Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere personalmente proposto dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione.
Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 21 dicembre 2017, n. 8914
Presidente: Canzio - Estensore: De Amicis
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 25 luglio 2017 il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato, in funzione di giudice del riesame, l'appello proposto dall'imputato Manuel A. avverso l'ordinanza del Tribunale di Enna che rigettava la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari.
2. L'imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, deducendo il vizio di logicità e di omessa motivazione per vari profili.
3. Con ordinanza del 2 novembre 2017 la Quinta Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite, prospettando l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine all'ammissibilità del ricorso per cassazione proposto personalmente dall'imputato ai sensi dell'art. 311 c.p.p.
La Sezione rimettente dubita dell'applicabilità del combinato disposto dei novellati artt. 571 e 613 c.p.p. nella parte in cui richiedono la necessaria sottoscrizione dell'atto di impugnazione da parte di un difensore abilitato a patrocinare dinanzi alla Corte di cassazione avverso provvedimenti emessi in materia di misure cautelari personali.
È privilegiata l'opzione interpretativa per la quale la regola generale della facoltà per l'imputato di impugnare personalmente i provvedimenti, così come posta dall'art. 571, comma 1, c.p.p., è stata derogata dal novellato art. 613, comma 1, c.p.p. solo in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze o i provvedimenti con efficacia definitoria di procedimenti principali ed autonomi, non invece con riferimento alla materia de libertate, disciplinata dalla disposizione di cui all'art. 311 c.p.p.
4. Il Primo Presidente, con decreto del 13 novembre 2017, ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite e ne ha disposto la trattazione all'odierna udienza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è sinteticamente riassumibile nei termini di seguito indicati: «Se, a seguito delle modifiche apportate dalla l. 23 giugno 2017, n. 103 agli artt. 571 e 613 c.p.p., con cui si è esclusa la facoltà dell'imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione, permanga la legittimazione di questi a proporre personalmente ricorso in materia di misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 311 c.p.p.».
2. Occorre anzitutto esaminare la ratio e la finalità delle modifiche normative operate su alcune disposizioni del codice di rito dalla l. 23 giugno 2017, n. 103 (cd. "riforma Orlando"), là dove ha diversamente regolato la disciplina del ricorso per cassazione vietando all'imputato la possibilità di provvedere personalmente alla sottoscrizione dell'atto.
L'art. 1, comma 63, della legge sopra citata ha infatti modificato l'art. 613, comma 1, c.p.p. sopprimendo l'incipit, riferibile al solo imputato, «salvo che la parte non vi provveda personalmente».
Parallelamente, l'art. 1, comma 54, legge cit. ha inserito, in apertura dell'art. 571, comma 1, c.p.p., la clausola «salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'articolo 613 comma 1».
Le modifiche operate dal legislatore hanno inciso sul modo e sulle formalità dell'esercizio del diritto di difesa dinanzi alla Corte di cassazione.
L'originaria formulazione dell'art. 613, comma 1, c.p.p. prevedeva che il ricorso per cassazione potesse essere presentato dalla parte personalmente ovvero da un difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione.
La novella legislativa n. 103 del 2017 ha invece eliminato la possibilità per la parte di presentare il ricorso personalmente ed ha quindi stabilito che «l'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione». Invariato rimane il secondo inciso del primo comma dell'art. 613, secondo cui sono tali difensori a rappresentare le parti davanti alla Corte.
L'interpolazione del testo dell'art. 613 ha comportato la necessità di un contestuale intervento sulla collegata disposizione di cui all'art. 571, comma 1, c.p.p., che disciplina in via generale l'impugnazione dell'imputato, attraverso l'inserimento della citata clausola di esclusione, il cui effetto è quello di eliminare, nel solo caso del ricorso per cassazione, la possibilità per l'imputato di proporre personalmente l'impugnazione.
Permane, invece, per le impugnazioni diverse dal ricorso per cassazione, la legittimazione personale dell'imputato a proporle, essendo rimasta immutata, al riguardo, l'originaria previsione dell'art. 571 c.p.p.
L'attuale quadro normativo trova una sua oggettiva giustificazione nell'esigenza, generalmente avvertita, di assicurare un alto livello di professionalità nell'impostazione e nella redazione di un atto di impugnazione, il ricorso per cassazione, introduttivo di un procedimento connotato da una particolare importanza e da un elevato tecnicismo, tipico del giudizio di legittimità, scoraggiando al contempo la diffusa prassi dei ricorsi redatti da difensori non iscritti nell'apposito albo speciale, ma formalmente sottoscritti dai propri assistiti per eludere il contenuto precettivo dell'art. 613, comma 1.
Emerge nitidamente dalla lettura della relazione illustrativa al disegno di legge e dagli atti del dibattito parlamentare il duplice intento, da un lato, di evitare la proposizione di ricorsi in larga parte destinati alla declaratoria di inammissibilità per carenza dei necessari requisiti di forma e di contenuto, in ragione della obiettiva incapacità del ricorrente di individuare i vizi di legittimità del provvedimento impugnato; dall'altro lato, di garantire maggiore efficacia ed efficienza al controllo di legittimità ed alla funzione nomofilattica attribuita alla Corte di cassazione, riducendo il numero delle sopravvenienze destinate a, quasi certa, declaratoria di inammissibilità perché prive dei prescritti requisiti.
3. Secondo l'ordinanza di rimessione la regola della necessaria assistenza tecnica prevista dall'art. 613, comma 1, c.p.p. deve intendersi riferita, in ragione della collocazione di tale disposizione, al ricorso per cassazione avverso le sentenze o i provvedimenti con efficacia definitoria di procedimenti principali ed autonomi.
Logico corollario di tale assunto ermeneutico è quello secondo cui il ricorso proposto avverso le ordinanze emesse nell'ambito del procedimento cautelare, per sua natura incidentale e strumentale ad un successivo giudizio di merito, trova la sua specifica regolamentazione nell'art. 311 c.p.p., il cui testo è rimasto immutato, continuando a contemplare la facoltà per l'imputato di sottoscrivere personalmente il ricorso, in sintonia con la regola generale di cui all'art. 571, comma 1, c.p.p.
Nell'impostazione delineata dall'ordinanza di rimessione, quindi, si attribuisce natura di norma generale alla sola previsione dell'art. 571 c.p.p., mentre quella contenuta nell'art. 613 costituirebbe una deroga applicabile al solo ricorso "ordinario" per cassazione, non valevole per le residue ipotesi in cui la possibilità di proporre tale mezzo di impugnazione viene espressamente prevista con riferimento a subprocedimenti incidentali o del tutto autonomi rispetto a quello di merito.
