Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.25303 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Farbizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19453-2016 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA, 2, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE MARIA CRUPI, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO SANTANGELO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.N.A.S. S.P.A., – AZIENDA NAZIONALE AUTONOMA DELLE STRADE C.F.

*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/b, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO SAMENGO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 16/2016 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 16/02/2016 R.G.N. 131/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/06/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato TOMMASO LONGO per delega verbale Avvocato VINCENZO SANTANGELO;

udito l’Avvocato ALFREDO SAMENGO.

FATTI DI CAUSA

1.Con ricorso al Tribunale di Campobasso C.I. convenne in giudizio Anas s.p.a. ed espose di aver lavorato alle dipendenze della società nel periodo dal 19.12.2001 al 31.3.2011 in virtù di una serie di contratti a tempo determinato per la durata complessiva di 1204 giorni così cumulando oltre trentasei mesi di attività lavorativa. Chiese pertanto che, in applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis e della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 43 venisse accertata e dichiarata la sussistenza tra le parti di un lavoro subordinato a tempo indeterminato con tutte le conseguenze di ordine ripristinatorio del rapporto e retributivo. Il Tribunale di Campobasso dichiarò inammissibile il ricorso sul rilievo che il petitum della controversia era il medesimo già esaminato dal Tribunale nel procedimento tra le stesse parti iscritto al n. 994 del 2010 e definito con sentenza n. 57 del 2013. Evidenziò infatti che il ricorrente ben avrebbe potuto e dovuto già in quella causa eccepire la nullità dei termini anche sotto il denunciato profilo dell’avvenuto superamento dei 36 mesi di durata massima complessiva dei contratti a termine.

2. La Corte di appello di Campobasso con la sentenza che oggi viene impugnata ha ritenuto, al pari del Tribunale, che sebbene alla data di deposito del ricorso introduttivo del primo giudizio (il 15.9.2010) il lavoratore non avesse ancora maturato le condizioni per potere chiedere, anche sotto il profilo del superamento dei trentasei mesi, il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato, tuttavia tali condizioni si erano realizzate subito dopo, nel corso del giudizio di primo grado, e comunque prima dell’udienza di discussione della controversia (fissata il 18.1.2012 ma tenutasi poi solo il 29.12.2012). Ad avviso della Corte di merito il ricorrente avrebbe pertanto potuto e dovuto eccepire in quella sede tale ulteriore motivo di nullità dei contratti, avvalendosi dei poteri concessi alle parti ed al giudice dall’art. 420 c.p.c. di modificare le domande e le eccezioni nel corso del giudizio e, ove vi fossero stati impedimenti, quanto meno, formulare una riserva di avanzare in altra sede la pretesa per i profili denunciati. In mancanza di allegazione o prova che la diversa causa di diritto all’assunzione a tempo indeterminato fatta valere nel giudizio non potesse essere già avanzata nel precedente la Corte di merito ha confermato l’inammissibilità del ricorso.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.I. affidato a quattro motivi ai quali ha resistito l’Anas s.p.a. con controricorso che ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 2 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c.. Sostiene il ricorrente che la domanda presentata nel secondo ricorso – tesa ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con Anas s.p.a. e fondata sulla violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis non poteva nè doveva essere avanzata già con il ricorso con il quale si era chiesto l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in relazione alla denunciata illegittimità del termine apposto ad uno solo dei dodici contratti intercorsi tra le parti. Sottolinea il ricorrente che alla data di presentazione del primo ricorso (il 15.9.2010) non erano ancora maturati i trentasei mesi necessari, ai sensi della citata disposizione per ottenere la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e che tale periodo si era compiuto solo con la stipulazione del contratto in data 12.11.2010. Evidenzia poi che la disposizione invocata presentava profili di dubbia interpretazione quanto ai periodi computabili per raggiungere i 36 mesi. Ne era prova il fatto che l’Anas, nel difendersi, aveva eccepito la non computabilità di alcune frazioni contrattuali. Con criterio prudenziale, pertanto il lavoratore aveva atteso che il termine si fosse incontrovertibilmente compiuto prima di agire in giudizio per rivendicare l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per tale specifica ragione. Insiste nel sottolineare che i rapporti obbligatori da cui erano scaturite le due azioni erano diversi ed esclude che sia ravvisabile un abusivo utilizzo del processo che giustifichi la inammissibilità del secondo ricorso proposto precisando che, comunque, per effetto della conversione chiesta nel secondo ricorso il rapporto a termine si sarebbe convertito in uno a tempo indeterminato con una decorrenza meno favorevole rispetto a quella che si sarebbe potuta ottenere nel primo giudizio.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata ancora una volta la violazione degli artt. 111 e 2 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c.. Osserva il ricorrente che per aversi l’unicità di rapporto che impone l’unicità di azione è necessario che unico sia il fatto generatore del rapporto stesso. Rileva allora che, nel caso di specie, tale condizione non era sussistente come si evince sia dalle allegazioni in fatto che dalle conclusioni formulate nei due ricorsi, solo parzialmente sovrapponibili.

