del tribunale, dell'eccezione di prescrizione riguardo alla sua effettiva formulazione), avvalendosi di quanto sancito da Cass., SU, n. 15895 del 2019 per risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine all'eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie; ii) respinse i successivi motivi secondo, terzo e quarto, così opinando: "Difatti (Cass. Civ. n. 27705/18) se, a seguito dell'eccezione dell'istituto di credito, il tempo decorso dalle annotazioni passive integri il periodo necessario per il decorso della prescrizione, diviene onere del cliente provare (e non meramente allegare) il fatto modificativo consistente nell'esistenza di un contratto di apertura di credito, capace di qualificare quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, capace di spostare l'inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto. Come è infatti noto, l'apertura di credito non è, di per sé, un contratto necessariamente riconnesso a quello di conto corrente. Grava, infatti, sull'attore in ripetizione, al fine di poter considerare i versamenti alla stregua di meri atti di ripristino della disponibilità - come tali, non aventi lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca e, dunque, inidonei al decorso della prescrizione - l'onere di provare l'esistenza di un affidamento. Ciò in funzione dell'eccezione della banca circa la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale del pagamento, da cui discende l'onere per il correntista di provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della provvista. Stante la difesa svolta dalla banca, incentrata sull'eccezione di prescrizione, deve intendersi, quindi, che la sussistenza di un contratto di apertura di credito sia evidentemente contestata, fosse anche implicitamente, essendo incompatibile con la difesa svolta dal predetto istituto. Trovandosi, quindi, in capo al correntista l'onere della prova circa l'apertura di una linea di credito, deve porsi attenzione se nel corso dell'istruttoria di primo grado ciò sia avvenuto. Ciò pare non sia avvenuto. L'onere della prova della natura ripristinatoria dei pagamenti e la relativa prova dovrà essere fornita unicamente allegando il documento contrattuale, non rilevando all'uopo le cosiddette "prove indirette" (ossia le evidenze degli estratti conto, i riassunti scalari, i report della centrale rischi, la stabilità dell'esposizione che ne evidenzia il carattere non occasionale, l'entità del saldo debitore, la previsione di una commissione di massimo scoperto). La Corte di Cassazione ha difatti sancito l'irrilevanza del cosiddetto "fido di fatto", anche recependo - a corollario - il principio (più volte espresso dalla giurisprudenza) secondo cui l'apertura di credito, così come del resto tutti i contratti bancari, richiedono la forma scritta (cfr., ancora di recente Cass. Civ. n. 27705 del 30/10/18). Nel caso de quo, nessuna prova è stata fornita da parte dell'appellante in sede di primo grado e, conseguentemente, la sentenza oggi appellata ha ben statuito sulla controversia de qua. Ne consegue che nessuno dei motivi di appello può trovare accoglimento (per i motivi sopra esposti) e l'impugnata sentenza dovrà essere integralmente confermata".
3. Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso Tiemme Mobili d'Arte Srl, affidandosi ad undici motivi. Ha resistito, con controricorso, Crédit Agricole Italia Spa
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I primi due motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) "Art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c.. Motivazione apparente. Violazione dell'art. 111, comma 6, Costituzione, e dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.". Si assume che "La motivazione di rigetto è priva di argomenti logicamente coerenti con le risultanze processuali già definitivamente acquisite. L'ordinanza impugnata in parte qua in primo grado, trattandosi di pronunzia di accoglimento parziale in materia di domanda di restituzione per clausole illegittime operanti su contratti bancari di affidamento in conto corrente, presupponeva necessariamente l'intervenuto assolvimento, da parte dell'attore, all'onere della prova riguardo all'esistenza del rapporto di fido. In caso contrario, la decisione avrebbe dovuto essere di rigetto, non di accoglimento parziale. Non avendo controparte impugnato, con appello incidentale, la pronunzia di soccombenza parziale, anche sul presupposto logico-giuridico di tale decisione, l'intervenuta prova del rapporto di fido, doveva ritenersi formato giudicato. La Corte d'Appello, ossia, avrebbe dovuto partire, nello svolgere la propria motivazione, dalla premessa fattuale acquisita dell'esistenza del fido sui rapporti oggetto di conto corrente. (...). Invece, in contraddizione logica irresolubile con tale premessa, la Corte d'Appello ha ritenuto, peraltro con inaccettabile formula dubitativa ("Ciò non pare sia avvenuto"), che il correntista non avesse assolto all'onere della prova circa l'apertura della linea di credito";
II) "Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.". Si sostiene che, "Per le medesime ragioni innanzi esposte, la sentenza viola le normative surrichiamate attraverso le quali si stabiliscono gli effetti sostanziali e processuali del passaggio in giudicato delle decisioni giurisdizionali".
