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Intercettazioni, l'ufficio del Pm può qualificarsi come privata dimora?

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.32010 del 25/05/2022 (dep. 30/08/2022)

In tema di limiti di ammissibilità delle intercettazioni di cui all'art. 266 c.p.p., comma 2, l'ufficio del Procuratore della Repubblica può essere ritenuto un luogo di privata dimora?

Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32010 depositata il 30 agosto 2022 rispondendo negativamente.

La Suprema Corte ha infatti escluso che l'ufficio del Pm nella Procura possa essere ritenuto luogo di privata dimora, in quanto è un luogo nel quale è ammesso l'accesso, per ragioni di ufficio, ad una platea ampia di persone, anche in assenza del suo titolare, e nel quale la regolamentazione dell'accesso non è rimessa alla sola determinazione del sostituto procuratore.

Del resto, come già affermato dalle Sezioni Unite, il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza; ciò in quanto "il rapporto tra la persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente".

Luogo di privata dimora di cui all'art. 266 c.p.p., comma 2, nozione, ius excludendi alios, diritto alla riservatezza

Per "luogo di privata dimora" di cui all'art. 266 c.p.p., comma 2, deve intendersi quello adibito ad esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei, senza che peraltro ciò implichi che tutti i locali dai quali il possessore abbia diritto di escludere le persone a lui non gradite possano considerarsi luoghi di privata dimora, in quanto lo ius excludendi alios rilevante ex art. 614 c.p., non è fine a se stesso, ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza, nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona, che l'art. 14 Cost., garantisce, proclamando l'inviolabilità del domicilio (nella specie la Corte ha escluso che l'ufficio del Pubblico Ministero nella Procura possa essere ritenuto luogo di privata dimora).

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Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n. 32010 del 25/05/2022 (dep. 30/08/2022)

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame proposta avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che ha applicato la misura degli arresti domiciliari nei confronti, tra gli altri, di P.R., in relazione ai reati di corruzione in atti giudiziari (capo A), induzione a dare o promettere utilità (capo B) e rivelazione di segreto d'ufficio (capo C), commessi abusando della propria qualità di sostituto presso la Procura della Repubblica di Salerno.

2. Gli avvocati Guglielmo Scarlato e Alfonso Furgiuele, difensori del P., ricorrono avverso tale ordinanza e ne chiedono l'annullamento, deducendo, con unico motivo, la violazione degli artt. 266,267 e 268 c.p.p., e il vizio di motivazione sul punto.

I difensori deducono l'inutilizzabilità dell'intercettazione ambientale captata il 5 gennaio 2021 presso l'ufficio in Procura dell'indagato e intervenuta tra il medesimo, l'avvocato G.M.G., I.U. e V.F., sostenendo che la captazione sarebbe stata eseguita in assenza di uno specifico decreto autorizzativo, necessario in quanto riguardava soggetti diversi ed estranei da quelli per i quali era stata autorizzata e prorogata l'intercettazione.

Il Giudice per le indagini preliminari e il Tribunale del riesame avevano rilevato che l'incontro del 5 gennaio 2021 era stato organizzato al solo fine di presentare l'avvocato G., legata sentimentalmente al P., al V., già presidente del (OMISSIS) Consorzio Stabile società consortile a r.l. e suo amministratore di fatto; nel corso di questa conversazione, il P. avrebbe ribadito gli estremi dell'accordo corruttivo contestato al capo A), appoggiando le intenzioni degli interlocutori, e, inoltre, avrebbe rivelato all' I. l'intenzione di compiere eventuali indagini sul gruppo R., notizia prontamente comunicata dall' I. al R., al fine di indurlo a concedere all'avvocato G. plurimi incarichi professionali.

I difensori deducono che le intercettazioni tra presenti eseguite non sarebbero "coperte" dal decreto d'urgenza n. 3656/20 emesso il 16 novembre 2020, in quanto la proroga disposta il 18 dicembre 2020 e le successive non avrebbero più fatto riferimento ai colloqui tra V.F. e M.G. con "i soggetti coinvolti nelle vicende descritte", ma soltanto a quelli tra V.F. e M.G..

