In tema di ricorso avverso i provvedimenti cautelari reali, costituiscono violazione di legge legittimante ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen, sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
L’omesso avviso della data dell’udienza fissata per la trattazione del riesame a uno dei due difensori di fiducia, nominato prima dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza, è causa di nullità a regime intermedio, che non può essere dedotta dall’indagato qualora egli abbia concorso a darvi causa non essendosi attivato per portare il nuovo difensore a conoscenza della data dell’udienza.
Il delitto di violazione dei sigilli di cui all’art. 349 cod. pen. si perfeziona con qualsiasi condotta idonea ad eludere l’obbligo di immodificabilità del bene, pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell’avvenuto sequestro, sempre che si tratti di soggetto comunque edotto del vincolo posto sul bene.
La fattispecie di lottizzazione abusiva è reato progressivo nell’evento che giunge a compimento solo con l’ultimazione delle costruzioni, sicché anche quando le attività di edificazione siano portate a termine da persone diverse da quelle che hanno proceduto alla lottizzazione, la permanenza cessa solo quando l’intero programma di lottizzazione viene attuato e cioè all’epoca di ultimazione della ultima opera, sia essa una costruzione abusiva o un’urbanizzazione primaria o secondaria; conseguentemente solo da tale momento può computarsi il termine necessario per la prescrizione del reato.
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 3^ Penale, Sentenza 06/09/2021 (Ud. 29/04/2021), Sentenza n.32889
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
SENTENZA
avverso il provvedimento del 29/01/2021 dei TRIBUNALE DI LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29 gennaio 2021, il Tribunale di Lecce ha rigettato l’istanza di riesame, proposta nell’interesse di M. e T. – indagati entrambi per reati di cui agi artt. 81, 110 cod. pen. e 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), T. anche per il reato di cui all’art. 349, secondo comma, cod. pen. (capo B) e M. altresì per il reato di cui agli artt. 110, 48 e 480 cod. pan. (capo C) – avverso il decreto del Gip presso il Tribunale di Lecce del 22/12/2020, con cui era stato disposto il sequestro preventivo dell’area e di tutte le strutture e manufatti costituenti l’intero complesso edilizio a vocazione esclusivamente residenziale, realizzato in Galatone, ...., oggetto dell’imputazione.
2. Avverso l’ordinanza gli indagati hanno proposto, tramite difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con una prima doglianza, si deduce la violazione dell’art. 324, comma 6, cod. proc. pen., in relazione all’inosservanza del termine a comparire per il secondo difensore, che costituirebbe una nullità di ordine generale, codificata dall’art. 178, comma 1, lettera , cod, proc. pen., insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
La difesa contesta la motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui è onere dell’indagato avvisare per tempo il proprio difensore della data di udienza. A parere della difesa, il Tribunale del riesame, avendo ricevuto la nomina del secondo difensore tardivamente, non per negligenza dell’indagato ma per la sua tradiva trasmissione da parte del pubblico ministero, e avendo l’obbligo di rispettare il termine dilatorio di tre giorni ex art. 324, comma 6, cod. proc. pen., avrebbe dovuto concedere un ulteriore termine per la comparizione delle parti.
2.2. Con una seconda censura, si lamenta la violazione degli artt. 405, 406 e 407 cod. proc. pen., in relazione al mancato rispetto del termine massimo di durata delle indagini, pari a sei mesi, e alla conseguente inutilizzabilità degli atti investigativi compiuti dopo il 16/12/2017, limite temporale per lo svolgimento di tali indagini.
La difesa contesta la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale del riesame, in merito ai termini di chiusura delle indagini, ritenendo errato il termine massimo di diciotto mesi, indicato nell’ordinanza impugnata, sul rilievo che, in assenza della concessione di due valide proroghe, risulta nei caso di specie operante l’inferiore limite temporale di sei mesi. La difesa opera una dettagliata ricostruzione dei fatti, dalla data di iscrizione dei due procedimenti, inizialmente separati, nel registro delle notizie di reato per T. (RGNR 4401/2017) e M. (RGNR 7077/2018), in ordine al reato di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001, alla successiva riunione operata dal pubblico ministero il 31/05/2019 in unico procedimento n. 4401/2017, dopo che era stata richiesta archiviazione per il procedimento n. 7077/2018, relativo a M. – per estinzione dei reato a seguito di intervenuta autorizzazione in sanatoria – al Gip del Tribunale di Lecce, presso il quale si trovava il fascicolo nelle more della decisione.
