L'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità è consentita solo in presenza "di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo".
Lo ha ribadito la sezione feriale penale della Cassazione, con la sentenza n. 30572 depositata il 2 agosto 2022, richiamando il caso Scaffidi (Corte costituzionale, sentenza n. 150 del 2021).
La Consulta ha avuto modo di precisare che occorre un temperamento fra la libertà di espressione, che costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, e la reputazione individuale che è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignità della persona.
Il giudice perciò, nella scelta tra reclusione (da sei mesi a tre anni) e multa (non inferiore a 516 Euro) di cui all'art. 595 c.p., comma 3, dovrà tener conto dei criteri di commisurazione della pena indicati nell'art. 133 c.p., e - ancor prima - delle indicazioni derivanti dalla Costituzione e dalla CEDU secondo le coordinate interpretative fornite da questa Corte e dalla Corte EDU.
In particolare l'eccezionale gravità della condotta, può esser individuata nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsità dei fatti ad essa addebitati.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha reputato inammissibile la condanna a tre mesi di reclusione comminata all'imputato, colpevole di aver diffuso scritte offensive (tramite cartoncini, un foglio e un lenzuolo) ai danni di un uomo di origini straniere.
A seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, l'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità è consentita solo in presenza "di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo".
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, Sentenza n. 30572 del 28/07/2022 (dep. 02/08/2022)
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di P.G. alla pena di mesi tre di reclusione per il reato di diffamazione, commesso ai danni di O.N.A.C., con l'impiego di mezzi di pubblicità (art. 595 c.p., commi 1 e 3), e consistito nella diffusione di scritte offensive riprodotte su un lenzuolo, su cartoncini e su un foglio.
2. Ricorre l'imputata, tramite il difensore, proponendo un unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la nullità della sentenza impugnata, perché notificata all'avv. Stefania Del Lungo del foro di Roma, nonostante fosse stato nominato difensore di fiducia l'avv. Giuliano Lelli Mami.
3. Il difensore dell'imputata ha depositato due memorie datate 20 luglio e 21 luglio 2022, con le quali chiede: di "dichiarare ammissibile il ricorso"; di "rimettere in termini la difesa dell'imputata per avanzare la richiesta di svolgere l'udienza di discussione in presenza"; di "autorizzare l'esecuzione dell'udienza di discussione in presenza".
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, tuttavia deve essere rilevata di ufficio la illegalità della pena detentiva inflitta, che comporta la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
2. Nelle due memorie il difensore evidenzia di aver ricevuto la notificazione della citazione soltanto il 4 luglio 2022, oltre il termine minimo a comparire di trenta giorni, con la conseguente impossibilità di rispettare il termine di venticinque giorni per formulare istanza di discussione orale.
Si tratta di questione manifestamente infondata, poiché nel presente giudizio è stata disposta l'abbreviazione dei termini, ai sensi dell'art. 169 disp. att. c.p.p..
In conseguenza di detto provvedimento:
- il termine minimo a comparire è pari a venti giorni ed è stato rispettato;
- il processo è stato trattato in pubblica udienza, ma il difensore non si è presentato.
3. L'unico motivo di ricorso è manifestamente infondato.
3.1. L'imputata si duole della omessa notificazione della "sentenza
impugnata" al proprio difensore di fiducia, avv. Giuliano Lelli Mami.
Nessuna notificazione della sentenza, però, era dovuta alle parti in quanto:
- torna applicabile il regime introdotto dalla L. n. 67 del 2014, non quello, anteriore, del procedimento contumaciale;
- la motivazione della sentenza di appello, deliberata il 21 settembre 2021, è stata depositata in data 11 ottobre 2021 nel termine che il giudice si è assegnato ex art. 544 c.p.p., comma 3, (60 giorni).
