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Furto di notte, quando è applicabile la minorata difesa

Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n.29586 del 24/05/2023 (dep. 07/07/2023)

Il furto commesso di notte integra la circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61 n. 5 c.p.?

È questo il quesito che si è posto la Cassazione con la sentenza n. 29586 depositata il 7 luglio 2023.

La Suprema Corte ha richiamato sul punto la pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n. 40275/2021) secondo cui la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della "minorata difesa", qualora la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.

Ai fini della decisione, ciò che deve essere valorizzato non è il concorrere di circostanze fattuali ulteriori, bensì il fatto che la commissione del reato in "tempo di notte" abbia in concreto favorito la commissione del reato. All’uopo occorre compiere tre verifiche, riguardanti, nell'ordine:

a) l'esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa";

b) la produzione in concreto dell'effetto di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" che ne sia effettivamente derivato;

c) il fatto che l'agente ne abbia concretamente "profittato" (avendone, quindi, consapevolezza).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato che i poteri di difesa delle vittime, le condizioni esterne, ovvero la scarsa illuminazione pubblica e l'isolamento della zona in cui era insediato lo stabilimento industriale, peraltro inattivo da tempo, hanno, oggettivamente, agevolato la commissione del delitto e ridotto drasticamente le possibilità di difesa delle vittime.

Per questi motivi il ricorso in Cassazione è stato rigettato.

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Cassazione penale sez. V, Sentenza 24/05/2023, (ud. 24/05/2023, dep. 07/07/2023), n.29586

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di l'Aquila, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Sulmona, che aveva dichiarato D.G., F.A., e D.M.M., colpevoli di concorso in furto, pluriaggravato dalla violenza sulle cose, dal numero di persone e dall'avere agito in tempo di notte, ha riqualificato il fatto ai sensi dell'art. 56 c.p.," e rideterminato la pena a ciascuno inflitta, riconoscendo a F. i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.

2. Hanno proposto distinte impugnazioni gli imputati, per il tramite del rispettivo difensore fiduciario.

2.1. L'avvocato Ranieri Giuseppe, nell'interesse di D.M. si affida a due motivi, con cui denuncia violazione di legge e correlati vizi della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità dell'imputato, sulla base di una piattaforma indiziaria che non supera il ragionevole dubbio, e per avere la Corte di appello omesso di adeguatamente motivare sulle deduzioni difensive con le quali si invocava l'insussistenza del fatto, in relazione a res derelictae, e, comunque, la speciale tenuità ex art. 131 bis c.p..

3. L'avvocato Paolini Alberto, nell'interesse di F.A., e l'avvocato di Pietro Annasara, nell'interesse D.G., svolgono, con separati, atti, quattro analoghi motivi, che possono essere enunciati congiuntamente:

3.1. Violazione di legge e correlati vizi della motivazione con riguardo all'affermazione di responsabilità, non essendo stata raggiunta la prova della sussistenza del delitto e comunque della responsabilità dell'imputato, fondata, contraddittoriamente, sulle deposizioni, affatto specifiche, dei due verbalizzanti, senza individuazione del concreto contributo apportato dal F..

3.2. Analoghi vizi vengono denunciati con riguardo alle circostanze aggravanti, non essendo stato dimostrata la violenza sulle cose, risultando incerto il numero dei partecipanti all'azione criminosa). e non potendo ravvisarsi la aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 5, dal momento che lo stabilimento preso di mira dagli agenti era in stato di abbandono da oltre dieci anni, ed era degradato, come dichiarato dalla stessa persona offesa, che neppure ha richiesto la

restituzione delle cose sequestrate, in quanto prive di effettivi valore e utilità.

3.3. Analoghi vizi vengono denunciati anche con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4 e delle circostanze attenuanti.

3.3.1. Quanto alla circostanza attenuante del danno di lieve entità, ex art. 62 c.p., n. 4, si invoca lo stato di abbandono in cui si trovavano le cose all'interno dello stabilimento disattivo da anni, e il valore pressocché nullo delle cose apprese, neppure reclamate dalla persona offesa.

3.3.2. Con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, si valorizza il corretto comportamento processuale dei ricorrenti.

3.4. Con un ultimo motivo ci si duole del mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., per la particolare tenuità del fatto, sottolineandosi anche l'incensuratezza del F. e l'assenza di precedenti specifici per D..

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi non sono fondati.

