Misure cautelari personali, ordinanza di sospensione dei termini ex art. 304, co 2 Cpp, imputato scarcerato per decorrenza del termine di durata massima, emissione prima del ripristino della misura, esclusione

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.46380 del 03/10/2023 (dep. 16/11/2023)

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Misure cautelari personali, ordinanza di sospensione dei termini ex art. 304, co 2 Cpp, imputato scarcerato per decorrenza del termine di durata massima, emissione prima del ripristino della misura, esclusione

In tema di misure cautelari personali, non trova applicazione, nei confronti dell’imputato in stato di libertà, in quanto scarcerato per decorrenza del termine di durata massima, l’ordinanza di sospensione dei termini ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen., emessa prima del ripristino della misura (nella specie, in conseguenza dell’annullamento con rinvio del provvedimento dichiarativo della perdita di efficacia della stessa).

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Cassazione penale, sez. VI, sentenza 03/10/2023 (dep. 16/11/2023) n. 46380

RITENUTO IN FATTO


1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Catanzaro, adito ex art. 310 c.p.p. sull'appello proposto dal Pubblico Ministero, ha disposto il ripristino della custodia cautelare in carcere nei confronti di P.F. - subordinandone l'efficacia alla definitività del provvedimento - riformando l'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro in data 29 luglio 2022 con la quale era stata disposta la scarcerazione dell'imputato P.F. per decorrenza dei termini di fase della misura cautelare.

Il Tribunale di Catanzaro, nella motivazione dell'ordinanza impugnata, dà conto dell'errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell'avere ritenuto non operativa nei confronti del P. l'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare adottata in data 6 settembre 2021, perché intervenuta quando il P. era in stato di libertà.

Sul punto si osserva che la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare per la particolare complessità del dibattimento, quando si proceda per taluno dei reati indicati nell'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), opera anche nei confronti di tutti i coimputati del medesimo processo, ciò perché solamente per i casi di sospensione previsti dall'art. 304, comma 1, lett. a) e b), per legittimo impedimento dell'imputato o del difensore, l'operatività resta preclusa nei confronti dei coimputati "ai quali i casi di sospensione non si riferiscono e che chiedono che si proceda nei loro confronti previa separazione dei processi".

Spiega il Tribunale nell'ordinanza impugnata che totalmente diversa è la disciplina processuale delle ipotesi previste dal comma 1 rispetto a quella riferita alle ipotesi di sospensione previste dall'art. 304, c.p.p., commi 2 e 3.

A parte la necessaria richiesta del pubblico ministero che contrassegna la sospensione ex art. 304 c.p.p., comma 2, la ratio a fondamento di essa risulta designata esclusivamente da due presupposti: la particolare complessità del dibattimento ed il rientrare i reati contestati nella previsione dell'art. 407.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 238/1997, ha in particolare affermato che "se, per un verso, può senz'altro dubitarsi della effettiva coerenza della scelta legislativa di trasferire l'apprezzamento di simili presupposti in capo al pubblico ministero al punto da averlo configurato alla stregua di titolare esclusivo del potere di iniziativa in ordine al provvedimento di sospensione, considerata, da un lato, la specifica e già segnalata natura "oggettiva" di quei parametri di valutazione e, dall'altro, la circostanza che gli stessi ruotano attorno alle esigenze connesse alla gestione di una fase ormai riservata all'organo del dibattimento, resta il fatto - assorbente anche agli effetti del presente giudizio - che una volta compiuto un simile apprezzamento e, dunque, esercitato il potere di richiesta, tale potere finisce per assumere connotazioni ontologicamente "inscindibili" proprio perché ancorato al processo nella sua globalità e non a singole posizioni cautelari".

"I Giudici delle leggi hanno, quindi, sottolineato come qualsiasi diverso enunciato che pretendesse di circoscrivere la portata della richiesta del pubblico ministero a parte degli imputati o a parte delle imputazioni, finirebbe quindi ineluttabilmente per introdurre parametri e finalità del tutto eterogenei rispetto alla funzione dell'istituto, con evidente compromissione delle esigenze che il legislatore ha inteso salvaguardare" (Corte di Cassazione, Sez. 2, n. 19520 del 23/05/2012,non mass.).

