Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24166 del 04/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7819/2016 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI LUCATTONI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANNI MARGONI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELA ESPOSITO giusta procura speciale a margine dell’atto di citazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 03/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del 04/04/2018 dal Consigliere Dr. OLIVIERI STEFANO;

FATTI DI CAUSA

II Tribunale di Trento, con sentenza n. 172/2015, condannava M.G. al risarcimento del danno subito da L. nella misura di Euro 80.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria, pari alle somme che gli erano state consegnate dalla danneggiata per effettuare investimenti finanziari ad alto rendimento e che il M.G., sebbene privo della abilitazione a svolgere attività di promotore finanziario, aveva impiegato nella operazione di acquisto di pacchetti azionar delle società ***** s.p.a. e ***** s.p.a., avendo omesso successivamente di rimborsare, come previsto, il capitale alla L., in quanto la prima società era rimasta inoperativa mentre la seconda società era stata dichiarata fallita.

La Corte di appello di Trento, con sentenza in data 3.2.2016 n. 36 , riteneva accertato, alla stregua delle risultanze probatorie, che il M.G. -avendo peraltro un interesse personale all’investimento, rivestendo la qualità di socio ed amministratore della ***** s.p.a. e la qualità di “agente” della ***** s.p.a.- avesse svolto abusivamente l’attività di promotore finanziario, sebbene privo della necessaria iscrizione all’albo, e dunque in violazione del D.L.gs n. 58 del 1998, art. 31 TU, omettendo peraltro di fornire alla L. qualsiasi informazione sui rischi dell’investimento, la quale pertanto fondatamente aveva agito ex art. 2043 c.c., direttamente nei confronti del M.G. per responsabilità extracontrattuale, non essendo tenuta ad escutere preventivamente le indicate società.

La sentenza di appello, notificata in via telematica in data 4.2.2016, è stata impugnata per cassazione dal M.G. con tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis. c.p.c., comma 1.

Resiste con controricorso L.G..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce, cumulativamente, il vizio di “error juris” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione D.Lgs n. 58 del 1998, art. 31, avendo omesso la Corte d’appello di valutare la assenza del requisito della professionalità nella attività svolta dal M.G., ed il vizio di “error facti” ex art. 360 c.p.c, comma 1, n. 5, per “omesso esame della mancanza, nella fattispecie, della necessità di tale iscrizione (ndr. nell’albo dei promotori finanziari) in assenza dei requisito di professionalità nell’intervento attuato”.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2043 c.c., in relazione art. 360 c.p.c, comma 1, n. 3, difettando del tutto il carattere illecito della condotta tenuta dal M.G., non essendo vietato lo svolgimento di attività “meramente occasionale” di intermediazione finanziaria, come emerge dalla giurisprudenza penale formatasi sotto la vigenza D.Lgs 1 settembre 1993, n. 385, art. 132, che, per la integrazione del reato di abusiva attività finanziaria, richiedeva gli elementi della “professionalità” e della “pubblicità”.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente.

La Corte d’appello ha affidato la decisione a due distinte ed autonome ragioni :

a) il M.G. ha compiuto atti e tenuto una condotta assimilabile a quella del promotore finanziario: non essendo iscritto all’albo professionale, tale condotta deve qualificarsi illecita e dunque fonte di responsabilità extracontrattuale nei confronti della L.;

b) nel rapporto intrattenuto con la L. il M.G. ha svolto attività di incentivazione e persuasione all’acquisto dei prodotti finanziari, rappresentando la elevata reddittività della operazione, ma omettendo del tutto di informare l’acquirente degli specifici rischi connessi al tipo di investimento proposto.

Dirimente è la mancata impugnazione della “ratio decidendo” sub lett. b), che non viene idoneamente investita dal ricorso per cassazione.

Il ricorrente, infatti, con il primo motivo, si è limitato a contestare detto accertamento in fatto contenuto in sentenza, evidenziando ulteriori elementi valutativi (crisi finanziaria mondiale del 2009 ed incolpevole ignoranza del M.G. sui conseguenti rischi di investimento; incidenza dell’andamento negati dei mercati sulle società ***** e *****; stato di insolvenza di ***** s.p.a. evidenziatosi solo nel 2013 dei quali neppure viene indicato se siano stati allegati e discussi nei precedenti gradi di merito, e che comunque non rispondono ai requisiti prescritti dall’art 360 c.p.c., comma 1, n. 5, -nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile “ratione temporis”- per sottoporre alla Corte di legittimità il sindacato dell’errore di fatto, non essendo stato indicato dal ricorrente il fatto storico “decisivo”, dimostrato in giudizio, che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare.