La difesa censura, anzitutto, la riunione dei due procedimenti operata dal pubblico ministero prima della pronuncia dei Gip sulla precedente richiesta di archiviazione e dopo il decorso del termine massimo per la chiusura delle indagini, che il Tribunale ha ritenuto erroneamente legittima.
La difesa, a sostegno della ritenuta violazione del limite temporale di cui all’art. 405 cod. proc. pen., rileva l’operatività nel caso di specie della deroga alla sospensione in periodo feriale dei termini delle indagini preliminari, prevista per i procedimenti per reati di criminalità organizzata e per quelli aventi ad oggetto misure cautelari reali. Inoltre, la difesa, richiamando la circostanza dell’apertura, nel gennaio 2014, di un fascicolo contro ignoti per reati edilizi, contenente un’informativa del luglio 2014 che identificava compiutamente il T., lamenta sia il ritardo della Procura della Repubblica nell’iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato – avvenuta solo in data 16/05/2017 – che la maturata prescrizione del reato da questi commesso, in quanto relativo a opere edilizie che risalgono al più tardi all’anno 2013 e che, successivamente, non hanno subito alcuna trasformazione o modifica, come emergerebbe dalla perizia dell’architetto Resta.
Dunque, la difesa, lamentando la violazione del termine massimo per la durata delle indagini, deduce l’inutilizzabilità degli atti investigativi, quali la consulenza dell’ingegnere Congedo depositata il 07/06/2018, l’integrazione della consulenza depositata il 07/12/2018, la seconda consulenza del 28/09/2020, i verbali di sopralluogo del 22/02/2019, del 06/06/2019, del 24/11/2020 e del 30/10/2019, le informative del 22/09/2020 e del 03/12/2020.
Inoltre, a parere della difesa, proprio il contenuto della perizia dell’ingegnere Congedo, ritenuta inutilizzabile, ha determinato il pubblico ministero ad iscrivere i reato di lottizzazione abusiva a carico di T. il 13/03/2019, e a carico di M., D. e R. il 21/03/2019, con violazione dell’art. 335, comma 2, cod. proc. pen. La difesa, invero, lamenta l’illegittimità della nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, sul rilievo che, al contrario di quanto affermato dal Tribunale del riesame, non si tratta di un nuovo fatto, ma della riqualificazione giuridica del medesimo fatto contestato nell’ambito dei procedimenti riuniti (nn.
4401/2017 e 7077/2018), che avrebbe dovuto determinare un mero aggiornamento della notizia di reato già iscritta.
Si afferma che gli abusi edilizi contestati, al momento della nuova iscrizione del reato di lottizzazione abusiva, erano gli stessi di quelli oggetto dei procedimenti riuniti, già prescritti per T. e in parte sanati per M..
Infine, la difesa, in relazione al capo B) dell’imputazione, lamenta la violazione dell’art. 349 cod. pen., sul rilievo che non possa configurarsi il reato di violazione di sigilli in assenza della loro materiale apposizione sui beni oggetto dì sequestro, nella fattispecie non apposti. inoltre, è censurata la contestata realizzazione di nuove opere abusive da parte dell’indagato T., sul rilievo che quest’ultimo ha completato esclusivamente H fabbricato dell’impianto fotovoltaico, che risulta legittimo in quanto preventivamente autorizzato.
La difesa contesta, altresì, l’imputazione di nuove opere di installazione degli infissi sui locali, ritenendo questi già presenti in epoca antecedente al disposto sequestro probatorio, e riguardo al riempimento della piscina con acqua pulita e alla presenza di alcune sdraio – ritenuto sintomatico della violazione dei sigilli – lamenta l’impossibilità di chiudere una piscina dall’esterno senza riempirla con acqua, con l’apposizione di un telone galleggiante di copertura, attività necessaria per adempiere agli obblighi dì custode.