1.Il ricorso nell'interesse di D.M., prospetta, peraltro in modo generico, una ricostruzione alternativa della vicenda, non consentita in questa Sede, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dalla difesa come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito(ved. ex multis 5465/2020). D'altro canto, la Corte di appello ha ben ricostruito, sulla base del compendio istruttorio, le fasi della vicenda delittuosa, ritenendo tutti gli elementi convergenti nel dimostrare la partecipazione del D.M., alla condotta predatoria contestata, venendo arrestato mentre si trovava all'interno dello stabilimento preso di mira, dove si era rifugiato nel darsi alla fuga all'atto dell'intervento della polizia giudiziaria. Contrariamente a quanto si afferma in ricorso, peraltro, la Corte di appello ha replicato alle deduzioni difensive che si concentravano sulla natura delle res asportate, escludendo, con ragionevole argomento, che potessero essere considerate Verificate, "per l'ovvia ragione che lo stabilimento era chiuso e addirittura sorvegliato dagli addetti di un istituto di vigilanza".

1.1. Allo stesso modo, la sentenza impugnata ha argomentato anche in merito al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., evidenziando come la presenza di plurime circostanze aggravanti osti alla possibilità di qualificare il fatto in termini di lieve entità; ostacolo tuttora sussistente, anche dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2022, che, ai fini del riconoscimento della predetta causa di non punibilità, considera, quale parametro di riferimento, la pena edittale minima di anni due, alla luce della pena comminata, in presenza di plurime circostanze aggravanti, dall'art. 625, u.c.,(anni tre di reclusione).

2. Anche i ricorsi di D. e F. risultano infondati.

2.1. Non coglie nel segno la comune doglianza che mira a scardinare il giudizio di responsabilità degli imputati facendo leva sulla mancata dimostrazione del contributo soggettivo da loro offerto all'azione delittuosa, giacché, come è noto, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.), il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti. (Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Rv. 229200; conf. Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, Rv. 258185; Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016 Rv. 268972; Sez.-, n. 52791 del 08/11/2018 Rv. 274521). Nel caso in scrutinio, come osservato correttamente dalla Corte territoriale, gli imputati sono giunti sul posto, in orario notturno, a bordo di un furgone, con il quale accedevano tutti, dopo avere forzato la catena di chiusura, allo stabilimento preso di mira, dove si trattenevano per circa un'ora facendo razzia dei beni ivi presenti. Si tratta di condotte che danno conto della piena consapevolezza dell'azione furtiva congiuntamente tentata, alla quale hanno dato ciascuno un contributo idoneo a integrarne la responsabilità concorsuale, nei termini richiamati.

2.2. Anche il secondo motivo, incentrato sulle circostanze aggravanti, non ha pregio. Posto che la polizia giudiziaria, appostata già al momento dell'arrivo del furgone, con a bordo i tre imputati (e un quarto rimasto ignoto) ha, appunto, riferito di quattro persone, tra cui certamente i tre ricorrenti, arrestati sul posto in flagranza di reato; d'altro canto, i rilievi fotografici e la denuncia della p.o. danno conto della rottura del lucchetto e della catena sequestrata, e della riconducibilità dell'effrazione proprio all'azione dei ricorrenti, cosicché, nessun ragionevole dubbio è possibile nutrire in merito alla sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all'art. 625 c.p., nn. 2 e 5.

2.2.1. Allo stesso modo, deve ritenersi correttamente condotto, da parte della Corte di appello, lo scrutinio in merito alla sussistenza della ulteriore circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 5. che trova adeguato supporto argomentativo, nella sentenza impugnata, attraverso il riferimento alla circostanza che la zona nella quale si è svolto il fatto era scarsamente illuminata e isolata, quale elemento concretamente idoneo ad agevolare la commissione del fatto e a incidere sulla privata difesa; e tanto, una volta chiarito, come è stato detto poc'anzi, che lo stabilimento, pure inattivo da anni, non era affatto abbandonato.