Anche il decreto di autorizzazione alle intercettazioni n. 2852/20 riguarderebbe soltanto i colloqui tra gli indagati L. e I. con R., V. e M.. Pertanto, non sarebbe stato possibile captare le conversazioni intercorse tra V., I. e la coppia P.- G..

Il decreto autorizzativo delle intercettazioni tra presenti, del resto, sarebbe carente nella motivazione, in quanto i decreti autorizzativi delle intercettazioni n. 2852/20 e n. 3656/20 non avrebbero specificamente indicato l'ambiente nel quale la captazione sarebbe stata realizzata e non avrebbero motivato, secondo quanto prescritto dall'art. 266 c.p.p., comma 2, sul fondato motivo di ritenere che al suo interno si stesse svolgendo l'attività criminosa.

Ad avviso del ricorrente, infatti, ricorrerebbero i tre elementi richiesti dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione per ritenere sussistente un luogo di privata dimora e, segnatamente: a) il luogo era adibito a manifestazioni della vita privata al riparo da intrusioni esterne; b) tra il luogo e la persona sussisteva un rapporto di durata apprezzabile e non connotato da mera occasionalità; c) l'inaccessibilità del luogo da parte di terzi in assenza del consenso del titolare (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076-01).

3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, conv. dalla L. n. 176 del 2020.

3.1. Con requisitoria e conclusioni scritte del 10 maggio 2022 il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, per carenza dell'interesse del ricorso all'impugnazione.

Il Procuratore Generale, nelle conclusioni scritte del 9 maggio 2022, ha dedotto il difetto di specificità del ricorso, in quanto lo stesso ometterebbe completamente di illustrare l'eventuale incidenza dell'eliminazione dell'elemento indiziario censurato sul quadro di gravità indiziaria diffusamente evidenziato dall'ordinanza del Tribunale e, dunque, di operare la c.d. "prova di resistenza".

Il ricorso sarebbe, altresì, manifestamente infondato, perché la captazione ambientale sarebbe stata eseguita in esecuzione di due decreti - n. 2852/20 e n. 3656/20 - che autorizzavano le operazioni di intercettazioni delle conversazioni tra presenti "nei luoghi che saranno di volta in volta individuati (...) con i soggetti, in qualche modo, coinvolti nelle vicende descritte o comunque a conoscenza delle operazioni".

Pertanto, poiché la proroga delle intercettazioni assumerebbe la medesima estensione del decreto di autorizzazione, sarebbe evidente che la captazione della conversazione del 5 gennaio 2021 rientrasse nell'ambito dei provvedimenti di autorizzazione e proroga richiamati, a nulla rilevando che P. o G. non fossero indicati negli stessi.

3.2. Con memoria depositata in prossimità dell'udienza i difensori del ricorrente hanno rilevato, quanto alla prova di resistenza, che l'intercettazione ambientale indicata costituisce il fondamento probatorio decisivo per le accuse contestate e hanno dedotto, comunque, l'infondatezza dei rilievi operati dal Procuratore generale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi dedotti dal ricorrente sono infondati.

2. Con unico motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 266,267 e 268 c.p.p., e il vizio di motivazione sul punto.

Il ricorrente deduce che il perimetro soggettivo delle captazioni tra presenti originariamente autorizzate dal decreto del Giudice per le indagini preliminari n. 3656/20 sarebbe stato successivamente ridotto nelle richiese di proroga delle intercettazioni formulate dal Pubblico Ministero.

Deduce, inoltre, il ricorrente che i decreti autorizzativi delle intercettazioni tra presenti sarebbero illegittimi (e, dunque, sarebbero inutilizzabili le conversazioni tra presenti intercettate), in quanto non sarebbe stata autorizzata l'attività captativa eseguita in luogo di privata dimora.

3. Occorre rilevare, in via preliminare, che il motivo è ammissibile.

In tema di intercettazioni, l'inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captative derivante dalla mancanza di motivazione dei decreti di autorizzazione e di proroga non eccepita dinanzi al tribunale del riesame, può essere dedotta dalle parti per la prima volta nel giudizio di cassazione e rilevata d'ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2, (Sez. 6, n. 22808 del 17/07/2020, Salamò, Rv. 279566 - 01, in motivazione, la Corte ha precisato che l'inosservanza dell'obbligo di motivazione dei decreti autorizzativi integra una inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni di carattere assoluto e dunque non sanabile, perché derivante dalla violazione dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione; Sez. 4, n. 47803 del 09/10/2018, B., Rv. 274034 - 01; Sez. 3, n. 15828 del 26/11/2014, dep. 2015, Solano, Rv. 263342 01).

