Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.25699 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29180-2014 proposto da:

Z.G., rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO ROCCA;

– ricorrente –

contro

Z.F., ZA.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 975/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 17/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO.

RILEVATO

che:

1. Con atto di citazione notificato in date 06.05.1991 e 08.05.1991 Z.G. ha convenuto innanzi al tribunale di Verona i germani F. e Za.Gi., chiedendo l’accertamento del fatto che l’atto del 19.11.1968 per notar C. con il quale il defunto padre Z.G. aveva venduto al figlio F. alcuni beni immobili dissimulasse una donazione o un negozio misto con donazione e, contestualmente, la ricostituzione degli assi ereditari di Z.G. e della di lui moglie Za.Ma., previa collazione di tutte le donazioni, dirette e dissimulate, operate dal de cuius.

2. Si sono costituiti F. e Za.Gi., resistendo alle domande e negando in particolare la simulazione.

3. Il tribunale di Verona si è pronunciato con sentenza non definitiva, emessa in data 21.05.2002, con la quale ha rigettato la domanda di accertamento della simulazione, dichiarando altresì che “l’asse ereditario rimasto alle parti” era costituito dall’immobile sito in *****. In seguito ha pronunciato sentenza definitiva depositata l’11.09.2011, sciogliendo la comunione e attribuendo in proprietà detto immobile per l’intero a F. e Za.Gi., condannando questi ultimi al pagamento in favore di Z.G. di 1/3 della quota di valore del predetto immobile pari a Euro 53.333,33 oltre accessori; ha posto a carico di tutte le parti le spese per il supplemento peritale, compensando integralmente le spese processuali.

4. Avverso la predetta decisione ha proposto appello Z.G.. Si è costituito nel giudizio di secondo grado Z.F.. Za.Gi. è rimasta contumace.

5. Con sentenza depositata in data 17.04.2014 la corte d’appello di Venezia, in parziale riforma delle decisioni emesse in primo grado, ha ricompreso nell’asse ereditario azioni depositate presso la Banca popolare di Verona, nonchè le disponibilità sul conto cointestato tra il de cuius e la sig.ra S.O., moglie dell’appellato F., per un ammontare rispettivo di Lire 13.320.000 e di Lire 7.765.675. Per il resto ha confermato il rigetto delle domande dell’originaria parte attrice, non avendo quest’ultima fornito la prova della simulazione ai sensi dell’art. 1417 c.c., nè potendo configurarsi nel caso di specie la nullità dell’alienazione per violazione della L. n. 47 del 1985, art. 40 dal momento che nel contratto di vendita erano chiaramente menzionate sia la licenza sia la domanda di concessione in sanatoria.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Z.G. sulla base di quattordici motivi. F. e Za.Gi. non hanno svolto difese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 1417 c.c. e artt. 115,210 e 263 c.p.c., per aver la corte d’appello omesso di ammettere le prove richieste al fine di accertare l’entità dei frutti dell’immobile di *****, spettanti allo stesso G. nella misura di 1/6 e, successivamente di 1/3 (alla morte del padre).

Il motivo è inammissibile. Nel testo del motivo, infatti, pur essendo trascritto il brano impugnato della sentenza d’appello, è del tutto mancante il richiamo (anche mediante opportune trascrizioni) a quali fossero le istanze di esibizione in discorso, quale sia stato. il provvedimento al riguardo adottato in primo grado, quale sia stato il motivo d’appello mediante il quale sia stata coltivata la doglianza, essendo all’uopo impossibile integrare il motivo con la ricerca ad opera di questa stessa corte all’interno del ricorso, della sentenza o degli stessi atti di causa. Anche a voler considerare – ciò che comunque non è consentito per integrare il motivo generico l’esposizione sommaria dei fatti contenuta,in ricorso, i cenni in tema di istanze di esibizione di documenti alle pp. 6, 8 e 9 (anche in nota) non danno conto del testo delle istanze istruttorie e dei provvedimenti adottati; nè la sentenza impugnata espone con precisione il testo del motivo d’appello al riguardo, pur contenendo un’espressione volta a disattenderlo affermando, da un lato, la possibilità da parte dell’odierno ricorrente di ottenere in via autonoma le informazioni richieste, e dall’altro essere in ogni caso le istanze generiche. Dalla situazione processuale in esame deriva l’impossibilità per il collegio di valutare le questioni sottoposte con il motivo.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 1417 c.c. e artt. 115,210 e 263 c.p.c., per aver la corte ritenuto inammissibile la prova della simulazione mediante presunzioni o prove testimoniali ai sensi dell’art. 1417 c.c., dovendosi documentare la presunta donazione.

Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa corte ha avuto modo di distinguere i casi in cui l’erede debba essere considerato terzo rispetto al contratto simulato, ai fini dell’operatività delle preclusioni di cui all’art. 1417 c.c.: dall’esercizio dell’azione di simulazione da parte dell’erede per l’accertamento di dedotte dissimulate donazioni non deriva necessariamente che egli è terzo, al fine dei limiti alla prova stabiliti dall’art. 1417 c.c., perchè, se egli agisce per lo scioglimento della comunione, previa collazione delle donazioni – anche dissimulate – per ricostituire il patrimonio ereditario e ristabilire l’uguaglianza tra coeredi, subentra nella posizione del de cuius; è invece terzo, se agisce in riduzione, per pretesa lesione di legittima, perchè la riserva è un suo diritto personale, riconosciutogli dalla legge, e perciò può provare la simulazione con ogni mezzo (cfr. ad es. Cass. n. 7134/2001 e, recentemente, n. 536/2018). Nel caso di specie, in cui la parte ricorrente non ha agito in riduzione nei confronti dei germani, limitandosi a richiedere la ricostruzione dell’asse ereditario, la preclusione dell’art. 1417 c.c. è dunque applicabile come rettamente e adeguatamente affermato dalla corte territoriale.