Va ricordato che, secondo l'orientamento di questa Corte fatto proprio dalle Sezioni Unite "Cardellini", ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, occorre che qualsiasi tipo di circostanza fattuale valorizzabile (di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all'età) agevoli la commissione del reato, rendendo la pubblica o privata difesa, ancorché non impossibile, concretamente ostacolata (cfr., in motivazione, par. 11, Sez. Un. 8 novembre 2021, Cardellini, n. 40275, che ha anche ribadito come "La giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal collegio, ritiene che la circostanza aggravante in questione abbia natura oggettiva, e sia, pertanto, integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell'azione criminosa, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell'agente" (Sez. 1, n. 39349 del 11/07/2019, Marini, Rv. 276876; fattispecie in tema di omicidio; Sez. 1, n. 39560 del 06/06/2019, Souhu Mahdi, Rv. 276871; Sez. 5, n. 14995 del 23/02/2005, Bordogna, Rv. 231359)." Le Sezioni Unite, dopo aver ricordato che "Il fondamento della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, in riferimento a ciascuna delle tipologie di elementi fattuali che possono integrarla, è stato generalmente ravvisato nel maggior disvalore che la condotta assume nei casi in cui l'agente approfitti delle possibilità di facilitazione dell'azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui quest'ultima viene a svolgersi "(par. 1.2), hanno precisato che "solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacità di difesa, sia pubblica che privata, è idoneo ad assicurare la coerenza dell'applicazione della circostanza aggravante con il suo fondamento giustificativo, ossia, come si è visto, con il maggior disvalore della condotta derivante dall'approfittamento delle "possibilità di facilitazione dell'azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l'azione verrà a svolgersi"; maggior disvalore, a sua volta, necessario a dar conto della concreta, maggiore offensività che giustifica, nel singolo caso, l'aggravamento sanzionatorio comminato dall'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, (Sez. 4, n. 15214 del 6/3/2018, Ghezzi, Rv. 273725; Sez. 2, n. 28795 del 11/05/2016, De Biasi, Rv. 267496)". Chiamato a risolvere la questione se la commissione del fatto in tempo di notte configuri, di per sé solamente, la circostanza aggravante della minorata difesa di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, il Supremo Consesso di legittimità ha accolto una soluzione che, ferma l'astratta idoneità della commissione del reato in tempo di notte ad integrare la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, ritiene necessario l'accertamento della sua effettiva incidenza sulle possibilità di difesa nel caso concreto. L'approdo è confluito, infatti, nell'affermazione che la commissione del reato "in tempo di notte" possa integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo, di persona, la circostanza aggravante della c.d. "minorata difesa" (art. 61 c.p., comma 1, n. 5), sempre che sia stata raggiunta la prova che la possibilità di pubblica o privata difesa ne sia rimasta in concreto ostacolata e che non ricorrano circostanze ulteriori, di qualunque natura, idonee a neutralizzare il predetto effetto" (in motivazione par. 8), e nella enunciazione del seguente principio di diritto: "La commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta "minorata difesa", essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto."(Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, Rv. 282095). Posto, dunque, che, ai fini della decisione, ciò che va valorizzato, non è il concorrere di circostanze fattuali ulteriori, bensì, il fatto che la commissione del reato in "tempo di notte" abbia in concreto favorito la commissione del reato, le Sezioni Unite hanno onerato l'interprete, al fine di configurare la circostanza aggravante de qua, del compimento di tre verifiche, riguardanti, nell'ordine: a) l'esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa"; b) la produzione in concreto dell'effetto di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" che ne sia effettivamente derivato; c) il fatto che l'agente ne abbia concretamente "profittato" (avendone, quindi, consapevolezza). Nell'affrontare il problema preliminare, con riferimento specifico al "tempo di notte", di stabilire se esso sia di per sé idoneo in astratto ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" dalla commissione di reati, oppure no, le Sezioni Unite hanno affermato che, di norma, il "tempo di notte" costituisce di per sé circostanza di tempo astrattamente idonea ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa", perché di notte, secondo consolidate massime di esperienza:

cala l'oscurità e le strade sono poco illuminate (il che favorisce la commissione di azioni delittuose, meno agevolmente visibili ab externo);

le persone (vittime che potrebbero meglio difendersi se sveglie; terzi, che potrebbero prestare soccorso alle prime) sono dedite al riposo;

la maggior parte delle attività (lavorative e ricreative) cessa, e di conseguenza le strade e gli uffici sono molto meno frequentati;

la vigilanza pubblica è meno intensa ed è quindi più difficile ricevere soccorso.

