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Unificazione di pene concorrenti e reati ostativi, la decisione delle Sezioni Unite

Corte di Cassazione, sez. Unite Penale, Sentenza n.30753 del 15/12/2022 (dep. 14/07/2023)

In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria, ovvero operando una riduzione proporzionale rispetto all'applicazione del predetto criterio moderatore alla pena complessiva, derivante dal cumulo materiale?

È la questione esaminata dalle Sezioni Unite penali della Cassazione con la sentenza n.  30753 depositata il 14 luglio 2023.

Questa la soluzione adottata dalla Suprema Corte:

Reato, unificazione di pene concorrenti, applicazione criterio moderatore ex art. 78 c. p., superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione, scioglimento del cumulo

In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria.

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Cassazione penale, sez. un., Sentenza 15/12/2022 (dep. 14/07/2023) n. 30753

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 dicembre 2021 il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila ha dichiarato inammissibile la domanda, proposta nell'interesse di Z.A., volta ad ottenere la concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale - o, in subordine, della detenzione domiciliare - in riferimento alla pena residua relativa al provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale della Repubblica di Reggio Calabria in data 20 settembre 2017.

Detto provvedimento di cumulo ricomprende tre diverse sentenze di condanna, elencate partitamente nell'ordinanza impugnata. Due di queste sono relative a delitti che non ostano alla concessione di benefici penitenziari o di misure alternative alla detenzione ex art. 4-bis Ord. pen. Si tratta della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 18 gennaio 2007, distinta al numero 1 nel provvedimento di cumulo, con la quale Z. è stato condannato per il delitto di cui all'art. 12-quinquies della L. n. 356 del 1992 a pena interamente dichiarata condonata, e della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 19 luglio 2000, con la quale il predetto è stato condannato per reati in materia di armi e ricettazione (n. 3 del citato provvedimento di cumulo). Con la terza sentenza, pronunciata dalla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria il 12 maggio 2004, il ricorrente è stato invece condannato alla pena di trenta anni di reclusione per i reati ostativi di partecipazione ad associazione mafiosa di cui all'art. 416-bis c.p., omicidio, tentato omicidio, nonché per i connessi delitti in materia di armi, tutti aggravati ai sensi dell'art. 7 della L. 12 luglio 1992, n. 203 (n. 2 del provvedimento di unificazione di pene concorrenti).

Il cumulo aveva dunque ad oggetto la pena finale calcolata, al netto del concesso indulto, nella misura di trentacinque anni e due mesi di reclusione. Tale pena era stata ridotta, in applicazione del criterio moderatore previsto dall'art. 78 c.p., a trenta anni di reclusione.

L'ordinanza impugnata motiva la decisione di inammissibilità affermando che lo scioglimento del cumulo materiale, temperato in applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p., debba avvenire considerando la pena inflitta per i reati ostativi nella sua originaria entità. Quindi, per essere ammesso alla misura alternativa l'istante avrebbe dovuto avere già interamente espiato la pena di trenta anni di reclusione a lui inflitta per i suddetti reati ostativi; pena che nel caso in esame è pari a - ed assorbe totalmente - quella complessiva risultante dal cumulo in esecuzione.

Il Tribunale di sorveglianza osserva al riguardo che non è stata, neppure in linea di fatto, prospettata la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 58-ter Ord. pen..

Secondo il Tribunale di sorveglianza, ragionando diversamente si arriverebbe al paradosso che, in presenza del solo titolo costituito dalla sentenza di condanna per i reati ostativi, l'istante avrebbe potuto accedere alla misura invocata solo previo accertamento della collaborazione con la giustizia ovvero dell'accertamento della impossibilità o inesigibilità di detta collaborazione, mentre in presenza di ulteriori condanne per reati non ostativi, oggetto di cumulo materiale "temperato" unitamente alla prima sentenza, si vedrebbe riservare un trattamento di maggior favore.

2. Avverso tale ordinanza Z.A. ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del suo difensore di fiducia, Avvocato Giovanna Beatrice Araniti, affidandosi ad un unico, articolato motivo di ricorso, col quale deduce violazione di legge in relazione agli artt. 78 c.p., 6CEDU, 3, 24, 27 e 111 Cost.

La difesa premette di aver rappresentato al Tribunale di sorveglianza che il ricorrente è stato detenuto ininterrottamente dal 22 aprile 1999, in virtù di provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti n. 110/2010 SIEP del 20 settembre 2017, "riformulato in seguito all'accoglimento dell'istanza tendente all'accertamento del ne bis in idem fra due sentenze in relazione al reato associativo", e che lo stesso aveva integralmente espiato la pena prevista per i reati ostativi, essendo attualmente ristretto per reati non ostativi (con fine pena fissato al 12 ottobre 2023).

A sostegno del ricorso evidenzia che la citata sentenza di condanna per i delitti in materia di armi, di cui al n. 3 del provvedimento di cumulo, aveva espressamente escluso la ricorrenza dell'aggravante di cui all'art. 7 della L. n. 203 del 1991. Segnala inoltre che era intervenuto provvedimento di scissione del cumulo n. 827/2018 emesso dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari il 12 febbraio 2018, che aveva applicato in misura proporzionale alle pene concorrenti la riduzione ex art. 78 c.p. ai fini della autorizzazione permanente del condannato ai colloqui personali e telefonici previsti per il regime di media sicurezza.

Il Tribunale di sorveglianza avrebbe omesso di considerare questi provvedimenti, con conseguente violazione dei principi di progressione trattamentale e della finalità rieducativa della pena. Avrebbe altresì ignorato la memoria difensiva e la documentazione prodotta a corredo, con conseguente mancanza grafica di motivazione a tale riguardo nella decisione impugnata.

Il Tribunale di sorveglianza avrebbe inoltre violato il principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza Sez. 1, n. 6013 del 19 dicembre 2016, dep. 2017, Papalia, che avrebbe imposto di individuare il titolo di reato effettivamente in espiazione, determinando, mediante un'operazione algebrica, in che proporzione il criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. avesse inciso sulla pena complessiva derivante dal cumulo materiale, applicando poi la medesima percentuale per ridurre la pena relativa ai reati ostativi e imputando la frazione di pena espiata all'esecuzione di tali reati. Se tale operazione fosse stata posta correttamente in essere, sarebbe risultato chiaro che la residua pena inflitta per i reati ostativi era stata già scontata dal ricorrente, che attualmente si trova in espiazione di pene non ostative alla concessione delle invocate misure alternative alla detenzione.