Seguendo tale linea interpretativa, inoltre, non si ritiene sostenibile la tesi secondo cui il mancato adeguamento dell'art. 311 c.p.p. alla nuova disciplina prevista per il ricorso per cassazione sia frutto di un «macroscopico difetto di coordinamento», posto che il legislatore è intervenuto sul regime del ricorso per cassazione avverso le misure cautelari reali, modificando l'art. 325 c.p.p. ed introducendo un espresso rinvio all'art. 311, commi 3, 4 e 5, c.p.p.
Ne consegue che il legislatore ha compiuto una scelta pienamente consapevole nel non estendere alle impugnazioni cautelari il nuovo regime previsto in via ordinaria dall'art. 613 c.p.p.
Entro tale prospettiva, la sopravvivenza della possibilità di ricorso personale in materia cautelare trova la sua ratio nelle peculiarità del relativo procedimento, che non solo incide sul diritto fondamentale della libertà personale, ma è destinato a concludersi in un arco temporale assai ristretto. L'obbligo di dotarsi di un difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, con i conseguenti oneri legati allo studio degli atti e alla predisposizione del ricorso, rischierebbe di determinare, dunque, un ostacolo non di poco momento all'effettivo esercizio del diritto di difesa in una materia, quella della libertà personale, che è costituzionalmente tutelata.
4. A fronte della tesi prospettata nell'ordinanza di rimessione si pone un diverso orientamento interpretativo (Sez. 6, n. 42062 del 15 settembre 2017, Lissandrello, cit.; Sez. 6, n. 51292 del 6 novembre 2017, Mihaila, non mass.), delineato con riferimento al ricorso per cassazione personalmente proposto dal destinatario di un mandato di arresto europeo ai sensi dell'art. 22, comma 1, della l. 22 aprile 2005, n. 69, che consente sia alla persona interessata che al suo difensore di proporre ricorso contro i provvedimenti che decidono sulla consegna.
Richiamata la giurisprudenza formatasi nel vigore della previgente normativa, la Sesta Sezione ha osservato come l'art. 613 c.p.p. fosse inteso come norma meramente ricognitiva della facoltà di proposizione personale dell'impugnazione che l'art. 571, comma 1, c.p.p. già attribuiva al solo imputato.
Tale principio, infatti, era stato affermato dalla giurisprudenza al fine di escludere che parti diverse dall'imputato potessero esercitare la facoltà di proporre personalmente l'impugnazione, proprio sul presupposto che l'art. 571 non contemplava affatto tale possibilità (Sez. un., n. 19 del 21 giugno 2000, Adragna, Rv. 216336; Sez. un., n. 34535 del 24 settembre 2001, Petrantoni, Rv. 219613; Sez. un., n. 47473 del 27 settembre 2007, Lo Mauro, Rv. 237854).
A seguito della recente riforma legislativa, però, è integralmente mutato il rapporto fra le disposizioni di cui agli artt. 571 e 613 c.p.p., poiché quest'ultima, con previsione del tutto innovativa rispetto all'assetto previgente, non ha più una funzione meramente ricognitiva del potere di proporre personalmente l'impugnazione, ma viene ad integrare una norma di esclusione, espressa e generalizzata, della possibilità di sottoscrizione personale del ricorso per cassazione da parte dell'imputato e dei soggetti a lui equiparati, così eliminando qualsiasi deroga alla regola generale che richiede la rappresentanza tecnica da parte di un difensore abilitato.
Secondo tale orientamento, dunque, il novellato art. 613 c.p.p. deve interpretarsi come norma di carattere generale, potenzialmente applicabile a qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione, con la conseguenza che devono ritenersi implicitamente abrogate tutte le disposizioni, siano esse collocate all'interno o al di fuori del codice di rito, che prevedono la facoltà per il soggetto interessato di presentare personalmente ricorso per cassazione, poiché il loro contenuto è ormai divenuto incompatibile con il principio desumibile da siffatta lettura del combinato disposto degli artt. 571 e 613 c.p.p. (ivi comprese, quindi, le disposizioni relative ai ricorsi in materia di estradizione, di misure cautelari personali e reali, di misure di prevenzione, di esecuzione penale, di sorveglianza e via discorrendo).
Si esclude, infine, il pericolo di lesioni ai principi stabiliti dalla Costituzione ovvero dalla normativa convenzionale in tema di effettività dei diritti della difesa e del contraddittorio, poiché la loro concreta attuazione può essere diversamente modulata dal legislatore in considerazione dell'elevata complessità tecnica del giudizio di legittimità, sicché è ragionevole pretendere il requisito della necessaria assistenza tecnica sin dal momento della proposizione del ricorso.
5. All'interno di tale prospettiva ermeneutica si è successivamente posta anche un'altra decisione di questa Corte (Sez. 5, n. 53203 del 7 novembre 2017, Simut, non mass.), che, muovendo dal carattere di norma generale attribuibile alla nuova disposizione di cui all'art. 613 c.p.p., ha ritenuto l'inammissibilità del ricorso per cassazione personalmente proposto dall'indagato in materia cautelare.
Si è affermato, al riguardo, che il legislatore della riforma si è astenuto dall'intervenire sul testo degli artt. 311 e 325 c.p.p. non già "al fine di preservare un'isola di legittimazione personale dell'imputato e dell'indagato alla presentazione del ricorso in sede di legittimità", ma semplicemente perché non ha ritenuto necessario farlo in relazione alla disciplina generale del giudizio di legittimità, le cui regole, salva la previsione di una specifica deroga, sono destinate ad operare anche con riferimento alle impugnazioni cautelari.
Analoghe argomentazioni sono state recepite, inoltre, da Sez. 1, n. 53330 del 4 ottobre 2017, Villa, non mass., che ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto personalmente dal condannato, pur se in stato di detenzione, avverso un provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza in tema di ammissione alla detenzione domiciliare, sul presupposto che le modifiche apportate agli artt. 571 e 613 c.p.p. sono applicabili in via generale, quindi anche ai procedimenti diversi da quello ordinario di cognizione.
6. La soluzione della questione sottoposta al giudizio delle Sezioni unite non può prescindere dall'assorbente rilievo preliminare della identità di disciplina, anche in relazione alla materia cautelare, dei casi di ricorso tipizzati dall'art. 606 c.p.p., così come dei relativi epiloghi decisori e, prima ancora, delle cause di inammissibilità dell'impugnazione, laddove i profili di diversità attinenti alla previsione di termini più ristretti per la proposizione del ricorso e la eventuale presentazione di motivi nuovi sono evidentemente giustificati da specifiche esigenze di pronta definizione dei procedimenti aventi ad oggetto lo status libertatis.