3. In data 12/04/2021, i ricorrenti hanno presentato memorie, con le quali ribadiscono, in replica alle conclusioni scritte del Procuratore generale: in merito al primo motivo di ricorso, che la nomina del secondo difensore è stata depositata presso la cancelleria del pubblico ministero prima della notifica del decreto di fissazione dell’udienza del riesame; in relazione alla seconda doglianza, che il richiamato procedimento penale n. 710/2014 e la censurata inesistenza di richieste di proroga del termine massimo delle indagini non costituiscono circostanze nuove, essendo ben note al Tribunale del riesame; in relazione al reato di violazione di sigilli, l’inconsistenza delle residue condotte contestate, comprovanti la effettiva conservazione dei beni da parte dell’indagato T..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
1.1. Il primo motivo di impugnazione – con cui si lamenta la violazione dell’art. 324, comma 6, cod. proc. pen., in relazione all’inosservanza del termine a comparire per il secondo difensore – è infondato.
La difesa, nell’eccepire la conseguente nullità assoluta ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen, e nel censurare l’imputabilità del ritardo della nomina del secondo difensore alla negligenza dei pubblico ministero, che ha tardivamente trasmesso li relativo atto al Tribunale del riesame, non contesta la circostanza indicata nell’ordinanza impugnata, secondo cui la nomina del secondo difensore dell’indagato T. risaie al 22/01/2021, data successiva al deposito dell’istanza di riesame dei 18/01/2021.
Secondo gli insegnamenti di questa Corte, al difensore di fiducia dell’imputato, che sia stato nominato in data successiva a quella della richiesta di riesame senza che il tribunale ne abbia avuto conoscenza, non spetta l’avviso della data fissata per l’udienza, gravando sull’indagato un onere di attivazione e diligenza per consentire al difensore di svolgere il proprio mandato (Sez. 6, n. 30781 del 29/09/2020; Sez. 3, n. 26266 del 18/01/2018). Inoltre, in relazione al carattere della nullità derivante dalla violazione dell’art. 324, comma 6, cod. proc. pen., è consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di riesame, la violazione dei tre giorni liberi di cui agli artt. 309, comma 8, e 324, comma 6, cod. proc. pen. non determina una nullità di carattere assoluto, con la conseguenza che essa è assoggettata ai termini di deducibilità di cui all’art. 182 cod. proc. pen. e alla sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. peri., e che tale vizio non può essere comunque eccepito da chi vi ha dato causa o ha concorso a darvi causa (Sez. 3, n. 44075 del 10/07/2014). Dunque, l’omesso avviso della data dell’udienza fissata per la trattazione del riesame a uno dei due difensori di fiducia, nominato prima dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza, è causa di nullità a regime intermedio, che non può essere dedotta dall’indagato qualora egli abbia concorso a darvi causa non essendosi attivato per portare il nuovo difensore a conoscenza della data dell’udienza (Sez. 4, n. 45208 dei 08/10/2019).
Tali principi di diritto risultano correttamente applicati dal Tribunale che, con sufficiente, coerente e logica motivazione, ha ritenuto che fosse onere dell’indagato T., già assistito da un dfensore di fiducia, a cui era stato tempestivamente notificato l’avviso di fissazione dell’udienza, informare il secondo difensore della data di udienza per consentirgli di esplicare il suo mandato.
Il Tribunale osserva, inoltre, che l’atto di nomina dei nuovo difensore era stato depositato ad un Giudice incompetente, quale il Gip, che non aveva la materiale disponibilità del fascicolo e, nei caso in esame, rileva altresì l’applicazione della regola dettata dall’art. 182, comma 1, cod. proc. pen., secondo la quale le nullità diverse da quelle assolute e insanabili non possono essere eccepite da chi vi ha dato o concorso a darvi causa.
1.2. Il secondo motivo di censura – con cui si lamenta la violazione degli artt. 405, 406 e 407 cod. proc. peri., in relazione al mancato rispetto del termine massimo di durata delle indagini preliminari e alla conseguente inutilizzabilità degli atti investigativi compiuti dopo il limite temporale del 16/12/2017 – è in parte inammissibile e in parte infondato.
