Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23757 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2802-2013 proposto da:

FONDAZIONE ORDINE MAURIZIANO, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n.18, presso lo studio dell’avvocato MAURO MONTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO TORTONESE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.R., P.M., R.M., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO CARAPELLE, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 762/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 30/07/2012 R.G.N. 1132/2011.

LA CORTE, ESAMINATI gli ATTI e sentito il consigliere relatore:

OSSERVA Con avviso del 3/1/2002, l’ORDINE MAURIZIANO bandiva un concorso interno per 20 posti di collaboratore tecnico professionale di categoria D, riservato ai dipendenti con almeno tre anni di anzianità nella qualifica inferiore. Vi erano stati ammessi anche i sigg.ri D.R., P.M. e R.M. i quali si erano rispettivamente classificati al primo, quinto e nono posto della graduatoria.

A seguito di contrasti con l’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte, secondo il quale l’anzianità minima non poteva essere inferiore ai cinque anni di esperienza lavorativa nel livello inferiore e non tre, come invece previsto dal bando (in base alla vincolante contrattazione collettiva di settore) l’ORDINE MAURIZIANO con le Delib. n. 6 del 1936 e Delib. n. 5 del 1937, rispettivamente, nominava subito i vincitori che avevano già maturato il quinquennio di permanenza nel profilo di provenienza e disponeva, invece, che gli altri vincitori sarebbero passati nella categoria superiore al momento del compimento dei cinque anni, termini che per il D. ed il P. sarebbero scaduti il 12/1/2003 e per il R. il 18/5/2003.

A tali scadenze, tuttavia, i suddetti dipendenti non avevano ricevuto alcun avanzamento, per cui con ricorso del 13 maggio 2004 si rivolgevano al Tribunale di Torino per ottenere la condanna dell’Ordine al conferimento della superiore qualifica ed al pagamento delle relative differenze retributive.

Il convenuto (cui in seguito subentrava nel corso del processo la Fondazione Ordine Mauriziano), si costituiva eccependo, fra l’altro, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Il Tribunale rigettava l’eccezione ed accoglieva la domanda degli attori.

Sul gravame della Fondazione, la Corte d’Appello di Torino riformava la pronuncia di primo grado, declinando la giurisdizione in favore del giudice amministrativo.

Quindi, il D., il P. ed il R. impugnavano la decisione d’appello mediante ricorso per cassazione, deducendo con l’unico motivo di aver azionato un vero e proprio diritto soggettivo, tutelabile davanti al giudice ordinario.

La Fondazione Ordine Mauriziano non svolgeva attività difensiva.

Questa Corte, a sezioni unite, con sentenza n. 15982 del 5 – 21/07/2011 dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario, accogliendo il ricorso, cassando, quindi la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Richiamava il principio ormai da tempo chiarito in tema d’impiego pubblico privatizzato, secondo cui la residuale giurisdizione del giudice amministrativo concerne soltanto le procedure concorsuali strumentali all’assunzione od al passaggio di area e va dall’inizio delle operazioni fino all’approvazione della graduatoria dei vincitori e degli eventuali idonei senza estendersi al successivo atto di nomina (Cass. nn. 7859 del 2001, 2954 del 20029332 del 2002 e 1989 del 2004). Nel caso di specie, i ricorrenti non avevano censurato in alcun modo lo svolgimento del concorso ed il suo esito, ma erano anzi partiti dal presupposto della definitività della graduatoria per affermare, sulla base di essa e della adottata deliberazione, l’obbligo della controparte di inquadrarli nella categoria D e di corrispondere loro le relative differenze retributive. In considerazione di quanto sopra nonchè del fatto che si trattava di una vicenda svoltasi per intero in epoca successiva al 30/6/1998, andava, pertanto, affermata la giurisdizione del giudice.