Analogamente al procedimento impugnatorio instaurato all'esito di un giudizio ordinario, la Corte può pronunciarsi nel senso dell'inammissibilità ovvero del rigetto del ricorso in materia cautelare, procedendo invece all'annullamento, con o senza rinvio, del provvedimento impugnato, qualora il rapporto processuale appaia validamente instaurato e l'impugnazione meritevole di accoglimento.
Anche nell'ambito del ricorso per cassazione contro i provvedimenti cautelari, del resto, è inibito dedurre con i motivi nuovi una violazione di legge non dedotta nel ricorso originario (Sez. un., n. 4683 del 25 febbraio 1998, Bono, Rv. 210259).
Le disposizioni relative ai procedimenti di cui agli artt. 311 e 325 c.p.p. soggiacciono, dunque, alla disciplina delle impugnazioni contenuta nel Libro IX del codice di rito, sia con riferimento alle regole generali dettate nel Titolo I, sia con riferimento alla disciplina, anch'essa di ordine generale, prevista nel successivo Titolo III per la proposizione del ricorso per cassazione.
Ciò emerge anche dalla considerazione che il testo dell'art. 311 non contiene alcuna indicazione riguardo ai motivi di ricorso (se non per restringere nel comma 2 l'ammissibilità del ricorso per saltum alla sola ipotesi della violazione di legge), evidentemente sul presupposto della loro necessaria riconducibilità a quelli tassativamente descritti nella norma generale dell'art. 606, comma 1, c.p.p.: diversamente opinando, infatti, si dovrebbe riconoscere, nella disciplina del ricorso ex art. 311 c.p.p., la previsione di un vero e proprio gravame, ossia di una sorta di impugnazione "aperta" e non "a critica vincolata" (Sez. 5, n. 53203 del 7 novembre 2017, Simut, cit.).
6.1. Sotto altro profilo, ove si negasse lo stretto collegamento fra l'art. 311 e le disposizioni relative alla disciplina del ricorso per cassazione (ivi compresa quella di cui all'art. 613 c.p.p.), sarebbe giocoforza ritenere inapplicabile al giudizio di legittimità in tema di misure cautelari la restrizione del patrocinio ai soli difensori iscritti nell'albo speciale, contenuta solo nel primo comma dell'art. 613 c.p.p., in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 20538 del 10 maggio 2011, Priller, Rv. 250069; Sez. 1, n. 41333 dell'11 luglio 2003, Mohamad Taher, Rv. 225750).
Ulteriore conferma della diretta applicabilità della disciplina generale, in quanto non espressamente derogata, può trarsi dall'esclusione della partecipazione personale dell'indagato o dell'imputato ricorrente avverso la misura cautelare ex art. 311 c.p.p.
A tal proposito, infatti, questa Corte ha affermato che nel giudizio di legittimità la partecipazione all'udienza di discussione del ricorso avverso le ordinanze emesse dal tribunale della libertà è consentita ai soli difensori dell'imputato, ma non a quest'ultimo, in tal modo ritenendo direttamente applicabile il disposto di cui all'art. 614 c.p.p. (Sez. 6, n. 786 del 24 marzo 1990, Gakuba, Rv. 183858; nello stesso senso, in motivazione, Sez. un., n. 34535 del 24 settembre 2001, Petrantoni, Rv. 219613).
La prospettiva non muta ove si consideri il ricorso per cassazione proponibile avverso l'ordinanza che decide la convalida ex art. 391, comma 4, c.p.p., la cui trattazione deve avvenire nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 c.p.p., poiché l'art. 391, nel regolare l'istituto della convalida, si limita a prevedere la possibilità del ricorso senza alcun richiamo alle forme da osservare, donde l'applicabilità della disciplina generale stabilita dalle norme succitate, e non di quella fissata dall'art. 311 c.p.p. per le misure cautelari (Sez. 1, n. 1396 del 23 marzo 1994, Spangher, Rv. 197213).
Peraltro, la natura generale della disciplina prevista per il ricorso per cassazione e la sua conseguente applicabilità anche in relazione ad ipotesi diverse da quella dell'ordinaria impugnazione avverso le sentenze di merito sono state riconosciute nella giurisprudenza di legittimità formatasi con riguardo alla procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, che ha ritenuto applicabile al ricorso per cassazione previsto dall'art. 22 della l. 22 aprile 2005, n. 69, la disposizione dell'art. 609 c.p.p. che limita la cognizione della Corte di cassazione ai motivi proposti e alle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, nonché a quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (Sez. 6, n. 47071 del 4 dicembre 2009, Lefter, Rv. 245456; Sez. 6, n. 24540 del 4 giugno 2015, Antov, Rv. 264171).
6.2. La stessa formulazione letterale della disposizione contenuta nell'art. 571, comma 1, c.p.p. attribuisce valenza generale al nuovo regime normativo previsto per la proponibilità del ricorso per cassazione dall'art. 613, comma 1, c.p.p., quale norma di riferimento ivi espressamente richiamata per strutturare una clausola di salvaguardia volta ad esplicitare la diversità di disciplina che il legislatore ha inteso rimarcare a fronte dell'immutata facoltà dell'imputato di proporre tutti gli altri mezzi di impugnazione personalmente o servendosi di un procuratore speciale.
La clausola di esclusione fondata sul richiamo all'art. 613, comma 1, c.p.p., letta in maniera coordinata con l'attuale previsione dell'intero primo comma dell'art. 571, che vi richiama un solo mezzo di impugnazione (il ricorso per cassazione) per differenziarne le peculiarità di regolamentazione da tutti gli altri che l'imputato ha facoltà di proporre, diviene, a seguito dell'interpolazione in tal modo operata dal legislatore, essa stessa norma generale, come tale applicabile a qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione.
È infatti il principio di tassatività, con la disposizione di cui all'art. 568, comma 1, c.p.p., a governare la materia delle impugnazioni attraverso l'individuazione dei provvedimenti impugnabili e la determinazione dei mezzi con cui sottoporli ad impugnazione, impiegando forme la cui osservanza è finalizzata a garantire, a pena di inammissibilità nell'ipotesi prevista dall'art. 613, comma 1, c.p.p., la corretta instaurazione del relativo procedimento.
Analoghe esigenze di tassatività sono state considerate dal legislatore con la previsione dettata nell'art. 568, comma 2, c.p.p., che rende sempre assoggettabili al ricorso per cassazione, pur in difetto di un'esplicita indicazione legislativa, sia le sentenze - con le sole eccezioni di quelle che possono dar luogo ad un confitto ai sensi dell'art. 28 c.p.p. - che i provvedimenti de libertate, quando non siano altrimenti impugnabili, così accomunando ai fini dell'accesso al giudizio di legittimità ben determinate tipologie di provvedimenti a contenuto decisorio, senza distinguerne, tuttavia, gli effetti in relazione ai modelli procedimentali - siano essi di natura incidentale ovvero a cognizione ordinaria - che ne hanno determinato l'adozione.