Il ricorso dà atto dell'esistenza di un opposto orientamento giurisprudenziale, secondo cui "in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, ai fini dello scioglimento del cumulo, la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell'eventuale applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. determinata dal superamento della soglia massima di anni trenta di pena detentiva" (Sez. 1, n. 18239 del 26/3/2019, Di Mondo, Rv. 275670). Ritiene, però, tale orientamento non condivisibile, perché in contrasto col principio consolidato secondo il quale "le norme concernenti il cumulo non si possono mai risolvere in danno per l'imputato o per il condannato; pertanto, ove determinati effetti penali negativi siano collegati alle singole pene e non siano altrimenti determinabili se non in rapporto a una loro autonoma e distinta valutazione, le stesse riacquistano la loro individualità, previo scioglimento temporaneo e parziale del cumulo". A tale riguardo, il ricorrente segnala che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 14 del 30/6/1999, Ronga, Rv. 214355 - 01, hanno affermato che "nel corso dell'esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che di questi non impediscono la concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi", sicché, "per effetto dello scioglimento del cumulo, ciascuna fattispecie di reato acquista la sua autonomia, sia quanto a pena edittale, sia quanto a pena applicata o applicabile in concreto la quale, per scongiurare l'effetto ostativo, deve risultare interamente scontata".

In via subordinata, rilevata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, il ricorrente ha chiesto la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite.

3. Assegnato il ricorso, ratione materiae, alla Prima Sezione penale, sono state acquisite, procedendosi con rito camerale non partecipato, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, che ha chiesto il rigetto del ricorso. Ha segnalato, a tale riguardo, che il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione del condivisibile principio di diritto affermato da questa Corte, secondo il quale "in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari (nella specie, permesso-premio), ai fini dello scioglimento del cumulo, la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell'eventuale applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. determinata dal superamento della soglia massima di anni trenta di pena detentiva" (Sez. 1, n. 18239 del 26/03/2019, Di Mondo, Rv. 275670 - 01).

Ha rilevato inoltre, in particolare, che, diversamente opinando, si arriverebbe alla illogica e paradossale conseguenza secondo cui, in presenza di un solo titolo implicante la condanna a trenta anni di reclusione per reati ostativi, il detenuto potrebbe accedere al beneficio invocato soltanto previo accertamento della collaborazione con la giustizia o della declaratoria di impossibilità o inesigibilità di detta collaborazione, mentre in caso di cumulo di pene detentive concorrenti (e dunque di più condanne, tra le quali, come nel caso di specie, quella ad trenta anni di reclusione per reati ostativi) già mitigato dal principio moderatore ex art. 78 cod pen. godrebbe di un trattamento più favorevole, derivante dalla ulteriore percentuale di riduzione della quota di pena imputabile al reato ostativo.

4. La difesa del ricorrente, in data 18 maggio 2022, ha depositato note di replica, con le quali ha ribadito le censure formulate col ricorso e ha evidenziato che i principi generali in tema di scioglimento del cumulo fra reati ostativi e non ostativi sono ispirati al principio del favor rei, al fine di consentire l'accesso del condannato alle misure alternative, in armonia con quanto espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 361 del 1994 in materia di liberazione anticipata speciale.

L'esclusione della possibilità di operare la riduzione della pena inflitta per reati ostativi col metodo del calcolo algebrico proporzionale comporterebbe una disparità di trattamento fra i detenuti condannati per reati tutti ostativi e quelli condannati per reati ostativi e per reati non ostativi. L'azzeramento degli effetti derivanti dal precedente provvedimento di "scorporo", effettuato dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari nel 2018, finirebbe per mortificare il principio di progressione trattamentale e di rieducazione del condannato, previsto all'art. 27 Cost., soprattutto nella fase finale del percorso detentivo.

5. La Prima Sezione penale, con ordinanza n. 25005 del 3 giugno 2022, depositata il 30 giugno 2022, ha rimesso la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite.

La Sezione rimettente ha segnalato il contrasto emerso nella giurisprudenza di legittimità in ordine ai criteri secondo i quali, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, operare lo scioglimento del cumulo che abbia richiesto l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione. In particolare, se ciò debba avvenire considerando la pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria, ovvero, previa riduzione proporzionale, quella che il suddetto criterio moderatore abbia determinato sulla pena complessiva derivata dal cumulo materiale.

Nel provvedimento si espongono sinteticamente i contrapposti orientamenti ermeneutici.

Secondo il primo di essi, "in presenza di un provvedimento di unificazione di pene temporanee concorrenti, che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, ai fini dello scioglimento del cumulo, è necessario individuare il titolo di reato effettivamente in espiazione, valutando, mediante un'operazione algebrica, in che proporzione il criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. abbia inciso sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale, così da applicare la percentuale ottenuta su ciascun reato, ed imputando la frazione già espiata all'esecuzione dei reati ostativi" (Sez. 1, n. 35794 del 08/03/2019, Farina, Rv. 276723 01; Sez. 1, n. 6013 del 19/12/2016, dep. 2017, Papalia, non mass.; Sez. 1, n. 3130 del 19/12/2014, dep. 2015, Moretti, Rv. 26206).

Il secondo orientamento interpretativo, nel porsi in espresso e consapevole contrasto con le decisioni appena richiamate, si compendia invece nel principio di diritto secondo il quale "in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, ai fini dello scioglimento del cumulo, la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell'eventuale applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. determinata dal superamento della soglia massima di anni trenta di pena detentiva" (Sez. 1, n. 26848 del 01/06/2022, Z., Rv. 283360 - 01, riguardante istanza di ammissione alla detenzione domiciliare; Sez. 1, n. 24014 del 18/05/2022, Cascone, Rv. 283186 - 01, relativa ad istanza per la concessione della semilibertà; Sez. 1, n. 18239 del 26/03/2019, Di Mondo, Rv. 275670 01, in caso relativo a domanda di permesso-premio).

6. Il Sostituto Procuratore generale ha quindi ribadito con articolate note di udienza l'adesione del suo Ufficio all'indirizzo interpretativo secondo il quale, ai fini dello scioglimento del cumulo, la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell'eventuale applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. determinata dal superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione, ed ha pertanto confermato le conclusioni scritte già rassegnate dal suo Ufficio, sollecitando il rigetto del ricorso.

7. La difesa del ricorrente ha depositato memoria in replica datata 30 novembre 2022, con la quale si ripercorrono i motivi di ricorso e si ribadisce, anche con richiami alla pertinente giurisprudenza costituzionale, la piena adesione all'orientamento interpretativo favorevole all'imputazione proporzionale a ciascun reato, ostativo e non ostativo, compreso nel cumulo materiale, della stessa diminuzione percentuale della pena complessiva operata sulla base del criterio moderatore previsto dall'art. 78 c.p. per il caso di superamento della soglia massima di trenta anni di reclusione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione rimessa all'esame delle Sezioni Unite può essere riassunta nei seguenti termini: "Se, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini vada effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria, ovvero operando una riduzione proporzionale rispetto all'applicazione del predetto criterio moderatore alla pena complessiva, derivante dal cumulo materiale".