Si è affermato, quindi, che la sospensione di cui all'art. 304 c.p.p., commi 2 e 3, presuppone la complessità del dibattimento o del giudizio abbreviato e fa astrazione dalle posizioni dei singoli imputati, con la conseguenza che la sospensione opera anche nei confronti dell'imputato che sia stato sottoposto a custodia cautelare nel corso del giudizio, dopo l'emissione dell'ordinanza di sospensione.

2. Con atto a firma del difensore di fiducia, P.F. ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo per violazione di legge.

In particolare, denuncia che l'imputato era libero alla data dell'ordinanza di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, e che, in quanto libero, non avrebbe potuto impugnare detta ordinanza per carenza di interesse, con conseguente lesione dei suoi diritti di difesa, ove si ritenesse che la sospensione operi anche nei suoi confronti una volta applicatagli la custodia cautelare.

Si obietta che il P.M. da tale momento avrebbe dovuto e potuto richiedere anche nei confronti del P. la sospensione del termine di durata all'A.G. procedente, così da mettere in condizione il predetto di esercitare il proprio diritto di difesa su tale questione formale da cui dipende la sua libertà personale, essendo, peraltro, anche censurabile la ritenuta complessità del dibattimento.

3. Si deve dare atto che il difensore, avv. Giovanni Vecchio, dopo aver richiesto la trattazione orale ha depositato in cancelleria in data 28 settembre 2023 istanza di rinvio per legittimo impedimento, adducendo il concomitante impegno professionale davanti la Corte di Assise di Catanzaro.

Il Collegio ha rigettato la richiesta, rilevando in primo luogo la tardività della comunicazione dell'impedimento rispetto al momento della sua conoscenza da parte del difensore, evincendosi dall'allegato verbale dell'udienza tenutasi innanzi alla Corte di assise di Catanzaro che la data del rinvio ad oggi era già nota al difensore dall'udienza del 20 giugno 2023.

La istanza e', poi, stata ritenuta carente della doverosa specificazione sia delle ragioni per cui non è stata data precedenza al giudizio pendente davanti alla Corte di Cassazione, non essendo evidentemente sufficiente il semplice riferimento all'imputazione per il delitto di omicidio, e sia delle ragioni della mancata nomina di un sostituto processuale in uno dei due procedimenti concomitanti.

Costituisce principio consolidato che la comunicazione del contemporaneo diverso impegno professionale del difensore non è da sola sufficiente ad integrare l'impossibilità assoluta a comparire, essendo necessario che l'istanza di rinvio espliciti le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della funzione difensiva nell'altro procedimento, con riferimento alla particolare natura dell'attività cui deve presenziare, all'assenza di altro difensore che possa validamente assistere l'imputato, all'impossibilità di avvalersi - data la peculiarità della situazione - della designazione di un sostituto (ex art. 102 c.p.p.) sia nel processo a cui si intende partecipare, sia in quello di cui si chiede il differimento. Tali indicazioni devono ritenersi, unitamente alla tempestività della comunicazione, quali vere e proprie condizioni di ammissibilità dell'istanza di rinvio, con la conseguenza che in mancanza di esse il giudice non è in grado di valutare nel merito l'assolutezza del dedotto impedimento (cfr., fra le tante, Sez. 5, n. 2429 del 09/01/1998, Martinangelo, Rv. 209941).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

Si deve innanzitutto premettere che le argomentazioni sopra riportate nel ritenuto in fatto, poste a fondamento dell'ordinanza impugnata, sono essenzialmente riproduttive della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 2, n. 19520 del 23/05/2012 (non mass.), che ha affrontato una questione diversa da quella sollevata dal ricorrente.

Si tratta di un precedente di legittimità che si colloca nella scia dell'indirizzo oramai consolidato, tracciato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 31 maggio 2007 n. 23381, Keci, Rv. 236394, che ha affermato il principio secondo cui la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare per la particolare complessità del dibattimento, quando si proceda per taluno dei reati indicati nell'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), riguarda anche i coimputati sottoposti a custodia in carcere per reati non compresi nell'elenco di cui al menzionato art. 407.