Il giudizio veniva quindi riassunto dai tre dipendenti con atto del 5 ottobre 2001, instando per la conferma della sentenza di accoglimento pronunciata in data 3/11 marzo 2005 dal Tribunale. Si costituiva in giudizio la Fondazione Ordine Mauriziano, rilevando in via preliminare che con D.L. n. 159 del 2007, conv. in L. n. 222 del 2007 era stata commissariata e sottoposta a procedura concorsuale, con conseguente applicazione delle norme in tema di l.c.a.. Ne era seguita la formazione dello stato passivo e adottato il piano di soddisfazione, la Fondazione aveva ottenuto l’esdebitazione dei debiti pregressi con ordinanza del Tribunale in data 18-04-2002, passata in giudicato. Di conseguenza, la Fondazione eccepiva l’inammissibilità e/o l’improcedibilità delle pretese creditorie ex adverso azionate, In via preliminare eccepiva altresì che la propria legittimazione passiva era limitata alla data del 22 novembre 2004. Nel merito, inoltre, opponeva la nullità dell’atto negoziale di cui alla Delib. n. 5 del 1937 del 30 luglio 2002 doveva ritenersi già compresa nella memoria difensiva di primo grado e che comunque si trattava di questione rilevabile di ufficio (peraltro, tale delibera non aveva ricevuto concreta attuazione e con successivo atto n. 77 del 31 gennaio 2005 era stata anche formalmente annullata in regime in via di autotutela da parte dello stesso ente; ciò che però secondo la sentenza di primo grado n. 1425/05 risultava del tutto ininfluente, giacchè la precedente Delib. 30 luglio 2002 aveva già riconosciuto il diritto vantato dai ricorrenti ed era rimasta ingiustificatamente inadempiuta).

La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 762 in data sette giugno – 25 luglio 2012 rigettava il gravame interposto avverso l’impugnata pronuncia n. 1425/11-03-2005, per l’effetto confermata, condannando inoltre la Fondazione pure al rimborso delle ulteriori spese di lite, ivi comprese quelle del precedente giudizio di legittimità.

Secondo la Corte territoriale, non si poneva un problema di legittimazione passiva, anche perchè la legislazione speciale nelle more intervenuta (22 novembre 2004 – 31 gennaio 2005, con conseguente passaggio all’azienda ospedaliera Mauriziana) riguardava un periodo successivo alla maturazione del diritto al superiore inquadramento, ormai riconosciuto agli attori in epoca anteriore al 22 novembre 2004. I ricorrenti, peraltro, avevano finito per ammettere che le loro pretese creditorie non riguardavano anche il periodo successivo. Nel merito la Corte torinese ha condiviso il ragionamento seguito dal giudice di 10 grado, sostenendo che la questione di nullità risultava inevitabilmente tardiva per difetto di tempestiva allegazioni.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello n. 762 del 2012 ha proposto nuovamente ricorso per cassazione la Fondazione Ordine Mauriziano con atto notificato il 23 gennaio 2013, affidato a 8 motivi, cui hanno resistito i 2 lavoratori mediante controricorso in data 21 – 22 febbraio 2013. Per di avvisi di rito dilaniati in vista della adunanza camerale fissata per il 13 dicembre 2017 la sola fondazione ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Non risultano in atti requisitorie da parte del pubblico ministero.

CONSIDERATO CHE con il 1^ motivo è stata denunciata la violazione e la falsa applicazione del D.L. 19 novembre 2004, n. 277, art. 2, comma 2 convertito in L. 21 gennaio 2005, n. 4, sostenendosi che risultava innanzitutto erroneo il capo della pronuncia di appello che aveva ritenuto infondata la deduzione difensiva della fondazione diretta a circoscrivere la propria legittimazione passiva alle sole pretese creditorie rivendicate dagli attori antecedenti al 22 novembre 2004. Infatti, posto che 3 lavoratori risultavano dipendenti dall’Azienda ospedaliera Ordine Mauriziano quantomeno dal 1 febbraio 2005, così come risultante anche pacificamente in atti, era evidente che la legittimazione passiva della Fondazione fosse limitata alla sola veste di ente liquidatore – ai sensi del citato D.L. n. 277, commissariato D.L. n. 159 del 2007, ex art. 30convertito in L. n. 222 dello stesso anno – dei debiti facenti capo all’ente Ordine Mauriziano maturati alla data del 22 novembre 2004, giusta il D.L. n. 277, art. 2, comma 3;

con il 2^ motivo la sentenza impugnata è stata censurata per motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non avendo la Corte d’Appello tratto le necessarie conseguenze dalla circostanza pacifica in base alla quale i tre lavoratori risultavano impegnati in attività sanitarie, sicchè non erano mai transitati alle dipendenze della Fondazione ai sensi del succitato D.L. n. 277, art. 2, comma 3 a nulla rilevando che il diritto rivendicato fosse sorto in epoca anteriore al 22 novembre 2004;