Ma, poiché tutto ciò non è necessariamente valido in assoluto, in ogni tempo ed in ogni luogo, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, "non è tuttavia, sufficiente a ritenere l'astratta idoneità di una situazione, quale il tempo di notte, ad incidere sulle capacità di difesa, riducendole, ma occorre "individuare ed indicare in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata" (Sez. 5, n. 8819 del 02/02/2010, Maero, Rv. 246160), ed, in particolare, che la commissione del reato in tempo di notte abbia in concreto agevolato il soggetto agente nell'esecuzione del reato stesso, ostacolando (pur senza annullarle del tutto) le possibilità di difesa pubblica o privata. L'interprete deve, pertanto, stabilire in concreto l'effetto di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" che sia in ipotesi derivato dalla commissione del fatto in tempo di notte, ed, in particolare:

se le ordinarie connotazioni del tempo di notte ricorrano effettivamente nel singolo caso di specie (considerando, ad esempio, l'illuminazione e l'ubicazione del locus commissi delicti, il sonno delle vittime, la presenza di terzi in loco pronti ad intervenire, la presenza di vigilanza pubblica o privata intensa ed attiva);

se sussistano circostanze ulteriori, di qualunque natura, atte a vanificare il predetto effetto di ostacolo. (Sez. Un. Cardellini, par. 14.2.).

Occorre, infine, verificare che il soggetto agente abbia profittato di quella obiettiva situazione di vulnerabilità in cui versava il soggetto passivo, giacché, la circostanza aggravante dell'aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, è compatibile con i soli reati dolosi, per la non configurabilità di una condotta colposa di "profittamento", (Sez. 1, n. 39349 del 11/07/2019, Marini, Rv. 276876), e quindi anche con il mero dolo eventuale, in quanto è sufficiente che il soggetto attivo percepisca in modo cosciente il vantaggio derivante dalla situazione che pregiudica la difesa della vittima e se ne giovi all'atto di realizzare la condotta, gravando naturalmente sul Pubblico ministero l'onere della prova della sussistenza in concreto delle ordinarie connotazioni del tempo di notte e dell'assenza di circostanze ulteriori, atte a vanificare l'effetto di ostacolo alla pubblica e privata difesa ricollegabile all'avere agito in tempo di notte, mentre, per quanto non emergente ex actis, spetta all'imputato fornire le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di circostanze fattuali altrimenti ignote che siano in astratto idonee, ove riscontrate, ad escludere la configurazione in concreto della circostanza aggravante.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, in tal senso dirigendo la, affatto irragionevole, argomentazione spesa dalla Corte di appello nel porre in evidenza, quale dato fattuale che ha certamente ridotto, nel caso di specie, i poteri di difesa delle vittime, le condizioni esterne, ovvero la scarsa illuminazione pubblica e l'isolamento della zona in cui era insediato lo stabilimento industriale, peraltro inattivo da tempo. Si tratta di circostanze che hanno, oggettivamente, agevolato la commissione del delitto e ridotto drasticamente le possibilità di difesa delle vittime. La Corte di appello ha pertinentemente fatto leva su una generalizzata massima di esperienza che consente di affermare che, di notte, in zone scarsamente illuminate e isolate, quindi senza la presenza di persone, gli agenti erano ben consapevoli, avendone approfittato, oltre che della ridotta vigilanza pubblica, che in queste ore viene esercitata nelle strade, soprattutto delle minori possibilità di sorveglianza per i privati, in quando di norma dediti al riposo, non emergendo, né sono state rappresentate dal ricorrente, particolari circostanze che possano avere contribuito ad accentuare comunque le difese del soggetto passivo (come l'accidentale circostanza che questi si trovasse sul posto, ovvero la predisposizione di sistemi d'allarme, tali da rendere più difficile, anche di notte, per gli estranei, l'accesso nell'immobile, contro la volontà del proprietario (in tal senso, già Sez. 2, n. 352 del 17/02/1969, Colombi, Rv. 112006).

2.3. Generico il motivo con il quale ci si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti, per omesso confronto con la motivazione, affatto illogica, della Corte di appello, che ha escluso il valore trascurabile dei beni alla luce del numero e della tipologia delle res sottratte, rivelandosi le osservazioni difensive sul punto del tutto scollegate dalla realtà dei fatti.

2.4. La presenza di plurime aggravanti è stata considerata, oltre che ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., anche l'elemento determinante per escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti. Anche in tal caso la motivazione non cede alle generiche censure difensive, dal momento che essa è conforme all'orientamento, ripetutamente affermato, secondo cui il giudice di merito può escludere la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24.09.2008, Rv. 242419; conf. sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269) essendosi limitato a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente, e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 2 -, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 - 02).

AI rigetto dei ricorsi segue, ex lege, la condanna dei ricorrenti, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2023

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