L'art. 613, comma 1, c.p.p. presenta, a seguito dell'intervento di riforma operato dal legislatore, una formulazione generale ed onnicomprensiva, incentrata sull'atto di ricorso e sulle specifiche connotazioni che lo stesso deve avere ai fini della rituale instaurazione del giudizio di legittimità, così accentrando all'interno di un'unica previsione la disciplina delle varie ipotesi di ricorso per cassazione disseminate nell'ordinamento, senza individuare alcuno specifico provvedimento che ne possa costituire l'oggetto e senza operare alcuna distinzione fra le parti private titolari del relativo diritto di impugnazione (imputato, indagato, persona interessata, ecc.), laddove nel vigore del precedente assetto normativo si distingueva fra le stesse individuando comunemente nell'imputato il solo soggetto processuale abilitato a proporre personalmente l'impugnazione di legittimità (Sez. un., n. 24 del 16 dicembre 1998, dep. 1999, Messina, Rv. 212077; Sez. un., n. 19 del 21 giugno 2000, Adragna, Rv. 216336; Sez. un., n. 34535 del 27 giugno 2001, Petrantoni, Rv. 219615).
Il riconoscimento del diritto di impugnazione dei provvedimenti cautelari all'imputato o all'indagato, pertanto, non esclude, ma presuppone anch'esso, il rispetto delle regole generali dettate per l'esercizio dello ius postulandi in sede di legittimità dall'art. 613, comma 1, c.p.p.
Una diversa soluzione, del resto, rischierebbe di produrre effetti quanto meno disomogenei, ove si considerino le implicazioni sottese al possibile innesto di un procedimento cautelare personale all'interno del processo di merito, con la figura dell'imputato detenuto che, da un lato, avrebbe la facoltà di proporre personalmente ricorso avverso i provvedimenti de libertate, dall'altro lato non potrebbe impugnare con lo stesso mezzo la decisione di condanna se non con l'ausilio di un difensore abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione, unicamente per ragioni legate alle diverse tipologie di procedimento (incidentale ovvero ordinario) che hanno determinato i rispettivi esiti decisori.
Non può condividersi, in definitiva, la soluzione prospettata nell'ordinanza di rimessione, lì dove si attribuisce natura di norma generale alla sola previsione dell'art. 571 c.p.p., confinando l'ambito di applicazione della connessa disposizione di cui all'art. 613 c.p.p. al solo ricorso "ordinario" per cassazione, sull'erroneo presupposto della sua pretesa inidoneità a disciplinare tutte le ipotesi in cui tale mezzo di impugnazione viene utilizzato con riferimento ad atti propri di procedimenti incidentali, come quello cautelare, ovvero di procedimenti di natura del tutto autonoma rispetto a quello di merito.
7. Le disposizioni contenute nel Titolo III del Libro IX del codice di rito - ivi compreso, dunque, il novellato art. 613 c.p.p. - fissano le regole generali idonee a disciplinare qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione e sono applicabili, in quanto tali, non solo alle impugnazioni avverso le sentenze di merito, ma anche a tutte le diverse ed eterogenee previsioni speciali che, in relazione a specifici modelli procedimentali (siano essi di natura cautelare, esecutiva, estradizionale o di prevenzione), consentono di proporre ricorso per cassazione avverso i relativi provvedimenti.
Nel sistema è infatti rinvenibile una vasta platea di fattispecie per le quali il legislatore ammette il controllo di legittimità a seguito della proposizione di un ricorso per cassazione.
Al riguardo basti evidenziare, senza alcuna pretesa di completezza, come all'interno del codice di rito il ricorso per cassazione sia previsto, oltre che dall'art. 607, quale mezzo di impugnazione proponibile avverso le sentenze di merito, dalle seguenti disposizioni: a) art. 127, commi 7 ed 8 (relativamente ai provvedimenti assunti in camera di consiglio); b) artt. 311 e 325 (in materia cautelare, personale e reale); c) art. 391, comma 4 (avverso l'ordinanza di convalida dell'arresto o del fermo); d) art. 428, anteriormente alla modifica apportata dall'art. 1, comma 40, della l. n. 103 del 2017 (contro la sentenza di non luogo a procedere); e) art. 437 (contro l'ordinanza che rigetta la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere); f) art. 448, comma 2-bis (in tema di patteggiamento); g) art. 464-quater, comma 7 (relativamente all'ordinanza di messa alla prova); h) art. 666, comma 6 (contro le ordinanze del giudice dell'esecuzione); i) art. 696-novies (introdotto dall'art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, relativamente alle decisioni in tema di riconoscimento ed esecuzione di provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie di altri Stati membri dell'Unione europea); l) artt. 706 e 719 (contro sentenze e provvedimenti cautelari in materia di estradizione); m) art. 734, comma 3 (relativamente alle decisioni in tema di riconoscimento degli effetti delle sentenze penali straniere); n) art. 743, comma 2 (in materia di esecuzione all'estero di sentenze penali italiane).
Analoghe considerazioni giustificano il motivo per cui il legislatore (art. 1, comma 40, della l. n. 103 del 2017) ha interpolato il testo dell'art. 428 aggiungendovi il nuovo comma 3-bis, ove prende in considerazione la proponibilità del ricorso per cassazione dell'imputato avverso la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di appello, senza avvertire la necessità di un espresso richiamo, poiché anche in questo caso ritenuto evidentemente superfluo, all'art. 571, comma 1, e all'art. 613, comma 1, c.p.p.
Altrettanto ampio è il panorama delle ipotesi di ricorso per cassazione previsto dalla legislazione speciale, poiché, oltre all'art. 22 della l. n. 69 del 2005 in tema di mandato di arresto europeo, il ricorso è previsto, ad es., in tema di: a) riconoscimento ed esecuzione di una sentenza di condanna definitiva emessa dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro dell'Unione europea (art. 12, comma 10, del d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161); b) riconoscimento dell'ordine europeo di indagine avente ad oggetto il sequestro a fini di prova (art. 13, comma 7, del d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108); c) misure di prevenzione (art. 10, comma 3, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, come modificato dall'art. 3, comma 1, lett. d), della l. 17 ottobre 2017, n. 161); d) reati di competenza del giudice di pace (art. 37 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274); e) reclamo in materia di ordinamento penitenziario (artt. 35-bis, comma 4-bis, e 69 della l. 26 giugno 1975, n. 354).