2. Tali doglianze, scrutinagli congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano infondate.
2.1. Giova premettere che la nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 17 settembre 2019), ha ormai ridotto al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 26704 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020; Cass. n. 395 del 2021, Cass. n. 1522 del 2021 e Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023) o di sua "contraddittorietà" (cfr. Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023). Cass., SU, n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l'unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella "insanabile" e l'unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella "insuperabile".
2.2.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 1522 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una "motivazione apparente" nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l'identificazione dell'iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell'esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
2.3. Fermo quanto precede, i vizi come oggi denunciati dalle censure in esame non sono concretamente configurabili.
2.3.1. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che: i) la corte fiorentina ha reso una motivazione certamente in linea con il minimo costituzionale di cui si è detto quanto alle ragioni per cui ha disatteso il gravame di Tiemme Mobili d'Arte Srl. Invero, dopo aver richiamato i princìpi tutti sanciti da Cass., SU, n. 15895 del 2019, in tema di eccezione di prescrizione sollevata da un istituto di credito con riferimento alle rimesse affluite su un conto corrente bancario, ha opinato che, nella specie, nessuna prova adeguata la società appellante aveva fornito circa il fatto che il conto dalla stessa intrattenuto presso la banca odierna controricorrente fosse stato assistito, durante la sua operatività, anche da un contratto di apertura di credito, da dimostrarsi, ad avviso della medesima corte, unicamente mediante la produzione del corrispondente documento contrattuale, irrilevanti dovendosi considerare, invece, "le cosiddette "prove indirette" (ossia le evidenze degli estratti conto, i riassunti scalari, i report della Centrale rischi, la stabilità dell'esposizione che ne evidenzia il carattere non occasionale, l'entità del saldo debitore, la previsione di una commissione di massimo scoperto). La Corte di cassazione ha difatti sancito l'irrilevanza del cosiddetto "fido di fatto" (...)"; ii) come si è già riferito, il vizio di motivazione apparente (formalmente denunciato nel primo motivo di ricorso) deve apprezzarsi non già rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell'esistenza di una motivazione effettiva (cfr. le pronunce di legittimità già indicate alla fine del par 2.2.1. di questa motivazione); iii) la soluzione della lite adottata dal tribunale prediligendo la quarta ipotesi di calcolo elaborata dal c.t.u. ("senza capitalizzazione degli interessi fino al 30 giugno 2000 e con capitalizzazione trimestrale degli interessi per il periodo successivo, tenendo conto della teorica prescrizione del diritto di ripetizione degli indebiti". Cfr. pag. 6 dell'odierno ricorso) si fondava, evidentemente, sull'accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'istituto di credito convenuto e sulla mancata prova di un affidamento del conto corrente predetto; iv) nessuna impugnazione incidentale, dunque, avrebbe potuto proporre la banca su tali specifici profili (stante il suo evidente difetto di soccombenza), né poteva ritenersi essersi formato un giudicato "sull'esistenza dell'affidamento", negato, invece, dal giudice di prime cure, con conseguente infondatezza anche della seconda delle doglianze in esame; v) del tutto apodittica, infine, risulta l'affermazione di Tiemme Mobili d'Arte Srl, rinvenibile nella prima delle censure in esame, secondo cui "trattandosi di pronunzia di accoglimento parziale in materia di domanda di restituzione per clausole illegittime operanti su contratti bancari di affidamento in conto corrente, presupponeva necessariamente l'intervenuto assolvimento, da parte dell'attore, all'onere della prova riguardo all'esistenza del rapporto di fido".