3.2 Per ragioni di completezza va aggiunto che:
- l'imputata, che ha partecipato al giudizio di primo grado, è stata assistita per l'intero corso del giudizio dall'avv. Stefania Del Lungo (tuttora suo difensore);
- con l'atto di appello l'imputata ha nominato come ulteriore difensore di fiducia l'avv. Giuliano Lelli Mami, in aggiunta all'avv. Del Lungo, che ha continuato a patrocinarla in assenza di revoca.
4. Nonostante la inammissibilità del ricorso, deve essere rilevata di ufficio la illegalità della pena detentiva applicata all'imputata nella misura di mesi tre di reclusione; con la conseguenza che, agli effetti penali, deve essere dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione.
4.1. Invero, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, l'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità è consentita solo in presenza "di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo".
Prima dell'intervento della Corte Costituzionale, una pronuncia della Corte di cassazione si era già espressa nel senso della validità del principio in ogni caso di offesa recata con la stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità, in particolare tramite internet, anche al di fuori dell'attività giornalistica (Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, Scaffidi, Rv. 281024).
Il principio della sentenza Scaffidi ha anticipato (ricevendo espresso avallo) i contenuti della decisione assunta dalla Consulta all'udienza pubblica del 22 giugno 2021 (sent. n. 150 depositata il 12 luglio 2021 cit.) che - dopo aver dichiarato costituzionalmente illegittima la disposizione della L. n. 47 del 1948, art. 13 "nella sua interezza", per contrasto con l'art. 21 Cost. e art. 10 CEDU - ha chiarito che l'abolizione della lex specialis non crea un vuoto di tutela poiché si riespande l'ambito precettivo delle norme generali dettate dall'art. 595 c.p., commi 2 e 3.
La Corte costituzionale si è interrogata, poi, sulla compatibilità costituzionale del regime sanzionatorio delineato dal citato art. 595 c.p., comma 3 (pena detentiva alternativa a quella pecuniaria), offrendo una risposta positiva, purché entro rigorosi limiti, che sono riferiti espressamente all'intera gamma delle ipotesi contemplate dalla norma vale a dire ai casi in cui "l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico".
E' utile trascrivere i passaggi fondamentali della sentenza n. 150 del 2021, sì da dare atto non solo del percorso argomentativo ma anche dell'ambito interessato dalla decisione:
- "se è vero che la libertà di espressione - in particolare sub specie di diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti - costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non è men vero che la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignità della persona";
- "aggressioni illegittime a tale diritto compiute attraverso la stampa, o attraverso gli altri mezzi di pubblicità cui si riferisce l'art. 595 c.p., comma 3, - la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e gli altri siti internet, i social media, e così via -, possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime. E tali danni sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati proprio dai moderni mezzi di comunicazione, che rendono agevolmente reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni, tutti gli addebiti diffamatori associati al nome della vittima";
- "questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall'ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare";
- "tra questi strumenti non può in assoluto escludersi la sanzione detentiva, sempre che la sua applicazione sia circondata da cautele idonee a schermare il rischio di indebita intimidazione esercitato su chi svolga la professione giornalistica. Si deve infatti ritenere che l'inflizione di una pena detentiva in caso di diffamazione compiuta a mezzo della stampa o di altro mezzo di pubblicità non sia di per sé incompatibile con le ragioni di tutela della libertà di manifestazione del pensiero nei casi in cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravità";
- chi ponga in essere simili condotte - eserciti o meno la professione giornalistica - certo non svolge la funzione di "cane da guardia" della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di verità "scomode"; ma, all'opposto, crea un pericolo per la democrazia, combattendo l'avversario mediante la menzogna, utilizzata come strumento per screditare la sua persona agli occhi della pubblica opinione. Con prevedibili conseguenze distorsive anche rispetto agli esiti delle stesse libere competizioni elettorali";
- "se circoscritta a casi come quelli appena ipotizzati, la previsione astratta e la concreta applicazione di sanzioni detentive non possono, ragionevolmente, produrre effetti di indebita intimidazione nei confronti dell'esercizio della professione giornalistica, e della sua essenziale funzione per la società democratica. Al di fuori di quei casi eccezionali, del resto assai lontani dall'ethos della professione giornalistica, la prospettiva del carcere resterà esclusa per il giornalista, così come per chiunque altro che abbia manifestato attraverso la stampa o altri mezzi di pubblicità la propria opinione";
- "la disposizione ora all'esame - l'art. 595 c.p., comma 3, - deve essere interpretata in maniera conforme a tali premesse. Il potere discrezionale che essa attribuisce al giudice nella scelta tra reclusione (da sei mesi a tre anni) e multa (non inferiore a 516 Euro) deve certo essere esercitato tenendo conto dei criteri di commisurazione della pena indicati nell'art. 133 c.p., ma anche - e ancor prima - delle indicazioni derivanti dalla Costituzione e dalla CEDU secondo le coordinate interpretative fornite da questa Corte e dalla Corte EDU";
- "ne consegue che il giudice penale dovrà optare per l'ipotesi della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, rispetto ai quali la pena detentiva risulti proporzionata, secondo i principi poc'anzi declinati; mentre dovrà limitarsi all'applicazione della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravità del fatto, in tutte le altre ipotesi".