La censura del “vizio di motivazione”, rimane infatti circoscritta al solo “omesso esame circa un fatto decisivo per li giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, secondo la interpretazione che della norma 3 seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. Legge n. 134 del 2012 -è stata fornita da questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016) e la mancata indicazione del “fatto storico omesso”, confina il motivo di ricorso nella inammissibilità, rimanendo estranea al sindacato di legittimità la mera contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., comma 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016), così come la contestazione di errori attinenti alla individuazione di “questioni” od “argomentazioni” relative all’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), e risultando in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

E’ appena il caso di rilevare poi che l’accesso al sindacato del vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risulterebbe comunque impedito, non soltanto per la evidenziata inammissibile richiesta di una diversa lettura delle dichiarazioni rese dal teste escusso (che il Giudice dì appello ha ritenuto confermative della ricostruzione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo del giudizio), quanto piuttosto per la preclusione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, (applicabile al presente giudizio, essendo stato proposto appello in data successiva all’11.9.2012 : cfr. D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012), non avendo dimostrato il ricorrente che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, erano tra loro diverse (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014; id. Sez. 3 – , Sentenza n. 19001 del 27/09/2016; id. Sez. 1 – , Sentenza n. 26274 del 22/12/2016).

Essendo la “ratio deddendi” in questione sufficiente a sorreggere autonomamente la sentenza impugnata -venendo ad integrare la attività illecita, “non jure” e “contra jus” la violazione della libertà di determinazione negoziale della L., indotta in errore nell’acquisto dei pacchetti azionari, avendo taciuto il M.G. quali fossero le effettive possibilità di rischio di perdita dell’intero capitale investito-, le censure svolte in diritto in ordine all’altra “ratio decidendi” (individuata sopra sub lett. a) debbono ritenersi inammissibili per difetto di interesse alla impugnazione (cfr. Corte cass. SU 20.6.2007 n. 14297; Corte cass. SU 23.12.2009 n. 27210), dovendo peraltro aggiungersi che anche tali censure non potevano comunque ritenersi dirimenti, atteso che la Corte d’appello non si è limitata a ravvisare l’illecito extracontrattuale soltanto nella condotta di esercizio abusivo della professione di promotore finanziario (aspetto sul quale verrebbe a riverberare la verifica del requisito di “professionalità” dell’attività svolta), ma ha ravvisato l’illecito nel consapevole occultamento da parte del M.G. dei rischi connessi allo specifico tipo di investimento, e nella insistente opera di persuasione volta ad ingenerare nella L. un falso affidamento sulle capacità tecniche del proponente, corrispondenti a quelle richieste dalla legge ad un promotore od agente finanziario (la Corte territoriale ha infatti accertato che, almeno nella operazione finanziaria relativa all’anno 2009 il M.G. si era dichiarato nell’atto sottoscritto agente per conto di ***** s.p.a.).

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c, comma 1, nn. 3 e 5, avendo errato la Corte d’appello liquidando il danno patrimoniale senza considerare che le obbligazioni contrattuali assunte dalle società verso la L. non erano estinte.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente ha cumulato la deduzione di vizi di legittimità distinti, ma non ha individuato nella esposizione degli argomenti svolti a supporto, quelli che assistono ciascuno dei due vizi singolarmente considerati. Va ribadito pertanto il principio di diritto secondo cui il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimità, si palesa inammissibile tutte le volte in cui l’esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno di entrambe le censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso infatti le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimità ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c, non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto degli artt. 360 e 366 c.p.c, comma 1, n, 4 (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; ìd. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).

Il motivo è altresì inammissibile, in quanto in ricorrente intenderebbe individuare nella mera stipula dei contratti di acquisto del pacchetti azionari, una cesura nel nesso di causalità tra la condotta e le conseguenze dannose (artt. 2043,2056 e 1223 c.c.) determinatesi nel patrimonio della L..

La Corte d’appello ha accertato, in via presuntiva, che un recupero dei capitali dalle predette società doveva ritenersi di fatto impedito dallo stato di decozione di una delle due società -dichiarata fallita- e dalla totale inoperatività dell’altra società, circostanze che si inseriscono nella serie causale innescata dalla condotta illecita del ricorrente determinando l'”eventum damni” connesso proprio alla verificazione del rischio relativo alle caratteristiche dell’investimento, taciuto dal M.G..

Trattasi di accertamento in fatto sulla esistenza del nesso di causalità (che onerava il M.G. alla prova contraria: Corte cass. sez. 3, Sentenza n. 18363 dei 26/07/2017), non sindacabile, nel caso di specie, in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (e non anche dell’errore di diritto), attesa la preclusione di cui all’art. 348 ter c.p.c, comma 5, conseguente alla mancata individuazione, nel ricorso per cassazione, della diversità degli elementi in fatto valutati da Giudice di prime cure rispetto a quelli valutati dal Giudice di appello.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte soccombente condannata alla rifusione delle spese liquidate nel dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, della spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma l bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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