3. I motivi di ricorso dal terzo al settimo denunciano, rispettivamente, in sintesi:
III) "Art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c.. Motivazione apparente. Violazione dell'art. 111, comma 6, Costituzione, e dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.". Si deduce che "La motivazione della sentenza si riferisce ad un principio giurisprudenziale inesistente, quello sulla supposta irrilevanza della prova indiretta del rapporto di affidamento. La motivazione è apparente perché, quanto alla asserita assenza di prova del fido, si basa su un richiamato ma inesistente orientamento della Suprema Corte, quello secondo il quale l'apertura di credito richiederebbe necessariamente la forma scritta a pena di nullità dello specifico strumento contrattuale";
IV) "Art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Motivazione apparente. Violazione dell'art. 111, comma 6, Costituzione, e dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione dell'art. 112 c.p.c.". Si afferma che "La Corte d'Appello ha totalmente omesso di valutare il fatto storico consistente nell'allegata esistenza di clausole specifiche regolanti per iscritto i rapporti di conto corrente per cui è causa. L'omissione è decisiva perché il Giudice di II grado muove proprio dalla presunta assenza di prova del contratto scritto per rigettare la domanda. Sul punto vi è stata espressa discussione";
V) "Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Violazione e/o errata applicazione degli artt. 1842 e 1843 c.c., in combinato disposto con gli artt. 3, comma 3, della legge n. 154/1992, 117, commi 1, 2 e 3, nonché 161, comma 5, del D.Lgs. n. 385/1993, 1418, comma 3, c.c.". Si assume che, "Laddove la Corte d'Appello di Firenze conferisce rilievo alla presunta assenza di un contratto specifico di apertura di credito, applica in maniera errata la normativa vigente che non contempla affatto l'obbligo di forma scritta per i rapporti di fido qualora, come nel caso di specie, la disciplina dell'affidamento sia, in termini generali, già disciplinata nei contratti di conto corrente puntualmente documentati". Vengono puntualmente descritti, inoltre, i documenti, prodotti nelle fasi di merito, da cui si sarebbe dovuta ricavare la dimostrazione dell'esistenza dell'affidamento e si conclude nel senso che, nella specie, "Tale prova, diretta e indiretta era talmente forte (...) da avere indotto il Tribunale in I grado a formulare una proposta transattiva estremamente favorevole al correntista; altrimenti quella proposta, formulata ex art. 185-bis, c.p.c. non avrebbe avuto alcun significato ragionevole";
VI) "Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 702-bis, comma 4, c.p.c.. Violazione e/o errata applicazione degli artt. 2033, 2935 e 2946, in rapporto agli artt. 702-bis, comma 4, c.p.c. e 115, comma 1, c.p.c..; il giudice di prime cure non ha considerato il contenuto e la interpretazione delle citate disposizioni di legge". Si ascrive alla corte territoriale: i) di avere tratto argomenti di prova da circostanze del tutto irrilevanti: dalla eccezione di prescrizione tout court non può scaturire disconoscimento di un contratto o di un rapporto; ii) di avere errato nell'applicare la normativa sull'obbligo di contestazione espressa del fatto costitutivo e quella sulla prescrizione;
VII) "Art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c. Motivazione apparente. Violazione dell'art. 111, comma 6, Costituzione, e dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.", ritenendosi sfornito "di un sia pur minimo presupposto di logica il ragionamento per cui, pur non avendo espressamente negato l'esistenza del fido, l'eccezione di prescrizione ne presupporrebbe l'inesistenza".
3.1. Tali doglianze possono scrutinarsi congiuntamente, investendo tutte, sebbene sotto profili differenti, il complessivo tema del riparto degli oneri probatori nelle ipotesi in cui la banca, convenuta in giudizio dal proprio correntista che ne invochi la condanna alla restituzione di quanto illegittimamente addebitatogli sul conto, ne eccepisca la prescrizione.
3.1.1. Esse si rivelano fondate, nei sensi e limiti di cui appresso, alla stregua delle seguenti considerazioni, affatto dirimenti.