4.2. Se ne ricava (cfr. in termini analoghi Sez. 5, n. 19221 del 20/04/2022, P., n. m.) che l'applicazione della pena detentiva - prevista dall'art. 595 c.p., comma 3, allorché l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (quale è il caso di specie), ovvero in atto pubblico - è subordinata alla verifica della "eccezionale gravità" della condotta, che, come osserva Sez. 5, n. 28340 del 25/06/202, Boccia, Rv. 281602, va individuata nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsità dei fatti ad essa addebitati.
4.3. Nella specie nessuna valutazione in tal senso è stata compiuta dal giudice di merito che, peraltro, ha escluso, sin dal primo grado, la configurabilità della circostanza aggravante del c.d. odio razziale di cui al D.L. n. 122 del 1993, art. 3, in origine contestata.
4.4. Tale situazione dovrebbe comportare l'annullamento con rinvio per una rivalutazione del trattamento sanzionatorio.
Tuttavia l'annullamento del "punto" concernente una pena illegale comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al pertinente "capo" di imputazione, consentendo l'utile decorso del termine di prescrizione del reato fino alla pronuncia della sentenza di legittimità (cfr. tra le ultime Sez. 5, n. 26409 del 07/05/2019, Pappadà, Rv. 276995).
Il rinvio è inibito, quindi, dall'intervenuto decorso del termine di prescrizione del reato. Invero:
- la diffamazione è reato istantaneo di evento che si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione offensiva;
- nella specie, in base al capo di imputazione, le plurime condotte diffamatorie si sono concentrate nel mese di gennaio 2015;
- la lettura della sentenza di primo grado consente di collocare i fatti "nei primi giorni di gennaio 2015", in "pochi giorni dopo" e in una "settimana dopo" (cfr. pag. 1 sentenza di primo grado); quindi l'ultimo degli episodi in contestazione si è consumato non più tardi del 20 gennaio 2015;
- il 20 luglio 2022, non risultando periodi di sospensione, è maturato il termine di prescrizione dell'ultimo (in ordine temporale) dei reati in contestazione.
Pertanto, in assenza di elementi che possano condurre a una pronuncia assolutoria nel merito ex art. 129 c.p.p., comma 2, deve essere dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione.
5. Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
L'inammissibilità dei motivi di ricorso (diversi dalla illegalità della pena), comporta che il capo della sentenza relativo agli effetti civili rimane fermo; la parte civile costituita, pur non avendo partecipato al giudizio di legittimità, è comunque presente nel processo e le sue conclusioni, rassegnate in primo grado, restano valide in ogni stato e grado in virtù del principio di immanenza previsto dall'art. 76 c.p.p. (cfr. tra le ultime Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, Capasso, Rv. 273338).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili.
Così deciso in Roma, il 28 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2022.