Pubblicato il

Corruzione propria e impropria, qual è il discrimine?

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.45863 del 18/10/2022 (dep. 02/12/2022)

Qual è il discrimine che distingue le due figure di reato di corruzione propria ex art. 319 Cp e corruzione impropria ex 318 Cp?

È la questione di cui si occupa la Sesta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 45863 depositata il 2 dicembre 2022.

In primis la Suprema corte ricorda che il reato di corruzione è reato a duplice schema, nel senso che si perfeziona alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione dell'utilità.

In ogni caso, l'effettivo compimento dell'atto di ufficio è estraneo alla struttura del reato che si perfeziona attraverso l'accordo con cui il pubblico ufficiale che accetta la dazione o la promessa del denaro o di altra utilità in cambio del mercimonio della propria funzione (art. 318 c.p.) o di uno specifico atto contrario ad essa inerente (art. 319 c.p.).

Il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione pubblica (c.d. “corruzione impropria”), di cui all'art. 318 c.p., come novellato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, si differenzia da quello di corruzione propria ex art. 319 c.p., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, senza che sia necessaria l'individuazione del compimento di uno specifico atto d'ufficio.

Il caso di specie riguardava l'accordo tra un  sindaco e un cittadino corruttore avente ad oggetto non il compimento di uno specifico atto amministrativo, ma soltanto una generica messa a disposizione, senza la prova che detta disponibilità si sia tradotta nel compimento di atti che avrebbero potuto avvantaggiare o recare danno alla società aggiudicataria in sede di rilascio di eventuali nulla osta o provvedimenti autorizzativi comunque necessari per l'espletamento dei lavori di sfruttamento petrolifero del territorio.

Da qui la qualificazione delle condotte contestate nel reato di corruzione impropria di cui all'art. 318 c.p.

Reati di corruzione impropria e propria, differenze, natura di reato di pericolo

Il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione pubblica, di cui all'art. 318 c.p., come novellato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, si differenzia da quello di corruzione propria, di cui all'art. 319 c.p., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, senza che sia necessaria l'individuazione del compimento di uno specifico atto d'ufficio.

Allo stesso modo anche lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l'impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, è sussumibile nella previsione dell'art. 318 c.p., e non in quella, più severamente punita, dell'art. 319 c.p., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia in concreto prodotto il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio.

Reato di corruzione propria, inserimento del patto corruttivo nell'ambito dell'esercizio di un potere discrezionale, integrazione del reato

in tema di corruzione propria, l'inserimento del patto corruttivo nell'ambito dell'esercizio di un potere discrezionale non implica necessariamente l'integrazione dell'ipotesi di cui all'art. 319 c.p., dovendosi verificare se l'atto sia stato posto in essere concretamente in violazione delle regole che disciplinano l'esercizio del potere discrezionale e se il pubblico agente abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore.

Laddove il mercimonio riguardi il generico compimento dell'attività discrezionale, non può ritenersi integrato il reato di cui all'art. 319 c.p. solo perché vi sia stato l'asservimento del pubblico agente agli interessi del privato qualora l'atto compiuto realizzi ugualmente l'interesse pubblico e non sia stato violato alcun dovere specifico che attiene all'atto adottato e non alla mera violazione dei doveri di imparzialità e terzietà del pubblico ufficiale.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n. 45863 del 18/10/2022 (dep. 02/12/2022)

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di Appello di Potenza ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Potenza in data 8 marzo 2018, con la quale M.L.F.R. è stato condannato alla pena anni tre di reclusione oltre alle pene accessorie e le statuizioni civili in favore della parte civile costituita, per i reati ascritti al capo O), di cui agli artt. 81, 319,321 c.p. relativi all'accusa di avere corrotto il Sindaco del Comune di *****, V.R., con condotte contestate fino al mese di ottobre 2014.