3.2. Giova ricordare, poi, che la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell'affermare che, nell'ipotesi in cui (come nella specie) è il cliente ad agire nei confronti della banca per la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente e la ripetizione di quel danaro dato a quest'ultima dall'inizio del corrispondente rapporto fino alla sua cessazione sul presupposto di dedotte nullità di clausole del relativo contratto riguardanti la misura degli interessi ed il massimo scoperto, l'applicazione di interessi in misura superiore a quella del tasso soglia dell'usura presunta (come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996), nonché gli addebiti di danaro non previsti dal contratto, è il cliente stesso che deve provare la fondatezza dei fatti e delle domande di accertamento costituenti il presupposto anche dell'accoglimento della domanda di ripetizione di indebito oggettivo. Egli, dunque, deve fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi.
3.3. Con riguardo, poi, alla distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista, nonché al riparto dei rispettivi oneri probatori ove la banca, convenuta in giudizio dal proprio correntista che ne invochi la condanna alla restituzione di quanto illegittimamente addebitatogli sul conto, ne eccepisca la prescrizione, la recente Cass. n. 20455 del 2023 ha ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24418 del 2010 (cfr. in motivazione), hanno spiegato che l'azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati: ciò in quanto il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens.
3.3.1. La pronuncia muove dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l'attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. In conseguenza, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'affidamento: non così, invece, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano tecnicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere.
3.3.2. Di qui l'importanza della differenziazione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista: solo le prime possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all'art. 2033 cod. civ.; con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre, per esse, dal momento in abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori, invece, - come precisato dalle Sezioni Unite - non soddisfano il creditore ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d'indebitamento del correntista: sicché, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti.
3.3.3. L'esistenza, o non, di una apertura di credito, allora, spiega incidenza sul decorso della prescrizione delle singole rimesse, determinando che esse, a seconda dei casi, possano qualificarsi meramente ripristinatorie della provvista o solutorie.
3.4. Ora, se il correntista agisca in giudizio senza allegare l'esistenza di una apertura di credito, la banca che eccepisca la prescrizione del diritto alla ripetizione delle rimesse non sarà tenuta a dedurre e dimostrare l'esistenza del detto contratto (cfr. Cass. n. 31927 del 2019, e, in senso sostanzialmente conforme, le più recenti Cass. n. 19812 del 2022 e Cass. n. 10026 del 2023). Altrettanto è a dirsi ove, invece, il correntista, fin dall'origine alleghi l'esistenza di quel contratto, a lui spettando, evidentemente, di darne la relativa dimostrazione.
3.4.1. Invero, - a parte i casi in cui il giudice del merito possa addirittura ritenere, sulla scorta della domanda proposta, che l'inesistenza del detto contratto sia stata oggetto di (implicito) riconoscimento da parte del correntista - occorre osservare che non compete alla banca che eccepisca la prescrizione dare prova dell'insussistenza dell'atto giuridico che ne precluda la decorrenza.
3.4.2. Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte proprio nella materia che qui interessa, l'elemento qualificante dell'eccezione di prescrizione è l'allegazione dell'inerzia del titolare del diritto, che costituisce il "fatto principale" della fattispecie cui la legge ricollega l'effetto estintivo (cfr. Cass., SU, n. 15895 del 2019). In conseguenza, la banca potrà limitarsi ad allegare quella inerzia, deducendo che il correntista abbia mancato di pretendere in restituzione alcunché per l'intero arco del termine prescrizionale. È colui che agisce in ripetizione (come concretamente accaduto nella vicenda oggi all'attenzione del Collegio) a dover provare l'apertura di credito che gli è stata concessa, poiché questa evenienza integra un fatto idoneo ad incidere sulla decorrenza dell'eccepita prescrizione: un fatto che costituisce materia di una controeccezione da opporsi alla banca convenuta in ripetizione (cfr. Cass. n. 31927 del 2019; Cass. n. 10026 del 2023).