In particolare, si discuteva se la sospensione essendo correlata all'oggettiva complessità del dibattimento, ma al contempo riferita ad una determinata categoria di reati, fosse efficace solamente nei confronti degli imputati detenuti per uno dei predetti reati, o se dovesse valere anche nei confronti dei coimputati ristretti per altri reati non compresi in detto elenco.

La soluzione adottata è stata quella di affermare l'estensione della sospensione per tutti i coimputati "per i quali è in corso una misura cautelare", sulla base del rilievo principale che "laddove vi sia una valutazione prognostica che la complessità del dibattimento possa far superare gli ordinari termini di fase, il pericolo rilevato è collettivo: non riguarda solo coloro tra i coimputati che rispondono dei reati indicati nel citato art. 407 c.p.p., ma tutti quelli che devono essere giudicati nel medesimo processo".

In breve è stato detto che poiché la sospensione si basa sul dato oggettivo della complessità del dibattimento e cioè su una situazione unitaria che coinvolge tutte le incolpazioni per cui si procede, "ne discende che, per salvaguardare l'unitarietà del trattamento processuale di una simile situazione, l'efficacia del provvedimento di sospensione non può che riguardare tutti i titoli di custodia emanati, per qualsivoglia imputazione da giudicare".

La questione che, invece, pone il ricorrente è del tutto diversa ed attiene alla delimitazione dell'efficacia della ordinanza di sospensione rispetto ai soli imputati detenuti al momento in cui l'ordinanza è stata adottata, o se tale effetto estensivo già affermato per i coimputati detenuti a prescindere dal titolo di reato per cui si procede nei loro confronti, debba valere anche nei confronti dei coimputati che, liberi al momento della emissione dell'ordinanza di sospensione, siano stati successivamente sottoposti alla custodia cautelare in carcere.

Per inciso va osservato che nella citata sentenza n. 23381 delle Sezioni Unite, il tema/pur se non affrontato ex professo, è stato implicitamente risolto in senso negativo essendosi preliminarmente dato atto di aver verificato, quale condizione pregiudiziale, che la misura cautelare a carico del K. fosse efficace al momento della sospensione dei termini per la particolare complessità del giudizio, e se, quindi, tale sospensione potesse valere nei suoi confronti, benché il titolo di reato fosse come già detto non compreso tra quelli considerati dall'art. 407 c.p.p..

2. Anche sulla questione che qui interessa si registrano due opposti orientamenti che hanno riguardato più specificamente il caso dell'imputato latitante arrestato in esecuzione dell'ordinanza emessa nei suoi confronti, ma ancora ineseguita al momento della sospensione dei termini di fase della custodia in carcere.

Secondo un primo indirizzo va osservato che il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell'art. 304 c.p.p., comma 2, adottato "per tutti gli imputati in stato di custodia cautelare", non può valere per gli imputati liberi, e ad esso deve necessariamente far seguito altro analogo provvedimento sospensivo nei confronti di quegli imputati, pure attinti dalla medesima misura, ma precedentemente non detenuti, in quanto latitanti. La ragione fondante di tale interpretazione poggia evidentemente sulla connessa problematica della impugnabilità di detta ordinanza, che viene a condizionare in senso negativo l'efficacia estensiva della sospensione per tutelare il diritto di impugnazione che spetta al latitante.

Si è osservato in modo perspicuo che "l'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare ex art. 304 c.p.p., comma 2 postula necessariamente che sia in corso un dibattimento particolarmente complesso nei confronti di imputati "in stato di custodia cautelare", per i quali soltanto decorrono, dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo, gli effetti della custodia cautelare... (omissis). Per gli imputati i quali, essendosi volontariamente sottratti alla custodia cautelare, versino "in stato di latitanza" gli effetti della custodia cautelare iniziano invece a decorrere solo dal momento della loro eventuale successiva cattura. Di talché sarebbe davvero inutiliter data un'ordinanza sospensiva dei termini previsti dall'art. 303 c.p.p. (nella specie, quelli del giudizio di primo grado), adottata anche nei confronti degli imputati latitanti, ancor prima che i medesimi termini abbiano iniziato a decorrere in forza della "sopravvenuta esecuzione della custodia".