La censura relativa alla legittimità delle intercettazioni ambientali svolte all'interno della stanza del ricorrente all'interno della Procura della Repubblica di Salerno, inoltre, non può essere ritenuta generica, in quanto questa fonte di prova ha avuto una efficacia determinante nella formazione del convincimento del Tribunale del riesame, nel senso che la scelta della soluzione adottata, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la stessa senza l'utilizzazione di quella fonte di prova (secondo il principio di diritto affermato da Sez. 4, n. 18232 del 12/04/2016, Madafferi, Rv. 266644 - 01 e Sez. 6, n. 33300 del 13/07/2001, Calcagno, Rv. 220733 - 01).

4. Il primo profilo di censura dedotto dal ricorrente e', tuttavia, infondato.

Il decreto autorizzatorio n. 3656/20 adottato dal Giudice per le Indagini Preliminari espressamente autorizzava, in relazione al delitto di cui all'art. 319 c.p., le intercettazioni "delle conversazioni tra presenti alle quali partecipano V.F. e M.G. presso la stazione di servizio IP...e/o nei luoghi che saranno di volta in volta individuati, da soli o con i soggetti, in qualche modo, coinvolti nelle vicende descritte o comunque a conoscenza delle operazioni".

Non può, del resto, ritenersi che le richieste di proroga delle operazioni di intercettazione formulate dal Pubblico Ministero procedente abbiano introdotto e operato una limitazione soggettiva dell'originaria autorizzazione.

Il riferimento, operato dal Pubblico Ministero nelle proprie richieste di proroga, ai soli colloqui tra il V. e il M., in forma breviloquente, era, infatti, inteso ad attualizzare la necessità del ricorso a tale strumento investigativo e non già a ridurre il perimetro soggettivo delle intercettazioni autorizzate.

Parimenti i provvedimenti di proroga adottati dal Giudice per le indagini preliminari, in assenza di una espressa indicazione e motivazione in ordine a una riduzione dell'ambito soggettivo, si sono limiti a estendere l'efficacia nel tempo dell'originario decreto autorizzatorio, senza ridurla sotto il profilo soggettivo.

Secondo il costante orientamento interpretativo di questa Corte, del resto, in tema di intercettazioni telefoniche, la motivazione dei decreti di proroga può essere ispirata a criteri di minore specificità rispetto alle motivazioni del decreto di autorizzazione, potendosi anche risolvere nel dare atto della plausibilità delle ragioni esposte nella richiesta del pubblico ministero (Sez. 6, n. 22524 del 01/07/2020, Bertoldi, Rv. 279564 - 01; Sez. 4, n. 16430 del 19/03/2015, Caratozzolo, Rv. 263401 - 01).

L'onere della motivazione del decreto di proroga delle intercettazioni telefoniche, poiché la proroga deve avere ad oggetto la persistente attualità delle condizioni di legittimità del provvedimento genetico del mezzo di ricerca della prova, presenta aspetti di minore specificità e ben può risolversi nel dare atto della constatata plausibilità delle ragioni esposte (ex plurimis: Sez. 6, n. 10686 del 28/01/2003, Galano, Rv. 225351; Sez. 6, n. 2114 del 12/09/1996, Artan, Rv. 206313 - 01).

5. Infondato si rivela anche il secondo profilo di censura, relativo all'illegittimità dei decreti autorizzatori delle intercettazioni tra presenti per carente indicazione del luogo delle captazioni e per difetto dell'autorizzazione a procedere alle operazioni captative in un luogo di privata dimora, quale l'ufficio del Procuratore della Repubblica.

Occorre, infatti, rilevare che il decreto n. 3656/20 espressamente autorizzava le operazioni di intercettazioni delle conversazioni tra presenti "nei luoghi che saranno di volta in volta individuati (...) con i soggetti, in qualche modo, coinvolti nelle vicende descritte o comunque a conoscenza delle operazioni".