2. Correttamente la Sezione rimettente ha registrato un perdurante contrasto interpretativo - già segnalato dall'Ufficio del Massimario e del Ruolo - in ordine alla possibilità di procedere allo scioglimento del cumulo di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione di benefici penitenziari ed abbia comportato l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione, operando la riduzione della pena originaria inflitta per quel tipo di reato in misura proporzionale a quella che detto criterio moderatore abbia determinato sulla pena complessiva.

2.1. Il primo degli orientamenti in contrasto - da ultimo ribadito da Sez. 1, n. 35794 del 08/03/2019, Farina, Rv. 276723, che richiama i precedenti conformi rappresentati da Sez. 1, n. 6013 del 19/12/2016, dep. 2017, Papalia, non mass., e Sez. 1, n. 3130 del 19/12/2014, dep. 2015, Moretti, Rv. 26206 - ritiene che in siffatte ipotesi di scioglimento del cumulo sia necessario operare l'individuazione del titolo di reato effettivamente in espiazione attraverso un'operazione algebrica che quantifichi in quale proporzione il criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. abbia inciso sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale, per poi applicare quella stessa percentuale di riduzione su ciascun reato, imputando la frazione già espiata all'esecuzione dei reati ostativi.

La più recente decisione che si inscrive nell'orientamento in esame osserva in via preliminare che "per le pene temporanee, il codice penale ha abbandonato sia il sistema dell'assorbimento sia quello del cumulo giuridico, adottando invece, secondo il principio tot crimina tot poenae, il criterio del cumulo materiale, sia pure temperato attraverso la fissazione di limiti massimi di pena, in assoluto o in rapporto alla pena più grave, ai sensi dell'art. 78 c.p. "; ciò al fine di evitare i possibili eccessi derivanti dalla mera addizione aritmetica, che potrebbero trasformare di fatto una pena temporanea in perpetua, con violazione dell'art. 23 c.p. e del sovraordinato principio costituzionale, affermato all'art. 27, comma 3, Cost., che affida alla pena una finalità rieducativa (Sez. 1, n. 35794 del 08/03/2019, Farina, Rv. 26206),.

La stessa sentenza sottolinea che nei confronti di un soggetto condannato con più sentenze o decreti penali per reati diversi, ove non si sia provveduto in sede di cognizione, il cumulo materiale delle pene disposto in sede esecutiva dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 663 c.p.p. risponde alla necessità di assicurare, ai fini penali ed esecutivi, "identico trattamento, a prescindere dal momento in cui emerga l'esistenza di condanne per fatti diversi da eseguire". Fermo restando che la formazione del cumulo deve essere temporalmente riferita alla data di consumazione dell'ultimo reato commesso prima dell'inizio dell'esecuzione di una qualsiasi delle pene considerate ai fini dell'esecuzione concorrente, non potendo la pena precedere il delitto.

La medesima decisione rammenta che il rischio di una irragionevole diversità di trattamento in sede esecutiva, collegata a circostanze meramente casuali, era già stato segnalato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 361 del 1994. Pur dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis ord. pen. nella parte in cui rendeva la condanna per i delitti ivi indicati ostativa alla concessione dei benefici penitenziari, la Corte costituzionale aveva posto in rilievo che, diversamente da quanto affermato in alcune sentenze della Cassazione le quali avevano individuato la ratio del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di "pericolosità soggettiva" del detenuto derivante dalla condanna per un reato "ostativo", "non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall'art. 4-bis abbia creato una sorta di status di "detenuto pericoloso" che permei di sé l'intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna". Secondo la Corte costituzionale, al contrario, proprio l'articolazione della disciplina sulle misure alternative "in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali è stata pronunciata condanna la cui pena è in esecuzione" impone di valorizzare il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità relativo alla "necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene".

In tale prospettiva ermeneutica, la regola dettata all'art. 76, comma 1, c.p., secondo cui le pene della stessa specie, concorrenti a norma dell'art. 73 c.p., si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico, non può dunque in nessun caso condurre a ingiustificate diversità di trattamento a seconda dell'eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla formazione di un cumulo materiale ai sensi dell'art. 663 c.p.p., anziché di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.

Secondo l'indirizzo in esame, sarebbe allora irragionevole che chi è stato condannato per diversi reati, ostativi e non ostativi ai benefici penitenziari, si trovasse a patire, in relazione alle condanne per i reati non ostativi, un trattamento equivalente a coloro i quali sono stati condannati solo per reati ostativi, e un trattamento deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne sia per delitti ostativi che per reati non ostativi, ha separatamente scontato ciascuna delle pene a lui inflitte con sentenze divenute irrevocabili

e poste in esecuzione più tempestivamente.

Pertanto, quando sia stato applicato al cumulo materiale delle pene il criterio moderatore dell'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di trenta anni di reclusione, è necessario, mediante una operazione algebrica, valutare in che proporzione detto criterio abbia inciso sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale, così da applicare la percentuale ottenuta sui reati ostativi e su quelli non ostativi. Resta peraltro fermo il risalente principio di diritto secondo cui, nel caso di cumulo materiale di pene concorrenti, deve intendersi scontata per prima quella più gravosa per il reo, con la conseguenza che, ove si debba espiare una pena inflitta anche per un reato ostativo alla fruizione di benefici penitenziari, la pena espiata va imputata innanzi tutto ad essa (tra molte, Sez. 1, n. 613 del 22/3/1999, Ruga, Rv. 212738).

2.2. Altre pronunce di legittimità intervenute in argomento si sono poste in espresso

e consapevole contrasto con le decisioni appena richiamate e hanno recepito una diversa

e opposta soluzione, compendiata nel principio di diritto secondo il quale "in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, ai fini dello scioglimento del cumulo, la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell'eventuale applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. determinata dal superamento della soglia massima di anni trenta di pena detentiva" (Sez. 1, n. 26848 del 01/06/2022, Z., Rv. 283360 - 01, riguardante istanza di ammissione alla detenzione domiciliare; Sez. 1, n. 24014 del 18/05/2022, Cascone, Rv. 283186 - 01, relativa ad istanza per la concessione della semilibertà; Sez. 1, n. 18239 del 26/03/2019, Di Mondo, Rv. 275670 01, in caso relativo a domanda di permesso-premio).

Per la verità, già Sez. 1, n. 35741 del 08/06/2017, Bruzzaniti, non mass., aveva affermato che "una volta operato lo scioglimento del cumulo delle pene concorrenti, allo scopo di verificare se il condannato abbia espiato la pena per i reati ostativi al godimento dei benefici penitenziari, non si può tenere conto della riduzione di pena derivante dall'applicazione del criterio moderatore previsto dall'art. 78 c.p. " Questo principio era del resto mutuato da quello che la stessa sentenza Bruzzaniti definisce un "orientamento ermeneutico consolidato" - espresso dalla più remota Sez. 1, n. 837 del 27/02/1993, Di Girolamo, Rv. 193632-01, relativa ad istanza di ammissione alla semilibertà ai sensi dell'art. 50, comma 2, ord. pen. - secondo il quale "nel caso di espiazione di una pena unica cumulata, derivante dalla unificazione di una pluralità di pene e dall'inserimento nell'unico cumulo di una pluralità di cumuli parziali (in conseguenza della commissione in tempi diversi dei reati per i quali il soggetto ha riportato condanna e della non imputabilità della pena già espiata ad un reato commesso in epoca successiva), deve aversi riguardo, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza o meno della condizione costituita dall'avvenuta espiazione di almeno metà della pena, alla intera pena da espiare, indipendentemente dalla circostanza che nell'effettuazione dei cumuli parziali abbia operato o meno il criterio moderatore di cui all'art. 78 comma 1 n. 1 c.p., richiamato dal successivo art. 80".