A fronte delle numerose, e fra loro assai diversificate, ipotesi di ricorso per cassazione, cui corrisponde una grande varietà sia dei provvedimenti avverso i quali siffatta impugnazione può essere proposta, sia dei soggetti in tal senso legittimati, v'è un dato che tutte le accomuna: l'attribuzione della relativa potestà di cognizione ad un unico organo giurisdizionale, dinanzi al quale il processo segue regole costanti ed uniformi, la cui peculiarità dipende dalla natura stessa del giudizio di legittimità.
È dunque la loro attribuzione alla Corte di cassazione, quale supremo organo di nomofilachia, ad esercitare una forza di attrazione unificante per la trattazione di tutte le ipotesi, siano esse codicistiche o extracodicistiche, di ricorso previste dall'ordinamento, imponendone, di conseguenza, l'applicazione di una disciplina omogenea ed unitaria.
Del tutto diverso è invece il regime valevole per le ipotesi di appello, rispetto alle quali l'organo giudiziario competente muta a seconda del tipo di procedimento, essendo la relativa sfera di cognizione attribuita al tribunale della libertà, al tribunale ordinario ovvero, nel caso di impugnazione delle sentenze del giudice ordinario, alla corte d'appello; in tali casi, pertanto, il mezzo di impugnazione non risente della specificità dell'ambito di cognizione attribuito al giudice chiamato a pronunciarsi in sede di appello, trattandosi in ogni caso di giudici competenti per il merito.
8. Dalla disamina del variegato complesso delle richiamate disposizioni normative, che continuano a prevedere, nonostante l'intervenuta modifica dell'art. 613, comma 1, cit., la possibilità per l'imputato o i soggetti ad esso legislativamente equiparati di proporre personalmente il ricorso per cassazione, non può trarsi, tuttavia, la conseguenza che se ne fa discendere con riferimento ad un preteso effetto di tacita abrogazione determinato dalla incompatibilità di quelle norme con la generalizzata applicabilità del divieto di proposizione personale del ricorso (Sez. 6, n. 42062 del 15 settembre 2017, Lissandrello, cit.).
Si tratta di una conclusione che non può essere condivisa, assumendo invece un rilievo decisivo, sotto tale specifico profilo, le implicazioni sottese alla tradizionale distinzione individuata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza fra la legittimazione a proporre il ricorso e le sue effettive modalità di proposizione, attenendo il primo concetto alla titolarità sostanziale del diritto all'impugnazione, il secondo al profilo dinamico del suo concreto esercizio.
La titolarità del diritto ad impugnare esprime, infatti, una situazione di astratta e potenziale connessione tra la qualifica soggettiva ricoperta dall'interessato e l'attività processuale da porre in essere, traducendosi nell'attribuzione della legittimazione ad esercitare un atto di impulso da cui scaturisce una determinata sequenza procedimentale.
Del tutto diverso, invece, il profilo della rappresentanza tecnica, intesa come capacità di chiedere in giudizio (jus postulandi) ovvero come potere di sollecitare una risposta del giudice presentandogli direttamente atti, istanze e deduzioni nell'interesse delle parti: attività processuale, questa, che nel giudizio di legittimità l'art. 613, comma 1, c.p.p. riserva esclusivamente al difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione.
È il difensore a rappresentare la parte e a comparire in udienza davanti al Giudice di legittimità (art. 614, comma 2, c.p.p.).
La parte, infatti, non può esercitare questi poteri personalmente, ma soltanto per mezzo del suo difensore, ossia avvalendosi di uno strumento tecnico che può operare davanti alla Corte in quanto è la stessa legge che gli conferisce l'esercizio di quei medesimi poteri che in astratto già sono e restano della parte.
Al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (art. 568, comma 3, c.p.p.), che governa anche tali profili della materia stabilendo che la legge individua non solo quali siano i provvedimenti impugnabili, ma anche i soggetti ai quali spetta l'esercizio di tale potere, si ricollega la successiva disposizione di cui all'art. 571, che si occupa della legittimazione ad impugnare dell'imputato e del suo difensore, attribuendo a quest'ultimo una titolarità autonoma e parallela rispetto a quella dell'imputato.
8.1. In relazione a tali profili di ordine sistematico la Corte si è pronunciata affermando, riguardo all'ammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal difensore d'ufficio nell'interesse dell'imputato latitante, che quando propone l'impugnazione «il difensore esercita un potere proprio, in qualche misura autonomo dal potere d'impugnazione dell'imputato, tanto che il suo potere si aggiunge a quello del difensore eventualmente nominato dall'imputato allo specifico fine dell'impugnazione» (così, in motivazione, Sez. un., n. 24486 del 10 luglio 2006, Lepido, Rv. 233919).
In una successiva pronuncia la Corte è tornata ad esaminare i rapporti tra l'impugnazione proposta dal difensore e quella avanzata personalmente dall'imputato, affermando che, in virtù del principio di unicità del diritto di impugnazione, anche nell'ipotesi in cui il difensore stesso risulti normativamente legittimato (per così dire, jure proprio) a proporre personalmente l'atto di impugnazione, è l'imputato che ne subisce gli effetti, continuando ad essere la parte del giudizio di impugnazione (v., in motivazione, Sez. un., n. 6026, del 31 gennaio 2008, Huzuneanu, Rv. 238472).
Anche se proposta dal difensore, dunque, l'impugnazione - come recita la stessa rubrica dell'art. 571 c.p.p. - continua ad essere l'impugnazione «dell'imputato», sicché è del tutto agevole rinvenire, all'interno di tale cornice normativa, la ratio della regola in forza della quale è solo quest'ultimo (ex art. 571, comma 4, c.p.p.) a poter togliere effetto all'impugnazione proposta dal difensore, nei modi previsti per la rinuncia, e non viceversa.
Siffatta disposizione ha il compito di individuare i soggetti legittimati all'impugnazione, stabilendo per il solo imputato la concorrente legittimazione del suo difensore, senza spingersi a disciplinare anche le modalità concrete con le quali può essere esercitato il diritto a proporre l'impugnazione.
8.2. Ulteriore conferma di tale impostazione ricostruttiva del sistema può ricavarsi dal fatto che le modifiche apportate dalla l. n. 103 del 2017 non hanno investito in senso restrittivo la legittimazione ad impugnare dell'imputato, lasciando invariato il testo dell'art. 607 c.p.p., che continua a prevedere la possibilità per quest'ultimo di ricorrere per cassazione nei confronti della sentenza di condanna o di proscioglimento, nonché contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali.
Ciò sta a significare che l'imputato mantiene la titolarità del diritto di ricorrere in cassazione in via del tutto autonoma rispetto al proprio difensore, pur essendo solo quest'ultimo, ai sensi dell'art. 613, comma 1, cit., il soggetto legittimato alla proposizione dell'atto di impugnazione.