Quanto al profilo della dedotta violazione del disposto dell'art. 266 c.p.p., comma 2, il ricorrente ha citato a sostegno della propria prospettazione la definizione di luogo di privata dimora enunciata dalle Sezioni Unite di questa Corte, con riferimento al delitto di furto in abitazione (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076-01).

In questa pronuncia le Sezioni Unite hanno affermato che ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624 bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (nella specie la Corte ha escluso l'ipotesi prevista dall'art. 624 bis c.p., in relazione ad un furto commesso all'interno di un ristorante in orario di chiusura).

Le Sezioni unite hanno in proposito precisato che la nozione di privata deve essere definita in ragione della concorrenza degli indefettibili elementi della: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.

Occorre, tuttavia, rilevare come la nozione, delineata dal codice penale, di luogo di privata dimora (ed evocata, inter alios, dagli artt. 614,615,615 bis, 624 bis c.p., art. 628 c.p., comma 3, n. 3 bis) non possa essere automaticamente trasposta nell'esegesi dell'apparente omologa nozione dettata dall'art. 266 c.p.p., comma 2, in quanto diversi sono i bilanciamenti posti in essere dal legislatore nel delineare il concetto di domicilio, a seconda che il suo intervento operi in funzione della tutela penale di un ambito di riservatezza contro le violazioni e le interferenze illecite altrui o al fine di porre un limite allo svolgimento delle indagini, realizzate nel pubblico interesse al perseguimento dei reati.

Nell'interpretazione della distinta nozione di luogo di privata dimora di cui all'art. 266 c.p.p., comma 2, le Sezioni Unite penali hanno affermato che "il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza; ciò in quanto "il rapporto tra la persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente. In altre parole la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente... Solo il requisito della stabilità anche se intesa in senso relativo, può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un'autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità" (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, non massimata sul punto).

La giurisprudenza di legittimità, muovendo dalle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite con la sentenza Prisco, ha di seguito affermato che per "luogo di privata dimora" deve intendersi quello adibito ad esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei, senza che peraltro ciò implichi che tutti i locali dai quali il possessore abbia diritto di escludere le persone a lui non gradite possano considerarsi luoghi di privata dimora, in quanto lo ius excludendi alios rilevante ex art. 614 c.p., non è fine a se stesso, ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza, nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona, che l'art. 14 Cost., garantisce, proclamando l'inviolabilità del domicilio (Sez. 6, n. 49286 del 07/07/2015, Di Franco, Rv. 265703; Sez. 6, n. 1707 del 10/11/2011, dep. 2012, Trapani, Rv. 251563; Sez. 1, n. 24161 del 13/05/2010, Accomando, Rv. 247942).

Deve, pertanto, escludersi che possa considerarsi luogo di privata ai sensi dell'art. 614 c.p., ogni luogo al quale è consentito l'accesso ad un numero indiscriminato o, comunque, elevato di persone.

Proprio per questa ragione l'ufficio del Pubblico Ministero nella Procura non può essere ritenuto luogo di privata dimora, in quanto è un luogo nel quale è ammesso l'accesso, per ragioni di ufficio, ad una platea ampia di persone, anche in assenza del suo titolare, e nel quale la regolamentazione dell'accesso non è rimessa alla sola determinazione del sostituto procuratore.

Questa Corte ha, peraltro, rilevato, in senso analogo, che in tema di intercettazioni ambientali, l'ufficio del sindaco non può essere considerato luogo di privata dimora, trattandosi di un elemento della struttura municipale e quindi di carattere pubblico, nel quale è consentito l'accesso ad estranei e che non è destinato allo svolgimento di atti della vita privata (Sez. 2, n. 2873 del 21/04/1997, Viveri, Rv. 208757-01).

La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, rilevato analogamente che non può essere considerato luogo di privata dimora ai fini delle valutazioni di ammissibilità e utilizzabilità delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, l'ufficio tecnico di un comune, trattandosi di luogo dove è consentito l'accesso ad un numero indiscriminato di persone (Sez. 1, n. 24161 del 13/05/2010, Accomando, Rv. 247942 - 01).

6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2022.

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