3.4.3. Come è evidente, difatti, la rimessa del correntista, che avrebbe natura solutoria in assenza di una apertura di credito, potrà assumere, in presenza di quest'ultima, natura ripristinatoria: ciò accadrà, precisamente, nei casi in cui tale rimessa ripiani l'esposizione maturata nel limite dell'affidamento, operando quindi su di un conto "passivo", e non "scoperto". Il contratto di apertura di credito, pertanto, si mostra idoneo ad escludere che la prescrizione del diritto alla ripetizione della somma oggetto della rimessa decorra dal momento dell'attuato versamento: in base alla regola generale posta dall'art. 2697 cod. civ., dunque, sarà il correntista che intenda contrastare l'eccezione di prescrizione (avendo proprio riguardo al contestato suo decorso) ad essere onerato di provare l'esistenza del detto contratto (cfr. Cass. n. 31927 del 2019). È, questo, un approdo già guadagnato, negli ultimi anni, dalla giurisprudenza di questa Corte: a fronte di esso, peraltro, la qualificazione del contratto di apertura di credito come fatto impeditivo o modificativo dell'invocata prescrizione riveste, in fondo, un valore meramente classificatorio, di cui in questa sede ci si può disinteressare (nel senso che il contratto di apertura di credito costituisca un fatto impeditivo della prescrizione che il correntista è onerato di provare, cfr. Cass. n. 2650 del 2019; nel senso che esso integri, invece, un fatto modificativo, si veda Cass. n. 27704 del 2018).
3.4.4. La prova dell'apertura di credito che sia stata tempestivamente acquisita al processo, tuttavia, è utilizzabile dal giudice, ai fini dell'accertamento della prescrizione, ove pure sia mancata una precisa allegazione, da parte del correntista, circa l'intervenuta conclusione del contratto in questione (cfr. Cass. n. 31927 del 2019). È da considerare, in proposito, che la questione in esame non costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto, rilevabile soltanto ad istanza di parte: infatti, è eccezione in senso stretto quella per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o quella in cui il fatto integratore dell'eccezione corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l'efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (cfr., per tutte, Cass. n. 13335 del 2015; Cass. n. 18602 del 2013); la deduzione vertente sull'impedimento al decorso della prescrizione determinato dal perfezionamento del contratto di apertura di credito non presenta alcuna di tali connotazioni e va qualificata, piuttosto come eccezione in senso lato.
3.4.5. Ora, il rilievo d'ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis (cfr. Cass., SU, n. 10531 del 2013; Cass. n. 27998 del 2018). Avendo riguardo a quest'ultimo profilo (inerente alla dimostrazione del fatto di cui sia mancata l'allegazione), infatti, occorre considerare che le eccezioni in senso lato condividono con le eccezioni in senso stretto la necessità che i fatti modificativi, impeditivi o estintivi su cui si fondano risultino legittimamente acquisiti al processo e provati (cfr. Cass. n. 20317 del 2019; Cass. n. 27405 del 2018). Il che vale ad escludere che il giudice possa conferire rilievo all'assunto dell'intervenuta conclusione del contratto di apertura di credito (incidente, come si è visto, sulla decorrenza della prescrizione) basandosi su elementi documentali che non siano stati acquisiti nei termini di cui all'art. 183 cod. proc. civ.
3.5. Tanto premesso, nella controversia in esame, la corte di appello, nel respingere il gravame di Tiemme Mobili d'Arte Srl avverso l'ordinanza decisoria di primo grado, ha ribadito la fondatezza dell'eccezione di prescrizione sollevata (ed accolta dal tribunale), in primo grado, da Cassa di Risparmio di S Spa (poi incorporata, per fusione, da Crédit Agricole Italia Spa) in relazione alle rimesse anteriori al decennio.
3.5.1. La sentenza oggi impugnata poggia, sostanzialmente, su un duplice assunto: i) il primo, secondo cui, "Stante la difesa svolta dalla banca, incentrata sull'eccezione di prescrizione, deve intendersi, quindi, che la sussistenza di un contratto di apertura di credito sia evidentemente contestata, fosse anche implicitamente, essendo incompatibile con la difesa svolta dal predetto istituto"; ii) il secondo, per cui, nella specie, nessuna prova adeguata la società appellante, gravata del corrispondente onere, aveva fornito circa il fatto che il conto dalla stessa intrattenuto presso la banca odierna controricorrente fosse stato assistito, durante la sua operatività, anche da un contratto di apertura di credito, da dimostrarsi, ad avviso della corte distrettuale, unicamente mediante la produzione del corrispondente documento contrattuale, irrilevanti dovendosi considerare, invece, "le cosiddette "prove indirette"(ossia le evidenze degli estratti conto, i riassunti scalari, i report della Centrale rischi, la stabilità dell'esposizione che ne evidenzia il carattere non occasionale, l'entità del saldo debitore, la previsione di una commissione di massimo scoperto). La Corte di cassazione ha difatti sancito l'irrilevanza del cosiddetto "fido di fatto" (...)".