6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata ancora la violazione degli artt. 111 e 2 Cost. ed anche dell’art. 420 c.p.c.. Sostiene il ricorrente che non sarebbe stato possibile avvalersi dei poteri di modificazione ed integrazione della domanda perchè i fatti costitutivi delle azioni promosse erano diversi e, introdotti in giudizio temi di indagine nuovi, si sarebbe perciò realizzata una mutatio libelli non consentita.

7. Con il quarto motivo di ricorso, sempre in relazione agli artt. 111 e 2 Cost. e con riferimento poi agli artt. 92 e 88 c.p.c.il ricorrente pone in rilievo che per effetto della proposizione di più ricorsi non si era verificata vi è stata alcuna unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del convenuto. Sostiene infatti che, una volta accertata la sussistenza di un legittimo interesse a proporre il ricorso successivamente in relazione all’insorgenza stessa del diritto, il sacrificio del debitore è frutto di un lecito e ragionevole interesse del creditore che non sussiste solo se questi al momento della proposizione del primo giudizio era in possesso di tutti gli elementi di fatto e di diritto per far valere contestualmente le ragioni della seconda domanda.

8. Le censure, da esaminare congiuntamente perchè investono sotto vari profili l’unica questione della ammissibilità della domanda con la quale l’odierno ricorrente ha chiesto che si accertasse l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con Anas s.p.a. in relazione al protrarsi dei rapporti a termine intercorsi tra le parti per oltre sei mesi, devono essere accolte.

8.1. Erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che nel caso in esame fosse ravvisabile un abuso del processo ed ha dichiarato, perciò, inammissibile la domanda.

8.2. Per configurare un abuso nell’uso del processo è necessario un ingiustificato ed arbitrario frazionamento della domanda, per esclusiva utilità dell’attore che aggravi inutilmente la posizione della controparte. Una condotta in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo. La parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria si traduce in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (Cass. ss.uu. 15/11/2007, n. 23726 e successivamente Cass. 20/11/2009 n. 24539 e recentemente Cass. ord. 09/02/2018 n. 3226). Per aversi un abuso, pertanto, si deve verificare una “scissione del contenuto della obbligazione operata dal creditore, per esclusiva propria utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del suo debitore” (Cass. ss.uu. 23726 del 2007 cit., regola ribadita da Cass. ss.uu. 22/12/2009 n. 26961 sempre con riguardo al frazionamento di obbligazioni pecuniarie).

8.3. Nel caso di specie non ricorre alcuna parcellizzazione della domanda, ma piuttosto con il secondo ricorso è stata avanzata una domanda nuova, con una diversa causa petendi ed un petitum anch’esso parzialmente differente. Mentre nel primo ricorso era stata denunciata l’illegittimità del termine apposto ad un singolo contratto ed alle proroghe che erano ad esso seguite nel secondo ricorso, quello che è stato dichiarato inammissibile, la domanda di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato trovava il suo fondamento nel dedotto superamento del limite di trentasei mesi previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis. Si tratta di accertamenti che comportano ricostruzioni di fatti del tutto diversi, che presuppongono allegazioni differenti, cui conseguono anche effetti diversi. Il petitum, parzialmente coincidente quanto al bene richiesto – la conversione a tempo indeterminato del rapporto – si differenzia tra i due ricorsi con riferimento alla decorrenza che nel secondo ricorso non poteva che essere successiva al decorso dei trentasei mesi mentre nel primo ricorso coincideva con la data di conclusione del contratto il cui termine si assumeva illegittimamente apposto, e perciò da una data ben più risalente. Ne consegue altresì che una eventuale richiesta di modifica della domanda ai sensi dell’art. 420 c.p.c. sarebbe risultata inammissibile poichè avrebbe comportato una non consentita mutatio libelli che ricorre quando la parte immuti l’oggetto della pretesa ovvero introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (cfr. Cass. 28/01/2015 n. 1585).

9. Per le ragioni esposte si deve escludere che nel caso in esame si configuri un abuso dello strumento processuale e, ammissibile l’azione, la sentenza deve essere cassata e rinviata alla Corte di merito che procederà all’esame del ricorso e provvederà alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia per la decisione alla Corte di appello di Napoli che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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