Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.25713 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4560-2014 proposto da:

C.A.M., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BRITANNIA 54, presso lo studio dell’avvocato ANDREA LIJOI, che li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

CRAL I.P.Z.S. – CIRCOLO RICREATIVO AZIENDALE LAVORATORI ISTITUTO POLIGRAFICO ZECCA STATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. FERRARI N. 4, presso lo studio dell’Avvocato GIULIO SIMEONE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2377/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/08/201 r.g.n. 9200/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BARBARA PICCCINI per delega Avvocato ANDREA LIJOI;

udito l’Avvocato GIULIO SIMEONE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2377/2013, depositata il 19 agosto 2013, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, revocava i decreti ingiuntivi emessi a richiesta di C.A.M. e altri dodici dipendenti, per il pagamento delle retribuzioni loro spettanti per il mese di agosto 2009, nei confronti della datrice di lavoro Quality Catering S.r.l. e del C.R.A.L. Istituto Poligrafico Zecca dello Stato.

2. La Corte osservava a sostegno della propria decisione come il rapporto intercorso fra la società e il C.R.A.L., ai fini della responsabilità solidale di quest’ultimo, non potesse essere ricondotto all’appalto, non prevedendosi nella scrittura privata del 31/3/2005 alcun corrispettivo nè in denaro nè di altra natura ma solo la messa a disposizione dei locali, nei quali effettuare il servizio mensa, delle attrezzature e forniture di energia, senza che potessero rilevare, per una diversa qualificazione, gli accordi tra la società e i rappresentanti sindacali relativi ai cambi appalto, perchè a tali accordi non risultava che avesse partecipato quale parte il preteso committente.

3. Non poteva, pertanto, ad avviso della Corte territoriale, trovare applicazione nel caso di specie l’art. 1676 c.c., anche perchè, non essendo previsto un corrispettivo, non risultavano debiti del C.R.A.L. nei confronti della società; e neppure era applicabile il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, difettando in esso la qualità di imprenditore o datore di lavoro.

4. Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza i lavoratori con sei motivi, cui ha resistito il C.R.A.L. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e dell’art. 214 c.p.c., nonchè la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte omesso di pronunciarsi sulla nullità della procura speciale a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore della parte appellante, con conseguente inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, e, in particolare, per avere omesso di pronunciarsi sulla contestata autenticità dei documenti prodotti (anche con note successive) a giustificazione del potere di rappresentanza processuale del Commissario ad acta del C.R.A.L., che tale procura aveva sottoscritto.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 437 c.p.c. per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sulla rilevata inammissibilità dell’eccezione relativa alla mancanza, nell’appellante C.R.A.L., della qualità di “imprenditore o datore di lavoro”, per gli effetti di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 in quanto tale eccezione era contenuta nella tardiva comparsa di costituzione del nuovo difensore dell’appellante.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’eccezione di nullità dell’atto di appello per violazione del principio di specificità dei motivi.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1655,1657,2697 e 2729 c.c. e degli artt. 112 e 437 c.p.c., per avere la Corte trascurato di valutare l’insieme delle clausole contrattuali, di cui alla scrittura privata del 31/3/2005, attribuendo rilievo determinante, ai fini della qualificazione del contratto come atipico, all’assenza di previsione di un corrispettivo per la gestione del servizio mensa e negando, invece, rilevanza al comportamento posteriore a tale scrittura, sull’erroneo presupposto che il C.R.A.L. non avesse partecipato agli accordi, relativi ai cambi appalto, tra la società e le organizzazioni sindacali.

5. Con il quinto, i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, per avere la Corte ritenuto tale norma inapplicabile nel caso di specie, attesa l’assenza nel C.R.A.L. della qualità di “imprenditore o datore di lavoro”, dovendosi ritenere sottratto alla regola della responsabilità solidale solo il committente che, non dotato di alcuna organizzazione, stipuli un contratto di appalto per fini privati.

6. Con il sesto, i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1306 c.c. per avere la Corte di appello erroneamente revocato i decreti ingiuntivi opposti anche nei confronti della società e, quindi, del condebitore in solido non opponente.

7. Il ricorso deve essere respinto.

8. Con riferimento al primo motivo, si osserva che la Corte si e pronunciata sulla validita della procura rilasciata al nuovo difensore della parte appellante, elencando in dettaglio i documenti prodotti e traendo la conclusione che ne risultava comprovata la nomina del Commissario ad acta, che tale procura aveva firmato, e l’avvenuta ratifica degli atti dal medesimo posti in essere (cfr. sentenza impugnata, p. 3).