con il 3^ motivo è stata lamentata la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, degli artt. 75,100,111,414 e 416c.p.c., perchè le censure di cui alla precedente doglianza integravano anche violazione delle anzidette norme processuali, concernenti l’esatta individuazione, sia pure con riferimento ai crediti successivi al 22 novembre 2004, del soggetto avente legittimazione processuale e al conseguente error in procedendo nel quale era incorsa la Corte territoriale;

con il 4^ motivo la Fondazione si è doluta della pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè la sentenza impugnata, nel rigettare l’appello, confermando quindi la gravata decisione, aveva però del tutto omesso di pronunciarsi anche sulla allegazione difensiva, secondo cui era interesse della Fondazione circoscrivere gli effetti della impugnata pronuncia al periodo in cui gli attori avevano operato alle dipendenze dell’Ordine Mauriziano. Di conseguenza, in ogni caso la condanna andava limitata al 31 gennaio 2005, perchè i ricorrenti almeno dal successivo 1 febbraio erano transitati alle dipendenze dell’Azienda ospedaliera, siccome emergente dagli stati servizio prodotti in occasione del giudizio di riassunzione. La sentenza della Corte d’Appello aveva, per contro, omesso di esaminare una questione espressamente sottoposta al suo esame, relativa agli effetti temporali dell’eventuale condanna di parte convenuta, correlati non solo alla pacifica afferenza dei tre istanti al personale sanitario, ma anche all’intervenuta costituzione dell’Azienda ospedaliera a partire dal 1 febbraio 2005 della L.R. Piemonte 24 dicembre 2004, n. 39, ex art. 2 la cui disposizione era stata attuata con decreto del Presidente della Giunta regionale in data 24 gennaio 2005 a decorrere dal successivo 1 febbraio;

con il 5^ motivo è stata dedotta motivazione contraddittoria circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la precedente censura si prestava altresì ad essere sviluppata nella forma della carenza di motivazione, visto che la sentenza impugnata nulla aveva detto circa le ragioni del perdurare della legittimazione passiva sostanziale della Fondazione oltre le date del 22 novembre 2004 ovvero del 1 febbraio 2005, ovvero con riferimento al periodo del rapporto di lavoro dei tre lavoratori a partire dal quale essi non erano sicuramente più alle dipendenze del vecchio Ordine Mauriziano, per essere essi definitivamente transitati all’Azienda ospedaliera;

con il 6^ motivo è stata denunciata la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2, 3, 25,40 e 52, degli artt. 3,51,97 e 98 Cost., degli artt. 15 e 16 del C.C.N.L. 14 settembre 1999 per il comparto sanità pubblica, nonchè dell’art. 1421 c.c.. Richiamato, quindi, l’iter concernente il concorso interno di cui all’avviso in data 3 gennaio 2002, relativamente al profilo di collaboratore tecnico professionale categoria D, secondo la Fondazione risultava pacifico, anche in base a quanto dedotto dagli stessi ricorrenti in riassunzione, che costoro alla data di indizione del concorso erano privi dell’anzianità di servizio, quinquennale, nella categoria C, richiesta invece dagli artt. 15 e 16 del contratto collettivo 1999 (depositato nel suo testo integrale ex artt. 366 e 369 c.p.c.): “Per i collaboratori tecnico professionali ed i collaboratori amministrativo professionali, il possesso del diploma di laurea corrispondente allo specifico settore di attività di assegnazione… corredato – ove previsto – dalle abilitazioni professionali, ovvero in mancanza – fatti salvi i diplomi abilitativi per legge – il possesso della diploma di istruzione secondaria di 2^ grado unitamente ad esperienza lavorativa quinquennale maturata in profilo corrispondente alla categoria C “. Pertanto, indipendentemente dalla questione circa la sussistenza o meno di un potere di autotutela nel rapporto di lavoro pubblico privatizzato, l’erroneità della qui impugnata pronuncia derivava, come già evidenziato sia nella memoria di costituzione di primo grado, sia nel successivo atto di appello (laddove era stata censurata la sentenza del Tribunale per aver operato un inquadramento contra legem), dalla illegittimità di tale inquadramento, asseritamente scaturito dalla Delib. n. 5 del 1937, trattandosi in effetti di nullità ex art. 1418 c.c. degli atti concorsuali, avendo le norme che disciplinano la progressione in carriera dei pubblici dipendenti carattere imperativo e pacificamente inderogabile alla stregua di quanto previsto dalle norme richiamate nella rubrica di tale sesto motivo. E tale natura imperativa connotava, altresì, le disposizioni della contrattazione collettiva ai sensi del succitato D.Lgs. n. 165, art. 40, comma 4, all’uopo richiamandosi la giurisprudenza di questa corte (Cass. lav. n. 4653 del 2011 in tema di nullità derivante da violazione della contrattazione collettiva relativa al pubblico impiego privatizzato), nonchè varia giurisprudenza amministrativa al riguardo. Nè potevano rilevare a favore di tre lavoratori le diverse posizioni di altri dipendenti, trattandosi comunque di profili del tutto distinti, che ad ogni modo non potevano legittimare alcun diritto a favore degli attori. Pertanto, andava accertata l’erroneità della sentenza impugnata, che aveva ritenuto di non applicare una nullità, rilevabile d’ufficio, che era stata senz’altro oggetto di allegazione;

