LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21986/2013 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA BUFALOTTA 174, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA BARLETTELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO NATALE;
– ricorrenti –
contro
MA.DO., MA.MA.CE., elettivamente domiciliate in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 76, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FAIETA, rappresentate e difese dall’avvocato ELISABETTA FRACCALANZA;
– controricorrenti –
e contro
MA.RO.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1093/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 27/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/01/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Vittorio MANFIO con delega depositata in udienza dell’Avvocato FRACCALANZA Elisabetta, difensore delle resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Il pretore di Vibo Valentia con sentenza del 15 aprile 1999 ha accolto, ordinando la reintegrazione nel possesso, ricorso depositato il 4 novembre 1991 da Ma.Gi. con cui questi aveva lamentato lo spoglio del possesso di porzione di un proprio terreno sito in ***** da parte di M.A., che l’aveva inclusa in un suo adiacente fondo, mediante opere di recinzione e di sbancamento, sostenendo che l’area in contestazione era stata da lui posseduta da più di venti anni.
2. Impugnata in via principale da M.A. e incidentale da Ma.Gi., la decisione è stata confermata dalla corte d’appello di Catanzaro che con sentenza dell’8 novembre 2001 ha rigettato entrambi i gravami.
3. Adita con ricorso principale da M.A. e con ricorso incidentale da Ma.Gi., con sentenza n. 10273 del 16 maggio 2005, in accoglimento del ricorso principale e con assorbimento dell’incidentale, questa corte di legittimità ha cassato con rinvio la sentenza della corte calabra, stante il vizio di motivazione della stessa la quale non dava conto dello svolgimento in fatto della vicenda oggetto della causa, nè dei motivi in dirittò per cui là corte stessa era pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado.
4. Riassunto il procedimento in sede di rinvio innanzi alla corte d’appello di Catanzaro, interrotto e riassunto lo stesso per decesso di Ma.Gi. nei confronti dei di lui eredi M.R. (vedova), Ma.Do. e Ma.Ma.Ce. in Ma. (figlie), con sentenza depositata il 27.7.2013 la corte ha rigettato gli appelli principale e incidentale, compensando per un mezzo le spese e condannando M.A. al pagamento del residuo, come liquidato.
5. A sostegno della decisione la corte d’appello ha rilevato:
a) doversi dichiarare la contumacia di Ma.Ma.Ce. in Ma., per essere l’autenticità della sottoscrizione. alla procura a margine al difensore non attestata dal difensore stesso, ma da un notary public esercente negli Stati Uniti d’America, senza l’apostille prevista dalla convenzione dell’Aia del 5.10.1961;
b) avere le complessive risultanze istruttorie mostrato un accordo tra le famiglie in base al quale, tra l’altro, M.R., padre di A., aveva occupato la particella ***** per effetto di una permuta bonaria e detenuto in base a fitto la particella *****, detenzione poi trasmessa ad A., fermo il possesso di Ma.Gi.;
c) essere ricomprese nell’originaria domanda di reintegra, le successive denunce di spoglio e dover essere interpretata la domanda medesima come riferita all’intera particella *****;
d) una volta riparati i danni conseguenti allo sbancamento, nessun ulteriore danno era dimostrato come conseguente alla lesione possessoria.
6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.A. sulla base di nove motivi. Hanno resistito con controricorso Ma.Do. e Ma.Ma.Ce. in Ma.. Non ha svolto difese Ma.Ro..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo M.A. ha lamentato essere stata operata in violazione dell’art. 182 c.p.c., la dichiarazione di contumacia di Ma.Ma.Ce., peraltro indicata come costituita in altre parti della sentenza impugnata; deduce altresì la mancata assegnazione del termine per la regolarizzazione prevista dalla norma citata.
1.1. Il motivo è inammissibile. Esso, tendendo a denunciare come erronea una dichiarazione di contumacia della controparte, concreta un’exceptio de iure tertii senza che dalla eventuale lesione della sfera giuridica della controparte si faccia discendere una lesione della propria, rispetto alla quale il ricorrente non ha in alcun modo dedotto il proprio interesse all’impugnazione.
1.2. L’inammissibilità sussiste anche da altro profilo, in quanto pur per la parte che abbia interesse l’erronea dichiarazione di contumacia non determina un vizio della sentenza, deducibile in cassazione, quando non abbia cagionato in concreto alcun pregiudizio – nel caso di specie non dedotto – allo svolgimento dell’attività difensiva (cfr. ad es. Cass. n. 23519 del 17/11/2015, n. 3704 del 09/03/2012 e n. 24889 del 23/11/2006). Va pertanto dichiarato inammissibile il motivo di ricorso – anche quando proposto dalla parte interessata che si limiti alla deduzione dell’erroneità della dichiarazione di contumacia, senza indicare quale limitazione la stessa abbia comportato nell’esercizio del diritto di difesà, nè quale incidenza abbia potuto avere sull’esito della controversia, così da consentire alla corte un effettivo controllo di causalità dell’errore lamentato e da sottrarre la doglianza all’astrattezza di una sua prospettazione meramente teorica.
2. Con il secondo motivo M.A. denuncia. violazione dell’art. 111 Cost., artt. 392,394 c.p.c., oltre che insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione del giudicato interno. In particolare, lamenta che – sul presupposto che a seguito della sentenza di cassazione n. 10273 del 2005 fossero stati fissati oggetto, limiti e criteri per il giudizio di rinvio – la corte d’appello in sede di rinvio abbia compiuto un nuovo e non consentito accertamento di fatti e questioni coperti dal giudicato.