3. I motivi dal terzo all’undicesimo sono tutti palesemente inammissibili.

3.1. In particolare, deducendo la violazione di diverse norme di diritto:

– con il terzo motivo si è sollecitata questa corte a rivalutare se fosse documentata la nullità per illiceità dell’oggetto della vendita del 1986;

– con il quarto motivo si è analogamente richiesto un riesame circa la presunta falsità delle dichiarazioni contenute nell’atto circa le reali condizioni dell’immobile e la congruità del prezzo;

– con il quinto motivo si è domandato di verificare se sussista o meno la prova dell’effettuazione di altri atti di liberalità a favore di Z.F., mediante rinunce a uso o usufrutto su cespiti;

– con il sesto motivo si è sollecitata questa corte a verificare se, mediante comportamenti asseritamente trascurati dalla corte territoriale, fossero state provate rinunce a uso e usufrutto su cespiti;

– con il settimo motivo si domanda di valutare se il mobilio dell’appartamento in ***** sia rientrato nell’eredità, ciò che la corte d’appello ha negato;

– con l’ottavo motivo si domanda di computare nell’asse, oltre ai valori delle azioni e delle somme in conto corrente, anche i dividendi e gli interessi eventualmente prodotti;

– con il nono motivo si sollecita il riesame di questa corte circa la prova della provenienza delle somme in conto corrente, al fine dell’integrale computo nell’asse;

– con il decimo motivo si richiama il settimo, in riferimento al rendiconto;

– con l’undicesimo motivo si lamenta che, da un lato, si sia presunta la spettanza alla coniuge di Z.F. di un mezzo delle disponibilità in conto corrente cointestato e, dall’altro, si sia negato che vi sia la prova che questi si sia avvantaggiato dei canoni di locazione.

3.2. Tutti i predetti motivi, sotto la veste di doglianze ex art. 360 c.p.c., comma 1, in effetti sollecitano il riesame di valutazioni in ordine alle risultanze probatorie, di cui è svolto esame nella sentenza impugnata, di esclusiva spettanza dei giudici di merito ed estranei al compito di questa corte di legittimità.

4. Con il dodicesimo motivo si lamenta la violazione degli artt. 555,556,561,563 e 564 c.c. per non aver la corte d’appello valutato il bene caduto in successione al momento dell’apertura della stessa, come da giurisprudenza in tema di reintegrazione della quota riservata ai legittimari.

Tale motivo è infondato. Richiamandò giurisprudenza di questa corte (ad es. Cass. n. 8515/2013) relativa alla aestimatio del credito del legittimario cui non sia possibile attribuire la quota in natura, il ricorrente opera una indebita parificazione alla predetta fattispecie, non confacente alle questioni controverse nel presente giudizio, di quella di cui invece si tratta, cioè della divisioni mediante attribuzione dell’intero bene immobile a taluno dei condividenti con riconoscimento a talaltro di conguaglio in denaro; questo, ai sensi dell’art. 720 c.c., deve essere determinato al momento della decisione del giudizio di divisione. Può esser fatto riferimento anche a data non troppo vicina a quella della decisione, purchè si accerti – come ha affermato nel caso di specie la corte veneta – che, nonostante il tempo trascorso, per la stasi del mercato o per il minore apprezzamento del bene dovuto alle sue caratteristiche, non sia intervenuto un mutamento di valore che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito all’epoca della detta stima, costituendo onere della parte che solleciti la rivalutazione allegare ragioni di significativo mutamento di tale valore intervenuto medio tempore (v. di recente ad es. Cass. n. 29733/2017).

5. Analoga infondatezza sussiste quanto al tredicesimo motivo, mediante il quale la doglianza di cui al dodicesimo motivo viene reiterata quanto alla divisione delle azioni.

6. Con il quattordicesimo motivo si deduce violazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la corte d’appello compensato le spese di lite tra le parti, in considerazione della “nàtura della controversia” e dell'”interesse di tutte le parti alla divisione”, omettendo anche di accogliere motivo di appello avverso analoga doglianza circa la compensazione in primo grado:

Il motivo è infondato. La corte d’appello ha mostrato di avere attribuito prevalenza, rispetto alla componente contenziosa del giudizio, a quella propriamente divisionale, tenendo conto delle concrete attività processuali risultate onerose (c.t.u. ecc.). A ciò aggiungasi che, anche per la parte contenziosa, nel caso di specie secondo l’art. 92 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, in tema di compensazione delle spese processuali il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esulando da tale sindacato e rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in cassazione, poichè il riferimento ai motivi di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia (cfr. ad es. Cass. n. 20457/2011).

7. In definitiva, il ricorso va rigettato, senza che debba pronunciarsi sulle spese stante il mancato espletamento di difese da parte degli intimati. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato- dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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