Tale interpretazione chiarisce in modo lineare che l'imputato latitante, successivamente arrestato, ha poi titolo, anche sotto il profilo dell'interesse ad impugnare, solo lo specifico provvedimento adottato nei suoi confronti e non anche quello adottato prima del suo arresto, in quanto privo di un interesse attuale e concreto rispetto alla prima ordinanza di sospensione perché inefficace nei suoi riguardi (vedi anche, Sez. 1, n. 3672 del 28/05/1996, Agrigento, Rv. 205152).

3. Secondo l'opposto orientamento, invece, l'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare ex art. 304 c.p.p., comma 2, spiega, alla luce dell'interpretazione adeguatrice del succitato art. 304 Cost., i suoi effetti anche nei confronti dell'imputato latitante, ponendo sin dall'inizio in posizione di parità gli imputati per i quali sia stata disposta la privazione della libertà personale e correlativamente evitando di privilegiare paradossalmente proprio quelli che si siano volontariamente sottratti alla custodia cautelare.

Ne consegue che il provvedimento di sospensione ex art. 304 c.p.p., comma 2, che si pone come ricognitivo della particolare complessità del dibattimento, impedisce che il possibile, successivo arresto del latitante faccia scattare nei confronti di quest'ultimo il decorso dei termini di cui all'art. 303 c.p.p. prima che sia cessata la causa di sospensione. Ciò discende dalla natura oggettiva della causa di sospensione in questione che, in quanto tale, prescinde dalla situazione dei singoli imputati né può essere alterata dal successivo arresto di uno di essi, sicché una possibile reiterazione del provvedimento di sospensione nei confronti dell'ex latitante si risolverebbe in un mero formalismo (in tal senso vedi, Sez. 6, n. 565 del 17/02/1999, Ficara, Rv. 213084).

Necessario corollario di tale orientamento è la ritenuta legittimazione ad impugnare la sospensione da parte del latitante atteso che l'interesse discende proprio dalla riconosciuta efficacia nei suoi confronti del provvedimento di cui deve quindi riconoscersi anche l'immediata impugnabilità da parte dello stesso (cfr. Sez. 6, n. 565 del 17/02/1999, già citata).

L'orientamento contrario ha, poi, trovato ulteriori conferme anche con riferimento alla sospensione correlata ai termini di deposito della motivazione della sentenza, essendosi affermato che la sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, in pendenza dei termini per il deposito della motivazione della sentenza, opera nei confronti della situazione processuale obiettivamente considerata ed esplica, pertanto, i suoi effetti nei confronti di tutti coloro che vi sono sottoposti, sia degli imputati già detenuti nel corso del giudizio, sia di quelli che, giudicati in stato di latitanza o di libertà, siano sottoposti a misura cautelare dopo la lettura del dispositivo (Sez. 2, n. 25498 del 04/04/2012, Cante, Rv. 253243).

Si deve, infine, registrare anche un orientamento intermedio che pur aderendo in linea di principio alla impostazione della efficacia estensiva della sospensione dei termini di custodia cautelare prevista dall'art. 304 c.p.p., comma 2, anche nei confronti dell'imputato latitante, ha però precisato che qualora il provvedimento sospensivo circoscriva, anche implicitamente, i suoi effetti solo agli imputati in stato di custodia cautelare, ad esso deve necessariamente seguire un altro analogo provvedimento di sospensione nei confronti degli imputati latitanti e successivamente catturati, pure attinti dalla medesima misura, i quali sono legittimati, sotto il profilo dell'interesse, ad impugnare soltanto il provvedimento che li riguardi (Sez. 1, n. 28482 del 27/06/2003, Lucariello, Rv. 225276).