All'imputato, amministratore della società Alfa S.r.l., si contesta di avere offerto al predetto pubblico ufficiale utilità economiche, consistite nell'assunzione di alcune persone gradite al Sindaco, specificamente individuate, alle dipendenze della propria società, nonché di avere corrisposto la somma di Euro 1.000,00 mensili, nella forma del pagamento di un canone mensile per una locazione simulata di un immobile di proprietà dei figli del predetto pubblico ufficiale, in cambio di pressioni indebite esercitate nei confronti dei dirigenti delle società Beta S.p.a e le società in ATI Gamma e Delta S.p.a., al fine di costringere dette imprese, già aggiudicatarie di un appalto per lo sfruttamento del giacimento petrolifero denominato "*****", a stipulare contratti di subappalto con la citata Alfa S.r.l., facente capo all'imputato.

Nella sentenza si individuano le condotte poste in essere dal Sindaco per indurre/costringere il referente della società Gamma, P.R. - indicato come persona offesa del delitto di concussione ascritto al capo G nei confronti del Sindaco V., separatamente giudicato - a favorire l'assegnazione di commesse in favore della società del M., attraverso la implicita minaccia che altrimenti dal Comune "non sarebbe uscita neanche una carta", intendendo con tale frase dire che non sarebbe stato rilasciato alcun provvedimento amministrativo necessario per l'esecuzione dei lavori di sfruttamento dell'area petrolifera.

Secondo le sentenze dei due gradi di merito le intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte nei confronti del Sindaco di *****, V.R., hanno consentito di supportare le predette accuse, delineando un sistema di corruttela, concretizzatosi in influenze e condizionamenti illeciti posti in essere dal predetto Sindaco sulle iniziative imprenditoriali del Centro Oli "*****".

2. Con atto a firma del proprio difensore di fiducia, M.L.F.R. ha proposto ricorso deducendo, con un unico ed articolato motivo, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla corruzione consumata con la stipula del contratto di affitto nel gennaio 2012 e con riferimento alla corruzione consumata con la promessa di assunzione di lavoratori segnalati dal Sindaco, sotto diversi profili che vengono illustrati in cinque punti.

Al primo punto con riferimento al contratto di locazione simulato si obietta che la Corte non avrebbe risposto al motivo di appello con cui si rappresentava l'assenza di prove di una correlazione tra tale contratto di locazione e la controprestazione da parte del Sindaco, considerato il lasso temporale intercorso tra la stipula del contratto nel gennaio 2013 e le pressioni esercitate dal Sindaco per favorire la Alfa (agosto-ottobre 2014).

Al secondo e terzo punto, con riferimento alle assunzioni dei lavoratori segnalati dal Sindaco, si osserva che l'atto contrario è stato individuato nelle pressioni esercitate su P., qualificato come "referente della Gamma", quindi, in sostanza sarebbe consistito in una mera influenza della V., senza la spendita di atti rientranti nell'esercizio della funzione pubblica di Sindaco. Inoltre, sarebbe mancata la prova che il M. fosse a conoscenza delle pressioni che il Sindaco avrebbe esercitato su P. attraverso l'esercizio dei poteri in materia edilizia al fine di costringerlo a favorire la Alfa.

Ne' dalle intercettazioni emerge in cosa si sia concretizzato il "ci parlo", riferito all'intesa tra V. e M. circa l'impegno assunto dalla V. di intercedere presso la Gamma, attraverso la persona di P., che non rivestiva neppure la qualifica di rappresentante ma viene indicato quale "referente" della predetta società.

In particolare, si obietta che la frase "non sarebbe uscita neanche una carta" non sarebbe stata prospettata al P., rispetto al quale il contegno del Sindaco si è sempre mantenuto nell'ambito di un rapporto paritario, riconducibile ad una mera raccomandazione, senza ricorso a minacce di indebito esercizio del pubblico potere.