con il 7^ motivo la Fondazione in relazione a quanto sopra dedotto ha lamentato la violazione degli artt. 1418 e 1421 c.c., di modo che, anche se per ipotesi la questione di nullità non fosse stata prospettata da parte convenuta, andava comunque rilevata d’ufficio, contrariamente a quanto sul punto opinato dalla Corte piemontese;

infine, con l’8^ motivo, pure connesso al precedente, è stata denunciata la motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, visto che la medesima sentenza impugnata nella sua narrativa, inerente allo svolgimento del processo, aveva ricordato, tra l’altro, che il competente Assessorato regionale con due diverse missive aveva rappresentato all’ORDINE MAURIZIANO la vincolante contrattazione collettiva di settore per poter accedere alla categoria D, per cui occorrevano almeno cinque anni di esperienza lavorativa nel livello inferiore, e non già tre, come invece previsto dal bando, mentre in parte motiva la stessa pronuncia aveva invece opinato nel senso che la questione della nullità non poteva essere esaminata, poichè parte convenuta si era limitata ad opporre un profilo di illegittimità rispetto alle direttive regionali, il che non rispondeva ai doveri di allegazione circa la configurazione dei presupposti di nullità dell’atto negoziale. Pertanto, la questione circa la validità del reinquadramento ottenuto dagli attori, rispetto alle vincolanti e inderogabili previsioni della contrattazione collettiva, aveva sempre formato oggetto del giudizio, visto che proprio alla luce di tali disposizioni l’Assessorato alla Sanità aveva formulato i suoi rilievi.

Tanto premesso, vanno esaminati, in via preliminare, congiuntamente gli ultimi tre motivi del ricorso, tra loro evidentemente connessi, le cui doglianze meritano pregio e risultano, altresì, assorbenti rispetto a tutte le altre censure mosse dalla Fondazione.

Ed invero, la questione della legittimità, ossia della validità degli inquadramenti disposti con la dibattuta Delib. 30 luglio 2002 -ancorchè con effetti differiti nel tempo al compimento del quinquennio a seconda delle distinte posizioni soggettive (12 gennaio e 18 maggio 2003), peraltro mai in concreto attuata dalla stessa pubblica amministrazione (che poi provvedeva addirittura ad annullarla in autotutela)- questione evidentemente collegata pure a tutti gli altri atti connessi e presupposti (compreso quindi il bando di concorso interno del 3 gennaio 2002 – v. del resto anche i contrari rilievi di cui alla nota dell’Assessorato alla Sanità regionale in data 15-3-2002, quindi anche anteriore alla successiva graduatoria, pubblicata il 17 maggio 2002 – cfr. pure pagine 2/4 dello stesso controricorso), risulta essere stata indubbiamente posta all’attenzione degli organi giudicanti, cui spettava poi la corrispondente corretta qualificazione giuridica in termini più strettamente tecnici, essendo evidente che nell’ambito della categoria della illegittimità o invalidità di un atto vi rientri ovviamente anche l’ipotesi della sua radicale nullità, con ogni conseguente effetto del caso (cfr. Cass. 2 civ. n. 7783 del 08/06/2001, secondo cui, fermo il rispetto delle allegazioni di fatto prospettate dalla parte, una volta che questa abbia dedotto il fatto asseritamente invalidante, spetta al giudice ricondurlo alla categoria della nullità, ovvero dell’annullabilità, con la conseguenza che, permanendo immutata la situazione di fatto, la circostanza che il giudice qualifichi nullità la situazione che la parte abbia prospettato in termini di annullabilità, non concreta il vizio di ultrapetizione. In senso analogo v. anche Cass. sez. un. civ. n. 27 del 21/02/2000: nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto. V. parimenti, tra le altre, Cass. n. 10493 del 1999 e n. 8140 del 2004, nonchè Cass. lav. n. 6226 del 18/03/2014).