4. Ritiene il Collegio che, tra le due opposte soluzioni interpretative, presenti maggiore coerenza rispetto al sistema della decorrenza dei termini cautelari il primo orientamento che delimita l'estensione dell'ordinanza di sospensione ai soli imputati che siano detenuti al momento della sua adozione.

La tesi dell'immediata impugnabilità dell'ordinanza di sospensione anche da parte del latitante rappresenta il punto più debole dell'orientamento qui avversato.

Tale profilo riveste una rilevanza decisiva per la ricostruzione sistematica dell'istituto, essendo previsto che la sospensione dei termini di fase è disposta su richiesta del pubblico ministero ed è decisa con ordinanza appellabile nelle forme e nei termini previsti dall'art. 310 c.p.p..

Orben e affermare che anche il latitante abbia interesse attuale ad appellare una ordinanza di sospensione che non produce nell'immediatezza alcun effetto nei suoi riguardi, essendo la concreta sospensione dei termini di fase soltanto eventuale e futura, significa introdurre una deroga al principio secondo cui l'interesse ad impugnare, da cui dipende l'ammissibilità dell'impugnazione, deve rivestire il carattere dell'attualità, inteso come eliminazione di un effetto giuridico già verificatosi e non solo futuro ed eventuale.

Su tale questione, strettamente connessa a quella dell'estensione dell'efficacia dell'ordinanza di sospensione anche agli imputati liberi, è stato di recente ribadito che l'imputato latitante non ha interesse attuale ad impugnare il provvedimento di sospensione per la particolare complessità del giudizio ex art. 304 c.p.p., comma 2, in quanto nei suoi riguardi i termini massimi di durata della misura cautelare non sono mai iniziati a decorrere (cfr., Sez. 6, n. 13717 del 21/03/2019, Seminara, Rv. 275368).

Quindi, la tesi dell'efficacia differita dell'ordinanza di sospensione nei confronti degli imputati liberi al momento della sua adozione connota come espressione di mero formalismo la necessaria adozione di una seconda ordinanza nei confronti dell'imputato latitante che sia stato arrestato in epoca successiva, che discende, invece, proprio dalla impossibilità di assicurare ai predetti imputati il diritto di proporre appello avverso l'ordinanza di sospensione nel rispetto delle forme e dei termini di decadenza previsti dall'art. 309, commi 1, 2 e 3, richiamati dall'art. 310 c.p.p..

In particolare, l'ordinanza di sospensione diventerebbe impugnabile sotto il profilo dell'interesse solo nel momento dell'esecuzione dell'arresto del latitante, non essendo impugnabile prima per carenza di un interesse attuale, inteso nel senso sopra specificato, diversamente dalla pacifica impugnabilità dell'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare.

E', infatti, indubbio che il latitante abbia un interesse attuale a proporre la richiesta di riesame o l'appello avverso l'ordinanza che attenga alla esistenza dei presupposti legittimanti l'applicazione di quella misura, mentre non ha alcun interesse ad impugnare un provvedimento adottato nel corso dell'esecuzione della misura per prorogare o sospendere la decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare, perché nei suoi riguardi quei termini non sono ancora iniziati a decorrere.

Inoltre, in assenza di una normativa che disciplini tale specifico caso, aderendo all'opposto orientamento, l'ordinanza di sospensione non potrebbe neppure essere impugnata al momento dell'arresto, una volta scaduto il termine di impugnazione, che decorre a norma dell'art. 309 c.p.p., comma 1, dalla notificazione del provvedimento, salvo non ritenere applicabile estensivamente anche per l'appello dell'ordinanza di sospensione la disposizione dell'art. 309, comma 2 che fa dipendere la riapertura del termine di impugnazione dell'ordinanza che ha applicato la custodia in carcere dalla prova della mancata conoscenza del provvedimento genetico di applicazione della misura.

5. Ciò detto, va considerato che nella fattispecie in esame la questione dell'impugnabilità dell'ordinanza di sospensione disposta prima dell'esecuzione della misura cautelare assume caratteristiche ancora differenti e più problematiche del caso del latitante.