1.2.1. La difesa propone una ricostruzione dei fatti – dalle date di iscrizione dei due procedimenti inizialmente separati, alla successiva riunione dei medesimi e alla nuova iscrizione dei procedimenti per lottizzazione abusiva – diversa rispetto a quella operata dal Tribunale del riesame, comprendente anche il richiamo a circostanze fattuali che appaiono nuove rispetto all’ordinanza impugnata, come il riferimento al procedimento contro ignoti n. 710/2014 e all’assenza di richieste di proroga del termine di durata delle indagini preliminari. Tale doglianza, muovendo da una ricostruzione di fatti alternativa a quella accertata nell’ordinanza impugnata, risulta inammissibile in quanto viola i limiti posti dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., non prospettando alcun vizio di violazione di legge o di mancanza integrale della motivazione.
Va ricordato, sul punto, che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003). Dunque, in tema di ricorso avverso i provvedimenti cautelari reali, costituiscono violazione di legge legittimante ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen, sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 02/02/2017).
Inoltre, le censure di inosservanza del termine massimo della durata delle indagini preliminari e di inutilizzabilità degli atti investigativi rappresentano la mera ripetizione di doglianze già esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di riesame. È sufficiente richiamare la motivazione dell’ordinanza impugnata, che risulta comunque priva di vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà, nella parte in cui confuta la ricostruzione fattuale proposta dalla difesa con istanza di riesame, in quanto non corretta, ed evidenzia come i procedimenti n. 4401/2017 per T. e n. 7077/2018 per M., inizialmente separati, riguardassero il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), dei d.P.R. n. 380 del 2001. Il Tribunale evidenzia, inoltre, che sia T., in data 13/03/2019, che M., in data 21/03/2019, venivano iscritti per il diverso reato di lottizzazione abusiva ex art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, dai cui momenti temporali iniziavano a decorrere i termini massimi per la chiusura delle indagini preliminari.
Successivamente, in data 24/11/2020, T. era stato iscritto nel registro degli indagati anche per il reato di cui all’art. 349, secondo comma, cod. pen., a seguito del sopralluogo effettuato dalla poilzia giudiziaria, con cui erano state accertate la prosecuzione dei lavori e la violazione dei sigilli apposti con precedente sequestro probatorio.
Pertanto, come ben evidenziato dall’ordinanza impugnata, gli atti indiziari risultano ampiamente utilizzabili in quanto tempestivi, al contrario di quanto censurato dalla difesa. In species, la consulenza dell’ingegnere Congedo depositata il 07/06/2018 e la sua integrazione del 07/12/2018 sono antecedenti all’iscrizione delle notizie di reato di lottizzazione abusiva in capo agli indagati, mentre le ulteriori informative e i verbali di sopralluogo dell’anno 2019 e 2020 sono utilizzabili in quanto riferibili al reato di violazione di sigilli di cui al capo B) o dell’imputazione, per il quale T. è stato iscritto nel registro degli indagati in data 24/11/2020.
Inoltre, la doglianza di inutilizzabilità dei succitati atti indiziari risulta comunque inammissibile, in quanto formulata in termini non specifici, senza alcuna prospettazione ed evidenza, da parte della difesa, della possibile incidenza probatoria di tali atti di indagine ai fini del sequestro preventivo.
Per quanto attiene, invece, la specifica censura della motivazione dell’ordinanza impugnata con cui si considera applicabile il termine di diciotto mesi, ritenuto errato dalla difesa, essa risulta irrilevante ai fini dell’utilizzabilità degli atti indiziari suelencati, in ragione della circostanza fattuale, ricostruita dal Tribunale dei riesame, delle nuove iscrizioni nel registro delle notizie di reato, risalenti al 13/03/2019 per T. e al 21/03/2019 per M..
1.2.2. La difesa solleva, con il secondo motivo di ricorso, ulteriori censure in ordine alla nuova iscrizione degli indagati per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e alla riunione dei due procedimenti inizialmente separati, operata dal pubblico ministero, dopo aver richiesto l’archiviazione al Gip per il procedimento n. 7077/2018 relativo a M., le quali risultano infondate.