Successivamente, come si è già anticipato, Sez. 1, n. 18239 del 26/03/2019, Di Mondo, Rv. 275670 - 01, si è per prima discostata consapevolmente dal contrario indirizzo ermeneutico nel frattempo inaugurato da Sez. 1, n. 6013 del 19/12/2016, dep. 2017, Papalia, ripudiando il criterio di riduzione proporzionale della pena da imputare alla condanna per reato ostativo.

La soluzione fa leva su un duplice ordine di argomenti, di carattere letterale e logico-sistematico.

In primo luogo, con riferimento al tenore testuale dell'art. 78 c.p., si rileva che "l'applicazione del temperamento dei trenta anni ai cumuli di pene detentive temporanee che ne superino la misura avviene senza alcuna considerazione dell'entità delle singole pene che in essi confluiscono", sicché "la riduzione opera con modalità identiche quale che sia l'ammontare complessivo delle pene cumulate - se di poco superiore la soglia dei trenta anni o se di gran lunga rispetto ad essa eccedenti". Da ciò deriva la constatazione che "la legge (...) non ha previsto un meccanismo di riduzione proporzionale delle pene cumulate in modo da imporre un abbattimento, ai fini della riduzione complessiva ad anni trenta, che possa tener conto della loro consistenza quantitativa".

Secondo tale indirizzo, poi, l'applicazione del criterio di riduzione proporzionale conduce a conseguenze irragionevoli.

Da un lato, infatti, "il dato percentuale di abbattimento dell'entità delle pene cumulate è tanto maggiore quanto più elevata è la risultante della loro sommatoria, e quindi la riduzione proporzionale delle pene da imputare al reato ostativo sarebbe maggiore nei casi di complessiva maggiore gravità, ossia di cumuli con un ammontare molto elevato, e sarebbe invece minima nei casi di rilievo minore, di cumuli di poco superiori alla soglia dei trenta anni". Dall'altro, "il condannato per molti reati puniti con pena detentiva temporanea potrebbe così fruire di una maggiore percentuale di riduzione della quota di pena imputabile al reato ostativo con un irragionevole maggior beneficio rispetto al condannato, magari per lo stesso reato ostativo con irrogazione della stessa pena, il cui cumulo complessivo di pene detentive, pur esso ricondotto alla soglia massima legale di anni trenta, sia di assai minore entità".

L'opzione interpretativa in esame è stata recentemente ribadita da Sez. 1, n. 24014 del 18/05/2022, Cascone Vincenzo, Rv. 283186 - 01, sempre con riferimento alle condizioni più gravi (espiazione di almeno due terzi della pena) previste dall'art. 50, comma 2, Ord. pen. per la concessione della semilibertà a soggetti condannati per taluno dei delitti indicati all'art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater Ord. pen..

La Corte, dopo aver ripercorso il contrasto giurisprudenziale in essere, ha aderito all'indirizzo interpretativo contrario a che il criterio moderatore previsto dall'art. 78 c.p. comporti l'automatica riduzione proporzionale delle pene concorrenti.

Fermo restando l'obbligo di procedere preliminarmente allo scioglimento "ideale" del cumulo tra reati ostativi e reati non ostativi, al fine di calcolare il rispetto dei requisiti di ammissibilità previsti dall'art. 50, comma 2, Ord. pen., la Corte ha osservato che la necessità di tale operazione, in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene, non comporta anche l'applicazione del criterio dello scorporo proporzionale, calcolo deterministico ulteriore che non può trovare fondamento nella citata pronuncia della Corte costituzionale n. 361 del 1994.

Richiama, a sostegno della soluzione prescelta, i due argomenti, letterale e sistematico, espressi da Sez. 1, Di Mondo, cit. Sul piano dell'esegesi letterale, aggiunge che "il criterio moderatore dell'art. 78 c.p. non è richiamato dall'art. 76, ed e', quindi, successivo ed estraneo all'unicità della pena ad ogni effetto giuridico, che riguarda "le pene della stessa specie concorrenti a norma dell'art. 73". La pena che deve essere considerata unica ad ogni effetto giuridico non e', pertanto, quella di trent'anni, ma quella derivante dal cumulo materiale". Sottolinea, poi, che a differenza del cumulo giuridico previsto dall'art. 81 c.p., il criterio moderatore dell'art. 78, comma 1, n. 1, c.p., non presuppone l'unificazione delle pene ed entra in azione ex post, quando le singole pene sono già determinate, realizzando "soltanto uno sbarramento massimo, dettato in misura fissa, e non proporzionale ai reati sottostanti."

Quanto all'argomento di ordine sistematico, l'irragionevolezza delle conseguenze derivanti dalla applicazione dello scorporo proporzionale, conseguente allo scioglimento del cumulo, si traduce nella considerazione, formulata in termini di paradosso, che "alla difesa converrebbe, nel corso di processi per reati non ostativi che in ragione del tempo in cui sono stati commessi sono destinati ad entrare nel cumulo, ottenere una condanna ad una pena più alta, perché in questo modo, posto che la pena finale da espiare non muterebbe per l'applicazione dello sbarramento dei trent'anni, l'incidenza dei reati ostativi sui trent'anni di reclusione si ridurrebbe sensibilmente e l'accesso ai benefici penitenziari sarebbe più rapido".

Da ultimo, Sez. 1, n. 26848 del 1/06/2022, Z.A., Rv. 283360 - 01, pronunciata nei confronti del medesimo attuale ricorrente e riguardante l'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità della richiesta di concessione della detenzione domiciliare, ripercorre il contrasto interpretativo e condivide le ragioni sottese all'indirizzo ermeneutico in esame.

In motivazione, si contrasta l'argomento, posto a base dell'opposto orientamento, che prefigura una ingiustificata disparità di trattamento tra il condannato raggiunto da un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, per reati ostativi e non, rispetto al condannato per reati analoghi che, per le ragioni più varie, non sia stato destinatario di un cumulo e abbia espiato separatamente ciascuna delle pene a lui inflitte.