Pertanto, rilevato che la questione della legittimità (nullità) riguardo al controverso inquadramento operato dalla convenuta p.a. era stata comunque già posta in 1^ grado ed in 2^ grado, e risultava rilevabile di ufficio (non integrando ad ogni modo una eccezione in senso stretto, come tale opponibile soltanto dalla parte legittimata a farla valere), correttamente parte ricorrente ha denunciato pure il contraddittorio ragionamento da ultimo seguito dalla Corte d’Appello, circa l’impossibilità di esaminare nel merito la questione, richiamando altresì la giurisprudenza più recente, secondo cui pure in sede di impugnazione, la nullità è rilevabile di ufficio dal giudice, soprattutto allorchè riguardi elementi costitutivi del diritto fatto valere da chi agisce (v. Cass. 3 civ. n. 15383 del 28/06/2010, secondo cui non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice d’appello il quale dia alla domanda o all’eccezione una qualificazione giuridica diversa da quella adottata dal giudice di primo grado, e mai prospettata dalla parte, essendo compito del giudice – anche d’appello – individuare correttamente la legge applicabile, con l’unico limite rappresentato dall’impossibilità di immutare l’effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire. Conformi Cass. nn. 12471 del 2001, 21484 del 2007.

Parimenti, v. Cass. 1 civ. n. 16213 del 31/07/2015: la diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso da parte del giudice d’appello rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado non costituisce vizio di extrapetizione, rientrando tale potere-dovere nelle attribuzioni del giudice dell’impugnazione, senza necessità, quindi, di specifica impugnazione o doglianza di parte, purchè egli operi nell’ambito delle questioni riproposte con il gravame e lasci inalterati il “petitum” e la “causa petendi”, non introducendo nel tema controverso nuovi elementi di fatto. Conformi Cass. n. 19090 del 2007, n. 8142 del 03/04/2009, n. 4008 del 23/02/2006 e n. 1939 del 2003.

Analogamente, secondo Cass. 3 civ. n. 4744 del 04/03/2005, nel giudizio d’appello, così come il divieto di proporre domande nuove sotto il profilo del mutamento della “causa petendi” non impedisce alla parte di qualificare diversamente il negozio di cui abbia chiesto in primo grado la nullità o l’annullamento, inquadrandolo in un diverso schema giuridico, ferma la prospettazione del vizio che lo inficia, allo stesso modo il giudice d’appello può dare una qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite diversa da quella data dal giudice di primo grado, avendo il potere-dovere di definire la natura del rapporto al fine di precisarne il contenuto, gli effetti e le norme applicabili. Conforme Cass. lav. n. 1550 del 26/01/2006. V. ancora Cass. 1 civ. n. 19090 – 11/09/2007.

Cfr. pure Cass. 1 civ. n. 9333 del 09/05/2016: la questione relativa alla novità, o meno, di una domanda giudiziale è correlata all’individuazione del bene della vita in relazione al quale la tutela è richiesta, per cui non può esservi mutamento della domanda ove si sia in presenza di un ipotetico concorso di norme, anche solo convenzionali, a presidio dell’unico diritto azionato, presupponendo il cambiamento della domanda la mutazione del corrispondente diritto, non già della sua qualificazione giuridica.

Id. n. 23794 del 14/11/2011: il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale. Conformi Cass. 3 civ. n. 26159 del 12/12/2014 e 6 civ. 6 – 1, n. 118 del 07/01/2016.

Cfr. altresì Cass. lav. n. 19630 del 26/09/2011, secondo cui in tema d’interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizìo e a prescindere dalle formule adottate. Ne consegue che è necessario, a questo fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della pretesa secondo criteri logici che permettano di rilevare l’effettiva volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa.

Cfr. poi Cass. sez. un. civ. nn. 26242 e 26243 del 12/12/2014, secondo cui nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Il rilievo “ex officio” di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito, semprechè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale -adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione- senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale. La “rilevazione” “ex officio” delle nullità negoziali -sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o “di protezione”- è sempre obbligatoria, purchè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio.