Al quarto punto, sotto altro profilo si evidenzia che anche a volere ritenere accertata la consapevolezza di M. del potere di pressione esercitabile dalla V. sulla Gamma, mancherebbe qualsiasi collegamento con l'esercizio della funzione di Sindaco, trattandosi di un contratto di appalto tra soggetti privati, e quindi non potrebbe ritenersi integrato il reato di corruzione che è un delitto proprio funzionale che richiede che oggetto del mercimonio sia un atto rientrante nella competenza dell'ufficio al quale appartiene il pubblico ufficiale corrotto.

A tale proposito viene richiamato il precedente di legittimità del caso Margiotta, che pure ha riguardato il mercimonio dell'esercizio di indebite pressioni operate senza il compimento di atti rientranti nella competenza del parlamentare coinvolto in relazione all'affidamento di lavori relativi allo stesso giacimento petrolifero (Sez. 6, n. 23355/2016, Margiotta, Rv. 267060).

Si sottolinea che nel caso in esame l'influenza del pubblico ufficiale non sarebbe stata neppure rivolta verso altro pubblico ufficiale, ma verso un soggetto privato, rimanendosi quindi fuori anche dall'ipotesi di reato del traffico di influenze illecite.

Al quinto punto, da ultimo si osserva che al più l'accordo in questione potrebbe essere ricondotto nella fattispecie della corruzione per l'esercizio della funzione ex art. 318 c.p., in mancanza dell'individuazione dell'atto contrario o conforme ai doveri di ufficio che la V. avrebbe dovuto compiere in cambio dei corrispettivi ricevuti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente alla questione dedotta in merito alla qualificazione del reato, si ritengono invece infondate le altre doglianze, che appaiono in buona parte anche inammissibili perché investono la ricostruzione dei fatti senza evidenziare vizi logici della motivazione della sentenza impugnata.

Le censure in merito all'accertamento di un accordo corruttivo volte a negare la rilevanza del contratto di affitto del gennaio 2012 sono innanzitutto generiche, perché si limitano a mettere in discussione solo una parte del c.d. pactum sceleris, dimenticando che anche la parte del corrispettivo costituita dalla promessa di assunzione dei lavoratori segnalati dal Sindaco sarebbe di per sé sola sufficiente ad integrare quello scambio di reciproci vantaggi in cui si è sostanziato l'accordo corruttivo secondo la ricostruzione operata nel giudizio di merito.

Ma oltre a presentare tale profilo di genericità il motivo sul punto è stato articolato attraverso la riproposizione delle stesse argomentazioni poste a base dell'atto di appello, senza un effettivo confronto con le risposte fornite dalla sentenza impugnata.

L'assenza del nesso di corrispettività tra il contratto di locazione e la controprestazione da parte del Sindaco è stata argomentata dalla difesa sulla base della considerazione del notevole scarto temporale intercorso tra la stipula del contratto avvenuta nel gennaio 2013 e le pressioni esercitate dal Sindaco per favorire la Alfa.

Ma su tale punto la Corte di merito ha invece spiegato che l'interesse di M. al conseguimento dei lavori in subappalto era già presente al momento della stipula della locazione simulata perché coincisa con l'epoca di conseguimento della c.d. qualifica richiesta da parte della sua ditta, necessaria per poter accedere agli appalti cui la stessa era interessata partecipare.

Inoltre è stato messo in evidenza che il pagamento dei canoni mensili da parte del M. è proseguito nel tempo senza altra giustificazione economica, trattandosi della locazione di un immobile rimasto sempre nel possesso del Sindaco, che ne ha conservato la disponibilità materiale senza alcun beneficio per il fittizio conduttore.

Rispetto alle assunzioni dei lavoratori segnalati dal Sindaco, il ricorrente senza mettere in dubbio tali fatti emersi dalle intercettazioni e dal riscontro dei contratti di lavoro, si limita a contestare che sarebbe mancata da parte del Sindaco la spendita di un potere pubblicistico, così da escludersi la correlazione tra detti favori fatti al Sindaco dal M. ed il compimento di atti contrari propri della sua funzione di Sindaco, essendosi trattato di pressioni riconducibili alla semplice capacità personale di influenzare le determinazioni della Gamma.