Si evidenzia come la comparazione delle due situazioni "non conduce (...) a risultati iniqui, perché il condannato che sconti separatamente le varie condanne non si avvale del temperamento dell'art. 78 c.p., che opera soltanto in caso di cumulo, e già questo aspetto, di sicura rilevanza, priva della possibilità di svolgere una attendibile comparazione tra posizioni esecutive strutturalmente diverse.".

Del pari, si aggiunge, l'argomento dell'irragionevole parificazione tra quanti sono condannati per reati ostativi e non ostativi e quanti, invece, siano stati condannati soltanto per reati ostativi, trascura che "la comparazione (...) è fallace, dal momento che, per espressa ammissione, si misurano gli effetti dell'asserita irragionevolezza sul piano della espiazione di condanne per reati non ostativi nonostante una delle categorie soggettive della comparazione non ha, per premessa, riportato condanna per reati di tal tipo.".

Si osserva, infine, che la irragionevole parità di trattamento in relazione alla espiazione delle pene per reati non ostativi costituisce "argomento meramente suggestivo" ai fini della concedibilità dei benefici penitenziari, "per l'ovvia considerazione che tal tipo di espiazione è per definizione del tutto irrilevante.".

Non trova, dunque, fondamento normativo e giustificazione razionale la regola che impone di tener conto - nello scioglimento virtuale del cumulo materiale di pene detentive per reati ostativi e non ostativi che abbia comportato l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento del limite di trenta anni di reclusione - che il condannato possa giovarsi, ai fini delle valutazioni relative alla concedibilità di un beneficio penitenziario, di un abbattimento della pena imputabile al reato ostativo proporzionale alla riduzione operata sulla pena complessiva derivante dal cumulo.

Il condannato non potrebbe del resto avvalersi della indicata riduzione proporzionale "in assenza di ulteriori condanne per reati non ostativi, dovendo in tale ipotesi, che è certo di minore gravità, computarsi per intero la pena irrogata con la condanna per reato ostativo.".

3. Il Collegio ritiene che il rilevato contrasto interpretativo vada risolto dando continuità all'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, ai fini dello scioglimento del cumulo di pene temperato dal criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. con applicazione della soglia massima di pena detentiva di anni trenta di reclusione, le pene da imputare alla condanna per reato ostativo vanno considerate, in vista della decisione in ordine alla domanda di benefici penitenziari, nella loro entità originaria.

4. Giova in primo luogo evidenziare che gli orientamenti in contrasto condividono il principio secondo il quale, in caso di cumulo di pene inflitte per diversi reati, al fine di accertare l'esistenza dei requisiti di ammissibilità a benefici penitenziari o misure alternative alla detenzione, si debba procedere preliminarmente allo scioglimento del cumulo tra reati ostativi e reati non ostativi, sicché possa essere ammesso a tali benefici il condannato che abbia già scontato la pena relativa al delitto ostativo, da ritenersi espiata per prima rispetto alle altre oggetto di cumulo.

Va sottolineato che si tratta di un principio affermato da questa Corte sin dagli inizi dell'applicazione della L. 26 luglio 1975, n. 354. Tale giurisprudenza, per lungo tempo uniforme, si fonda sulla considerazione che le norme concernenti il cumulo delle pene non possono mai risolversi in un danno per il condannato. Pertanto, ove taluni effetti penali negativi fossero collegati alle singole pene oggetto di cumulo e non fossero altrimenti determinabili se non in rapporto ad una loro autonoma e distinta valutazione, le pene devono riacquistare la loro individualità, previo scioglimento temporaneo e parziale del cumulo (ex plurimis, Sez. 1, n. 4998 del 19/9/1997, Messina, Rv. 208512; Sez. 1, n. 4600 del 9/11/1992, Policastro, Rv. 192414).

E' interessante notare, a tale riguardo, che un contrario orientamento di legittimità emerse solo a partire dai primi anni ‘90 del secolo scorso, con riferimento al cumulo di pena riguardante delitti avvinti da continuazione tra i quali sia compreso un reato ostativo alla concessione di benefici penitenziari. Secondo questo indirizzo, in tal caso non si sarebbe potuto procedere allo scioglimento del cumulo giuridico ai fini della concedibilità dei benefici, né avrebbe potuto considerarsi espiata per prima la pena inflitta per il reato ostativo, in quanto l'art. 4-bis Ord. pen. fa riferimento alla "pericolosità soggettiva del detenuto, certificata dalla condanna per un determinato reato, e ad essa collega la esclusione di vari benefici, senza possibilità di distinguere, in caso di pene concorrenti, e di attribuire, quindi, ad un periodo pregresso l'espiazione di quella parte di pena collegabile al reato per cui vige il divieto di concedibilità" (così, tra le altre, Sez. 1, n. 2903 del 18/6/1993, Sfara, Rv. 194624).

Ben presto, peraltro, la Corte costituzionale ritenne, con la sentenza n. 361 del 1994, che "tale nuova linea giurisprudenziale non può considerarsi diritto vivente, sia perché contrastata da un numero molto maggiore di precedenti decisioni, sia perché non costante nemmeno nell'ultimo periodo di tempo", essendo stato ribadito da una decisione di questa Corte che "la semilibertà è applicabile anche nel caso in cui la pena cui si riferisce sia stata cumulata con altra pena inflitta per un reato in relazione al quale sussiste un divieto di legge, ma che tuttavia risulti in precedenza espiata" (Sez. 1, n. 4600 del 9/11/1992, Policastro, Rv. 192414).

La Corte costituzionale prese allora le mosse proprio dalla ricostruzione del diritto vivente rinvenibile nella giurisprudenza di legittimità per rilevare che "diversamente da quanto affermato in alcune sentenze della Cassazione le quali individuavano la ratio del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di "pericolosità soggettiva" del detenuto derivante dalla condanna per un reato "ostativo", non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall'art. 4-bis abbia creato una sorta di status di "detenuto pericoloso" che permei di sé l'intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna". Secondo la Corte costituzionale, al contrario, proprio l'articolazione della disciplina sulle misure alternative "in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali è stata pronunciata condanna la cui pena è in esecuzione" impone di valorizzare il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità relativo alla "necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene". Pertanto, nel dichiarare l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis Ord. pen., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la Corte costituzionale precluse, con specifico riferimento al principio di eguaglianza, un'interpretazione di quella norma che portasse all'esclusione dalle misure alternative i "condannati per un reato grave, ostativo alla concessione delle dette misure, anche quando essi, avendo espiato per intero la pena per il reato grave, stiano espiando la pena per reati meno gravi, non ostativi alla predetta concessione".

Già in precedenza, del resto, la Corte costituzionale (sent. n. 386 del 1989), nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 47, comma 1, Ord. pen. nella parte in cui non prevede che nel computo delle pene ai fini della determinazione del limite di pena per la concessione dell'affidamento in prova ai servizi sociali non si debba tener conto anche delle pene espiate, aveva affermato che il principio della "pena unica", discendente dagli artt. 73 e 76 c.p., non può risolversi a danno del condannato, pena la violazione dei parametri costituzionali di ragionevolezza, di uguaglianza e della funzione risocializzante della pena.