Da ultimo, inoltre, le Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 7294 del 22/03/2017 hanno affermato il principio secondo cui il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa, che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione – e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, nè le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia – trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c.

Cfr. altresì Cass. 2 civ. n. 10609 del 28/04/2017, secondo cui in caso di contratto nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa – nella specie ivi esaminata per violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti – ove la parte che abbia dato causa alla nullità chieda l’adempimento di quel contratto, il giudice è tenuto a rilevare tale nullità d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, dunque, anche in appello, dovendo, da un lato, verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e, dall’altro, rilevare le eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendono al rigetto della domanda e possono configurarsi come mere difese del convenuto).

Orbene, le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo (Cass. Sez. Un., 16038/2010).

Ciò detto, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. E’ conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche “in melius”, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva (Cass. sez. un. civ. n. 21744 del 14/10/2009. In senso analogo, v. altresì Cass. lav. n. 24216 del 13/10/2017, secondo cui nell’impiego pubblico contrattualizzato, il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli, nè assumere in sede conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto dettata dal legislatore e dalla contrattazione collettiva. Il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed economici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal c.c.n.l. di comparto, sia l’attribuzione della qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni).

Inoltre, deve esser richiamato il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui la regola posta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 impone di applicare esclusivamente le disposizioni contrattuali in tema di trattamento economico in relazione a differenziazioni operate proprio dal contratto (vedi Cass. 29829/2008; 5726/ 2009; 16504/2008; 16676/2008; Cass. S, n. 16504 e 19 giugno 2008n. 16676; Cass., Sez. un., 16038/2010). Appaiono, pertanto, errate ed inconferenti le argomentazioni svolte con la sentenza qui impugnata, laddove è stato affermato che l’unico mezzo per escludere efficacia all’atto negoziale (ossia la Delib. n. 5 del 1937 del 30 luglio 2002) sarebbe stato quello di denunciarne giudizialmente la nullità, ciò che era stato prospettato dalla Fondazione in sede di riassunzione, con deduzioni peraltro tardive (v. però in part. quanto riportato a pag. 4 della stessa pronuncia n. 762/12, laddove si riassumevano le difese svolte da parte convenuta circa il mancato possesso del requisito di anzianità al momento della scadenza del termine previsto dal bando, che impediva per cogenti disposizioni della contrattazione collettiva l’accesso alla qualifica superiore e che – quindi – non era possibile riconoscere l’esistenza di un diritto all’attuazione di un atto illegittimo).

Ne deriva che alla luce delle precedenti considerazioni ed alla stregua dei succitati principi di diritto risultano del tutto errate, oltre che vagamente motivate, le ulteriori osservazioni svolte nella parte finale nella pronuncia de qua, secondo cui nella vicenda in esame, fino alla comparsa in sede di rinvio, l’Ordine Mauriziano prima e la Fondazione poi avevano sempre e solo fatto riferimento ad un profilo d’illegittimità rispetto alle direttive della Regione Piemonte (rectius riguardo alla normativa dettata in materia contrattazione collettiva nazionale di settore, rilevanti per effetto di quanto previsto in materia dal T.U. n. 165 del 2001, richiamata evidentemente dai competenti uffici regionali nei propri rilievi), il che non rispondeva ai doveri di allegazione circa la configurazione dei presupposti di nullità di un atto negoziale.

Nei sensi anzidetti, dunque, risultano fondate le censure di cui agli ultimi tre motivi del ricorso, restando così evidentemente assorbite le altre doglianze (che presuppongono necessariamente la corretta risoluzione di quelle qui espressamente esaminate e decise), di guisa che ai sensi degli artt. 384 e 385 c.p.c. l’impugnata sentenza va cassata con nuovo rinvio alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, perchè si pronunci nel merito in ordine all’anzidetta questione di illegittimità/nullità della deliberazione in data 30/07/2002, con ogni altro ulteriore pertinente accertamento del caso, in relazione a tutte le domande di parte attrice, tenuto però anche conto di tutte le difese opposte dall’ente pubblico convenuto, ed avuto pure riguardo a tutti gli altri principi di diritto sopra enunciati, regolando, quindi, all’esito anche le spese di questo ulteriore giudizio di legittimità.

Stante l’accoglimento dell’impugnazione de qua, non ricorrono i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato da parte ricorrente.

PQM

la Corte accoglie il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa, per l’effetto, l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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