Per quanto attiene alla prima, il Tribunale dei riesame ha osservato, con motivazione sufficiente e logicamente coerente, come non vi sia stata alcuna nuova iscrizione previa riqualificazione giuridica dei fatti già iscritti nel registro degli indagati – come erroneamente sostenuto dalla difesa già con istanza di riesame – ma come il pubblico ministero abbia, invece„ proceduto all’iscrizione di un autonomo reato costituito dalla lottizzazione abusiva. Il Tribunale, evidenziando la diversità ontologica sussistente tra il reato di costruzione abusiva e quello di lottizzazione abusiva, ha rilevato che risulta diverso il fatto storico inizialmente contestato con riferimento alla costruzione in assenza o in difformità dai titoli ablativi, dall’ipotesi di lottizzazione abusiva, che implica che la costruzione – che determina una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio in zona non adeguatamente urbanizzata – sia stata posta in essere in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Il Tribunale ha evidenziato, invero, che è ipotizzabile un concorso tra la fattispecie di lottizzazione abusiva e quella di costruzione posta in essere in assenza di permesso di costruire, in conformità agli insegnamenti di questa Corte, secondo cui il reato di lottizzazione abusiva, previsto dall’art. 44, primo comma, lettera c), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può concorrere materialmente con le altre violazioni edilizie previste dalle lettere a) e h) del medesimo articolo (Sez. 3, n. 46478 del 04/05/2017; Sez. 3, n. 9307 dei 24/02/2011).
Per quanto attiene alla censura relativa alla riunione dei procedimenti operata dal pubblico ministero, dopo la richiesta al Gip di archiviazione del procedimento n. 7077/2018, il Tribunale ha rigettato la medesima doglianza sollevata con istanza di riesame, rilevando la legittimità di tale riunione in ragione del fatto che il Gip, in data 31/05/2019, non si era ancora pronunciato sulla richiesta. La motivazione dell’ordinanza impugnata risulta conforme agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, nella parte in cui considera ammissibile la revoca da parte del pubblico ministero della richiesta di archiviazione, sulla quale il giudice non si sia ancora pronunciato, e ritiene, al contrario abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, in presenza di detta revoca, disponga invece l’archiviazione (ex plurimis, Sez. 5, n. 17634 dei 06/12/2019).
Il Tribunale ha, dunque, evidenziato che la revoca del pubblico ministero può essere espressa o tacita, in quanto ciò che rileva è che essa sia univoca (Sez. 6, n. 11379 del 29/01/2018). Nel caso in esame, come correttamente motivato dall’ordinanza impugnata, il pubblico ministero, chiedendo la restituzione degli atti del procedimento n. 7077/2018 e procedendo alla riunione con altro procedimento, aveva manifestato in maniera univoca la volontà di revocare la richiesta di archiviazione.
1.2.3. L’ulteriore censura, sollevata dalla difesa, sull’operatività nel caso di specie della deroga alla sospensione nel periodo feriale dei termini massimi di durata delle indagini preliminari è inammissibile per manifesta infondatezza. E’ sufficiente richiamare la motivazione dell’ordinanza impugnata che, nel ritenere applicabile nel caso di specie la sospensione del termine di chiusura delle indagini per il periodo feriale, risulta conforme ai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, invero, l’art. 2 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, prevede che la sospensione dei termini delle indagini preliminari non opera nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, e che tale deroga riguarda anche quelli inerenti alle procedure incidentali in materia di misure cautelari reali (ex plurimis, Sez. 4, n, 146 del 19/12/2018„ dep, 03/01/2019).
Dunque, come correttamente evidenziato dal Tribunale, la deroga alla sospensione nel periodo feriale opera solo nel caso di misure cautelari connesse con reati di criminalità organizzata, i quali risultano assenti nella fattispecie in esame.
1.2.4. La doglianza riferita alla maturata prescrizione dei reato di lottizzazione abusiva contestato all’indagato T., relativo a opere edilizie che risalgono all’anno 2013 e che, secondo il consulente di parte Resta, non hanno subito successivamente alcuna trasformazione o modifica, è inammissibile in quanto viola i limiti posti dall’art. 325 cod. proc. pen., al ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali. La difesa, invero, propone una ricostruzione alternativa dei fatti, diversa da quella realizzata dall’ordinanza impugnata, senza prospettare vizi di violazione di legge o di mancanza integrale della motivazione.