Sul solco tracciato dalla Corte costituzionale si innesta la successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo la quale "nel corso dell'esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che di questi non impediscono la concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi" (Sez. U, n. 14 del 30/06/1999, Ronga, Rv. 214355 - 01). La decisione, che si fonda sul principio del "favor rei", opera una sostanziale estensione dell'indirizzo giurisprudenziale formatosi in tema di cumulo materiale, argomentando che "ogni qual volta l'unificazione fittizia dei reati si risolva in situazione di pregiudizio per il reo deve procedersi alla scissione, non potendosi ammettere che un istituto di favore si risolva, poi, in pregiudizio" (vedi, per l'affermazione di una visione "pluralistica" del reato continuato che legittima lo scioglimento del cumulo giuridico ove tale operazione produca effetti favorevoli al condannato, Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 2018, Varnelli, non mass. sul punto, in materia di individuazione del termine di prescrizione; Sez. U, n. 1 del 26/2/1997, Mammoliti, Rv. 207939, in materia di computo dei termini massimi della custodia cautelare; Sez. U., n. 2780 del 24/1/1996, Panigoni, Rv. 203975, e Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, Fiorentini, Rv. 183004, in materia di applicazione dell'indulto).

Ancora recentemente la Corte costituzionale ha rimarcato che "la giurisprudenza di legittimità è (...) da tempo costante nel ritenere che, nel caso di cumulo, materiale o giuridico, di pene inflitte per diversi titoli di reato, alcuni dei quali soltanto compresi nell'elenco di cui all'art. 4-bis ordin. penit., occorre procedere allo scioglimento del cumulo, venendo meno l'impedimento alla fruizione dei benefici penitenziari qualora l'interessato abbia già espiato la parte di pena relativa ai reati ostativi (ex plurimis, con riguardo al cumulo materiale, Sez. 1, n. 28141 del 18/6/2021, Festa, Rv. 281672 - 01; Sez. 1, n. 13041 dell'11/12/2020, dep. 2021, Strano, Rv. 280982; con riguardo al cumulo giuridico, conseguente, in particolare, all'applicazione della disciplina del reato continuato, Sez. 1, n. 52182 del 29/11/2016, Besiri, Rv. 269045; Sez. 1, n. 32419 del 31/3/2016, Baiamonte, Rv. 268219): con l'ulteriore precisazione che, a questi fini, deve ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il reo, ossia quella riferibile ai reati che non consentirebbero l'accesso ai benefici (tra le altre, Sez. 1, n. 28141 del 18/6/2021, Festa, Rv. 281672 - 01; Sez. 1, n. 6817 del 28/10/2015, dep. 2016, Giacomi, Rv. 265987" (Corte Cost., sent. n. 33 del 2022).

Lo scioglimento del cumulo delle pene - non previsto e regolato esplicitamente dalla legge, avendo natura solo "ideale" o "temporanea" (Sez. 1, n. 4208 del 7/06/2000, Mammoliti, Rv. 216625-01; Sez. 1, n. 24704 del 11/06/2002, Giampaolo, Rv. 221607 01; vedi, quanto alla necessità che la magistratura di sorveglianza individui in via incidentale, ai soli fini della concedibilità dei benefici penitenziari, le porzioni di pena da espiare e già espiate, Sez. 1, n. 38333 del 2/10/2008, Confl. comp. in proc. Riina, Rv. 241311-01; Sez. 1, n. 52182 del 29/7/2016, Besiri, cit.) - è dunque funzionale alla determinazione del momento in cui, avvenuta l'espiazione della pena inflitta in ordine ai delitti ricompresi nell'art. 4-bis Ord. pen., il divieto di concessione dei benefici penitenziari ai condannati per uno dei delitti ostativi non ha più ragione di operare in ordine alla pena residua (Sez. 1, n. 25475 del 16/03/2021, Leo Gaetano; Sez. 1, n. 15954 del 18/03/2009, Trubia, Rv. 243316 - 01). Restando fermo, in base al principio del favor rei, che la pena inflitta con la sentenza di condanna relativa ai delitti ostativi deve considerarsi espiata per prima (tra molte, Sez. 1, n. 14563 del 12/04/2006, Hamdy, Rv. 233946 - 01).

Tali principi meritano piena conferma. Essi risultano profondamente radicati nelle decisioni della Corte costituzionale e nella giurisprudenza di questa Corte, legate, come si è visto, da un comune filo conduttore. Non stupisce, pertanto, che ad essi si riferiscano concordemente entrambi gli indirizzi interpretativi in esame.

Ciò detto, va tuttavia evidenziato il vero e proprio salto logico rinvenibile nell'argomentazione del primo orientamento in esame, là dove si pretende che all'esigenza di scioglimento del cumulo "temperato" per addivenire all'individuazione del titolo di reato cui si riferisce la pena effettivamente in espiazione consegua, per necessità di sistema, una riduzione della pena inflitta per il reato ostativo in misura proporzionale a quella che il limite di trenta anni di reclusione di cui all'art. 78 c.p. ha determinato sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale.

In realtà, una volta superata la tesi dell'inscindibilità del cumulo materiale - che avrebbe effettivamente generato una irragionevole diversità di trattamento a seconda della eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle singole condanne (così, Sez. U., Ronga, cit.; Sez. 1, n. 2529 del 26/3/1999, Parisi, Rv. 213354) - tale rischio viene meno, proprio per effetto dello scioglimento del cumulo, anche in caso di unico rapporto esecutivo riguardante più pene oggetto di unificazione. Per effetto dello scioglimento del cumulo è infatti possibile determinare, imputando per prima al reato ostativo la pena già eseguita, se abbia avuto luogo un concreto "esaurimento" della condanna ostativa, per effetto della sua totale espiazione, a prescindere dall'eventuale incidenza del criterio moderatore di cui all'art. 78, comma 1, n. 1, c.p. sulle singole pene cumulate.

Deve pertanto ritenersi insussistente qualsivoglia appiglio sistematico che consenta di agganciare all'esigenza di scioglimento del cumulo una pretesa "operazione algebrica" che applichi alla singola pena ostativa una riduzione proporzionale a quella che detto criterio moderatore ha prodotto sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale.

Viene così meno uno degli argomenti spesi - peraltro in modo del tutto generico e apodittico, come si trattasse di un corollario, in realtà inesistente, dello scioglimento del cumulo "temperato" - dal primo degli indirizzi interpretativi in contrasto.

5. In vero, l'art. 78 c.p., nella sua attuale formulazione, esprime il sistema del "cumulo materiale temperato", fissando, nel caso di pene concorrenti per plurime condanne, soglie determinate per gli aumenti delle pene principali.