3.6. Entrambi tali assunti, tuttavia, non meritano seguito.
3.6.1. Invero, l'assoluta apoditticità del primo di essi, già ne esclude la possibilità di sua condivisione, rimanendo del tutto oscure le ragioni per cui la formulazione dell'eccezione di prescrizione, da parte della banca, sia incompatibile, di per sé, con la sussistenza di un contratto di apertura di credito.
3.6.2. Quanto al secondo, invece, lo stesso mostra di non aver in alcun modo considerato che, perché vi sia apertura di credito in conto corrente, rileva la pattuizione - generalmente formale, ma pur sempre realizzabile per facta concludentia - di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive. In altri termini, è scontato che l'apertura di credito richieda la forma scritta ai sensi dell'articolo 117 del testo unico bancario. Tuttavia, la norma stabilisce anche che il C.I.C.R., mediante apposite norme di rango secondario, possa prevedere che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, siano stipulati in forma diversa da quella scritta.
3.6.3. Questa Corte, del resto, ha affermato (cfr. Cass. n. 14470 del 2005) che, "in materia di disciplina della forma dei contratti bancari, l'art. 3, comma 3, della legge n. 154 del 1992 e, successivamente, l'art. 117, comma 2, del T.U.B., nella parte in cui dispongono che il C.I.C.R. può prevedere che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, possono essere stipulati in forma diversa da quella scritta, attribuiscono a detto Comitato interministeriale il potere - da questo conferito alla Banca d'Italia - di emanare disposizioni che integrano la legge e, nei limiti dalla stessa consentiti, possono derogarvi e che, perciò, costituiscono norme di rango secondario, la cui legittimità non è esclusa dalla mancata indicazione delle motivate ragioni tecniche della deroga, dovendo l'onere della motivazione ritenersi adempiuto mediante l'indicazione del tipo di contratto e la precisazione che esso deve riferirsi ad operazioni e servizi già individuati e disciplinati in contratti stipulati per iscritto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittime le disposizioni (...) in forza delle quali il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere stipulato per iscritto, a pena di nullità)". Tale principio, poi, è stato successivamente puntualizzato da Cass. n. 27836 del 2017, nel senso che deve essere correttamente inteso perché, com'è stato precisato, anche successivamente, da questa stessa sezione, "l'intento di agevolare "particolari modalità della contrattazione" non (può) comportare - in una equilibrata visione degli interessi in campo (...) - una "radicale" soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi (...) la necessaria indicazione delle condizioni economiche del contratto ospitato (Cass., Sez. 1, sent. n. 9068 del 2017; e si veda altresì Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7763 del 2017 che ha respinto il ricorso incidentale formulato da una banca, avendo il giudice di merito rilevato la carenza sia di una stretta connessione funzionale ed operativa tra il contratto di apertura di credito e quello di conto corrente, sia di una sostanziale regolamentazione del contratto accessorio desumibile da quello formato per iscritto)". Indirizzo ermeneutico, questo, che ha avuto, poi, ulteriore seguito (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13063 del 2023; Cass. n. 926 del 2022), sicché può concludersi nel senso che, sia nel vigore della legge n. 154 del 1992, che del successivo D.Lgs. n. 385 del 1993 (T.U.B.), in forza della delibera del C.I.C.R., il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere stipulato per iscritto a pena di nullità.
3.7. L'impugnata decisione della corte distrettuale, dunque, per come concretamente motivata, si rivela, per ciò solo, in palese contrasto con i princìpi tutti fin qui esposti.