Mentre, infatti, nei confronti del latitante, sebbene non ancora eseguita/esiste comunque una ordinanza di custodia cautelare rispetto alla quale astrattamente potrebbe ravvisarsi una efficacia futura ed eventuale della sospensione dei termini di durata della misura stessa - ove la sua esecuzione sopravvenga nel corso del dibattimento cui si riferisce la sospensione - nel caso in esame, invece, nei confronti dell'imputato al momento dell'adozione della sospensione la misura era stata già revocata per decorrenza dei termini massimi (ordinanza poi annullata in sede di Cassazione con rinvio per nuova rideterminazione del termine di durata).

Sicché appare ancora più problematico affermare che l'ordinanza in questione adottata in data 6 settembre 2021 fosse efficace anche nei confronti dell'odierno ricorrente, sebbene nei suoi confronti non solo l'ordinanza di sospensione, ma ancor prima la stessa istanza del pubblico ministero, che ne delimita necessariamente l'ambito di operatività sul piano soggettivo, non potesse evidentemente avere riguardo alla sua posizione neppure astrattamente, risultando già decorso il termine di durata massima e quindi già scarcerato proprio per tale ragione.

Va ricordato che dopo la sentenza di primo grado del 27 ottobre 2020 di condanna a tredici anni di reclusione anche per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per il quale il P. era libero, la Corte di appello ha applicato nei suoi confronti la misura della custodia con decorrenza dal 25 giugno 2021 con riferimento a tale titolo di reato.

In data data 8 luglio 2021 il ricorrente è stato scarcerato per decorrenza dei termini massimi ed è rimasto in stato di libertà fino al ripristino della misura avvenuto in data 12 gennaio 2022, a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 46128/2021) per una diversa questione di decorrenza termini in rapporto alla c.d. contestazione a catena ex art. 297 c.p.p., comma 3, che qui non rileva.

6. Alla stregua di quanto fin qui osservato, si ritiene che diversamente dal caso del latitante, nei confronti di chi si trovi libero al momento dell'ordinanza di sospensione non per essersi sottratto volontariamente alla esecuzione della custodia cautelare emessa nei suoi confronti, ma perché non raggiunto da alcun titolo cautelare valido, come l'odierno ricorrente, appare ancora più arduo ritenere che la sospensione possa aver effetto rispetto ad una misura che non solo non è stata ancora disposta, ma che neppure era prevedibile che lo fosse, essendo stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata della custodia in applicazione della retrodatazione del termine a norma dell'art. 297 c.p.p., comma 3.

Ne' può valere nei suoi riguardi, trattandosi di imputato libero, la considerazione, posta a sostegno della tesi della necessaria estensione al latitante della sospensione, secondo cui la mancata estensione favorirebbe paradossalmente la persona volontariamente sottrattasi alla esecuzione del provvedimento coercitivo rispetto a coloro nei cui confronti il provvedimento sia stato invece eseguito (cfr. Sez. 6, n. 565 del 1999, cit.).

Inoltre, la lesione del diritto di impugnazione, ove si aderisse alla tesi dell'efficacia estensiva valida nei confronti di tutti gli imputati, anche liberi, che fossero stati raggiunti da un nuovo titolo cautelare dopo la sua adozione, sarebbe ancora più eclatante.

Infatti, non trovando certamente applicazione la disciplina del termine di impugnazione prevista per il latitante dall'art. 310 c.p.p., comma 3, che ammette la riapertura del termine subordinatamente alla prova dell'ignoranza del provvedimento genetico della misura, l'imputato in stato di libertà sarebbe di fatto privato del diritto di appellare l'ordinanza all'insorgere del suo interesse, per effetto dell'applicazione della misura custodiale successivamente alla decorrenza del termine di impugnazione correlato come detto alla notificazione dell'ordinanza di sospensione.

In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, dovendosi ritenere errato il computo della durata del termine di fase per il giudizio di appello, in conseguenza della estensione al ricorrente della sospensione del termine di fase disposto con l'ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 6 settembre 2021, da ritenersi inefficace nei suoi confronti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la ordinanza impugnata.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2023.

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