Anche queste doglianze sono oltre che generiche anche infondate, atteso che mirano a fornire una lettura alternativa delle intercettazioni, senza evidenziare obiettivi travisamenti del loro contenuto.

Nella sentenza impugnata, in cui sono richiamati i contenuti delle intercettazioni, viene fornita una coerente ricostruzione del nesso di corrispettività esistente tra le utilità offerte dall'imprenditore M. alla V. e l'impegno assunto da costei di favorire l'impresa del M. per quanto in suo potere, come avvenuto con specifico riferimento alla vicenda dell'individuazione da parte della Gamma delle imprese subappaltatrici, attraverso le attribuzioni del proprio ufficio spettanti in materia di sfruttamento petrolifero del territorio di sua competenza, individuate nelle prerogative comunali in campo urbanistico-edilizio.

Tutte le obiezioni difensive sulla concreta individuazione degli atti correlati con l'esercizio della funzione pubblica con cui il Sindaco avrebbe prospettato di arrecare danno alla Gamma, ove questa non avesse affidato i lavori in subappalto alla ditta del M., assumono rilievo unicamente sul piano dell'accertamento del delitto di concussione ma non anche del reato di corruzione, rispetto al quale si pone solo la questione del corretto inquadramento secondo il discrimine che distingue le due figure di reato previste dagli artt. 318 e 319 c.p..

Ma nel presente giudizio non assumono rilevanza le censure che attengono alla verifica della condotta concussiva o induttiva che il Sindaco avrebbe posto o avrebbe dovuto porre in essere nei confronti dei dirigenti della Gamma.

Il comportamento in concreto posto in essere dal Sindaco nei confronti della predetta società, già aggiudicatrice dei lavori di sfruttamento petrolifero dell'area interessata, assume indiscusso rilievo per l'accertamento del reato di concussione posto in essere nei confronti dei referenti di detta società, e dell'eventuale concorso morale dell'odierno ricorrente - reato non oggetto del presente giudizio - ma non condiziona la integrazione della fattispecie corruttiva, che può essere integrata anche dal solo scambio di promesse tra il pubblico ufficiale ed il privato corruttore.

Si deve ribadire che in tema di delitto di corruzione e in particolare di corruzione antecedente, il compimento dell'atto da parte del pubblico ufficiale non fa parte della struttura del reato e non assume rilievo neppure per la determinazione del momento consumativo.

Il ricorrente assume, invece, che il compimento dell'atto contrario sia un elemento essenziale per la integrazione della fattispecie, mentre è del tutto irrilevante che il pubblico ufficiale, dopo aver accettato la promessa o conseguito l'utilità, non ponga in essere l'atto promesso (così, tra le altre, Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234358).

Il reato di corruzione è reato a duplice schema nel senso che si perfeziona alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione dell'utilità, ma in ogni caso l'effettivo compimento dell'atto di ufficio è estraneo alla struttura del reato che si perfeziona attraverso l'accordo con cui il pubblico ufficiale che accetta la dazione o la promessa del denaro o di altra utilità in cambio del mercimonio della propria funzione (art. 318 c.p.) o di uno specifico atto contrario ad essa inerente (art. 319 c.p.).

E' del tutto irrilevante perciò che M. non fosse a conoscenza di quale specifica pressione avrebbe in concreto esercitato il Sindaco per indurre o per costringere le società aggiudicataria a favorire la Alfa nell'affidamento dei subappalti o delle altre commesse collegate ai lavori di sfruttamento petrolifero, essendo sufficiente il rilevato accordo, emerso dalle intercettazioni, tra i predetti soggetti, con cui la V. ha dimostrato di mettersi a disposizione del M. attraverso il compimento di quanto rientrante nelle sue attribuzioni di Sindaco per favorire la Alfa, nel cui contesto va letto anche l'esplicito riferimento alla frapposizione di ostacoli anche di tipo amministrativo-urbanistico di competenza del Comune di *****, evincibile dalla affermazione che da quell'ufficio "non sarebbe uscita neanche una carta" se i dirigenti della Gamma non avessero favorito il M..