3.7.1. Essa, infatti, muovendo dal duplice (ma errato, per quanto si è finora riferito) presupposto di cui si è detto al precedente par 3.5.1. di questa motivazione, non ha conseguentemente valutato se il materiale probatorio complessivamente sottopostole dalle parti, - oggi richiamato (ed ivi riprodotto nei suoi aspetti essenziali) dalla società ricorrente soprattutto nel suo quinto motivo. In particolare: i) "n. 4 contratti di conto corrente del 19.08.1996 e del 02.06.1998 (...) laddove è previsto, espressamente, quanto segue: "Le aperture di credito che la Società concede in conto corrente al Correntista sono soggette alle seguenti statuizioni: a) Il Correntista può utilizzare in una o più volte la somma messagli a disposizione e può con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità, b) se l'apertura di credito è a tempo determinato il correntista è tenuto ad eseguire alla scadenza il pagamento di quanto dovuto per capitali, interessi, spese, imposte, tasse ed ogni altro accessorio, c) la Società ha facoltà di recedere in qualsiasi momento dalla apertura di credito per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al Correntista un preavviso non inferiore a un giorno.. d) in ogni caso il recesso ha effetto di sospendere immediatamente l'utilizzo del credito concesse... e) le eventuali disposizioni di scoperto che la società ritenesse di eseguire ... non comportano il ripristino dell'apertura di credito: f) l'eventuale scoperto consentito oltre il limite di apertura di credito non comporta l'aumento di tale limite"; ii) n. 2 schede condizioni economiche, depositate, peraltro, dalla stessa banca, una per il conto ordinario e l'altra per il conto anticipi, firmate ed allegate ai contratti di conto corrente (richiamate, del resto, nel corpo della c.t.u.), datate 2.6.1988, dalle quali risulta la stipula di apposite pattuizioni per "Tasso Apertura di credito", ivi specificato, per il conto ordinario all'8%, e, per quello anticipi, al 6,25%, nonché per "Tasso per scoperto di conto", più alto dell'altro, evidentemente da applicare per le esposizioni oltre i limiti del fido, ivi fissato, per il conto ordinario, nella misura dell'11%, e, per il conto anticipi, del 7.250% - compreso quello (certificazione proveniente dalla Centrale Rischi della Banca d'Italia circa l'esistenza di un fido accordato alla correntista, almeno dal 1995, dalla Cassa di Risparmio di S Spa, poi incorporata, per fusione, da Crédit Agricole Italia Spa, di circa Euro 180.000,00) allegato alla consulenza di parte attrice, fosse idoneo, o meno, a far ritenere comunque dimostrata (anche in mancanza del corrispondente, specifico documento contrattuale) l'esistenza, per tutta o parte della durata del rapporto di conto corrente de quo, di un affidamento a quest'ultimo collegato (considerato, peraltro, che il giudice del merito è tenuto a valorizzare la prova ritualmente acquisita al riguardo, indipendentemente da una specifica allegazione dei correntista circa la stipula del contratto in questione. Cfr. Cass. n. 31927 del 2019; Cass. n. 10026 del 2023), con le conseguenti ripercussioni, nell'ipotesi positiva, sull'eccezione di prescrizione decennale formulata dalla banca originaria convenuta con riferimento alla domanda di ripetizione di indebito della odierna ricorrente.