2.1. Al riguardo – e tale notazione vale altresì per le analoghe censure contenute nei successivi motivi, che si trascureranno – va preliminarmente notata l’inammissibilità della doglianza fondata sul vizio di motivazione. Invero, essendo stata la sentenza impugnata depositata successivamente all’11/9/2012 (v. per le sentenze emesse in sede di rinvio, ad es. Cass. n. 26654 del 18/12/2014),.tale vizio è declinato nel presente procedimento ratione temporis secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012. L’avvenuta limitazione al minimo costituzionale dell'”omesso esame” di fatti storici del controllo sulla motivazione non consente più mere critiche alla motivazione, in assenza di indicazione di effettivi “fatti storici” del tutto non esaminati, chè la parte ricorrente non ha dedotto.
2.2. Per gli altri profili, il motivo è infondato. Invero, la cassazione della precedente sentenza di merito era avvenuta per vizio di motivazione, per cui rettamente il giudice del rinvio ha esercitato i propri poteri di indagine e di valutazione della prova. In tal senso, questa corte (v. Cass. n. 13719 del 14/06/2006) ha affermato che il sindacato della corte di cassazione nel controllo dell’esercizio dei poteri propri del giudice di rinvio varia a seconda che l’annullamento sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione, in quanto, nella prima ipotesi, il giudice del rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, rinentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento.
3. Con il terzo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per avere la sentenza impugnata pronunciato oltre i limiti della domanda, non avendo mai il signor Ma. chiesto di essere riconosciuto possessore mediato quale locatore nè chiesto di essere reintegrato nel possessoò di tutto il fondo, anche per la parte eccedente lo sbancamento oggetto di doglianza.
3.1. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 1140 e segg., artt. 1159,2697 c.c. e art. 116 c.p.c., non avendo il signor Ma. fornito alcuna prova del suo possesso, essendo la valutazione dei giudici territoriali del tutto arbitraria, non potendo essere i titoli considerati se non ad colorandum e non essendo state considerate le prove a favore del ricorrente.
3.2. Con il quinto motivo si lamenta “nullità della sentenza per assoluta mancanza di prova” e violazioni degli artt. 2697,2702,2727,2729 c.c., nonchè artt. 116 e 214 c.p.c., non potendo avere valenza probatoria la scrittura del 24.9.1991 su cui ha argomentato la corte di merito.
3.3. Con il sesto motivo, denunciandosi violazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 1168 c.c., artt. 163 e 164 c.p.c., si sostiene che allorchè nel 1991 è stato proposto il ricorso per reintegra era decorso il termine annuale di decadenza dall’intervenuto spoglio, termine anche decorso per le ulteriori denunce effettuate in corso di causa.
3.4. Con il settimo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo stata omessa ogni pronuncia sulla prova testimoniale da cui risulterebbe il possesso dal 1980 in poi e sul titolo di proprietà, oltre che gli atti di interversione.
3.5. Con l’ottavo motivo si deduce violazione o falsa applicazione L. n. 203 del 1983, artt. 1, 2, 4, 48, 49 e 21, recante norme sui contratti agrari, nonchè della L. n. 29 del 1990, art. 9, relativa alla conversione in affitto dei contratti agrari associativi. Si indica che, non avendo fatto valere la nullità della cessione del contratto, il subconcessionario sarebbe subentrato nella posizione dell’affittuario, per cui essendo il signor M. da qualificarsi affittuario il signor Ma. non avrebbe potuto proporre azione di spoglio.
3.6. I motivi dal terzo all’ottavo, come sopra riepilogati, possono essere esaminati congiuntamente, essendo analoghe le ragioni che conducono alla dichiarazione di loro inammissibilità.
3.7. Mediante essi, infatti, il ricorrente – sotto la veste di deduzione di vizi della sentenza rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1 – in effetti richiede a questa corte di legittimità un riesame di statuizioni di merito (relative all’apprezzamento dell’oggetto della domanda di tutela possessoria (terzo motivo), alla tempestività dell’azione rispetto a termini decadenziali (sesto motivo), alla valutazione probatoria di carattere documentale (quarto e quinto motivo) o testimoniale (settimo motivo) circa la situazione possessoria anche in relazione alla conduzione di fondo in base a contratto agrario (ottavo motivo)) compiutamente svolte dalla corte territoriale (pp. 4-9, e spec. 8-9, quanto ai temi evocati dal terzo motivo; p. 8 quanto al sesto; pp. 7-8 quanto al quarto e quinto; p. 8 quanto all’ottavo) e inammissibili in sede di legittimità.
3.8. Resta conseguentemente esentata questa corte dallo svolgere ulteriori rilievi, pur essi tali da condurre all’inammissibilità dei motivi, in ordine alla formulazione degli stessi, alla pertinenza circa le singole rationes decidendi adottate dalla corte di merito, alla sussistenza o insussistenza dei necessari richiami dei brani motivazionali criticati e dei motivi di appello.
4. Con il nono motivo si deduce infine violazione dell’art. 91 c.p.c., per essere state le spese del giudizio di cassazione poste a carico del ricorrente, vittorioso in tale giudizio.
4.1. Il motivo è gravemente infondato, noto essendo che la nozione di soccombenza accolta dall’ordinamento, processualcivilistico è di carattere globale. In questo senso questa corte afferma (v. ad es. Cass. n. 20289 del 09/10/2015) che il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte.
5. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
PQM
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 2.000 per compensi, oltre spese generali nella misura del 1 5 % e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 31 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018
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