Il comma 1 prevede due tipologie di limiti da applicarsi ai casi di concorso di pene di cui all'art. 73 c.p. Il primo limite si sostanzia nel criterio proporzionale del quintuplo della più grave delle pene concomitanti. Al contrario, il secondo segue un criterio rigido, stabilendo alcune soglie temporali massime insuperabili dalla somma aritmetica dei singoli fattori di pena della stessa specie. Per la reclusione è previsto il limite di trent'anni. Le Sezioni Unite hanno già operato una puntuale ricostruzione esegetica di questo sistema normativo.

Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, Volpe, Rv. 237692, ha, in particolare, evidenziato che la "Relazione ministeriale sul Progetto del codice penale (p. 130), parla di un doppio limite massimo: il primo, variabile e proporzionale, del quintuplo della pena più grave, come determinata in concreto, fra le pene concorrenti; il secondo, assoluto e fisso, di saturazione delle pene, per il quale la pena da applicare non può comunque eccedere trent'anni per la reclusione e sei anni per l'arresto; l'uno destinato a funzionare per le pene più brevi e i minori reati e l'altro per le più gravi pene e i maggiori reati".

La stessa decisione ha sottolineato che nella citata Relazione ministeriale "il legislatore (...) considera come "pena unica per ogni effetto giuridico" (artt. 73, comma 1, e 76, comma 1, c.p.), e non come mera somma aritmetica delle pene applicate per ciascun reato, la pena complessiva inflitta in virtù della concorrenza di pene detentive temporanee della stessa specie, irrogate per i singoli reati in concorso: e ciò tanto nel caso in cui più reati siano stati giudicati con unica sentenza o decreto (art. 71), quanto nel caso in cui nei confronti della stessa persona siano intervenute più condanne, pronunciate con distinti sentenze o decreti (art. 80). E' certo, in particolare, che il limite dei trent'anni di reclusione opera uniformemente, quale che sia l'eccedenza della pena detentiva, tanto se il cumulo materiale abbia dato come risultato una pena superiore a detto limite solo di qualche anno, quanto se abbia dato come risultato una pena superiore per molti anni".

Circa la natura e funzione dell'art. 78 c.p., le Sezioni Unite hanno affermato che quelle norme, segnando il limite dell'esercizio della potestà punitiva statuale nell'irrogazione delle pene detentive temporanee, appartengono legittimamente all'area delle regole di natura sostanziale del codice penale in tema di commisurazione della pena, e che "il criterio moderatore del cumulo materiale di cui all'art. 78 costituisce pur sempre espressione della finalità rieducativa della pena in relazione ad una speranza di vita futura, da libero, del condannato: l'applicazione rigida e automatica dell'addizione aritmetica delle varie pene potrebbe, infatti, condurre alla esorbitante condanna ad una pena complessiva superiore alla previsione di vita del condannato, frustrandosi così il principio rieducativo di cui all'art. 27 Cost." (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, Volpe, cit., che richiama Sez. 1, n. 16461 del 16/3/2005, Coraci, Rv. 231580-01, la quale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 78 in riferimento agli artt. 3,27 Cost., invocata in ragione della deroga al principio di legalità conseguente ad un criterio prestabilito di mero calcolo aritmetico disancorato dalla funzione rieducativa della pena).

Peraltro, le Sezioni Unite hanno altresì ricordato che, "pur essendo indubbio che il limite quantitativo nell'irrogazione delle pene detentive temporanee, nei termini fissati dall'art. 78 c.p., operi anche nella fase dell'esecuzione, giusta il disposto dell'art. 80 c.p., questa Corte è ripetutamente intervenuta per circoscriverne la portata e il perimetro applicativo, nel senso che l'obbligatorietà della formazione del cumulo nell'esecuzione di pene concorrenti non significa affatto che un soggetto, il quale abbia riportato più condanne a pene detentive temporanee, non possa rimanere detenuto nel corso della sua vita per un periodo eccedente quello massimo indicato in trent'anni, essendo tale limite, per evidenti esigenze di prevenzione speciale, riferibile solo alle pene inflitte per i reati commessi prima dell'inizio della detenzione" (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, Volpe, cit.).

Tali principi e considerazioni meritano integrale conferma.

Appaiono condivisibili, in particolare, i passaggi argomentativi che, con precisi riferimenti alla Relazione ministeriale sul Progetto del codice penale, evidenziano nell'art. 78, comma 1, c.p. la coesistenza di due limiti massimi di pena: il primo, variabile e proporzionale, pari al quintuplo della pena più grave fra le pene concorrenti; il secondo, "assoluto e fisso, di saturazione delle pene, per il quale la pena da applicare non può comunque eccedere trent'anni per la reclusione e sei anni per l'arresto".

Sulla scorta del chiaro tenore letterale della citata disposizione codicistica e della convergente, inequivoca espressione della volontà del legislatore, coerentemente colta e valorizzata dalle Sezioni Unite, non può dunque revocarsi in dubbio che, nel prevedere la regola di temperamento del limite invalicabile di trenta anni di reclusione per il caso di cumulo di pene detentive temporanee, l'art. 78 c.p. operi in senso assoluto sulla sola pena complessiva risultante dal cumulo materiale, senza alcuna considerazione dell'entità delle singole pene che confluiscono nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti.

Trova pertanto integrale conferma, tanto sul piano testuale che su quello sistematico, il rilievo posto a base dell'indirizzo interpretativo per il quale lo scioglimento del "cumulo temperato" che comprenda una pena per reato ostativo alla concessione di benefici penitenziari va effettuato, a tali fini, avendo riguardo a quella pena nella sua entità originaria. E' infatti esatto che "l'applicazione del temperamento dei trenta anni ai cumuli di pene detentive temporanee che ne superino la misura (...) opera direttamente, in modo autonomo e con identiche modalità, sulla pena complessiva derivante dal cumulo materiale, senza alcun riguardo per le singole pene cumulate e la proporzione esistente tra quelle aventi titolo in reati ostativi e quelle invece inflitte per reati non ostativi. Opera, inoltre, allo stesso modo quale che sia l'ammontare complessivo delle pene cumulate, sia esso di poco superiore la soglia dei trenta anni o di gran lunga rispetto ad essa eccedente" (così, testualmente, Sez. 1, Z., cit.).

Il codice penale, infatti, non ha previsto, ai fini del contenimento della reclusione nel limite di trenta anni, un meccanismo di riduzione proporzionale delle pene cumulate che imponga di tener conto della loro individuale consistenza quantitativa, e produca su di essa effetto.

Pertanto, se è pur vero che il criterio moderatore del cumulo materiale di cui all'art. 78 c.p. rappresenta, come si è visto, espressione della finalità rieducativa della pena, il fuoco di questa disposizione converge esclusivamente sulla misura massima della pena complessiva risultante dal cumulo. Di tal che, ai fini della concessione dei benefici penitenziari, quella norma non determina alcun effetto sulle singole pene oggetto di cumulo.

