LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – Consigliere –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3432/2014 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso l’avvocato ROBERTA AIAZZI dell’Area Legale Territoriale Centro di Poste Italiane, rappresentata e difesa dall’avvocato SAVERIO SEBASTIANI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
S.M., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA ZAMPIERI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 402/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/10/2013 R.G.N. 868/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2018 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mariom che ha concluso per inammissibilità, in subordine rigetto;
udito l’Avvocato ANNA MARIA URSINO per delega verbale Avvocato SAVERIO SEBASTIANI;
udito l’Avvocato NICOLA ZAMPIERI.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 402/2013, aveva rigettato l’appello proposto avverso la decisione con la quale il Tribunale locale aveva accertato il diritto di S.M. ad essere inquadrata nell’Area Quadri 2 livello dal 2.5.1997 e condannato Poste Italiane spa a provvedere all’inquadramento ed a pagare alla lavoratrice le differenze retributive maturate in ragione del nuovo inquadramento con riguardo a tutte le voci retributive spettanti (comprese le incidenze su TFR, mensilità suppletive, lavoro straordinario, indennità sostitutive ferie e permessi).
La Corte territoriale aveva confermato il giudizio del primo giudice ritenendo valido il procedimento utilizzato per verificare il riconoscimento delle mansioni svolte e della qualifica spettante. In particolare seguendo il percorso della contrattazione collettiva rilevava che il CCNL 1994 aveva suddiviso il personale di poste in quattro aree funzionali e, tra le altre, l’Area operativa in cui era in origine inquadrata la lavoratrice nonchè l’Area Quadri dalla stessa rivendicata. La distinzione tra le stesse era sostanzialmente riferibile al differente livello di specializzazione e preparazione professionale richiesto, nonchè all’ampiezza della autonomia e responsabilità attribuite.
All’esito della istruttoria testimoniale, la Corte aveva ritenuto corretta la valutazione già svolta dal Tribunale ed in particolare aveva valutato rilevante il titolo di studio posseduto dalla S., laureata in architettura, al fine di connotare la elevata professionalità della stessa. Quanto alle mansioni svolte, lo svolgimento nel primo periodo di attività di revisione tecnico contabile a fine lavori come attestata dai testi escussi nonchè di coordinamento e di supporto agli altri operatori addetti alle aperture di conti correnti nel periodo 2000-2005, anche accompagnate da attività di istruttore nei corsi di formazione, fondavano il giudizio della Corte territoriale circa la correttezza dell’inquadramento nell’area Quadri richiesta. Avverso la decisione Poste Italiane spa proponeva ricorso affidandolo a tre motivi cui resisteva con controricorso la S. che depositava altresì memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 44 CCNL 26.11.1994, dell’Accordo collettivo integrativo 23 maggio 1995 e dell’Allegato n. 1 al CCNL 11.1.2001, nonchè della L. n. 797 del 1981, art. 3 e dell’allegato 1 D.M. n. 4584 del 1982 e degli artt. 1362-1365 in relazione all’art. 2103 c.c.. Rileva la società che la Corte territoriale ha erroneamente riferito le mansioni svolte dalla S. all’area Q 2, facendo richiamo a caratteristiche, quali il livello di specializzazione e preparazione professionale nonchè l’ampiezza dell’autonomia, già contenute e considerate dall’inquadramento nell’area operativa. Altresì errata, a dire della società, è la considerazione della laurea conseguita, essendo, questo, elemento non dirimente e non significativo rispetto all’inquadramento ed alle mansioni svolte in concreto.
Preliminarmente deve rilevarsi che questa Corte ha avuto modo di chiarire che la denuncia di violazione di norme collettive risulta ammissibile solo se allegati i CCNL ed indicate specificamente le violazioni; In particolare ha statuito che “Nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; nè, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (Cass. n. 4350/2015; Cass. n. 195/2016; conf. Cass. n. 21554/2017).
Il motivo di ricorso riporta solo stralci, non completi delle norme oggetto di censura che non consentono a questa Corte la possibilità di valutare i vizi denunciati. Il motivo risulta inammissibile.
Peraltro la società si duole del richiamo al possesso della laurea, indicando, questo, quale elemento ininfluente ai fini dell’inquadramento richiesto.
Invero la Corte territoriale ha sì valorizzato tale circostanza, ma inquadrandola quale ulteriore fattore di arricchimento della professionalità della lavoratrice utile al fine di connotarne l’elevato grado. Ha peraltro fondato il proprio convincimento sull’esame delle testimonianze rese, attestative delle concrete mansioni svolte.
Neppure specificati dalla società ricorrente risultano i criteri ermeneutici ritenuti non osservati dal giudice d’appello nella interpretazione delle norme contrattuali, in quanto la richiamata “intenzione delle parti”, quale criterio non considerato, in realtà si sostanzia nella denuncia di mancata valutazione dell’accorpamento di più livelli di categorie di provenienza in una stessa Area. Tale circostanza non è stata mai contraddetta nella decisione impugnata ed anzi attentamente esaminata dalla Corte per delineare il percorso contrattuale conseguito nel tempo.
Devono infine richiamarsi i numerosi precedenti di questa Corte pronunciati in materia di inquadramento del personale tecnico, dipendente di Poste Italiane spa, che svolge mansioni specialistiche, anche per ulteriormente confermare la conformità della valutazione della corte veneziana agli orientamenti ed interpretazioni di questo giudice di legittimità (tra le altre Cass. n. 6970/2013; Cass. n. 14575//2015; Cass. n. 27207/2017; Cass. n. 2704/2018).
Il motivo si appalesa quindi in parte inammissibile ed in parte infondato.
2)- Con il secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3), non essendo stati acquisiti nè documenti e neppure altri elementi istruttori inerenti la “particolare preparazione professionale” o “l’iniziativa” ascrivibile al livello Q 2, invece ritenuta dalla Corte d’appello.
Il motivo censura sostanzialmente la valutazione svolta dal Giudice sulle caratteristiche dell’attività svolta dalla lavoratrice, come risultate dalla prova testimoniale e dalla documentazione allegata. Si tratta all’evidenza di censura inerente la valutazione di merito del materiale probatorio non suscettibile, in questa sede, di ulteriore rivalutazione. Il motivo è inammissibile.
3)- Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).
La società richiama la declaratoria del livello B in cui la S. era stata inquadrata in esito al CCNL 2003 al fine di dimostrare come la stessa fosse totalmente aderente alle mansioni svolte in concreto dalla lavoratrice.
Anche in questo caso il motivo presenta più profili di inammissibilità in quanto non specifica dove e come la questione fosse stata posta nei precedenti gradi del giudizio, così contrastando il principio di autosufficienza del ricorso. Peraltro non viene neppure allegata la decisività della dedotta omissione, avendo la Corte territoriale seguito un percorso logico-giuridico di valutazione delle mansioni svolte, come risultanti dalla attività istruttoria svolta, in raffronto alle declaratorie dei diversi livelli. Il motivo è inammissibile ed il ricorso complessivamente infondato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018
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