4. I residui motivi di ricorso dall'ottavo all'undicesimo, denunciano rispettivamente, in sintesi:
VIII) "Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Violazione e/o errata applicazione del combinato disposto degli artt. 117, comma 3, e 127, comma 2, del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario)". Si afferma che "L'art. 117, comma 3, del T.U. bancario, laddove prevede l'obbligo di forma scritta per i contratti bancari, non impedisce la prova indiretta dell'apertura di credito (cd. contratto amorfo) in quanto si tratta di una ipotesi di nullità relativa ex art. 127, comma 2, TUB, prevista espressamente solo a favore del cliente. Non sussistono preclusioni di prova a carico del cliente. Né sul piano della validità, né, conseguentemente, su quello della prova. Sul piano della validità, la nullità del contratto bancario cd. amorfo - come, in generale, le nullità previste dalle norme di trasparenza del T.U. - è nullità cd. unilaterale, ossia soltanto il cliente può farla valere: così, chiaramente, l'art. 127, comma 2, T.U. bancario. A ciò segue che, se il cliente preferisce chiedere l'esecuzione del contratto bancario ancorché amorfo o, in ogni caso, non ne eccepisce la nullità ex art. 117 per assenza di forma scritta (l'esponente ha chiesto il rilievo della nullità solo di singole clausole del contratto), il giudice non può rilevarla d'ufficio in deroga alla generale rilevabilità ex art. 1421 c.c. della nullità contrattuale. Il testo dell'art. 127 TUB consente la rilevabilità da parte del giudice di una nullità prevista dalle norme di trasparenza, ma soltanto alla condizione che essa operi "a vantaggio del cliente", secondo il modello delle cd. nullità di protezione. Il piano probatorio è strettamente consequenziale. Se il cliente può chiedere l'esecuzione del contratto bancario amorfo, senza fame valere la nullità, non è evidentemente ragionevole negargli la possibilità di prova per facta concludentia. La questione può essere esaminata anche dal punto di vista del giudice, ma le conclusioni non mutano: se il giudice, in mancanza di eccezione, non può rilevare la mancanza di forma scritta per dichiarare la nullità del contratto, non può neppure rilevarla per applicare, in danno del cliente, un limite probatorio previsto per il solo caso dei contratti formali";
IX) "Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione dell'art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia". Si deduce che, in appello, era stata espressamente lamentata (cfr. pagg. 38-41 dell'atto di gravame) la violazione di legge illustrata nel precedente motivo, ma la corte distrettuale ha omesso totalmente di pronunciarsi in proposito;
X) "Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione e/o errata applicazione degli artt. 2934 e 2935 c.c. Violazione dell'art. 2697, comma 2, c.c.". Si sostiene che, in presenza dell'intervenuta prova del rapporto di affidamento (onere, nella fattispecie, assolto per mancato disconoscimento espresso da parte del convenuto; per sussistenza di regolamentazione scritta dell'apertura di credito nei contratti di conto corrente e delle specifiche clausole del fido nelle schede allegate ai contratti stessi; tramite la visura della Centrale Rischi con dichiarazione della controparte alla Banca d'Italia circa l'esistenza di fido accordato specifico; attraverso la prova indiretta a mezzo: richiamo fido, tassi fido, c.m.s. in estratti conto, continuativa e pacifica esposizione certificata dalla c.t.u. in atti, mancata ottemperanza alla richiesta di contratti ex art. 119 TUB), "l'onere della prova sulla fondatezza dell'eccezione di prescrizione, sub specie di prova del limite dell'affidamento e sulla natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse doveva spettare al convenuto che abbia allegato il fatto estintivo (...). La Corte d'Appello ha errato nel non esaminare affatto le prove esistenti, partendo dall'errato presupposto della prova scritta necessaria per il rapporto di affidamento. La rilevanza dell'errore è chiara e conseguente: la prescrizione sul conto affidato, in mancanza di eccezione e prova dell'esistenza di un limite nell'affidamento da parte della Banca, decorre dall'estinzione del conto, ossia dal settembre 2010, perché tutte le rimesse dovranno intendersi come ripristinatorie della provvista";
XI) "Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione dell'art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia". Si contesta alla corte distrettuale di non avere esaminato il sesto motivo di gravame con cui era stato chiesto, in via subordinata, che qualora la corte avesse ritenuto, pure in presenza della prova dell'affidamento, la Banca sollevata dall'onere di allegare e provare l'esistenza non già del fido ma del limite allo stesso oltre il quale considerare solutorie le rimesse, disporsi c.t.u. integrativa a carattere percipiente volta a chiarire, come peraltro previsto dalla stessa Cass., SU, n. 15895/2019, l'esatto saldo.
4.1. Il loro esame, tuttavia, può considerarsi assorbito in ragione dell'intervenuto accoglimento, nei limiti predetti, dei precedenti motivi dal terzo al settimo.
5. In conclusione, dunque, l'odierno ricorso di Tiemme Mobili d'Arte Srl deve essere accolto, nei sensi fin qui esposti, limitatamente ai suoi motivi dal terzo al settimo, rigettandosene i primi due e dichiarandosene assorbiti gli altri. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso di Tiemme Mobili d'Arte Srl limitatamente ai suoi motivi dal terzo al settimo, rigettandone i primi due e dichiarandone assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 30 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 29 febbraio 2024.
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