Nell'assetto normativo delineatosi a seguito della novella legislativa n. 103 del 2017 l'art. 607 c.p.p. continua a svolgere la specifica funzione di delimitare non tanto l'ambito soggettivo del mezzo di impugnazione, quanto quello oggettivo, con la conseguente individuazione dei provvedimenti suscettibili di ricorso per cassazione da parte dell'imputato.
Completamente diversa, invece, deve ritenersi la funzione attribuita dal legislatore all'art. 613 c.p.p., che non disciplina affatto la legittimazione all'impugnazione, ma unicamente le forme e le modalità soggettive di proposizione del ricorso, imponendo la sottoscrizione dell'atto introduttivo, delle memorie e dei motivi nuovi da parte di un difensore iscritto nell'apposito albo speciale della Corte.
Da tale esito ricostruttivo del sistema discendono due fondamentali conseguenze: a) per un verso, l'art. 571 c.p.p. esclude espressamente, attraverso il formale richiamo all'art. 613 c.p.p., che l'imputato possa proporre personalmente il ricorso per cassazione; b) per altro verso, è quest'ultima norma a disciplinare le modalità ed i requisiti soggettivi per la redazione e la sottoscrizione del ricorso, ferma restando l'autonoma legittimazione alla proposizione dell'impugnazione da parte del difensore, che continua a trovare la propria fonte nell'art. 571, comma 3, c.p.p.
Valorizzando il tradizionale canone dogmatico incentrato sulla esigenza di mantenere una precisa linea di distinzione tra il profilo della legittimazione all'impugnazione e quello attinente alle concrete modalità di esercizio di tale diritto, deve pertanto ritenersi che la modifica dell'art. 613 c.p.p. non ha determinato la tacita abrogazione di tutte le previsioni normative che contemplano il ricorso per cassazione dell'imputato, dovendo tali disposizioni essere correttamente inquadrate quali specifiche fonti di attribuzione della mera legittimazione soggettiva all'impugnazione.
Il principio della rappresentanza tecnica nel giudizio di legittimità opera, in definitiva, con riferimento a tutte le ipotesi, codicistiche ed extra-codicistiche, di ricorso per cassazione proponibile dall'imputato o da altri soggetti processuali ad esso equiparati.
Entro tale prospettiva ermeneutica, del resto, si è mossa questa Corte allorquando ha dovuto pronunciarsi sugli aspetti relativi all'ammissibilità del ricorso in cassazione proposto dall'avvocato iscritto nell'albo speciale, nominato quale sostituto dal difensore dell'imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista, fornendo indicazioni rilevanti anche ai fini che qui interessano.
Al riguardo, infatti, le Sezioni unite hanno distinto i profili della legittimazione ad impugnare, riconosciuta in capo al difensore dell'imputato, e delle modalità di esercizio della stessa, ritenendo ammissibile il ricorso in cassazione proposto da avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell'imputato non abilitato (Sez. un., n. 40517 del 28 aprile 2016, Taysir, Rv. 267627).
Il fondamento di tale esito interpretativo è stato individuato nel fatto che il difensore dell'imputato è titolare, in proprio, di un autonomo diritto di impugnazione che non può personalmente esercitare se non iscritto nell'albo speciale; tuttavia la sussistenza in capo al difensore di un autonomo diritto di impugnazione rende ammissibile il ricorso per cassazione proposto da un avvocato iscritto nell'albo speciale, nominato quale sostituto dal difensore di ufficio dell'imputato non cassazionista, in applicazione delle regole stabilite dall'art. 102, commi 1 e 2, c.p.p.
8.3. Non vi sono plausibili ragioni, sia di ordine strutturale che funzionale, per ritenere che il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto (art. 625-bis c.p.p.) debba essere escluso dall'ambito di applicazione del nuovo requisito soggettivo di legittimazione imposto, in via generale, dall'art. 613, comma 1, c.p.p. per la proposizione del ricorso in cassazione.
Il carattere di impugnazione straordinaria, indissolubilmente legato alla potenziale rimozione dello stigma di inoppugnabilità dei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione (v., in motivazione, Sez. un., n. 16103 del 27 marzo 2002, Basile), presuppone sempre e comunque l'esperibilità del mezzo attraverso la forma vincolata di un atto di ricorso avente ad oggetto la richiesta di correzione di un errore, materiale o di fatto, entro un termine perentorio tassativamente stabilito dalla legge (centottanta giorni dal deposito) proprio a tutela della certezza e definitività delle situazioni giuridiche soggettive accertate per effetto di un giudicato di condanna.
Le ragioni che hanno determinato il legislatore ad accrescere le garanzie di un razionale ed equilibrato esercizio della funzione di nomofilachia riservata alla Corte di cassazione mediante la selezione delle capacità tecniche dei soggetti legittimati alla proposizione dell'atto di ricorso (art. 613, comma 1, cit.) devono ritenersi quindi sussistenti anche con riferimento all'istituto del ricorso straordinario.
Siffatte ragioni, anzi, trovano nella eccezionalità di tale mezzo di impugnazione un'ancor più forte giustificazione legata alla naturale difficoltà, per una persona sfornita di specifiche cognizioni tecniche, di distinguere con precisione gli stretti confini che delimitano l'oggetto dei motivi per i quali esso può essere proposto (mera divergenza tra la volontà del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica nel provvedimento; dimensione meramente percettiva dell'errore di fatto causato da un equivoco o da una svista in cui la Corte sia incorsa, con l'irrilevanza di qualsiasi implicazione valutativa dei fatti sui quali la Corte è chiamata a pronunciare), da quelli invece legati a supposti errori di giudizio e di interpretazione, ovvero ad errori, pur percettivi, e a travisamenti del fatto nei quali sia incorso il giudizio di merito, che sono del tutto estranei all'ambito di applicazione dell'istituto e che, semmai, avrebbero dovuto esser fatti valere con le forme e nei limiti propri delle impugnazioni ordinarie (Sez. un., n. 16103 del 27 marzo 2002, Basile, Rv. 221280).
Con le modifiche apportate all'art. 625-bis, comma 3, c.p.p. il legislatore (art. 1, comma 68, della l. 23 giugno 2017, n. 103) ha inteso ridurre, al contempo, il rischio che un abusivo utilizzo di tale mezzo straordinario di impugnazione ne stravolga la naturale funzione di valvola di chiusura del sistema, prevedendo, con una semplificazione chiaramente ispirata all'esigenza di ridurre l'inutile spreco di tempi e costi delle attività processuali, che la stessa Corte di cassazione, "d'ufficio, in ogni momento e senza formalità", rilevi a tutela del condannato la presenza di un errore materiale, ovvero provveda direttamente alla correzione, senza dover attendere la sollecitazione delle parti e con esiti identici a quelli derivanti dall'accoglimento della loro eventuale iniziativa, entro il termine di novanta giorni dalla deliberazione, qualora si tratti di un errore di fatto.