Il Tribunale, nei rigettare la medesima censura sollevata con istanza di riesame, evidenzia la natura di reato permanente della contravvenzione di lottizzazione abusiva, che viene a perfezionarsi con il compimento dell’ultimo atto lottizzatorio che, nel caso di lottizzazione meramente negoziale, è normalmente rappresentato dall’ultimo atto di vendita e, nella lottizzazione materiale, dall’ultima opera materiale realizzata. Il Tribunale, pertanto, osserva che le conclusioni del consulente di parte, richiamate dalla difesa, sono smentite dalle indagini della polizia giudiziaria che, in data 24/11/2020„ ha accertato che le opere, allo stato rustico al momento del sequestro probatorio, erano state completate alla data del sopralluogo. Dunque, il Tribunale ha evidenziato che il termine di prescrizione decorrerà dalla data del decreto dei sequestro preventivo e cioè dal 22/12/2020, a meno che non si accerti che gli indagati, oltre che utilizzare gli immobili dopo il predetto sequestro preventivo, abbiano compiuto anche ulteriori opere, nel qual caso il termine di prescrizione inizierà a decorrere dall’esaurimento dell’attività edilizia.
Tale motivazione rappresenta una corretta applicazione degli insegnamenti di questa Corte, secondo cui la fattispecie di lottizzazione abusiva è reato progressivo nell’evento che giunge a compimento solo con l’ultimazione delle costruzioni, sicché anche quando le attività di edificazione siano portate a termine da persone diverse da quelle che hanno proceduto alla lottizzazione, la permanenza cessa solo quando l’intero programma di lottizzazione viene attuato e cioè all’epoca di ultimazione della ultima opera, sia essa una costruzione abusiva o un’urbanizzazione primaria o secondaria; conseguentemente solo da tale momento può computarsi il termine necessario per la prescrizione del reato (ex plurimis, Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017).
1.2.5. Infine, l’ultima censura„ sollevata dalla difesa con il medesimo motivo di ricorso, in ordine all’insussistenza del reato ex art. 349 cod. pen., contestato all’indagato T. nel capo B) dell’imputazione, per l’assenza della materiale apposizione dei sigilli sui beni oggetto di sequestro probatorio, è inammissibile per manifesta infondatezza e perché contraria ai limiti posti dall’art. 325 cod. proc. pen. al ricorso per cassazione.
La difesa prospetta mere asserzioni fattuali – in ordine alle nuove opere di installazione degli infissi sui locali, all’attività di riempimento della piscina con acqua pulita e alla sua copertura con telo – che sono dirette a sollecitare una
sostanziale valutazione di merito, preclusa alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. Inoltre, tale censura si traduce in una ricostruzione dei fatti alternativa a quella prospettata dal Tribunale del riesame, senza la previsione di alcun vizio di violazione di legge o di mancanza radicale di motivazione dell’ordinanza impugnata. Il Tribunale, in ogni caso, ha rilevato l’infondatezza della censura difensiva che esclude la configurabilità del reato di cui all’art. 349 cod. pen. in assenza di sigilli o segni esteriori materialmente apposti ai beni sequestrati.
Il Tribunale ha evidenziato, inoltre, che nei caso di specie a T. era stato notificato il decreto di sequestro probatorio, a mani proprie, in data 06/06/2019, dal cui verbale di esecuzione emerge altresì che, alla presenza del medesimo, era stato apposto anche un cartello indicante l’avvenuto sequestro e il divieto di accesso a persone non autorizzate. Il Tribunale ha osservato che, nonostante ciò, T. aveva continuato ad ultimare gli interventi edilizi essendo pienamente consapevole della loro illiceità, come verificato in data 24/11/2020 dal personale della Polizia provinciale. E tale motivazione risulta conforme al principio di diritto espresso pacificamente dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il delitto di violazione dei sigilli di cui all’art. 349 cod. pen. si perfeziona con qualsiasi condotta idonea ad eludere l’obbligo di immodificabilità del bene, pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell’avvenuto sequestro, sempre che si tratti di soggetto comunque edotto del vincolo posto sul bene (Sez. 3, n. 43169 dei 15/05/2018).
2. I ricorsi, per tali motivi, devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/04/2021.
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