9. Il motivo è, pertanto, infondato.

10. Quanto al secondo e al terzo motivo, si rileva che la sentenza: (a) ha ritenuto non applicabile, nel caso di specie, la norma di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, positivamente riscontrando, nel merito, il difetto nel C.R.A.L. della qualità di imprenditore o datore di lavoro (p. 4); (b) ha proceduto, egualmente nel merito, all’analisi dei motivi di gravame nei confronti della sentenza di primo grado, pervenendo alla conclusione della sua integrale riforma.

11. Su tale premessa i motivi in esame, che possono essere trattati congiuntamente per l’identità aera questione che pongono, risultano infondati.

12. E’, infatti, consolidato l’orientamento, per il quale ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia: cfr., fra le più recenti, Cass. n. 24155/2017 (ord.).

13. In particolare, in applicazione di tale principio, è stato ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame: Cass. n. 29191/2017(ord.); conforme, fra le numerose altre, Cass. n. 5351/2007.

14. Il quarto motivo è infondato.

15. La Corte di merito ha ritenuto, sulla base di un’ampia ricognizione della fattispecie negoziale, che il rapporto fra le parti, così come regolato dalla scrittura del 31/3/2005, dovesse essere qualificato nei termini di un contratto “atipico” (e non di un contratto di appalto), con conseguente inapplicabilità dell’art. 1676 c.c. sulla responsabilità solidale del committente.

16. In particolare, la Corte ha osservato come il contratto prevedesse “semplicemente”, a carico del C.R.A.L., “la messa a disposizione di locali, attrezzature e forniture di energia” e, pertanto, escludesse l’obbligo del pagamento di un corrispettivo “nè in denaro nè di altra natura”; ha osservato, inoltre, come “l’utile della società” non fosse costituito nel caso di specie “dalla differenza tra il corrispettivo ricevuto dal committente ed i costi della produzione, ma dai corrispettivi che gli stessi utilizzatori della mensa avrebbero pagato direttamente alla società, senza alcun obbligo” del Circolo Ricreativo “di corrispondere somme ovvero di garantire un determinato livello di introiti”; ha poi ritenuto come “neppure la previsione di servizi aggiuntivi presso la Casina CRAL, del tutto eventuali e indeterminati” potesse mutare la natura (atipica) del contratto “rimanendo il costo del personale e del servizio da concordarsi di volta in volta” (cfr. sentenza impugnata p. 4).

17. Ciò posto, la sentenza impugnata si sottrae alle censure che con il motivo in esame le vengono rivolte.

18. E’ stato, infatti, ripetutamente affermato, in tema di interpretazione del contratto, che l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità, oltre che in ipotesi di motivazione inadeguata, in caso di violazione delle norme ermeneutiche: violazione, quest’ultima, da dedursi con specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia da esse discostato, altrimenti risolvendosi la critica della ricostruzione del contenuto della comune volontà nella proposta di un’interpretazione diversa, inammissibile come tale in sede di legittimità (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 2478/2001).

19. E’ stato, inoltre, precisato come l’interpretazione del contratto possa essere sindacata in sede di legittimità soltanto nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra: Cass. n. 11254/2018 (ord.).

20. Il motivo risulta poi inammissibile là dove denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. sul rilievo che la Corte di merito, travisando il contenuto del verbale dell’incontro con le organizzazioni sindacali in data 6/10/2009, non avrebbe adeguatamente considerato il comportamento tenuto dalle parti, posto che esso, nell’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 non trascrive il documento in questione (Cass. n. 17915/2010), nè comunque ne riporta i passi significativi ai fini della censura proposta, tanto più a fronte dell’osservazione (cfr. sentenza impugnata, p. 4, primo capoverso) secondo cui il C.R.A.L. non risulta aver partecipato “quale parte” alle trattative.

21. Il quinto motivo è inammissibile per carenza di interesse ad impugnare.

22. Premesso, infatti, che la Corte ha qualificato il contratto come “atipico”, escludendo che esso potesse rivestire la natura di appalto di servizi e di conseguenza, già solo per tale via, la riconducibilità della fattispecie concreta nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 si deve richiamare il consolidato principio, per il quale, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano; con la conseguenza che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Sez. U n. 16602/2005).

23. Il sesto motivo è infondato, posto che la sentenza ha espressamente e chiaramente disposto in motivazione (p. 4, penultimo capoverso) la revoca dei decreti ingiuntivi “nella misura in cui condannano CRAL IPZS in solido con la società datrice di lavoro”.

24. E’ invero consolidato l’orientamento per il quale l’esatto contenuto della sentenza deve essere individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice; ne consegue che deve essere ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del dictum giudiziale: cfr. da ultimo Cass. n. 24600/2017 (ord.).

25. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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