Non e', pertanto, vero che sia mancato il riferimento nella sentenza al collegamento con l'esercizio della funzione di Sindaco, perché pur trattandosi di contratti di appalto tra soggetti privati, la spendita della funzione pubblica investiva non il momento dell'aggiudicazione ma quello successivo dell'esecuzione dei lavori di sfruttamento petrolifero, afferendo a qualsiasi autorizzazione o nulla osta amministrativo di competenza di quel Comune che sarebbero stati all'occorrenza necessari per dare esecuzione ai lavori di sfruttamento del territorio affidati alle imprese già risultate aggiudicatarie.

Per le stesse ragioni è senz'altro errato il riferimento al precedente di legittimità del caso Margiotta, in cui il mercimonio aveva riguardato soltanto le indebite pressioni operate senza il compimento di atti rientranti nella competenza del parlamentare coinvolto in relazione all'affidamento di lavori relativi allo stesso giacimento petrolifero (Sez. 6, n. 23355/2016, Margiotta, Rv. 267060).

In realtà, va ricordato che non è determinante che la condotta attenga alle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che rientri nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto (fra le tante, Sez. 6, n. 17973 del 22/01/2019 Caccuri, Rv. 275935).

2. Le doglianze del ricorrente hanno, invece, parziale fondamento, non per escludere la sussistenza dell'accordo corruttivo, ma unicamente ai fini della qualificazione della corruzione, essendo condivisibile la richiesta di derubricazione del fatto ai sensi dell'art. 318 c.p..

Su tale punto va osservato che in tema di reato di corruzione propria deve ritenersi superata la impostazione che, partendo dall'assunto secondo cui l'atto d'ufficio contrario, oggetto di mercimonio, può ricomprendere qualsiasi comportamento lesivo dei doveri di fedeltà, imparzialità ed onestà che debbono essere osservati da chiunque eserciti una pubblica funzione, è pervenuta all'affermazione che configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio - e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 c.p. - lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati nell'an, nel quando o nel quomodo, si conformino all'obiettivo di realizzare l'interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali (fra le tante, vedi Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018, Baccari, Rv. 273448).

La predetta impostazione che riduce ai minimi termini l'ambito di applicazione del reato di corruzione per l'esercizio della funzione punito dall'art. 318 c.p., come rimodulato dalla riforma della L. 6 novembre 2012, n. 190, non considera che anche la sola accettazione della dazione di denaro o di altra utilità costituisce di per sé sempre un comportamento lesivo dei doveri di probità e imparzialità del pubblico ufficiale, mentre ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria, di cui all'art. 319 c.p., è necessario che l'illecito accordo tra pubblico funzionario e privato corruttore preveda il compimento, da parte del primo, di un atto specificamente individuato od individuabile come contrario ai doveri d'ufficio, con la conseguenza che ove non sia accertato il contenuto del patto corruttivo, e pur in presenza di sistematiche dazioni da parte del privato in favore del pubblico agente, la condotta deve essere ricondotta nell'ambito della corruzione per l'esercizio della funzione ex art. 318 c.p..

Deve, quindi, essere qui ribadito che il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione pubblica, di cui all'art. 318 c.p., come novellato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, si differenzia da quello di corruzione propria, di cui all'art. 319 c.p., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, senza che sia necessaria l'individuazione del compimento di uno specifico atto d'ufficio.

Allo stesso modo anche lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l'impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, è sussumibile nella previsione dell'art. 318 c.p., e non in quella, più severamente punita, dell'art. 319 c.p., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia in concreto prodotto il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, Bolla, Rv. 279555).