Ciò, a maggior ragione, ove si consideri che l'area dei provvedimenti suscettibili di impugnazione con il ricorso straordinario è stata di recente estesa dal legislatore (interpolando l'art. 610 c.p.p. con l'aggiunta di un nuovo comma 5-bis, inseritovi dall'art. 1, comma 62, della l. 23 giugno 2017, n. 103) anche alle sentenze con le quali la Corte, senza formalità di procedura, dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e contro una sentenza (cd. "concordato in appello") pronunciata a norma dell'art. 599-bis c.p.p.
Questa Corte (Sez. un., n. 32744 del 27 luglio 2015, Zangari, Rv. 264048) si è occupata della problematica relativa alla legittimazione a proporre il ricorso straordinario, ponendo in rilievo l'autonomia del profilo attinente alla legittimazione ad impugnare, che è riferibile al solo soggetto "condannato" quale strumento eccezionale di tutela da possibili errori di fatto contenuti in una decisione di legittimità a lui comunque sfavorevole, rispetto alle concrete modalità di proposizione di un ricorso le cui peculiarità precludono l'applicabilità del disposto dell'art. 571, comma 3, c.p.p., in quanto espressamente riferito al "difensore dell'imputato" e non al "difensore del condannato".
Muovendo da tali premesse la Corte ha quindi affermato che è inammissibile, per difetto di legittimazione soggettiva, ossia di rappresentanza, il ricorso straordinario per la correzione di un errore di fatto proposto dal difensore del condannato che non sia munito di procura speciale ex art. 122 c.p.p. per la proposizione dell'impugnazione straordinaria.
All'esigenza riconnessa al compimento di tale specifico atto - che si rende necessario solo nel caso in cui venga dedotto un mero errore materiale (Sez. 4, n. 7660 del 17 novembre 2005, dep. 2006, Pero, Rv. 233395) - ed è volto a formalizzare il conferimento della rappresentanza del titolare della legittimazione sostanziale in vista del compimento di un determinato e particolare atto processuale, ossia di un ricorso avente ad oggetto la richiesta "rescindente" di cui all'art. 625-bis c.p.p., il legislatore ha pertanto affiancato l'ulteriore garanzia di effettività della difesa contemplata in via generale dagli artt. 613, comma 1, e 571, comma 1, c.p.p., ai fini dell'esercizio del relativo ius postulandi esclusivamente attraverso il patrocinio di un difensore le cui capacità tecniche risultino selezionate in virtù della sua iscrizione nell'albo speciale della Corte di cassazione.
8.4. Estranei all'ambito di applicazione della nuova disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, c.p.p. devono ritenersi, di contro, quei casi (ad es., il procedimento incidentale originato da una richiesta di rimessione avanzata dall'imputato ai sensi dell'art. 45 c.p.p.) in cui la Corte di cassazione sia investita di una particolare competenza non demandatale per effetto di un ricorso.
9. Sotto altro ma connesso profilo deve escludersi, contrariamente a quanto ipotizzato nell'ordinanza di rimessione, che l'abolizione del ricorso personale dell'imputato ponga problemi di compatibilità con i principi stabiliti dagli artt. 13, 24 e 111, comma 7, Cost. ovvero con le previsioni dell'art. 6, par. 3, lett. b) e c), della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella parte in cui stabilisce, fra l'altro, che ogni accusato ha il diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa, nonché di difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta.
9.1. La necessità del ricorso alla rappresentanza tecnica per l'esercizio del diritto di impugnazione in cassazione costituisce, proprio in ragione delle peculiari connotazioni del giudizio di legittimità, un'esigenza da tempo riconosciuta nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
Già sotto l'imperio del previgente codice di rito il giudice delle leggi, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 529 c.p.p., limitatamente alla parte in cui non disponeva che l'incarico per la sottoscrizione dei motivi di ricorso al difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione potesse essere conferito anche "con lettera raccomandata diretta allo stesso cancelliere", aveva evidenziato le peculiarità del giudizio di legittimità e come le stesse fossero "più che sufficienti a giustificare l'esigenza di una maggiore qualificazione culturale del difensore, attesa la delicatezza dei problemi giuridici che vanno discussi in quella sede" (Corte cost., sent. n. 588 del 12 maggio 1988).
Nella medesima prospettiva, inoltre, la Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 188 del 1980 ha osservato che alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo - il cui art. 6, n. 3, lett. c), prevede la possibilità di autodifesa - non può attribuirsi il significato della necessarietà della difesa personale in ogni stato e grado. In tale occasione il giudice delle leggi ha affermato che "la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali e che nei giudizi dinanzi ai Tribunali Superiori, nulla si oppone ad una diversa disciplina purché emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia".
Il carattere "costituzionalmente imposto" del controllo di legalità dell'operato dei giudici di merito mediante il ricorso in cassazione (Corte cost., sent. n. 395 del 13 luglio 2000) non preclude, tuttavia, la discrezionalità del legislatore ordinario nella possibilità di conformare razionalmente l'esercizio di tale garanzia e di rinvenire soluzioni, quali la esclusione della legittimazione personale alla impugnazione in sede di legittimità, volte a garantire un migliore funzionamento della Corte di cassazione ed un più agevole esercizio delle funzioni di nomofilachia alla stessa attribuite.
9.2. Analogo orientamento emerge dalla elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU, secondo cui la partecipazione e la difesa personale dell'imputato, pur costituendo principi informatori del processo penale, consentono una diversa graduazione a seconda della fase processuale. Si è affermato, pertanto, che la CEDU, pur se riconosce - nell'art. 6, par. 3, lett. c) - ad ogni imputato il diritto di «difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore» non precisa le condizioni di esercizio di tale diritto, lasciando agli Stati contraenti la scelta dei mezzi atti a permettere al loro sistema giudiziario di garantirlo (Corte EDU, Sez. 3, 27 aprile 2006, Sannino c. Italia § 48; Corte EDU, Sez. 5, 21 settembre 1993, Kremzow c. Austria; Corte EDU, 24 maggio 1991, § 52 Quaranta c. Svizzera, § 29).
La Corte EDU, pertanto, non ritiene indefettibile il diritto alla autodifesa, né, tanto meno, la presentazione personale del ricorso innanzi alle giurisdizioni superiori, atteso che tale garanzia ben può essere soddisfatta anche mediante la previsione della sola difesa tecnica.