Resta dunque fermo - come espressamente affermato da Sez. U., Ronga, cit. - che "per effetto dello scioglimento del cumulo (...) ciascuna fattispecie di reato riacquista la sua autonomia, sia quanto a pena edittale, sia quanto a pena applicata o applicabile in concreto la quale, per scongiurare l'effetto ostativo, deve risultare interamente scontata".

Ciò determina che, in caso di scioglimento del cumulo materiale che abbia richiesto l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, è la pena in concreto applicata per il reato ostativo, nella sua originaria entità, a dover essere considerata, ai fini della concessione di detti benefici, per stabilire quale sia il titolo della pena in corso di espiazione.

6. Meritano altresì piena adesione i motivi di carattere logico posti a sostegno dell'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, ai fini dello scioglimento del cumulo di pene temperato dal criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. con applicazione della soglia massima di pena detentiva di anni trenta di reclusione, le pene da imputare alla condanna per reato ostativo vanno considerate, in vista della decisione in ordine alla domanda di benefici penitenziari, nella loro entità originaria. L'applicazione del criterio di riduzione proporzionale delle pene inflitte per reati ostativi preconizzato dall'opposto orientamento condurrebbe infatti a conseguenze irragionevoli.

In vero, così operando, la percentuale di abbattimento dell'entità delle pene cumulate risulterebbe tanto maggiore quanto più elevata è la risultante della loro sommatoria. La riduzione proporzionale delle pene da imputare al reato ostativo sarebbe dunque maggiore nei casi di complessiva maggiore gravità, ossia di cumuli con un ammontare molto elevato, e sarebbe invece minima nei casi di rilievo minore, di cumuli di poco superiori alla soglia dei trenta anni. Il condannato per molti reati puniti con pena detentiva temporanea potrebbe fruire di una maggiore percentuale di riduzione della quota di pena imputabile al reato ostativo rispetto al condannato, magari per lo stesso reato ostativo con irrogazione della stessa pena, il cui cumulo complessivo di pene detentive, pur esso ricondotto alla soglia massima legale di anni trenta, sia di assai minore entità. E' del tutto evidente l'irragionevolezza di tale maggior beneficio.

Del resto, questo giudizio di patente irragionevolezza risulta plasticamente confermato proprio nel caso in esame, nel quale il ricorrente vede eseguito nei suoi confronti un cumulo di pene detentive concorrenti, tra le quali quella di trenta anni di reclusione per reati ostativi. Dopo aver beneficiato della riduzione delle pene eccedenti i trenta anni di reclusione per effetto del limite mitigatore di cui all'art. 78 c.p., egli potrebbe godere, al fine della concessione dei benefici penitenziari, anche della percentuale di riduzione della quota di pena ascrivibile al reato ostativo. Prospettiva, quest'ultima, preclusa al soggetto che in ipotesi fosse condannato per gli stessi reati ostativi alla medesima pena, senza peraltro essere colpito da ulteriori condanne, il quale potrebbe accedere ai benefici soltanto previo accertamento della fruttuosa collaborazione con la giustizia, della irrilevanza, impossibilità o inesigibilità di detta collaborazione o della esistenza delle altre stringenti condizioni alternative previste a seguito dell'entrata in vigore delle modifiche alle pertinenti disposizioni dell'Ordinamento penitenziario recate dal D.L. 31/10/2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30/12/2022, n. 399.

7. Inesistente deve poi ritenersi l'irragionevole disparità di trattamento che - secondo il filone interpretativo favorevole alla riduzione proporzionale della pena per reato ostativo a seguito dello scioglimento del cumulo "temperato" - penalizzerebbe il condannato raggiunto da un provvedimento di unificazione di pene concorrenti per reati ostativi e non lo stesso condannato che, per le ragioni più varie, non sia stato destinatario di un cumulo e abbia espiato separatamente ciascuna delle pene a lui inflitte. E' infatti del tutto corretta la considerazione espressa al riguardo da Sez. 1, Z., cit., secondo cui il condannato che sconti separatamente le varie condanne non si avvale del temperamento dell'art. 78 c.p., che opera soltanto in caso di cumulo, sicché la comparazione riguarda in realtà posizioni esecutive tra loro strutturalmente diverse e non porta ex se ad apprezzare risultati iniqui.

8. Del pari fallace è l'argomentazione, posta a fondamento dell'indirizzo che il Collegio ritiene recessivo, che assume un'irragionevole parità di trattamento, in relazione alle condanne per reati non ostativi, tra quanti sono condannati per reati ostativi e non ostativi e quanti, invece, sono stati condannati soltanto per reati ostativi. Anche in tal caso, infatti, si procede a valutazione di posizioni non comparabili, poiché "si misurano gli effetti dell'asserita irragionevolezza sul piano della espiazione di condanne per reati non ostativi nonostante una delle categorie soggettive della comparazione non abbia, per premessa, riportato condanna per reati di tal tipo". Deve, inoltre, considerarsi "argomento meramente suggestivo che vi sia una irragionevole parità di trattamento in relazione alla espiazione di reati non ostativi, per l'ovvia considerazione che tal tipo di espiazione è per definizione del tutto irrilevante" ai fini della concedibilità dei benefici penitenziari (così, correttamente, Sez. 1, Z., cit.).

9. Va quindi enunciato il seguente principio di diritto: "In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria".

10. L'applicazione al caso in esame del principio di diritto appena enunciato conduce al rigetto del ricorso.

E' la stessa prospettazione del ricorrente, che indica il fine pena alla data del 12 ottobre 2023, a ricondurre l'asserita totale espiazione della pena a lui inflitta con la sentenza di condanna alla pena di trenta anni di reclusione pronunciata dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria il 12 maggio 2004 per i reati ostativi di partecipazione ad associazione mafiosa cui all'art. 416-bis c.p., omicidio, tentato omicidio, nonché per i connessi delitti in materia di armi, tutti aggravati ai sensi dell'art. 7 della L. n. 203 del 1991 (distinta al n. 2 del provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale della Repubblica di Reggio Calabria in data 20 settembre 2017), all'applicazione al caso di specie dell'indirizzo interpretativo che il Collegio ha ritenuto non fondato.

In vero, anche all'esito dello scioglimento del cumulo materiale delle pene concorrenti cui si riferiscono le condanne da lui riportate, avvenuto con applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione, la pena inflitta a Z.A. per reati ostativi alla concessione dell'affidamento in prova ai servizi sociali risulta tuttora in corso di espiazione, con conseguente perduranza del relativo effetto preclusivo alla concessione delle invocate misure alternative alla detenzione, nella incontestata assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter Ord. pen..

Ne', alla sopravvenienza delle norme recate dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, il ricorrente ha fatto seguire qualsivoglia allegazione in ordine alla esistenza degli ulteriori elementi ora rilevanti, secondo la nuova disciplina, in mancanza di collaborazione con la giustizia, ai fini della concessione di detta misura alternativa a persone condannate per delitti analoghi a quelli accertati a suo carico.

11. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2023.

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