Nel caso in esame, l'accordo tra il pubblico ufficiale ed il privato corruttore per come ricostruito nel giudizio di merito non ha avuto ad oggetto il compimento di uno specifico atto amministrativo rientrante nella competenza sia pure di fatto del Sindaco, ma soltanto una generica messa a disposizione, senza la prova che detta disponibilità si sia tradotta nel compimento di atti che avrebbero potuto avvantaggiare o recare danno alla società aggiudicataria in sede di rilascio di eventuali nulla osta o provvedimenti autorizzativi comunque necessari per l'espletamento dei lavori di sfruttamento petrolifero del territorio.

3. A fronte di una tale ricostruzione dell'accordo corruttivo, in cui viene in rilievo la sola violazione dei doveri di imparzialità e probità da parte del soggetto pubblico, risulta carente l'individuazione degli atti amministrativi inerenti l'esercizio della funzione pubblica e con essa anche la verifica della loro contrarietà alla legge, sia pure intesa come atto diverso da quello che sarebbe stato lecito attendersi all'esito di una corretta comparazione degli interessi sottesi all'adozione di un atto discrezionale.

Secondo l'orientamento (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla), che qui si intende ribadire, in tema di corruzione propria, l'inserimento del patto corruttivo nell'ambito dell'esercizio di un potere discrezionale non implica necessariamente l'integrazione dell'ipotesi di cui all'art. 319 c.p., dovendosi verificare se l'atto sia stato posto in essere concretamente in violazione delle regole che disciplinano l'esercizio del potere discrezionale e se il pubblico agente abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore.

Laddove il mercimonio riguardi il generico compimento dell'attività discrezionale, non può ritenersi integrato il reato di cui all'art. 319 c.p. solo perché vi sia stato l'asservimento del pubblico agente agli interessi del privato qualora l'atto compiuto realizzi ugualmente l'interesse pubblico e non sia stato violato alcun dovere specifico che attiene all'atto adottato e non alla mera violazione dei doveri di imparzialità e terzietà del pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 1594 del 10/11/2020, dep. 2021, Siclari, Rv. 280342).

4. Alla stregua di detto principio, l'annullamento della sentenza deve essere disposto senza rinvio su tale punto, non essendo in discussione il contenuto del patto corruttivo che è stato ricostruito nei termini sopra illustrati come avente ad oggetto solo il generico interessamento del pubblico ufficiale, rispetto ad atti amministrativi del proprio ufficio non specificati e neppure in concreto individuabili alla stregua delle risultanze probatorie poste a fondamento del giudizio di responsabilità.

Sotto tale profilo si osserva che il riferimento all'ipotetica commissione di un reato di concussione non è sufficiente a qualificare il reato come corruzione propria, perché la contrarietà dell'atto oggetto del mercimonio va valutata rispetto alla violazione dei doveri che attengono al modo, al contenuto, ai tempi degli atti da compiere e delle decisioni da adottare, alla violazione delle regole sottese all'esercizio dell'attività discrezionale ed al concreto pregiudizio dell'interesse pubblico.

Sicché rispetto alla qualificazione del reato di corruzione, l'accordo corruttivo va tenuto distinto dall'eventuale ipotetico diverso accordo per commettere il reato di concussione, che non può assumere la rilevanza di atto contrario richiesto per l'integrazione del reato previsto dall'art. 319 c.p. trattandosi di una ipotesi di reato distinta che non è stata adeguatamente vagliata nel presente giudizio in quanto oggetto di separato procedimento.

In conclusione, le condotte contestate al capo O) devono essere riqualificate nel diverso reato di corruzione per l'esercizio della funzione a sensi dell'art. 318 c.p., con l'effetto che la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Salerno per la sola rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Per il resto il ricorso va rigettato e va dichiarata l'irrevocabilità della sentenza in relazione alla responsabilità del ricorrente per il reato sopra indicato.

Va, infine, disposta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Qualificate le condotte contestate nel capo di imputazione nel reato di cui all'art. 318 c.p., annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Salerno per la sola rideterminazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, Comune di *****, in persona del Sindaco pro tempore, che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge.

Visto l'art. 624 c.p.p. dichiara l'irrevocabilità della sentenza in ordine alla responsabilità del ricorrente.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2022.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472