9.3. Nella medesima prospettiva si è mossa questa Corte, che, intervenendo in tema di divieto dell'autodifesa anche nei confronti di soggetto professionalmente abilitato all'esercizio della stessa, ha in più occasioni ribadito che il sistema processuale penale non consente l'autodifesa per una scelta discrezionale di politica giudiziaria: scelta che, in quanto finalizzata a favorire l'effettività del diritto di difesa presidiato dall'art. 24 Cost., non può certamente ritenersi priva di coerenza (Sez. 5, n. 32143 del 3 aprile 2013, Querci, Rv. 256085; Sez. 1, n. 7786 del 29 gennaio 2008, Stara, Rv. 239237).
La ragione di tali affermazioni riposa sul convincimento che l'esercizio del fondamentale diritto di difesa - per il cui utile disimpegno in ambito penale non è sufficiente uno standard minimo di cognizioni tecniche - non possa essere affidato all'imputato, neppure nel caso in cui questi rivesta la qualità di avvocato, per evitare che lo svolgimento delle delicate funzioni difensive possa essere in alcun modo inquinato o condizionato dall'inevitabile coinvolgimento emotivo. Né il divieto dell'autodifesa nel processo penale si pone in contrasto con la previsione dell'art. 6 CEDU, in quanto il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia.
Al riguardo, inoltre, questa Corte ha affermato che, nel sistema del diritto processuale penale italiano, il legislatore ha delineato un modello di esercizio del diritto di difesa (e, conseguentemente, anche del diritto alla impugnazione) differenziato in relazione alle varie fasi e tipologie di processo (Sez. un., n. 31461 del 27 giugno 2006, Passamani, non mass.; Sez. 2, n. 40715 del 16 luglio 2013, Stara, Rv. 257072).
Alla richiamata esigenza di modulazione del diritto di difesa si ricollega l'affermazione del principio secondo cui «in tema di ricorso per cassazione è sempre necessaria la rappresentanza tecnica da parte di difensore abilitato, anche se ricorrente è un avvocato cassazionista, dovendosi escludere l'autodifesa tecnica e la difesa personale dell'interessato» (Sez. 2, n. 2724 del 18 gennaio 2013, Cappa, Rv. 255083). E il principio della rappresentanza tecnica è pienamente compatibile con il diritto di ogni accusato di difendersi da sé, così come riconosciuto dall'art. 6, par. 2, lett. c), CEDU, poiché tale norma convenzionale implica, solo nel giudizio di merito sull'accusa e non anche nel giudizio di legittimità, l'obbligo di assicurare il diritto dell'accusato di contribuire con il difensore tecnico alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione delle relative conseguenze giuridiche.
La stessa partecipazione personale dell'imputato deve considerarsi un diritto costituzionalmente tutelato solo in quei procedimenti in cui viene trattato il merito dell'accusa penale, mentre in altri modelli procedimentali il diritto di difesa e quello al contraddittorio ben possono essere garantiti attraverso la rappresentanza dei difensori (Sez. 6, n. 22113 del 6 maggio 2013, Berlusconi, Rv. 255374).
L'istituzione dell'albo speciale, con riserva ai soli iscritti della facoltà di difendere davanti alle giurisdizioni superiori, trova una sua oggettiva giustificazione proprio nell'esigenza di assicurare un alto livello di professionalità, adeguato all'importanza e alle difficoltà del giudizio di legittimità (Sez. 1, n. 1650 del 14 marzo 1996, Cappellazzo, Rv. 204598).
9.4. L'effettività del diritto di difesa, quindi, non richiede necessariamente che le medesime modalità di esercizio e le correlative facoltà siano uniformemente assicurate in ogni grado del giudizio, poiché tale diritto può conformarsi secondo schemi normativi diversi a seconda delle caratteristiche proprie della fase di giudizio nella quale deve essere esercitato.
Ne discende che al legislatore va riconosciuta ampia discrezionalità nel graduare diversamente le forme e le modalità mediante le quali la difesa tecnica e personale viene garantita all'imputato.
La previsione dell'art. 613, comma 1, c.p.p., proprio in ragione delle approfondite conoscenze giuridiche e dell'elevato livello di qualificazione professionale che postula l'esercizio del diritto di difesa innanzi alla Corte di cassazione, non costituisce affatto una irragionevole espressione della discrezionalità legislativa (Sez. 6, n. 42062 del 13 settembre 2017, Lissandrello, in motivazione), specie in un sistema che ammette il gratuito patrocinio a spese dello Stato (ex artt. 74 ss. del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).
Né può ritenersi che l'esclusione della legittimazione dell'imputato a sottoscrivere personalmente il ricorso per cassazione frapponga limitazioni del pieno esercizio del diritto di impugnazione in materia cautelare, in quanto la novellata disciplina dell'art. 613, comma 1, c.p.p. incide, come si è visto, sul diritto alla autodifesa dell'imputato, non già sulla titolarità del diritto al controllo di legittimità della decisione di merito - che permane immutata - mentre il diritto di impugnazione può essere sempre esercitato - in tempi rapidi, ma ragionevolmente compatibili con l'esercizio del diritto di difesa - mediante l'ausilio tecnico di un difensore particolarmente qualificato ed appositamente legittimato.
10. In conclusione, la questione posta dall'ordinanza di rimessione va risolta enunciando il seguente principio di diritto: «Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere personalmente proposto dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione».
11. Alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, assume rilievo preliminare ed assorbente la considerazione del fatto che il ricorso è stato personalmente sottoscritto dall'imputato e da lui presentato in data 31 agosto 2017 ai Carabinieri che procedevano al controllo sull'osservanza delle prescrizioni relative alla misura cautelare degli arresti domiciliari, dunque a seguito dell'entrata in vigore, avvenuta il 3 agosto 2017, delle modifiche apportate dalla l. n. 103 del 23 giugno 2017.
Nel caso in esame, inoltre, sebbene il provvedimento impugnato sia stato adottato il 25 luglio 2017, e depositato nella Cancelleria del Tribunale il 27 luglio 2017, ossia in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della l. n. 103 del 2017, esso risulta essere stato notificato all'imputato in data 21 agosto 2017, nel pieno vigore della nuova normativa processuale, con la conseguenza che l'esercizio del suo diritto di impugnazione ai sensi dell'art. 311, comma 1, c.p.p., avrebbe dovuto necessariamente essere conformato ad essa.
Ne discende la inammissibilità del ricorso ai sensi degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, c.p.p., in quanto non sottoscritto da un difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione.
12. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le conseguenziali statuizioni indicate nel dispositivo.
Non deve essere pronunciata, peraltro, la condanna del ricorrente al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, avuto riguardo alle statuizioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che, per l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale insorto a seguito dell'entrata in vigore di una legge di modifica di risalenti disposizioni normative, non sono ravvisabili ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 23 febbraio 2018.
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